mercoledì 13 aprile 2016

Il matrimonio (O γάμος) in Grecia, oggi di Carmine Prisco

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INCONTRO CULTURALE ALL'UNIVERSITA' “MINERVA”

La presidente dell'Associazione M. Liuzzi e il relatore P. Speziale

Ha relazionato brillantemente il prof. Pietro Speziale sulla base delle  testimonianze del prof. Carmine Prisco, che pubblichiamo qui di seguito 
 

Il matrimonio (O γάμος) in Grecia, oggi 

(Come in Italia può essere scelto il rito religioso o quello civile)



(Testo tratto dal libro: “Simboli e tradizioni nella Grecia moderna. Grecità di oggi fra tradizione e globalizzazione” di Carmine Prisco- Antonio Dellisanti Editore, pagine 336 – maggio 2014).


Il matrimonio è uno degli eventi più importanti e significativi della vita di un uomo o di una donna.

Nelle società più avanzate questo evento, storicamente consolidato e regolamentato in tutti i suoi aspetti, tende oggi ad assumere connotazioni diverse in tema di durata, effetti, rapporti di coppia, ritualità e spesso viene sostituito da una semplice convivenza. Tuttavia l’istituto appare ancora oggi dotato di grande vitalità e coinvolge le rispettive famiglie dei nubendi.

Nella società greca, legata alle sue tradizioni, il matrimonio (ο γάμος), specialmente quello religioso ortodosso, è una cerimonia ricca di gesti e rituali fortemente simbolici, che produce effetti non solo in ambito religioso, ma anche sul piano civile.

In ogni matrimonio un ruolo, a volte decisivo, giocano le rispettive famiglie degli sposi e in modo speciale quella della sposa. Le donne di famiglia provvedono a organizzare la parte della dote che la sposa porterà nella nuova casa e che consiste principalmente nel corredo di biancheria e ricami realizzati da mamme, nonne e zie e che farà bella mostra di sé, insieme ai regali ricevuti dagli altri parenti e amici più intimi. quando questi saranno invitati a vedere la nuova casa qualche giorno prima della cerimonia. Al padre della sposa invece compete assicurare alla coppia la casa possibilmente già completa di mobili ed elettrodomestici. Tutto ciò è praticato anche da noi in Italia e presso altre nazioni, anche se non è un obbligo giuridico ma semplicemente una dimostrazione di solidarietà e di affetto verso la nuova famiglia. L’ammontare della dote al giorno d’oggi risente dei condizionamenti di natura economica, sociale e culturale presenti in ambito familiare e ciò, in molti casi, può portare ad una riduzione anche notevole della entità della dote.

Da un punto di vista legale il matrimonio civile può essere sciolto con una procedura di divorzio analoga a quella italiana, nel rispetto delle specificità della legislazione greca in materia.

Il matrimonio religioso ortodosso invece si differenzia notevolmente rispetto al matrimonio cattolico. Il matrimonio ortodosso infatti può essere sciolto fino a due volte per ciascuno dei coniugi e quindi ci si può sposare con rito religioso anche tre volte. Questa possibilità non è consentita per il clero. In pratica si può essere preti anche da sposati o contrarre matrimonio dopo la ordinazione sacerdotale, ma senza la possibilità di divorziare o di fare carriera nel clero ortodosso.


Momenti significativi del matrimonio

Come avviene di regola in ogni parte del mondo il matrimonio, prima di giungere alla sua concreta realizzazione, passa solitamente attraverso diverse fasi, che in qualche modo ne determinano effetti, tempi e modalità. Vediamo nel matrimonio greco i passaggi più importanti.


Il fidanzamento
Il fidanzamento (Ο αρραβώνας) è il primo passo ufficiale necessario per arrivare al matrimonio. Di regola è l’uomo che chiede la mano della donna che ama al padre di lei. Se le famiglie sono d’accordo stabiliscono la data del fidanzamento, che ha il duplice significato di promessa reciproca di matrimonio tra ì fidanzati e di impegno delle rispettive famiglie ad agevolarlo. Il fidanzamento ha anche la funzione di rendere noto a parenti e amici l’intento dei giovani nubendi. Nel giorno fissato per il fidanzamento è tradizione invitare un prete a benedire le fedi, che egli pone sulla mano sinistra dei due promessi sposi. Parenti e amici invitati formulano i loro auguri con la classica frase: καλά στέφανα! (letteralmente > buone coroncine!, ovvero buon matrimonio!). È da osservare che molte tradizioni si stanno perdendo nei grandi agglomerati urbani, nelle grandi città come Atene o Salonicco, a causa del ritmo convulso della vita in tali centri e della contaminazione con altre etnie (la Grecia è un paese ad alta immigrazione)
In tale contesto si determina un affievolimento se non un abbandono degli usi e dei costumi tradizionali. Questi tuttavia sono abbastanza presenti e resistono soprattutto nei piccoli centri e nelle isole.


