mercoledì 26 ottobre 2016

Università del Tempo Libero e del Sapere "Minerva"- Relazione del prof. Carmine PRISCO

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Prof. Carmine PRISCO

La successione ereditaria


Può capitare a ciascuno di noi, in particolare se si è un po’ avanti negli anni, di chiedersi che fine farà il proprio patrimonio quando si verificherà il cosiddetto passaggio a miglior vita. In pratica ci si chiede se devo essere io a decidere a chi e come destinare i miei beni o se deve essere qualcun altro, ad esempio lo Stato.
Questa materia nell’ ordinamento giuridico italiano è trattata nel libro secondo del nostro codice civile sotto il titolo “ Delle Successioni”.
La materia è piuttosto complessa e penso sia utile, prima di entrare nel vivo del discorso, conoscere alcuni termini tecnici di solito usati nel linguaggio giuridico.
In diritto la parola successione indica il subentrare in un rapporto giuridico di un soggetto, detto successore o avente causa, al posto di un altro soggetto, detto autore o dante causa.
La successione è universale quando un soggetto subentra ad un altro in tutti i suoi rapporti giuridici, sia attivi che passivi: il successore, se accetta, confonde il suo patrimonio con quello dell’autore e rischia di dover pagare il debiti dell’autore con il proprio patrimonio, anche oltre il valore di quanto ha ricevuto in successione. L'ordinamento italiano prevede come ipotesi di successione universale solo la successione a causa di morte, detta anche successione mortis causa. Questo tipo di  successione è l'istituto giuridico in virtù del quale uno o più soggetti subentrano nella titolarità di un patrimonio o di singoli diritti patrimoniali al precedente titolare, a seguito della morte di quest'ultimo, indicato nel linguaggio giuridico come il de cuius, che non è altro che l’autore o il dante causa. La successione mortis causa è regolata da norme che, nel loro insieme, costituiscono il diritto successorio e sono contenute nel codice civile.


La successione è a titolo particolare quando un soggetto succede ad un altro non in tutti suoi rapporti giuridici, ma solo in uno o più determinati rapporti: ad esempio,il successore subentra, sempre che accetti, nella proprietà di una casa e/o di un terreno, ma non del conto in banca o degli altri beni dell’autore. Questo tipo di successione è detto anche legato e legatario è colui a cui è destinato il bene indicato nel legato.
I soggetti che subentrano nella titolarità dell’intero patrimonio del de cuius  o di una sua quota prendono il nome di eredi; quelli che invece subentrano nella titolarità di singoli diritti, siano essi reali o di credito, prendono il nome di legatari. Mentre il de cuius è necessariamente una persona fisica, eredi e legatari possono anche essere persone giuridiche come, ad esempio, una società per azioni o una fondazione. lI patrimonio o la quota di patrimonio attribuita all'erede prende il nome di eredità; si parla, invece, di asse ereditario(o massa ereditaria) quando si fa riferimento al patrimonio del de cuius nel suo complesso, considerando anche eventuali donazioni fatte in vita. Gli eredi e i legatari possono essere stati individuati dallo stesso de cuius, quando era ancora in vita, con un apposito negozio giuridico, che prende il nome di testamento: è questa la cosiddetta successione testamentaria. Il testamento è l'unico strumento attraverso cui una persona può regolare la propria successione.
Esso ha la funzione di permettere a un soggetto di disporre dei propri beni come desidera e a favore di chi vuole, famigliari o estranei, nel rispetto delle quote di riserva. Può essere revocato in ogni tempo, anche diverse volte.

È un atto strettamente personale: non può essere redatto da un rappresentante. Il testatore non può disporre di beni altrui.
Secondo l'ordinamento italiano esistono tre forme di testamento ordinario:
il testamento olografo, il testamento pubblico e il testamento segreto.
Altre forme di testamento possono esserci in circostanze particolari, come ad es., il testamento ricevuto dal capitano di una nave da un marinaio in fin di vita.
Il testamento olografo è la forma più semplice, economica e pratica per esprimere le proprie volontà; non richiede la presenza né del notaio né di testimoni. Per queste caratteristiche è la forma più frequente di testamento. Requisiti essenziali del testamento olografo sono i seguenti: deve essere datato, sottoscritto e scritto interamente a mano dallo stesso testatore.

