mercoledì 21 dicembre 2016

“NATALE: LEGGENDA, POESIA, GASTRONOMIA”

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RELAZIONE DI SILVIA LADDOMADA


E’ più importante il Natale o l’Epifania?



Per noi non ci sono dubbi: la nascita di Gesù viene prima, nel calendario e nel significato. I Cristiani dei tempi antichi associano un’idea non proprio identica alla nostra. A partire dal 150 la festa che pensarono di celebrare per prima fu l’Epifania. Il Natale invece due secoli dopo. Dal loro punto di vista era importante che il Salvatore si presentasse al mondo in modo solenne e ufficiale, per questo l’adorazione dei Magi sarà sembrata più adatta del Natale, avvenuto in un’oscura povera Grotta. Epifania in greco significa manifestazione, rivelazione: il momento in cui Cristo venne riconosciuto come sovrano. Per gli antichi solo i grandi personaggi meritano di essere riveriti e onorati con doni ricchi e preziosi, era come se con il loro gesto, i Magi avessero presentato all’umanità il nuovo re. Nei primi secoli l’Epifania era la festa più importante del calendario cristiano, subito dopo la Pasqua. In alcune zone italiane, in versione dialettale il 6 gennaio viene chiamato pasqua dell’Epifania. In Oriente questa festa veniva celebrata per 8 giorni, ricordando altre presentazioni in pubblico di Gesù: il battesimo, con cui Cristo inizia la predicazione e il primo miracolo durante le nozze di Cana.

Poi la ricorrenza del Natale ha un po’ oscurato questa festa, anche se per molti secoli successivi l’Epifania è stato il giorno prescelto da re e dagli imperatori per andare in Chiesa, inginocchiarsi davanti a Gesù Bambino in segno di umiltà e di rispetto, portando doni, come avevano fatto i Magi. Quindi il 6 gennaio non è solo la conclusione delle vacanze invernali. “L’Epifania tutte le feste si porta via”, dice il proverbio. Per il cristiano è il più maestoso e significativo lieto fine del periodo. Dalla ricorrenza sacra deriva il nome della streghetta, che attraversa i cieli notturni a cavallo di una scopa, la Befana. Nella notte in cui i Magi arrivano alla grotta, guidati dalla stella, anche la Befana porta i doni ai bambini. I tre Magi, portatori della sapienza degli antichi Persiani, hanno il vantaggio di essere citati dal Vangelo, quindi fanno parte della storia di Gesù, invece la vecchietta che si diverte a riempire le calze dei bambini, deve accontentarsi di abitare nei libri di antiche leggende. La sua origine si perde infatti nella notte dei tempi, discende da tradizioni magiche precristiane e dalla cultura popolare. A differenza dei Magi che portano bei doni e quindi simboleggiano il bene, la befana può portare il carbone, che potrebbe rappresentare il male, o il carbone visto come l’energia della terra. Curioso personaggio che ci rimanda ai tempi in cui si credeva che nelle 12 notti fantastiche, delle figure femminili volassero sui campi appena seminati per propiziare i raccolti futuri.

Gli antichi romani pensavano che a guidarli fosse Diana, dea lunare legata alla vegetazione. La Chiesa condannò con estremo rigore queste credenze, ma il popolo non smise di essere convinto che tali vagabondaggi notturni avvenissero. Tali sovrapposizioni diedero origine a molte e diverse personificazioni, che sfociarono nel Medioevo nella nostra Befana. C’è chi sostiene che la sua bruttezza rappresenti la natura spoglia che poi rinascerà, o è l’immagine finale dell’anno vecchio, pronta a sacrificarsi per far rinascere un nuovo periodo di prosperità. In molte regioni in questo periodo si seguono riti simili a quelli di Carnevale, si costruiscono dei fantocci di paglia a forma di vecchia, che vengono bruciati durante la notte tra il 5 e il 6 gennaio. Anticamente la dodicesima notte dopo il Natale, superato il solstizio invernale (21 dicembre), si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso la figura pagana di Madre natura, la quale stanca per aver donato tutte le sue energie durante l’anno, appariva sotto forma di una vecchia e benevole strega, che volava per i cieli con una scopa e passava però a distribuire doni e dolci a tutti. Questa festa ha assunto nel tempo un significato lievemente diverso. Nella cultura italiana attuale, prima che il ruolo di dispensare doni lo rivestisse Babbo Natale, la Befana era vista come una specie di nonna buona, che premia o punisce i bambini, aveva un potere psicologico forte sui poveri bambini, in quanto i bimbi buoni ricevevano ottimi dolcetti e qualche regalino, ai cattivi era riservato il carbone, che simboleggiava le malefatte dell’anno (quante volte i nostri genitori ci minacciavano dicendo “se non ti comporti bene la Befana ti porterà i carboni”?). Per cui, per scaramanzia, ancora oggi, nonostante i doni ricevuti a Natale, c’è l’usanza anche tra adulti, tra innamorati, di scambiarsi un regalo più modesto, o la classica calza con caramelle e cioccolatini (o un regalo in oro, prima!).