Nell’imminenza del matrimonio

Come già detto in precedenza il matrimonio in Grecia è una cerimonia ricca di simbolismo, che raggiunge il suo culmine soprattutto nel matrimonio religioso ortodosso. Alcune usanze tuttavia sono praticate anche in assenza dell’elemento religioso. Vediamone alcune.


Il letto perfetto
Qualche giorno prima della cerimonia del matrimonio i promessi sposi invitano i parenti e gli amici più intimi a visitare quella che sarà la loro casa da sposati. Inutile dire che si è accolti con la classica ospitalità greca: ricco buffet, dolcetti, stuzzichini, bevande per tutti. Si visitano le diverse stanze della casa, già complete di tutto; si osservano i regali ricevuti, che fanno bella mostra su un grande tavolo; si fanno complimenti e auguri ai nubendi e alle loro famiglie. Ad un certo punto un gruppetto di tre o quattro ragazze (la tradizione le vuole vergini) si chiudono nella stanza da letto con il compito di preparare il letto in maniera perfetta in termini di geometria, assenza di pieghe, posizionamento dei vari elementi che insieme costituiranno l’estetica e la funzionalità del talamo nuziale. Quando le ragazze ritengono di aver adempiuto al loro compito, chiamano i genitori degli sposi e gli amici invitati per mostrare loro il lavoro fatto. Infine viene chiamato lo sposo per verificare la bontà e la riuscita di questa importante operazione. Lo sposo osserva, guarda dappertutto (anche sotto il letto) e, apparentemente insoddisfatto, solleva lenzuola e coperte, lanciandole in aria e disfacendo in tal modo il letto. Le ragazze devono ripetere l’operazione, cercando di capire che cosa non è piaciuta allo sposo. Si prepara il letto una seconda volta e si ripete la stessa scena: anche questa volta lo sposo appare insoddisfatto e il letto è ancora da rifare. Le ragazze, che sanno perfettamente come vanno queste cose, rifanno il letto una terza volta e, finalmente, lo sposo si dichiara soddisfatto e si complimenta con loro. A questo punto la stanza è invasa dai parenti e dagli amici che, mano al portafoglio, gettano sul letto un ulteriore regalo in denaro, volendo così esprimere la loro fattiva e concreta solidarietà alla nuova famiglia che sta per costituirsi. Quale è il significato di questa usanza?. È un invito, se non proprio un avvertimento alla sposa che sarà la padrona di casa, a tenere la stessa in perfetto ordine, pulita, accogliente, pena la insoddisfazione del marito e qualche eventuale rimprovero. (Retaggio di una società maschilista?). Per dovere di completezza di quanto detto a proposito del letto perfetto c’è da aggiungere che oltre il denaro gettato da parenti e amici sul letto appena rifatto, chi ha bambini piccoli con sé getta anche questi, a volo, sul letto, che pertanto si presenta come una nidiata di figli circondati da ricchezza. È un modo simbolico, tutto greco, di augurare la nascita di molti figli senza problemi economici.


Preparazione della sposa

Nelle ore che precedono la cerimonia la sposa è aiutata a prepararsi al grande evento: le donne di famiglia, le amiche più intime e esperti di look e maquillage si prendono cura di lei per farne risaltare bellezza, fascino ed eleganza. Tutto ciò richiede anche diverse ore e deve avvenire in segreto e comunque non in presenza dello sposo, poiché si ritiene di malaugurio che lo sposo possa vedere la sposa prima della cerimonia in chiesa o al municipio.


La cerimonia del matrimonio ortodosso

La cerimonia del matrimonio (Η τελετή ) è il momento decisivo, quello del fatidico sì con il quale la volontà dei promessi sposi diventa realtà, certezza e coronamento di un sogno, di un desiderio coltivato da tempo..Il senso profondo del matrimonio religioso greco è che esso vuole certificare l’unione di anime più che un tipo di contratto finalizzato alla realizzazione di interessi comuni dei due sposi. Particolarmente suggestiva è la cerimonia con rito ortodosso (τελετή θρησκευτικού γάμου ), ricca di momenti altamente simbolici.
Le fasi tipiche di un matrimonio ortodosso sono le seguenti: a) corteo della sposa verso la chiesa; b) dinanzi all’altare- scambio degli anelli; c) incoronazione degli sposi e condivisione del vino; e) processione intorno all’altare; f) benedizione- termine della cerimonia; g) ricevimento nuziale.