Il testamento pubblico, a differenza di quello olografo, richiede l’intervento del notaio. Il testatore dichiara al notaio le sue ultime volontà alla presenza di due testimoni; il notaio le mette per iscritto, le legge al testatore e ai due testimoni ed infine appone la propria firma sul documento così formato, facendolo firmare anche dai testimoni e dal testatore.

Il testamento segreto richiede anche esso la presenza del notaio, ma a differenza di quello pubblico garantisce che nessuno, all’infuori del testatore, ne conosca il contenuto. Questo testamento è scritto (anche con mezzi meccanici) dallo stesso testatore, che lo sigilla e lo consegna al notaio in presenza di due testimoni, dichiarando che il plico così consegnato contiene il suo testamento. Sull’involucro esterno del plico il notaio scrive l’atto di ricevimento, vi appone la propria firma e lo fa firmare anche dal testatore e dai due testimoni.

Qualunque sia la forma del testamento, le disposizioni in esso contenute devono rispettare la quota di riserva destinata ai legittimari, qualora esistano. Tale quota è una parte del patrimonio del de cuius. Nella maggior parte degli ordinamenti moderni la libertà di disporre del proprio patrimonio con testamento è infatti limitata dalla presenza di tale quota, fissata dalla legge, che ne determina sia l’ammontare, sia l’attribuzione per ciascuno dei legittimari. Nel determinare l’ammontare della riserva la legge prende in considerazione sia il numero dei legittimari, sia la loro posizione familiare rispetto al de cuius (coniuge,discendenti e ascendenti). La parte restante è detta quota disponibile , nel senso che il testatore ne può disporre come meglio crede destinandola a eredi o legatari senza alcun vincolo di legge. Se non vi sono legittimari l’intero patrimonio è disponibile. In mancanza di testamento o, se esiste, non è valido, gli eredi sono individuati dalla legge nelle persone del coniuge e di coloro che intrattengono i più stretti rapporti di parentela con il de cuius: si parla, in questo caso, di successione legittima, detta anche successione ab intestato.
Si noti che, a differenza degli eredi, i legatari possono essere designati solo con testamento. In pratica nella successione legittima non possono esistere legatari.
 
Le norme che disciplinano la successione sono diverse a seconda che esista o non esista un testamento. Pertanto bisogna distinguere fra successione testamentaria e successione legittima.



Successione testamentaria

Con il testamento il testatore indica i suoi successori. La successione può essere sia a titolo universale, sia a titolo particolare. Nella successione a titolo universale il successore è l’erede, mentre in quella a titolo particolare il successore è il legatario. Nello stesso testamento possono coesistere entrambi i tipi di successione. Tra erede e legatario vi sono notevoli differenze.
L’erede è considerato come un ideale continuatore della personalità del defunto. Egli subentra nell’intero patrimonio o in una frazione aritmetica di esso e, poiché il patrimonio è fatto di attività e di passività, l’erede subentra, in proporzione della propria quota di eredità, anche nei debiti del de cuius. Inoltre, se si scoprono beni del de cuius dei quali si ignorava l’esistenza, tali beni saranno attribuiti all’erede e non al legatario. Da considerare ancora che l’erede diventa tale solo quando dichiara di accettare l’eredità; in altre parole per essere erede non basta la morte del de cuius, ma occorre la cosiddetta accettazione. Questa può essere espressa mediante un documento scritto (atto pubblico o scrittura privata) o essere tacita se si compie un atto che presuppone necessariamente di voler accettare l’eredità (ad es. si cede ad altri il bene ereditato). Nella successione testamentaria ovviamente si osservano le volontà espresse dal de cuius nel testamento, a condizione che esse non contrastino con disposizioni di legge. Infatti nel nostro ordinamento non è possibile diseredare alcuni parenti (i più prossimi) e quindi occorre rispettare le quote di legittima,ovvero le percentuali di eredità che devono comunque andare ai parenti indicati dalla legge, anche contro la volontà del de cuius. In questo tipo di successione le quote ereditarie sono fissate in modo tassativo dal codice civile: ne consegue che i legittimari, ovvero le persone indicate dalla normativa, quando ritengono di non avere ricevuto dalla divisione ereditaria la quota di legittima, possono impugnare il testamento per far valere i loro diritti. Solo la quota disponibile, che varia da caso a caso, può essere lasciata dal de cuius a favore di chiunque egli desideri. Ovviamente tra le persone che possono ereditare la quota disponibile ci sono anche i legittimari, che in tal caso si vedranno attribuire una quota dell’eredità maggiore della legittima stabilita dalla legge.