BABBO NATALE

La figura è nota in tutto il mondo; è colui che porta i regali la notte tra il 24 e 25 dicembre. Discende da un personaggio storico esistito: San Nicola, un vescovo di Mira (Turchia), vissuto nel IV sec., i cui resti furono traslati a Bari nel 1087. Nei suoi miracoli i protagonisti sono sempre bambini, fanciulli. Divenne così popolare da far nascere la tradizione dei doni, portati dal Santo la notte di Natale. Nel tempo la figura si è fusa con altri personaggi del folclore nordico, poiché la Chiesa del Nord aveva proibito la venerazione del Santo. Così si è diffusa l’immagine di un vecchio dalla barba bianca, in grado di volare, simile a una divinità pagana preesistente, come il dio romano Saturno o il dio nordico Odino. Nacque così un San Nicola vestito di verde-marrone, molto allegro e festaiolo. La svolta verso il Babbo Natale moderno avvenne negli Stati Uniti, verso la fine del 1.800. Alcuni scrittori di libri per bambini immaginarono un Santa Claus che dal Polo Nord portasse doni ai bambini, su una slitta volante trainata da renne. Thomas Nast, un vignettista rappresentò per la prima volta un Babbo Natale anziano, vestito di rosso, con barba e bordi di pelliccia di colore bianco. Siamo all’inizio del 1900, diverse agenzie pubblicitarie (come la Coca Cola) lo adottarono come simbolo e lo riportarono in Europa. Viene quindi immaginato come un nonno allegro che dalla Lapponia, in Siberia, vola su una slitta trainata da 8 renne: In italiano sono: Cometa, Ballerina, Fulmine, Donnola, Freccia, Saltarello, Donato, Cupido; mentre in inglese: Comet, Dancer, Dasher, Prancer, Vixen, Donder, Blitzen, Cupid.
La nona renna (forse la più famosa) Rudolph, si unì solo in seguito al gruppo.
Babbo Natale la scelse perché, grazie al suo naso rosso luccicante, poteva illuminare la via anche in caso di nebbia o neve.

E per chi volesse imparare i nomi delle renne di Babbo Natale, ecco la filastrocca che fa al caso vostro:

Le renne di Babbo Natale
Non solo fanno la slitta volare
e in ciel galoppano senza cadere
Ogni renna ha il suo compito speciale
per saper dove i doni portare

Cometa chiede a ciascuna stella
Dov'è questa casa o dov'è quella.
Fulmine guarda di qui e di là
Per sapere se la neve verrà.
Donnola segue del vento la scia
Schivando le nubi che sbarran la via.
Freccia controlla il tempo scrupoloso
Ogni secondo che fugge è prezioso.
Ballerina tiene il passo cadenzato
Per far che ogni ritardo sia recuperato.
Saltarello deve scalpitare
Per dare il segnale di ripartire.
Donato è poi la renna postino
Porta le lettere d'ogni bambino.
Cupido, quello dal cuore d'oro
Sorveglia ogni dono come un tesoro.