Corteo della sposa verso la chiesa

La sposa di solito viene accompagnata verso la chiesa (di regola la parrocchia di appartenenza), dove sarà celebrato il rito nuziale. La accompagnano, prendendola sottobraccio da ambo i lati, il padre e uno dei fratelli o, in mancanza, i parenti più stretti. Giunta alla porta della chiesa, la sposa viene consegnata allo sposo che la attende lì e insieme si avviano verso l’altare, lo sposo alla destra della sposa. Questa fase non è molto diversa da quella analoga che si può vedere dalle nostre parti in un matrimonio, se non si considera l’accompagnamento della sposa da parte di due parenti stretti che danno l’impressione di volerla trascinare a forza in chiesa. In realtà la presenza dei due vuole rappresentare la partecipazione di tutta la famiglia alla gioia dell’evento.

Dinanzi all’altare


Giunti all’altare i nubendi uniscono le loro mani destre e le poggiano sull’altare come segno della loro volontà di unirsi. Qui il papàs riceve dai nubendi la dichiarazione che essi vogliono contrarre liberamente il matrimonio, li benedice e li invita a scambiarsi le fedi da lui precedentemente benedette. Lo scambio degli anelli simboleggia la solidarietà reciproca, che deve caratterizzare la loro unione. Lo scambio viene ripetuto per tre volte in ossequio alla Santa Trinità e il posizionamento delle fedi al dito degli sposi avviene con l’aiuto del compare e della comare di matrimonio..

Incoronazione e condivisione del vino.

L’incoronazione (το στεφάνωμα) è uno dei momenti più suggestivi del rito nuziale ortodosso. Sul capo di ciascuno degli sposi il papàs pone una corona (το στεφάνι) o un diadema a seconda delle tradizioni del luogo. In tal modo gli sposi vengono incoronati rispettivamente re e regina della famiglia e contemporaneamente essi promettono di aiutarsi vicendevolmente in tutte le difficoltà che potrebbero incontrare nella vita di coppia. Le due coroncine di solito sono legate tra loro da un nastro (vedi foto), per significare che i nubendi, pur essendo liberi come re e regina della casa, non possono discostarsi molto nelle loro azioni poiché le loro autonomie sono interdipendenti.
L’incoronazione è momento centrale della azione liturgica. È in questa fase che entrano in azione il compare e la comare di matrimonio ( ο κουμπάρος και η κουμπάρα): essi mantengono sospese sulla testa degli sposi le due coroncine e le incrociano per tre volte (per i dettagli vedi §17). Il significato di questo gesto è la concordia, la condivisione delle scelte che insieme i due dovranno fare nella vita futura, il confronto, il dialogo che deve caratterizzare il rapporto di coppia.
L’incrocio delle due coroncine sopra le teste degli sposi sta a significare appunto che ciò che esce o entra nella testa di ciascuno dei due non deve mai essere a senso unico, ma essere il risultato di una decisione valutata e condivisa da entrambi. Al termine dell’incoronazione gli sposi vengono festeggiati dagli invitati con lancio di riso e confetti.
Sulla scia di questi concetti si inserisce anche la condivisione del vino. Gli sposi per tre volte bevono il vino nel calice comune a voler confermare i propositi di concordia e condivisione totale, che caratterizzerà la loro vita. La presenza del vino nel rito nuziale religioso vuole ricordare la partecipazione di Gesù Cristo alle nozze di Cana e il miracolo che lì fece trasformando l’acqua in vino ed evitando così agli sposi il disagio della mancanza di tale bevanda. La condivisione del vino vuole esprimere anche la speranza e la fiducia dei nuovi sposi nell’aiuto e nella protezione divina, come avvenne alle nozze di Cana, nelle difficoltà che potranno incontrare nella vita a due. Durante la cerimonia il papàs oltre a recitare preghiere per i nuovi sposi rivolge loro un discorso pieno di raccomandazioni e inviti ad agire nelle loro attività quotidiane con correttezza e nel rispetto degli insegnamenti della Chiesa. In particolare raccomanda alla sposa di essere ubbidiente, sottomessa, rispettosa nei confronti del suo sposo. La sposa esprime il suo assenso a tale raccomandazione, ma contemporaneamente calpesta col suo piede destro quello sinistro dello sposo, suscitando un moto di ilarità e di approvazione da parte degli invitati. É come se dicesse allo sposo: sì, ma… non esagerare! Un modo simpatico e scherzoso, quasi un avvertimento, per ricordare al suo uomo la perfetta parità nella loro vita di coppia.


Processione intorno all’altare
Un altro momento particolare del rito nuziale ortodosso è la processione degli sposi. Essi, guidati dal papàs, fanno per tre volte il giro dell’altare sul quale è posto il vangelo, come a voler iniziare il loro primo viaggio insieme all’insegna della fede cristiana e a proseguire allo stesso modo nel cammino della vita. Il papàs, mentre precede gli sposi nei giri intorno all’altare, canta il brano dell’Isaia, che ricorda la sacra danza con la quale i popoli antichi accompagnavano i riti religiosi di particolare solennità.