Nella successione testamentaria i famigliari legittimari sono il coniuge, i figli e gli ascendenti. Questi ultimi sono legittimari solo se non ci sono figli o discendenti di figli del de cuius. Per questi soggetti si parla di successione necessaria, nel senso che, qualora esistano, il testatore non può ignorarli nelle disposizioni testamentarie o attribuire loro una quota di eredità inferiore alla legittima.
Tra i legittimari non ci sono i fratelli del de cuius, i quali possono ricevere l’eredità solo se indicati nel testamento come beneficiari della quota disponibile.

Nei vari casi di successione testamentaria si possono verificare due situazioni diverse:
a) tutti i legittimari appartengono alla stessa categoria, sono cioè solo il coniuge,
oppure solo i figli o solo gli ascendenti; in sostanza mancano legittimari delle altre
due categorie;
b) coniuge e figli concorrono tra di loro, oppure in assenza di figli concorrono fra di
loro il coniuge e gli ascendenti.
Vediamo nei vari casi come vengono attribuite le quote di legittima e la quota disponibile.

Legittimari della stessa categoria

1) Solo coniuge: quota di riserva> metà del patrimonio quota disponibile> metà del         patrimonio.
Al coniuge è riservata la metà del patrimonio. Inoltre al coniuge sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e dei mobili che la corredano, se la casa era di proprietà del de cuius o di entrambi i coniugi.
2) Solo figli: se un solo figlio, la quota di riserva è metà del patrimonio;
se due o più figli, la quota di riserva è due terzi del patrimonio da dividersi in parti uguali tra loro. La quota disponibile è la parte restante del patrimonio nei due casi, ovvero metà del patrimonio nel caso di un figlio e un terzo nel caso di due o più figli.

3) Ascendenti: in assenza di coniuge e figli agli ascendenti è riservato un terzo del
patrimonio, mentre la quota disponibile risulta di due terzi.



Concorso di legittimari di categorie diverse

4) Coniuge e figli: se con il coniuge concorre un solo figlio legittimo o naturale,
la quota di riserva per il figlio è di un terzo. Al coniuge spetta un altro terzo del patrimonio oltre al diritto di abitazione. La quota disponibile risulta un terzo;
se con il coniuge concorrono due o più figli, al coniuge spetta oltre al diritto di abitazione un quarto del patrimonio e ai figli la metà da dividersi in parti uguali tra loro. La complessiva quota di riserva è di tre quarti e la quota disponibile risulta un quarto.

5) Coniuge e ascendenti: se con il coniuge concorrono gli ascendenti legittimi,
a questi spetta un quarto ed al coniuge la metà del patrimonio (art. 544 c.c.). La quota disponibile è inoltre gravata dal diritto di abitazione a favore del coniuge superstite. Il caso può verificarsi solo in assenza di figli.
Se gli ascendenti sono più di uno, la quota ad essi riservata è ripartita con le stesse modalità previste per la successione legittima.
La conoscenza di questa normativa è utile soprattutto in caso di testamento olografo o segreto, in quanto l’assenza del notaio nella stesura del documento potrebbe comprometterne la validità per la presenza di eventuali errori commessi dal testatore. In materia di successione testamentaria apposite norme disciplinano la capacità di fare testamento, la nullità e l’annullabilità, la revoca, la capacità di succedere o l’indegnità a succedere, la lesione di legittima e la conseguente riduzione.

Successione legittima

Abbiamo già visto che la successione legittima si ha quando il de cuius non ha lasciato alcun testamento, oppure questo non è valido. Bisogna aggiungere che la successione legittima ricorre anche quando, pur in presenza di un testamento valido, il testatore non ha disposto per l’intero suo patrimonio. In tal caso le disposizioni della successione legittima si applicano alla parte non compresa nelle disposizioni del testamento. In assenza di testamento ci si chiede chi possono essere i possibili eredi.