Le renne di Babbo Natale: ognuna di loro ha un nome



LA GASTRONOMIA
                                                                   A differenza di altre tradizioni natalizie in declino o in rapida trasformazione, la tradizione gastronomica ancora resiste bene. Raccogliersi intorno alla tavola, magari adorna di candele e festoni, apparecchiata con tovaglie vivaci, riaccende sensazioni e ricordi che forse si credevano persi e che proprio in queste circostanze ci si accorge che sopravvivono ancora. Alcuni piatti sono rimasti legati al periodo natalizio e, pur variando da paese a paese, fanno Natale, quasi quanto il Presepe o l’albero addobbato. Nei dolcetti natalizi risiede il meglio della tradizione: porcellini, pettole, cartellate, torrone o copeta, a cui si aggiungono oggi il panettone, il pandoro e la classica bevanda con bollicine: lo spumante o lo champagne. I piatti più gustati la sera della Vigilia sono spesso a base di pesce; dominano il capitone, l’anguilla, ma anche il baccalà. Molto diffuso al pranzo di Natale è il tacchino ripieno, ma oggi si spazia molto tra portate di sapore antico e trionfo di innovazioni.

Soffermiamoci sui dolci: i porcellini (detti anche denti di San Giuseppe) conditi col miele e anisini, i sannacchiutele per Taranto, le cartellate (le fasce del Bambino) condite anche col vin cotto. Le pettole (il cuscino per Gesù Bambino), anch’esse condite con miele, vin cotto o semplice zucchero. Sono pittule, frittelle in latino, il dolce dei poveri, ma per Natale è una prelibatezza che conquista un posto d’onore sulla tavola dei giorni di festa. Ci sono delle leggende su questo dolce. Si racconta di una donna che, distratta dalla musica della banda che passa sotto la finestra, si accorge che l’impasto messo a lievitare per il pane è cresciuto troppo e quindi stacca dei pezzi e li mette a friggere. Oppure si racconta di una donna che si affaccia alla finestra per vedere San Francesco, che passa per le vie di Taranto. Anche a lei l’impasto lievita troppo e quindi decide di friggere alcuni pezzi che diventano gonfi come zampogne, altro strumento tipico delle nenie natalizie. Oggi si consuma tantissimo il panettone. Una leggenda medievale racconta di un falconiere innamorato della bella Adalgisa, figlia di un fornaio che prepara un pane con molto burro e pezzi di frutta. Il dolce piacque al fornaio che concedette la figlia in sposa al falconiere. O un’altra leggenda medievale più nota: alla corte di Ludovico il Moro, una sera il cuoco bruciò il dolce e uno sguattero di cucina, Toni, per salvarlo, ne inventò uno con farina, burro, uova, zucchero e canditi. Il “pan de Toni” ebbe successo, da cui il nome panettone. Molto più soffice è il pandoro, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. C’è chi lo riconduce all’epoca della repubblica veneziana nel 1.500, c’è chi pensa che sia invece la trasformazione di un dolce tipico veronese, a forma di stella, chiamata Nadalin. O forse deriva da un pane di Vienna, ottenuto dalla lavorazione di un impasto ricco di burro. Di sicuro è diventato un prodotto industriale nel 1800, a Verona; partito come prodotto tipico veronese oggi è diventato nazionale, con molte varianti: farcito con crema, con cioccolato, al liquore, ricoperto. E’ sempre gradito, oggi è un classico nelle feste di Natale.

  
                        POESIE SELEZIONATE DA ANNA PRESCIUTTI

 

Bentornato, Gesù Cristo!
Puro 'st'anno hai ritrovati
tutti l'ommini impegnati
ne lo stesso acciaccapisto.
Se sbranamo come cani,
se scannamo tutti quanti
pe' tre grinte de briganti
mascherati da sovrani!
Mentre er Turco fa da palo
uno rubba, l'antro impicca...
Maledetta sia la cricca
che cià fatto 'sto regalo!

Tu, ch'hai sempre messo in pratica
la dottrina de l'amore
e nun mascheri er dolore
pe' raggione dipromatica,
che ne pensi de 'sti ladri
che ficcarono l'artiji
ne l'onore de le madri,
ne la carne de li fiji?
Che ne pensi, Gesù mio,
de chi appoggia sottomano
la ferocia d'un Sovrano
che bombarda puro Iddio?
Fa' in maniera, Gesù bello,
che una scheggia de mitraja
spacchi er core a la canaja
ch'ha voluto 'sto macello!
Fa' ch'armeno l'impresario
der teatro de la guerra
possa vede sottoterra
la calata der sipario.
Fa' ch'appena libberato
da li barbari tiranni
ogni popolo commanni
ne la Patria dov'è nato.
Quanno un giorno azzitteremo
sin'all'urtimo cannone,
ch'imponeva la raggione
d'un Re matto e d' un Re scemo,
solo allora avranno fine
tante infamie e tante pene:
fischieranno le sirene,
fumeranno l'officine!
E, tornata l'armonia
su una base più sicura,
resteremo (fin che dura)
tutti in pace... E così sia!
         *****

Er Presepio - Trilussa

Ve ringrazio de core, brava gente,
pè ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v’odiate,
si de st’amore nun capite gnente…
Pé st’amore so nato e ce so morto,
da secoli lo spargo da la croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto senza ascolto.