Benedizione e termine della cerimonia

Giunti al termine della cerimonia il papàs benedice ancora una volta gli sposi e toglie dal loro capo le coroncine, che rimarranno per sempre presso di loro come simbolo e pegno della loro unione consacrata col rito nuziale. Terminata la cerimonia gli sposi rimangono ancora in chiesa per ricevere gli auguri e gli abbracci da parte degli invitati, che salutano gli sposi con il tradizionale να ζήσετε! ( lunga vita a voi!).


Ricevimento (Tο γλέντι)
Il ricevimento per il pranzo nuziale (το γλέντι > divertimento, spasso) di solito in un ristorante, ma anche in casa, è la fase conclusiva del matrimonio. Si balla, si mangia, si beve per tutta la notte. La festa è allietata con musica dal vivo che sgorga in continuazione dai classici strumenti della tradizione greca, quali il bouzouki (μπουζούκι), il violino, la fisarmonica , il clarinetto, la batteria e il sassofono. Gli invitati si alternano sulla pista da ballo esibendosi in acrobatici assolo o in balli di gruppo, tipici delle usanze greche; quando ritornano ai loro tavoli c’è sempre qualcosa da mangiare o da bere e così via fino all’alba
. Ovviamente anche gli sposi si lanciano nel ballo, esibendosi spesso in personali performances. Nel corso della festa si usa rompere piatti sbattendoli a terra nel segno della vivacità e della allegria. Spesso si organizza anche una specie di danza dei soldi consistente nell’appuntare banconote sui vestiti degli sposi oppure nell’acquistare pezzi della cravatta dello sposo. É evidente lo scopo: fare ulteriori regali agli sposi in segno di amicizia e solidarietà. Chi non è impegnato a ballare ed è rimasto al tavolo o in piedi ai bordi della pista partecipa comunque alla atmosfera di festa e allegria battendo le mani al ritmo della musica del momento, quasi a voler sottolineare la sua presenza e la partecipazione alla gioia di tutti anche senza ballare. Verso la fine della festa gli sposi regalano alle famiglie degli invitati la classica bomboniera. Questa in sintesi è la sequenza delle fasi di un matrimonio greco. A seconda dei luoghi e delle tradizioni locali queste fasi possono presentare delle varianti o delle particolarità dipendenti sia dalle usanze tipiche locali, sia dallo status sociale degli sposi. Ad es. mi è capitato di partecipare ad un matrimonio celebrato alle nove di una sera di maggio in un bosco vicino ad Atene, in cui era stato allestito l’altare per la celebrazione del rito nuziale.

Il ruolo del compare nel matrimonio greco
Il compare (o κουμπάρος) potrebbe essere tranquillamente identificato nel nostro “compare d’anello” con funzione di testimone alle nozze, anche se questa definizione è alquanto riduttiva rispetto al ruolo che questa figura assume (almeno in teoria) nel matrimonio greco. Il cumparos è presente alla cerimonia, che si svolge in chiesa davanti al papàs. Egli sta alle spalle degli sposi, spesso in posizione sopraelevata (su uno sgabello, ad esempio) rispetto agli stessi. Ad un certo punto della cerimonia, quando il papàs si rivolge agli sposi con consigli, esortazioni, incoraggiamenti e auguri per la nuova famiglia, il compare (o la comare) mantiene sospese sulle teste dei due sposi le due coroncine (τα στεφάνια), una per la sposa e una per lo sposo, incrociandole tra loro e spostandole da una testa all’altra per tre volte nel corso della omelia (ομιλία) del sacerdote ed infine depositandole nuovamente sulla testa degli sposi. Questa usanza è diffusa anche in altre aree di religione ortodossa, come ad es. in Russia. Le coroncine sono di metallo pregiato, oro o argento, a seconda della capacità economica e della volontà del compare.
Ma possono essere fatte anche con delle ghirlande di fiori, impreziosite da gemme o altri oggetti di valore. É noto che i Greci nel loro modo di essere e di manifestarsi nelle diverse circostanze della vita ricorrono molto spesso a gesti simbolici, a comportamenti solitamente legati alla tradizione, che vogliono esprimere sentimenti, idee, consigli, esortazioni, inviti, diretti ai destinatari di tali gesti e che dicono molto di più di quanto possano fare parole o discorsi a volte un po’ tediosi. Con il gesto descritto poc’anzi il compare vuole dire ai nubendi che la loro vita a due deve basarsi sulla condivisione delle idee e delle azioni conseguenti (da una testa all’altra e viceversa), sulla concordia, sulla solidarietà, sull’affetto e sulla assistenza reciproca di ciascuno dei due verso l’altro. Le due coroncine saranno poi conservate per tutta la vita come simbolo e pegno di una vita vissuta e da vivere ancora insieme. Ma il ruolo del compare di nozze non si esaurisce con la cerimonia in chiesa. Egli assume il compito di guidare i novelli sposi nella vita a due, che d’ora in poi dovranno affrontare; egli diventa una specie di protettore della nuova famiglia, impegnandosi ad aiutarla, anche economicamente, nelle eventuali difficoltà che dovessero sorgere. La sua figura è tanto importante che spesso il primo figlio della giovane coppia porterà il suo nome, se non gli sarà dato quello del nonno. Ne deriva che la scelta del cumparos non avviene a caso: egli diventerà “uno di famiglia, quasi un consanguineo”. Deve essere quindi il migliore tra i possibili, deve essere capace di adempiere ai suoi compiti verso la nuova famiglia. La sua funzione può paragonarsi, mutatis mutandis, a quella del padrino nel battesimo e nella cresima dei cattolici. La figura del compare, così come viene concepita tradizionalmente dal popolo greco, è indicativa, almeno in teoria, della importanza attribuita al matrimonio e al valore della famiglia che da esso discende, tanto da prevedere un persona, il cumparos appunto, che ha il compito di aiutarla a crescere e a consolidarsi nel corso del tempo. Il ruolo effettivo di questa figura nella Grecia moderna, ferme restando le idealità ad essa connesse, risente inesorabilmente delle evoluzioni delle società mature, che tendono ad affievolire e quasi abbandonare usi e costumi ereditati dal passato, riducendo la funzione del cumparos a quella di un amico speciale, utile per salvare la forma e la ritualità di un matrimonio, ma con consapevole attenuazione dei tradizionali doveri connessi a tale figura.



