mercoledì 31 maggio 2017

MIGRANTI NEL MEDITERRANEO!

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Interventi di Silvia Laddomada e Anna Presciutti
Silvia Laddomada

Il Mediterraneo, crocevia di popoli con storie e civiltà diverse fin dal tempo delle antiche civiltà fluviali, è oggi un ponte di transito di popolazioni del Continente africano, ma anche asiatico, che approdano sulle coste italiane e spagnole, e sono dirette altrove.
Arrivano a migliaia, stipati su deboli e insicure imbarcazioni di fortuna; sono giovani, uomini, donne, a volte c’è una notevole quantità di minorenni. Gente che ha trovato a fatica i soldi per il viaggio ( che è più costoso, se irregolare e clandestino ) e ha il coraggio di affrontare il mare, mettendo a rischio la propria vita. Sono migranti (stanno lasciando volontariamente il paese per cercare lavoro e migliori condizioni di vita), sono rifugiati (sono perseguitati per motivi di razza, religione, politica), sono profughi (lasciano il proprio paese a causa di guerra, catastrofi naturali). Oggi sono circa 120 milioni le persone che vivono fuori dal proprio paese di origine, per questo la nostra epoca è stata definita “età delle migrazioni”.
All’inizio del 1900 gli Europei emigravano verso altri continenti, gli italiani emigravano versi i paesi industrializzati europei o verso il triangolo industriale italiano: Milano, Torino, Genova.
Negli ultimi 30 anni siamo stati invasi dagli immigrati. Ricordiamo ciò che avvenne nell’agosto del 1991, quando nel porto di Brindisi, nonostante il divieto delle autorità italiane, arrivò la nave Vlora, carica di 10.000 albanesi che, attratti dalle immagini televisive, si illudevano che l’Italia fosse un paese ricco e pacifico. Da allora sono arrivati in Italia tanti migranti, dall’Est Europa e ora in modo massiccio dall’Africa e dall’Asia.
Il loro arrivo crea tensioni, difficoltà perché spesso nelle periferie delle grandi città, gli immigrati vivono in condizioni di povertà, di degrado, di illegalità. E se trovano un’occupazione, lo vediamo,
svolgono lavori poco qualificati, faticosi, precari, che vengono rifiutati dai cittadini locali. Spesso danno vita ad attività prima inesistenti, come l’assistenza domestica, le colf, o l’assistenza agli anziani, le badanti.
L’accoglienza è un atto di umana solidarietà ( la convenzione SAR del 1979 dell’Unione Europea impone sempre e comunque, il soccorso e l’accompagnamento in luogo sicuro), ma spesso diventa difficile l’osservanza delle norme che regolano una civile convivenza, per cui l’integrazione è sempre più lontana.
Anna Presciutti ha fatto una ricerca di informazioni utili e attuali.