Le norme della successione legittima individuano i possibili successori tra i famigliari e/o i parenti del de cuius tenendo conto del grado di parentela con il defunto. Se non vi sono famigliari o parenti entro il sesto grado il successore è lo Stato. In questo tipo di successione i possibili successori individuati dalla normativa sono nell’ordine: il coniuge, i parenti, i fratelli e le sorelle, lo Stato. Da considerare inoltre che non esiste alcuna quota di riserva e quindi non esiste alcuna quota disponibile. Ne consegue che ai successori legittimi viene devoluto l’intero patrimonio, secondo i criteri stabiliti per questo tipo di successione.
Tra questi criteri degni di nota sono il principio della esclusione e quello del concorso.
Il principo dell’esclusione consiste nel fatto che nella successione tra i parenti il grado più vicino esclude quello più lontano. Ad esempio, se tra i discendenti vi sono nipoti (2° grado) e pronipoti (3° grado) questi ultimi non saranno chiamati alla successione.
Il principio del concorso si applica nel caso che vi siano più successori e consiste nella riduzione delle rispettive quote tenendo conto del numero dei chiamati a succedere e del loro grado di parentela con il de cuius.
Ad esempio, il coniuge concorre con i discendenti, gli ascendenti, i fratelli e le sorelle del de cuius: le quote di ciascun successore variano in base al numero e a grado di parentela.
Da quanto precede emerge la necessità di determinare il grado di parentela tra i diversi parenti sia in linea retta, sia tra i collaterali.
I parenti in linea retta sono quelli che discendono l’uno dall’altro; in pratica sono i discendenti e gli ascendentii del de cuius.
I parenti collaterali sono quelli che, pur avendo uno stipite comune, non discendono l’uno dall’altro.
Nella linea retta il grado di parentela si ottiene contando le generazioni tra i due sogggetti ed escludendo lo stipite.
 
Esempi:
 
- tra padre e figlio le generazioni (le persone) sono due: sottraendo lo stipite, il grado
è: 2-1=1. Padre e figlio sono parenti di 1° grado.
- tra nonno e nipote le generazioni sono tre ( il nonno, il figlio del nonno e il figlio del
figlio del nonno); sottraendo lo stipite, il grado è: 3-1=2. Nonno e nipote sono parenti di 2° grado. Analogamente parenti di 3° grado sono bisnonno e nipote.



Nella linea collaterale si contano le generazioni salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all’altro parente, escludendo lo stipite.
Esempi:
- tra zio e nipote le generazioni sono quattro (il nipote, il padre del nipote, il padre del padre del nipote, il fratello del padre del nipote, ovvero lo zio); sottraendo lo stipite, il grado è: 4-1=3. Zio e nipote sono parenti di 3° grado in linea collaterale.
- tra fratelli il grado di parentela è 2 (tre generazioni meno lo stipite); quindi i fratelli sono parenti di 2° in linea collaterale.
- tra cugini il grado di parentela è 4 (cinque generazioni meno lo stipite comune).
Quindi i cugini sono parenti di 4° grado in linea collaterale.
Nella tabella che segue sono indicati i gradi di parentela (prima colonna) fra le diverse categorie di parenti.

Grado di parentela Esempio
Genitore e figlio
Nonno e nipote (figlio di figlio) – Fratello
Zio e nipote (figlio di fratello)
Primo cugino
Secondo cugino – Figlio di primo cugino
Figlio di secondo cugino


Nel nostro ordinamento la parentela è considerata fino al sesto grado.
Ad esempio, sono parenti di sesto grado i figli di cugini.
Se non esistono parenti entro il sesto grado e manca un testamento, il successore è lo Stato, che non può rifiutare l’eredità, ma non può essere obbligato oltre quanto ricevuto dalla successione.

Vediamo ora come vengono individuati i successori e le quote loro spettanti nella successione legittima.
I chiamati all'eredità, in tale tipo di successione, sono espressamente indicati dal legislatore, secondo un preciso ordine dipendente dal grado di parentela degli stessi con il de cuius.
Dispone, infatti, l'art. 565 c.c. che “nella successione legittima, l'eredità si devolve al coniuge, ai discendenti, legittimi e naturali, agli ascendenti (legittimi), ai collaterali, agli altri parenti e allo Stato, nell'ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo”.
La tabella seguente riassume le regole indicate dal codice civile, ai fini della ripartizione delle quote ereditarie tra le persone chiamate alla successione, tenendo conto del grado e del vincolo familiare che le lega al de cuius.