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 IL TEATRO GRECO ANTICO

 Relazione di Eleonora Massafra
La relatrice E. Massafra e S. Laddomada

Laurenda in Scienze dei  Beni Culturali 

Guida turistica regionale certificata


Il teatro greco nasce in Attica, ad Atene, dove in particolare l’epica si trasforma da narrazione ad azione e i protagonisti delle tragedie diventano protagonisti delle rappresentazioni teatrali.
Rispetto al teatro moderno, così come lo si concepisce oggi, ci sono delle sostanziali differenze. In primo luogo queste rappresentazioni si svolgono all’interno di in un contesto sacro, durante le feste religiose ma è bene specificare che esse non sono mai di tipo religioso, non sono le divinità ad essere rappresentate ma le gesta leggendarie di un eroe o di un popolo, fatta eccezione per Dionisio che compare nelle Baccanti di Euripide e nelle Rane di Aristofane.
Esse non hanno mai uno scopo commerciale, l’unico scopo dei commediografi era quello di partecipare agli agoni teatrali.
Svolgono una funzione di diffusione della cultura, in un epoca in cui l’unico mezzo di diffusione è la parola. Frequentare i teatri e partecipare alle manifestazioni permette non solo di diventare parte integrante della comunità ma in rari casi anche di tener salva la vita, come accadde per alcuni prigionieri ateniesi a Siracusa che grazie al fatto di conoscere a memoria i testi delle tragedie di Euripide furono salvati da morte certa e destinati alla recitazione di queste tragedie, poiché Euripide a Siracusa era molto apprezzato.

Le donne avevano un ruolo marginale nella società greca del V secolo e non era permesso loro di svolgere nessuna attività all’infuori di quelle casalinghe, così il teatro era fatto per soli attori maschi che interpretavano ruoli femminili servendosi di travestimenti, maschere e costumi. Grazie all’uso dei costumi e delle maschere, il pubblico non era sempre in grado di distinguere la realtà dalla finzione, l’atto scenico veniva vissuto come un azione che si stava svolgendo realmente in quel momento e il pubblico ne era completamente compenetrato ed emozionato.

Il teatro era all’aperto e quindi sottoposto alle avversità climatiche e meteorologiche, le rappresentazioni non avvenivano di sera, come accade per noi moderni, ma cominciavano all’alba per terminare al tramonto.

La musica e la danza erano elementi fondamentali per il teatro greco, il coro danzava e cantava con l’accompagnamento musicale.



LE FESTE RELIGIOSE



Antesterie

E’ la festa più antica in onore di Dioniso e si svolgeva in tre giorni, nell’11°, 12° e 13° giorno del mese di Antesterione, ottavo mese del calendario greco che corrisponde alla fine del nostro Febbraio e inizio di Marzo. Il termine deriva dal greco Anthos che significa fiore, poteva essere inteso come l’infiorescenza del vino sulle botti al momento dell’apertura che si effettuava proprio in questi giorni, o alle corone di fiori poste sul capo dei ragazzini che attraversavano il momento di passaggio dall’infanzia all’età adulta. Durante queste feste, infatti, per la prima volta i ragazzini potevano bere del vino, questo gesto rituale li introduceva nel mondo degli adulti.

Il primo giorno era dedicato all’apertura delle giare contenenti il vino raccolto nell’autunno precedente.