La gente fa er presepe e nun me sente,
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l’amore
è cianfrusaja che nun cià valore.

                *****

Natale de guerra Trilussa

Ammalappena che s'è fatto giorno
la prima luce è entrata ne la stalla
e er Bambinello s'è guardato intorno.
- Che freddo, mamma mia! Chi m'aripara?
Che freddo, mamma mia! Chi m'ariscalla?
- Fijo, la legna è diventata rara
e costa troppo cara pè compralla...
- E l'asinello mio dov'è finito?
- Trasporta la mitraja
sur campo de battaja: è requisito.
- Er bove? - Pure quello…
fu mannato ar macello.
- Ma li Re Maggi arriveno? - E' impossibbile
perchè nun c'è la stella che li guida;
la stella nun vò uscì: poco se fida
pè paura de quarche diriggibbile...-
Er Bambinello ha chiesto:- Indove stanno
tutti li campagnoli che l'antr'anno
portaveno la robba ne la grotta?
Nun c'è neppuro un sacco de polenta,
nemmanco una frocella de ricotta...
- Fijo, li campagnoli stanno in guerra,
tutti ar campo e combatteno. La mano
che seminava er grano
e che serviva pè vangà la terra
adesso viè addoprata unicamente per ammazzà la gente...
Guarda, laggiù, li lampi
de li bombardamenti!
Li senti, Dio ce scampi,
li quattrocentoventi
che spaccheno li campi?-
 
Ner dì così la Madre der Signore
s'è stretta er Fijo ar core
e s'è asciugata l'occhi cò le fasce.
Una lagrima amara pè chi nasce,
una lagrima dòrce pè chi more...
               *****

La notte Santa - Guido Gozzano

- Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell'osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.

Il campanile scocca
lentamente le sei.

- Avete un po' di posto, o voi del Caval Grigio?
Un po' di posto per me e per Giuseppe?
- Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;
son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe

Il campanile scocca
lentamente le sette.

- Oste del Moro, avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non regge ed io son così rotto!
- Tutto l'albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:
Tentate al Cervo Bianco, quell'osteria più sotto.

Il campanile scocca
lentamente le otto.

- O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno
avete per dormire? Non ci mandate altrove!
- S'attende la cometa. Tutto l'albergo ho pieno
d'astronomi e di dotti, qui giunti d'ogni dove.

Il campanile scocca
lentamente le nove.

- Ostessa dei Tre Merli, pietà d'una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci!


- Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.
Son negromanti, magi persiani, egizi, greci...

Il campanile scocca
lentamente le dieci.

- Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L'albergo è tutto pieno di cavalieri e dame
non amo la miscela dell'alta e bassa gente.

Il campanile scocca
le undici lentamente.

La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due?
- Che freddo! - Siamo a sosta - Ma quanta neve, quanta!
Un po' ci scalderanno quell'asino e quel bue...
Maria già trascolora, divinamente affranta...

Il campanile scocca
La Mezzanotte Santa.

È nato!
Alleluja! Alleluja!

È nato il Sovrano Bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d'un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaje
suonate; squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane!

Non sete, non molli tappeti,
ma, come nei libri hanno detto
da quattro mill'anni i Profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill'anni s'attese
quest'ora su tutte le ore.
È nato! È nato il Signore
È nato nel nostro paese!
Risplende d'un astro divino
La notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino.

È nato!
Alleluja! Alleluja!








mercoledì 14 dicembre 2016

IL NATALE CON I SUOI SIMBOLI E LE SUE TRADIZIONI

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RELAZIONE DI SILVIA LADDOMADA


Il Natale è sempre un evento suggestivo.