Schema riassuntivo delle quote ereditarie nella successione legittima


CONIUGE FIGLI ASCEN-
DENTI
COLLA-
TERALI
PARENTI ENTRO VI GRADO STATO QUOTE
1° caso 1 === === ========== === - 1/2 CONIUGE
- 1/2 FIGLIO
2° caso > 1 === === ========== === - 1/3 CONIUGE
- 2/3 FIGLI
3° caso NO

==========
=== - 2/3 CONIUGE
- 1/3 ASCENDENTI
e COLLATERALI
4° caso NO NO NO ========== === INTERA EREDITÀ
5° caso NO



==========
=== INTERA EREDITÀ
6° caso NO NO
==========
=== INTERA EREDITÀ
7° caso NO NO NO NO === INTERA EREDITÀ
8° caso NO NO NO NO NO INTERA EREDITÀ


* 1° e 2° CASO
Quando c'è la presenza del coniuge e dei discendenti (figli legittimi e naturali), al primo tocca la metà dell'eredità se concorre con un solo figlio, mentre è di un terzo se i figli sono due o più, ai quali spettano i restanti due terzi , suddivisi in parti uguali.

* 3° CASO
Quando ci sono il coniuge, gli ascendenti e/o i collaterali (fratelli, sorelle), ma non i discendenti, al primo toccano i due terzi dell'eredità, mentre agli altri un terzo (art. 582 c.c.), da suddividere in parti uguali “per capi”, salvo il diritto degli ascendenti ad un quarto dell'eredità (544 c.c.).
* 4° CASO
Quando c'è solo il coniuge, perché non vi sono discendenti, ascendenti o collaterali del de cuius, gli spetta l'intera eredità (art. 583 c.c.).

* 5° CASO
Quando ci sono solo discendenti, ma non il coniuge, ai figli va devoluta l'intera eredità suddivisa in parti uguali (art. 566 c.c.).

* 6° CASO
Quando non c'è né il coniuge, né i discendenti, ma solo gli ascendenti e i collaterali, l'intera eredità va suddivisa tra questi ultimi in parti uguali, fatti salvi i diritti degli ascendenti, ai quali spetta un quarto dell’eredità ai sensi dell’ art. 544 c.c.

* 7° CASO
In assenza di coniuge, figli, ascendenti e/o collaterali, sono chiamati a succedere al de cuius i parenti fino al sesto grado; la regola principale è quella secondo la quale i legami di parentela più prossimi escludono quelli di grado più remoto (ad es. prima gli zii, parenti in terzo grado, e poi cugini, parenti di quarto grado, ecc.).

* 8° CASO
Se il de cuius non ha congiunti, parenti prossimi o remoti, o nessuno di loro gli è sopravvissuto, e non esiste un testamento, l'eredità viene totalmente devoluta allo Stato.
 Occorre ricordare, altresì, che al coniuge, secondo il disposto dell'art. 540 c.c., “anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni”.
Il coniuge separato ha i medesimi diritti successori di quello non separato, purchè non gli sia stata addebitata la separazione, salvo il diritto ad un assegno vitalizio se al momento dell'apertura della successione, beneficiava degli alimenti.
Da notare, infine, che nella categoria dei successibili non sono contemplati gli affini, sia diretti (suoceri, generi, nuore) che indiretti (cognati, ecc.). 
Da ricordare che gli affini sono i parenti del coniuge.







Per completare il discorso sulla successione a causa di morte è opportuno esaminare alcune situazioni, che possono verificarsi nella pratica applicazione delle norme previste dalla legge in tale materia. Tra le più significative di tali situazioni sono da citare:
 
a) l’accettazione con beneficio di inventario;
b) il diritto di rappresentazione;
c) l’indegnità e la diseredazione;
d) la successione nelle unioni civili (legge n°76 del 2016).
Qui di seguito esaminiamo tali situazioni.

  


A) Accettazione con beneficio di inventario

Si è già detto che per l’acquisto della eredità non è sufficiente la morte del de cuius, che segna solo l’apertura della successione. Per l’effettivo passaggio dell’eredità all’erede, sono necessarie la vocazione e l’accettazione.
La vocazione serve a individuare le persone chiamate a succedere sia nella successione testamentaria, sia in quella legittima. L’accettazione è espressa quando il chiamato dichiara di accettare l’eredità con un atto scritto (scrittura privata o a mezzo di notaio); è tacita quando compie un atto, che presuppone di voler accettare l’eredità. In entranbi i casi l’accettazione può essere pura e semplice oppure con beneficio di inventario.
Nell’accettazione pura e semplice il patrimonio dell’erede e quello del de cuius si confondono in un unico patrimonio, per cui i debiti del de cuius diventano debiti dell’erede, che ne dovrà rispondere anche oltre il valore del patrimonio ereditato. Per cautelarsi contro il rischio che le passività superino le attività cadute in successione l’erede può accettare con beneficio di inventario. La dichiarazione di accettare con beneficio di inventario deve essere ricevuta da un notaio o dal cancelliere della pretura nella cui circoscrizione si è aperta la successione e deve essere accompagnata dall’ inventario dei beni caduti in successione compiuto da un notaio o dal cancelliere della stessa pretura. Se si sceglie questo tipo di accettazione non si verifica la confusione tra il patrimonio del de cuius e quello personale dell’erede: i due patrimoni rimangono distinti. Ne consegue che l’erede risponde per i debiti gravanti sull’eredità solo fino alla concorrenza dell’attivo ereditario. In pratica paga i debiti del de cuius solo fino all’ammontare delle attività ricevute, che risultano dall’inventario delle voci attive e passive del patrimonio ereditato.