Il secondo giorno era detto “dei boccali”, c’erano delle gare di bevute in tutta la città, chi beveva più boccali di vino e li consegnava alla sacerdotessa del tempio vinceva un otre, anche questo colmo di vino. Parallelamente nel tempio della palude dedicato a Dioniso, si svolgevano le nozze simboliche tra il Dio e la moglie dell’arconte re.

Il terzo giorno era dedicato ai defunti. Secondo una leggenda essi tornavano sulla terra sottoforma di demoni e vagavano per la città. Per scongiurare l’arrivo dei demoni si offriva ad Hermes psicopompo una mistura di miele e granaglie per assicurarsi che quest’ultimo accompagnasse le anime dei defunti nell’aldilà.




Teatro del Lykavittòs sulla omonima collina di Atene
Lenee 
E’ una festa da ricondurre alla baccanti, avveniva nel mese di Gamelione o Lenone, 7° mese del calendario greco che corrisponde al nostro Gennaio, un mese particolarmente freddo. Le rappresentazioni erano legate alla vita della polis , con riferimenti a personaggi in vista ed era consuetudine lanciare dei messaggi precisi che puntualmente venivano accolti. La festa prevedeva una processione guidata dall’arconte re e un sacrificio in onore di Dioniso. Era una festa molto sentita tant’è che ogni tipo di attività della vita quotidiana veniva sospesa per poter partecipare alle Lenee, “durante la processione al Lenèo e gli agono tragici e comici[…]non sia consentito ne pretendere pegni ne sequestrare i beni altrui,neanche in caso di insolvenza oltre i termini pattuiti” (Decreto di Evegoro). In occasione della festa si tenevano gli agoni, delle vere e proprie gare tra poeti che rappresentavano le loro commedie o tragedie, vi partecipavano in tutto cinque poeti. Vi erano delle gare anche tra attori, ed era permesso di far parte del coro anche agli stranieri che spesso diventavano coreghi cioè coloro che sponsorizzavano le rappresentazioni investendo i propri soldi al fine di ottenere notorietà.



Dionisie rurali

Si tenevano in un periodo particolarmente freddo, tra Dicembre e Gennaio, in un mese che si chiamava Posideone. Nel V sec.a.c. l’Attica era divisa in Demi, distretti territoriali, ognuno dei quali aveva una propria organizzazione interna, politica, economica, amministrativa. Ogni Demo aveva un Demarco, colui il quale spettava l’organizzazione della festa ed era anche colui che nominava i coreghi. Queste feste davano l’opportunità ad ogni Demo di rafforzare la propria identità culturale e di sentirsi piccoli stati dentro lo stato, in un unico corpo che era l’Attica. Durante la festa vi erano dei rituali legati al culto della fertilità, uno di questi era rappresentato dalle processioni chiamate Fallofòrie in cui sui carri sfilavano simboli che rappresentavano gli organi genitali maschili, non vi era oscenità in questo tipo di manifestazione, era un modo per assicurasi la fertilità della famiglia ,della terra e del bestiame.



Dionisie cittadine o Grandi Dionisie

Considerate come le Dionisie per antonomasia, era la festa più importante dell’anno e si teneva ad Atene nel 9°, 10° e 11° giorno del mese di Elafebolione, 9° mese del calendario attico che corrisponde ad un periodo compreso tra Marzo e Aprile. Fu istituita da Pisistrato nel periodo del suo potere politico, intorno al 535/ 533 per conquistare il favore popolare contro il potere dell’aristocrazia. Attraverso il culto di Dionisio, in cui tutti si riconoscevano, Pisistrato volle richiamare a se il maggior numero di cittadini, tant’è che questa festa, date le condizioni meteorologiche ottimali, era frequenta da tutti, non solo i cittadini ateniesi ma in quei giorni si recavano ad Atene gente proveniente da tutta la Grecia, erano feste panelleniche. Durante le dionisie la vita cittadina si fermava, tutti si dedicavano alla sua realizzazione mettendo a disposizione la propria professionalità; c’era una pausa giudiziaria, i processi venivano rimandati, i carcerati venivano liberati momentaneamente e sotto cauzione, anche gli schiavi erano liberi. Forse l’aspetto più importante di questa festa è quello politico, in questi giorni infatti i singoli rappresentanti delle città alleate versavano il loro tributo ad Atene, durante una cerimonia pubblica che avveniva nello stesso teatro in cui si tenevano le rappresentazioni e davanti ad un folto pubblico. Questi poi sedevano nelle prime file, in quella che viene detta Proedrìa. Un altro momento molto importante era la sfilata degli orfani di guerra, vestiti di tutto punto, istruiti e mantenuti da Atene per diventare i futuri guerrieri. Attraverso questa sfilata Atene dimostrava agli alleati, ed ai nemici presenti, la sua potenza, era in grado di mantenere e istruire alla guerra giovani leve che in futuro avrebbero dato la vita per lei.