Chi entra in Italia in modo regolare deve avere il passaporto, o un documento di riconoscimento, il visto d’ingresso o per 3 mesi o di durata più lunga. Il mancato rispetto di queste procedure, che spettano al Paese in cui lo straniero è entrato, pone l’immigrato nelle condizioni di irregolare, di clandestino e ne comporta l’espulsione.
Con fondi europei vengono poi finanziati i progetti, di soggetti pubblici e privati, per favorire l’integrazione degli stranieri. Chi non ha il permesso di soggiorno, viene trattenuto in centri di detenzione per irregolari e poi riaccompagnato al Paese d’origine, a spese dell’Europa.
Da questi centri molti scappano via, perché non vogliono farsi identificare o perché hanno legami con amici o parenti in altro Paese.
Nel 2015, in Italia, 1 irregolare su 2 è stato rimpatriato ( a carico dello Stato 5 biglietti aereo per ogni clandestino). In previsione degli sbarchi, nel 1990, 12 paesi membri dell’Unione Europea, hanno firmato la Convenzione di Dublino ( entrata in vigore nel settembre del 1997), per garantire ai rifugiati un’adeguata protezione. In base a questo trattato, i cittadini extracomunitari possono far richiesta di asilo solo in un paese, membro dell’Unione Europea, di solito nel primo in cui arrivano.
Qual è il limite del Trattato di Dublino?
Negli ultimi anni i flussi migratori hanno raggiunto livelli inaspettati e non prevedibili negli anni 90. La regola sulla quale si è aperto il confronto - e che molti considerano anacronistica - è quella dell’obbligo di registrarsi nel Paese di arrivo, dove il profugo è costretto a chiedere lo status di rifugiato, senza poter proseguire per un altro Paese membro, anche se lo desidera. Questa regola ha finito per congestionare i centri di identificazione dei Paesi più facili da raggiungere via mare o via terra, come l'Italia e l'Ungheria, e per creare una situazione paradossale che vede da un parte profughi che vorrebbero raggiungere altri Paesi, come la Germania, il Regno Unito o la Svezia, ma non possono; dall'altra, Paesi che non riescono ad accogliere e gestire i migranti in arrivo ma sono costretti a trattenerli, registrarli e ospitarli.
La Convenzione sulla accoglienza firmata a Dublino, nel tempo è stata criticata, per avere regole eccessivamente larghe e vaghe e per essere fondamentalmente ingiusta verso i paesi “di frontiera”, per via dell’obbligo dei rifugiati di identificarsi e rimanere nel primo paese dell’Unione in cui mettono piede. Le norme di Dublino sono “vecchie”, sono state concepite immaginando flussi regolari di rifugiati e una sostanziale complicità tra i paesi dell’Unione; in questo modo i rifugiati che avevano legami familiari sarebbero stati trasferiti nei paesi competenti e quelli senza particolari legami sarebbero stati “spontaneamente” accolti nei vari paesi europei di frontiera.
Nel tempo, e oggi in misura maggiore, moltissimi rifugiati entrano nell’Unione Europea illegalmente, senza documenti e cercando di non farsi identificare nel primo paese in cui sbarcano, perché in genere è meno ricco dei paesi dell’Europa centrale e settentrionale, dove spesso gli stranieri sono diretti e dove vogliono chiedere asilo.
Per migliorare il funzionamento delle norme di Dublino, Juncker ha chiesto di distribuire in vari paesi dell’Unione, che dovranno ospitarli e gestire le loro richieste, i 120 mila richiedenti asilo, che oggi si trovano nei paesi di frontiera: Grecia, Italia, Ungheria.
Il Viminale ha lanciato un nuovo piano per accogliere i migranti: coinvolgere le Regioni, creando tavoli di coordinamento tra i vari sindaci e cercando di dividere in modo migliore i rifugiati in tutti i Comuni. Secondo l’accordo Viminale-Anci nei Comuni fino a 2000 abitanti dovrebbero essere ospitati 6 migranti; nei Comuni che hanno più di 2000 abitanti dovrebbero essere ospitati 4 migranti per ogni mille abitanti. Attualmente sono quasi 2900 i Comuni che hanno deciso di aprire le porte dell’accoglienza, su oltre 8000 totali.
Come si gestisce la prima emergenza?
Nei Centri di primo soccorso, i migranti ricevono le prime cure mediche necessarie, vengono fotosegnalati, possono chiedere la protezione internazionale. Se sono stranieri giunti in modo irregolare, sono trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione. Sulle nostre coste arrivano migranti eritrei, nigeriani, somali, sudanesi e siriani. La maggioranza di loro è presente in Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Veneto. Sono impiegati nel settore dei servizi alla persona, degli alberghi e ristoranti, delle costruzioni, dell’agricoltura, dell’industria e del trasporto.
Acquisita la cittadinanza, i migranti non sono un peso per l’Italia, poiché il bilancio tra tasse pagate dagli immigranti e spesa pubblica per l’immigrazione è in attivo di quasi 4 miliardi di euro. Ci sono poi dei pregiudizi da sfatare: “gli immigrati ci rubano il lavoro”; no, forse sono una risorsa, in un’Europa che invecchia, l’aumento di immigrati compensa la riduzione della popolazione in età lavorativa. Gli stranieri, inoltre, non riducono l’occupazione degli italiani, ma occupano progressivamente le posizioni meno qualificate abbandonate dagli autoctoni, soprattutto nei settori in cui il lavoro è prevalentemente manuale, più pesante, con remunerazione modesta e con contratti non stabili.

"Li ospitiamo negli alberghi e gli diamo 35 euro al giorno?”
I Centri di accoglienza straordinaria sono strutture temporanee; già a partire dal 2014, in considerazione dell’aumento del flusso migratorio, le prefetture, le Regioni, gli Enti locali cercano ulteriori posti di accoglienza nei singoli territori regionali, e quando non li trovano si rivolgono anche a strutture alberghiere. Il costo medio per l’accoglienza di un richiedente asilo o rifugiato è di 35 euro al giorno, che non finiscono in tasca ai migranti, ma vengono erogati agli Enti gestori dei centri e servono a coprire le spese di gestione e manutenzione, ma anche a pagare lo stipendio degli operatori che ci lavorano. Della somma complessiva solo 2,5 euro in media, il cosiddetto “pocket money” è la cifra che viene data ai migranti per le piccole spese quotidiane ( dalle ricariche telefoniche alle sigarette). Questi euro non sono soldi gestiti dal governo italiano, sono soldi di un Fondo speciale europeo( ogni europeo devolve, tramite le tasse, 2 euro all’anno a questo Fondo), che l’Europa stanzia, giornalmente, per accogliere i richiedenti asilo, ripartendoli tra i Paesi membri. L’Italia è al secondo posto in termini di remunerazione.

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