B) Diritto di rappresentazione

In tema di successione si possono verificare dei casi nei quali la persona del chiamato non possa accettare per premorienza (morto prima del de cuius) o commorienza (morto insieme al de cuius, ad es. in un incidente stradale) o non voglia accettare per rinuncia. In questi casi si pone il problema di individuare un nuovo successore al quale devolvere l’eredità che sarebbe spettata al chiamato. La sostituzione può essere disposta dallo stesso de cuius, anche chiamando più persone che succedono nell’ordine stabilito da lui. Se non è prevista una sostituzione testamentaria entra in funzione il diritto di rappresentazione, che la legge attribuisce a un discendente legittimo o naturale del chiamato, a condizione che costui sia un figlio del de cuius o di un suo fratello o di una sua sorella. In pratica i chiamati a succedere per diritto di rappresentazione sono i nipoti del cuius e i loro discendenti, sia in linea retta (figli del figlio), sia in linea collaterale (figli di fratello o di sorella). Nella successione opera il principio per cui il parente più prossimo al de cuius esclude quelli più lontani. Ad esempio, il nipote in linea retta (2° grado) esclude il nipote in linea collaterale (3° grado). Ai soggetti che succedono per diritto di rappresentazione è devoluta l’eredità, che spettava al chiamato che non ha potuto o voluto succedere.

C) Indegnità e diseredazione

L’indegnità a succedere ricorre quando si accerta che il chiamato, sia nella successione testamentaria quanto in quella legittima, abbia compiuto atti particolarmente gravi nei confronti del de cuius o dei suoi più stretti congiunti, tanto da rendere moralmente incompatibile la sua successione.
L’indegnità comporta l’esclusione dall’eredità della persona indegna. Essa deve essere accertata in giudizio promosso da chiunque abbia interesse. La sentenza che dichiara l’indegnità ha efficacia retroattiva. In pratica è come se l’indegno non sia mai stato erede.
Le cause di indegnità possono riguardare:
* la persona fisica o la personalità morale del de cuius, del coniuge e dei suoi più stretti congiunti in linea retta (omicidio consumato o anche solo tentato, calunnia, falsa testimonianza, istigazione al suicidio);
* atti diretti con dolo o con violenza a condizionare la libertà del testatore (soppressione, occultamento, alterazione o falsificazione del testamento).
L’indegnità può essere sanata per effetto della riabilitazione da parte del de cuius.
Questa può essere espressa con una dichiarazione contenuta in un atto pubblico o nel testamento, oppure tacita se il testatore, pur conoscendo la causa di indegnità, ha considerato l’indegno come suo successore.
A differenza dell'indegnità, la diseredazione opera a seguito di una dichiarazione di volontà espressa dal de cuius nel testamento ed esclude dalla successione chi avrebbe potuto esserlo in virtù della successione legittima. La diseredazione nel nostro ordinamento è ammessa solo se non priva i legittimari della quota loro riservata nella successione legittima. In pratica il de cuius può escludere il legittimario solo nelle disposizioni relative alla quota disponibile.


Nel secondo incontro, sempre relativo alle "Norme vigenti della successione ereditaria", il prof. Carmine Prisco ha trattato l'argomento della successione nelle unioni civili e nelle convivenze.