Oggi preceduto da illuminazioni sempre più straordinarie per strade, nelle vetrine; nelle strade c’è un’aria festosa, ci sono bancarelle, mercatini, negozi stracolmi di merce. All’interno delle case, anche se oggi lo spirito è più laico, non mancano i momenti in cui tutti si organizzano per riservare un angolo della stanza per realizzare un presepe, per allestire un albero, decorarlo, illuminarlo.

Vi ricordate? Si andava a seguire la novena, nell’incerta luce delle fredde mattinate, nonni e bambini, ci si alzava alle cinque. Nei giorni precedenti il Natale, in casa c’era un’aria particolare: la nonna, le zie, tutte riunite per preparare i dolci, per preparare il pranzo in modo meticoloso, perché doveva interrompere la catena della povertà, della scarsità quotidiana. La notte del 24 si andava a Messa e, una volta tornati a casa,si poneva Gesù Bambino nella mangiatoia del presepe, cantando “Tu scendi dalle stelle”, una melodia, scritta da S. Alfonso Maria Liguori nel 1754, cantata con l’accompagnamento del cembalo.

A pranzo si metteva sul tavolo la tovaglia buona, si tiravano fuori i piatti e le stoviglie gelosamente custoditi tutto l’anno. I bambini ponevano sotto il piatto di papà la letterina di Natale, in cui si prometteva di diventare più buoni. Poi mentre si mangiavano i dolci, i bambini recitavano la poesia (quanti si distraevano pensando alle monetine che avrebbero avuto dopo?).

Il regalino lo portava la Befana. Poi tutti a giocare a tombola, con l’immancabile nonnino che non capiva i numeri e se li faceva ripetere 100 volte.

Oggi spesso questa magica atmosfera non si rinnova più, i giochi sofisticati che i bimbi trovano al mattino li impegnano tutto il giorno, la Tv sempre accesa copre e annulla le conversazioni, spesso il lavoro costringe qualche componente a stare fuori casa; si pranza al ristorante per godere di più della compagnia degli ospiti.  Le tradizioni restano, però, e questo ci conforta.

Quali sono i pilastri della festa di Natale e quale è il loro significato.

Gesù Bambino adagiato in una mangiatoia, all’interno di una grotta, di una stalla, la Madonna e S. Giuseppe in atteggiamento adorante, segno della regalità del neonato. A riscaldarli il fiato di un bue e di un asinello.


Questo il quadretto natalizio.



Fu S. Francesco d’Assisi a realizzare il primo presepe, a Greccio (Rieti) la notte del 25 dicembre 1223; egli celebrò la Messa in una stalla, c’era una cesta piena di paglia e ai lati un bue e un asinello, animali poco intelligenti, ma umili, pazienti, grandi lavoratori.

Queste proverbiali caratteristiche rappresentano il migliore esempio dei seguaci di Cristo: nemici della superbia, capaci di sopportare i sacrifici.

La rappresentazione con statue è avvenuta dal 1300 in poi, statue di legno, poi di terracotta. Si aggiunsero gli Angeli che danno la notizia ai pastori, gente semplice, i primi a saperlo, i primi a correre alla grotta. Nel 1600-1700 gli artisti napoletani hanno aggiunto altri personaggi, creando dei quadretti di vita famigliare, hanno introdotto i personaggi colti nell’attività di tutti i giorni.

In mezzo a questa gente sbalordita, con i loro cammelli ricoperti di mantelli di oro passano i Magi, misteriosi sapienti, astrologi venuti a Betlemme dalla Persia, dal nord Africa, a visitare il Bambino.

Ognuno arriva per conto proprio, raccontano i Vangeli apocrifi, aiutati solo da un’energia soprannaturale, seguendo la stella cometa, un astro nuovo che sconvolge la vecchia disposizione astrale e fa muovere questi uomini dalle loro Terre. Di loro parla solo l’evangelista Matteo, mentre alcuni profeti del Vecchio Testamento avevano preannunciato la presenza della stella e dei Magi. I loro doni: oro, incenso e mirra(resina profumata usata nelle pratiche funerarie e per i riti di purificazione) significavano, oro al re, incenso a Dio, mirra all’uomo. I loro nomi: Gaspare, Melchiorre, Baldassarre. Nella lingua araba Melchiorre è il più anziano, colui che ha conquistato la conoscenza; Baldassarre è il re della Luce, Gaspare è il protetto dal Signore. Uomini di razza diversa, uguali davanti a Dio.

Ogni anno noi rievochiamo questo evento, il 25 dicembre.