COREGIA PROAGONI E DITIRAMBI



Coregìa

All’inizio dell’anno attico, nel mese di Ecatombeone che corrisponde per noi ad un periodo compreso tra Giugno e Luglio entrava in carica l’arconte eponimo, colui il quale dava il nome all’anno in cui sarebbe stato in carica. Per quanto riguarda le rappresentazioni teatrali, il compito dell’arconte era quello di individuare il corego, qualcuno che fosse abbastanza ricco per poter investire i propri averi al fine di realizzare lo spettacolo. La coregìa era un impegno gravoso poiché il corego doveva addossarsi tutte le spese, non solo nell’allestimento dei teatri ma anche nel pagare gli attori, i locali per le prove, i sarti, le maschere, i figuranti ecc… il corego nominato dall’arcone poteva opporsi alla liturgia (dal greco eitūrgía, comp. di lḗiton ‘luogo degli affari pubblici’ e érgon ‘opera’, in sostanza “opera a favore del popolo”) ma doveva identificare e proporre un sostituto. Per dimostrare a tutti che non poteva accollarsi tali spese doveva proporre al sostituto un’antidòti, cioè lo scambio di beni tra i due, questo gesto avvalorava la tesi del primo corego che dimostrava di essere meno ricco del sostituto. Essere corego aveva anche i suoi vantaggi, oltre a raggiungere una straordinaria popolarità e ammirazione, il corego riceveva dei premi e poteva anche usufruire di benefici giudiziari”[Nicia] dubitando di poter battere con armi pare l’accondiscendenza cialtronesca con cui Cleone compiaceva e insieme dominava gli Ateniesi, cercava di conquistare il popolo con spettacoli teatrali e ginnici e simili munificenze, superando per fasto e gusto tutti i suoi predecessori e contemporanei” (Plutarco, vita di Nicia. 3.2-3). Una volta individuato il corego, i poeti fanno quell’operazione chiamata “chiedere il coro” cioè i tragediografi e i commediografi presentano all’arconte eponimo una bozza dei loro lavori, sulla base di una lettura preliminare, se questa viene approvata dall’arconte, egli concede il coro per la rappresentazione che sarebbe avvenuta nell’anno successivo. I tragediografi e commediografi ammessi erano cinque, ogni tragediografo doveva rappresentare tre tragedie e un dramma satiresco, i commediografi presentavano una commedia e poi c’erano i ditirambi, dei canti corali in onore di Dioniso.



Proagone

Il giorno prima dell’inizio dei festeggiamenti, avveniva quello che si chiamava proagone, cioè un’anticipazione di ciò che sarebbe stato rappresentato.

Nell’Odèon (dal gr. ōidêion, deriv. di ōidè ‘canto’, termine da cui deriva la parola ode) fatto costruire da Pericle nel 442 a.c. accanto al teatro di Dioniso, normalmente si tenevano delle gare musicali, grazie alla buona acustica, ma in questa occasione i tragediografi salivano sul palco con i loro attori che indossavano delle corone di fiori e spiegavano quello che avrebbero rappresentato nei giorni successivi. Il proagone era funzionale alla conoscenza di quello che si sarebbe visto, dato che in questo periodo non abbiamo ancora la diffusione della scrittura, tantomeno una tradizione libraria.



Ditirambo

E’ un canto corale in onore di Dioniso, formato da dieci cori di adulti e dieci di ragazzi. Il numero dieci è dato dal fatto che l’attica era divisa in dieci tribù, in questo modo ogni tribù era rappresentata, partecipavano cinquecento persone nel coro degli adulti e cinquecento in quello dei ragazzi, ogni tribù quindi presentava un coro di cinquanta componenti per gli adulti e un coro di cinquanta componenti per quello dei giovani, in tutto erano mille partecipanti. Ogni coro cantava e ballava nell’orchestra ( dal greco orkhéomai ‘danzo’) intorno al tempio di Dioniso, a differenza del coro tragico e comico non indossava delle maschere. I vincitori nelle due sezioni, adulti e ragazzi, ricevevano in premio un tripode, il premio veniva riscosso dal corego il quale lo poneva su un basamento su cui vi erano delle iscrizioni.



Come si svolgessero queste rappresentazioni è ancora argomento di dibattito tra gli studiosi. Alcuni di loro ritengono che i ditirambi, ovvero i canti corali, avvenissero nel pomeriggio del 10° giorno di Elafebolione mentre le tetralogie tragiche fossero rappresentate una al giorno nel 11°, 12° e 13° ,per le commedie invece si pensa che fossero rappresentate tutte e cinque nel 14° giorno. Di parere discordante è invece chi pensa che l’ordine si invertisse esattamente al contrario.