Convivenza e famiglia di fatto

Il nostro ordinamento attribuisce una formale superiorità, rappresentata da una maggiore rilevanza giuridica, alla famiglia fondata sul matrimonio.
Tuttavia anche la stabile convivenza delle coppie non coniugate, ovvero delle famiglie di fatto, a seguito del mutamento dei costumi sociali degli ultimi anni ha acquistato una maggiore attenzione da parte del legislatore, che ha emanato norme miranti ad una maggiore tutela di questo tipo di “formazione sociale”, peraltro richiamata dall’art. 2 della nostra costituzione.
Le caratteristiche della famiglia di fatto possono sintetizzarsi nei seguenti elementi:
1) diversità di sesso dei membri della coppia, per cui non si può
parlare di famiglia di fatto riferendosi a coppie omosessuali;
2) assenza dell’atto di matrimonio in quanto i conviventi non
vogliono o non possono vincolarsi giuridicamente ( per esempio
perché legati ad un precedente matrimonio non sciolto);
3) coabitazione qualificata e stabilità della relazione: la coppia,
pur non essendo sposata e non avendo doveri reciproci, coabita
sotto uno stesso tetto (casa familiare) allo scopo di realizzare
una comunanza di vita materiale e spirituale simile a quella del
matrimonio;
4) riconoscimento sociale: la convivenza deve essere conosciuta
dall’ambiente sociale in cui vive la coppia, per cui non si può
parlare di famiglia di fatto per convivenze segrete o di breve
durata;
5) autonomia della coppia: tra i conviventi di fatto non esistono
diritti e doveri reciproci, come invece avviene per i coniugi, in
quanto prevale la loro “autonomia decisionale”.

La libera scelta di non unirsi in matrimonio comporta la libertà di
ciascuno dei conviventi di interrompere il rapporto in qualunque
momento.

Principali norme sulle convivenze di fatto

Premesso che non esiste a oggi un regime giuridico unitario e generalizzato per le convivenze di fatto, si possono indicare alcune disposizioni normative che possono interessare i conviventi. Tra queste riteniamo più significative le seguenti:
- l’accesso alla procreazione assistita dal servizio sanitario
nazionale;
- diritto del convivente ad astenersi dal testimoniare contro il
compagno;
- possibilità per il convivente di proporre istanza per la
nomina di un amministratore di sostegno per il partner;
- esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli
riconosciuti da entrambi i conviventi. Essi hanno l’obbligo di
mantenere, istruire ed educare i figli nati dal loro rapporto;
- diritto del convivente superstite di subentrare nel contratto
di locazione stipulato dal partner, in caso di morte di
quest’ultimo;
- tutela possessoria: i membri della famiglia di fatto
possono esercitare tutte le azioni dirette ad accertare il
loro diritto a possedere la casa dove si svolge la
convivenza;
- diritto del convivente al risarcimento del danno
conseguente alla morte del partner, se accertato;
- tutela contro la violenza nelle relazioni familiari;
- diritto della famiglia di fatto alle prestazioni dello
stato sociale”, come ad es l’assegnazione di case
popolari;

- possibilità di affidamento di un minore ad una famiglia
di fatto, se questi risulta temporaneamente privo di idoneo
ambiente familiare.
Naturalmente per avere diritto alle prestazioni previste dalle disposizioni normative bisogna essere in grado di provare la esistenza della famiglia di fatto avente le caratteristiche indicate ai precedenti punti 1-2-3-4-5. A tal fine può essere utile la registrazione della famiglia di fatto nella scheda anagrafica del comune di residenza o nel registro delle unioni stabili, che molti comuni istiuiscono, pur non essendo obbligati a farlo.


Rapporti patrimoniali

I rapporti patrimoniali all’interno della coppia di fatto sono considerati sulla base di atti volontari compiuti come adempimento di obbligazioni naturali derivanti da un dovere morale o sociale.Tali sono, ad esempio, le erogazioni di mezzi economici compiute da uno dei conviventi a favore dell’altro. L’effetto della obbligazione naturale è che non può essere chiesta la restituzione di quanto è stato dato per doveri morali o sociali, anche nel caso di cessazione della famiglia di fatto. La cessazione della convivenza può derivare o dalla libera volontà di ciascuno dei conviventi (disaccordo) o dalla morte di uno di essi. Quando il rapporto si interrompe per volontà anche di uno solo dei conviventi, in assenza di patti patrimoniali preventivi non vi è alcun obbligo né diritto reciproco tra i membri della ex coppia.
Nel caso di morte naturale il convivente superstite non può vantare alcun diritto successorio, tranne il caso in cui sia stato fatto testamento in suo favore.
Nel caso invece di morte dovuta a un fatto illecito di un terzo, il convivente superstite ha diritto al risarcimento del danno.