Storicamente Gesù è nato sotto l’Impero di Augusto (censimento voluto in tutto l’Oriente). Non si sa né la data, né il mese, i Vangeli non ne parlano.
La data del 25 dicembre fu scelta nel 300 d. C. dalla Chiesa, e ufficializzata dal papa Liberio nel 354. Perché questo? La Chiesa intese sostituire il culto pagano della festa del Fuoco e del Sole, che avveniva in occasione del solstizio d’inverno, la notte più corta dell’anno. In questa data il sole tocca il punto più basso dell’ellittica e sembra svanire, fino a risorgere a nuova vita col nuovo anno.

Un periodo che i Romani vivevano con inquietudine, e quindi dal 25 dicembre al 6 gennaio si festeggiavano le libertà di dicembre; gli schiavi erano affrancati, i condannati rimessi in libertà. Ci si scambiavano regali, ossia le strenne, rami sacri colti nel sacro bosco della dea Strenia, per augurarsi un anno nuovo ricco, prospero e felice. Era consentito giocare d’azzardo a fine pasto, dunque le nostre tradizioni della tombola e delle carte. Si è avuta una fusione tra tradizione pagana e cristiana, il Sole è Cristo, che porta luce e purificazione nel mondo.

Nelle nostre case abbiamo anche l’albero, pino, abete, vero o meno.



I romani decoravano le case con rami di pino all’inizio dell’anno. Nel Medio Evo, a Strasburgo, si cominciò ad allestire alberi ornati di frutta, a ricordo dell’albero della conoscenza, posto nell’Eden. Esso era l’asse del mondo, le cui radici erano al centro della Terra e la sommità toccava i cieli, promettendo luce e prosperità.

Nel 1600 furono aggiunti i fiori e altre decorazioni, alberi allestiti di solito nelle case degli aristocratici; divenne una moda diffusa a livello popolare con la regina Margherita; furono aggiunte le luci, che rappresentano la luce di Gesù nel mondo, sfere multicolori e pacchettini, che simboleggiano l’amore che Gesù dona agli uomini. Una tradizione consolidata, tanto che nel 1982 il papa Giovanni Paolo II dedicò all’albero un posto d’onore in piazza San Pietro, facendolo diventare il simbolo ufficiale delle festività natalizie.




Ma ci sono altri simboli, altri significati degli oggetti che noi usiamo come decorazione.








Il cero, che noi accendiamo davanti al presepe: Gesù è luce del mondo.

Il ginepro: pianta della purificazione, augurio di tenere lontano il male.

Il vischio: pianta divina e miracolosa, simbolo di pace.

L’agrifoglio: simbolo di forza, buon augurio(le foglie rappresentano le

spine della corona di Gesù, le bacche il sangue).

Le arance: simbolo di speranza.

Il melograno: simbolo della rigenerazione della natura.

Il ceppo: per tradizione si deve accendere un tronco di legno nel camino, la

sera della vigilia di Natale o di Capodanno. Il suo consumarsi

rappresenta il consumarsi dell’anno vecchio. Accenderlo è segno

di ospitalità e accoglienza, per la venuta di Cristo.

La stella di Natale: legato alla leggenda del bimbo povero che porta al

presepe un mazzo di erbe, ma una sua lacrima su quei

rami li trasforma in uno splendido fiore rosso.

La rosa di Natale: fiore natalizio per eccellenza in Inghilterra, legato alla

leggenda della pastorella che non aveva nulla da

portare, un angelo passa scuote la neve ai suoi piedi e

spuntano delle candide rose, che lei porta al Bambino.

Corona dell’Avvento: risale alla tradizione tedesca pre-cristiana (riti pagani della luce); per i cristiani simbolo dei giorni che precedono il Natale.

Ogni domenica si accende un cero, con un preciso significato:

1° significato- cero dei Profeti

2° significato- Betlemme

3° significato- i pastori

4° significato- gli angeli

Una preghiera e un canto a Maria completano il rito di accensione.

Il presepe più bello, piccolo o grande che sia, sfarzoso o modesto, è quello che ciascuno di noi vive nell’intimità della propria casa o della propria famiglia, soprattutto dove ci sono gli occhi radiosi e incantati dei piccoli, che sono le vere stelle luccicanti sulla grotta di Gesù Bambino.