Un dato certo è che nei giorni successivi vi fosse un’assemblea convocata dai Prìtani (magistrati membri del consiglio di ogni tribù) per discutere dell’andamento e dell’organizzazione della festa, e per decidere se riconoscere eventuali premi agli organizzatori o ai vincitori dell’agone teatrale.

Per decretare la vittoria negli agoni teatrali si nominava una giuria formata da un rappresentante per ognuna delle dieci tribù Attiche. I nomi di questi rappresentanti venivano estratti da un’urna in cui erano stati inseriti precedentemente, le urne o vasi sigillati, erano poi depositati sull’acropoli e affidati ai tesorieri di stato. Se qualcuno cercava di manomettere l’urna rischiava la morte. I dieci sorteggiati dovevano giurare di essere imparziali, assistere alle rappresentazioni e stilare una classifica di gradimento su tavolette d’argilla, inserire le stesse in un’altra urna da cui ne venivano estratte a caso soltanto cinque, calcolando i voti di gradimento in base alla classifica di queste cinque, si decretava il vincitore. Sulla incorruttibilità dei giudici non vi era molta certezza.



GLI ATTORI

Secondo gli antichi la composizione poetica e la fase recitativa sono due attività strettamente connesse, due fasi di un unico processo creativo e di ispirazione divina. Questa interdipendenza dopo la fase creativa e recitativa ha lo scopo di emozionare il pubblico. Di questo ci parla Platone nello ione, dove fa dire al suo personaggio, Socrate, che la creazione poetica si può ben rappresentare come una catena ad anelli in cui a monte c’è la divinità, poi il poeta, in mezzo il rapsodo e attore, “[…] la divinità mediante tutti questi anelli, trascina l’anima umana dove vuole, facedo dipendere il potere dell’uno dall’altro dal poeta pende una serie lunghissima di coreuti, maestri e istruttori attaccati obliquamente e sospesi dalla musa ( Plutarco, Ione, 535c-536a ).
Teatro Odeon di Erode Attico

Gli attori sulla scena sono tutti uomini, in greco si chiamano hypocrites che nella nostra lingua significa ipocrita, ma essi sono intesi come coloro che fingono. Il sostantivo hypocrites deriva dal verbo hypocrinesthai che ha due significati, il primo è di interpretare sogni, auspici, oracoli, il secondo è inteso come rispondere ad una domanda. Secondo gli studiosi il termine ha finito per identificare l’attore perché egli aveva anche il compito di interpretare e spiegare al pubblico quello che il coro cantava o mimava, in un primo periodo infatti l’attore interagiva fortemente con il pubblico. Un’altra spiegazione sta nel fatto che l’attore rispondeva al coro quando questo gli poneva delle domande. Un’altra terminologia che si è conservata nella lingua italiana vede termini come protagonistès, deuteragonistes e tritagonistès, cioè il primo, il secondo e il terzo attore. Protagonistès da pròtos primo più agonistès attore ma non si intenda per primo protagonista quello che interpreta ruoli principali, questi infatti potevano essere assegnati anche al secondo o al terzo, rispettivamente il deuragonistès e tritagonistès.



LE MASCHERE

La fonte che ci da maggiori informazioni riguardanti le maschere e i costumi di scena è l’Onomasticon di Polluce, nel quarto libro poi abbiamo anche testimonianze archeologiche, dipinti su vasi che riprendono scene teatrali. Pròsopon è il nome della maschera in greco e Polluce descrive bene le diverse tipologie di maschere, egli ci dice che ci sono ben sei tipologie di maschere per il personaggio dell’anziano, otto per i giovani, tre per i servi, undici per le donne e poi ci sono della maschere speciali come quella di Achille che si tagliò i capelli dopo la morte di Patroclo, la maschera per la personificazione della follia, la maschera per inscenare il pianto con un velo che cadeva sul viso, la maschera di Edipo che fece quel gesto orribile di cavarsi gli occhi. Nella maggior parte dei casi il pubblico riconosceva il personaggio già da alcuni aspetti caratteristici e convenzionali, ad esempio per le donne si usava una maschera di colore bianco perché essendo recluse in casa avevano un colorito sempre pallido, gli uomini invece avevano una maschera più scura sul rosso bruno. Gli attori sul palco erano solo tre e dunque la maschera dava loro l’opportunità di interpretare più ruoli anche quelli femminili. L’inizio dell’uso della maschera non ha una datazione certa, però è certo che fin dall’inizio delle prime interpretazioni artistiche si usava dipingersi il volto con colori naturali, o con la biacca o la feccia del vino. Le maschere invece si costruivano con il lino e il gesso. 

Info: e-mail Eleonora.massafra@gmail.com

mercoledì 6 aprile 2016

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Canto I dell'Inferno




« Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!

Tant' è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com' i' v'intrai, tant' era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai.

Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto, là dove terminava quella valle che m'avea di paura il cor compunto,

guardai in alto e vidi le sue spalle vestite già de' raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle.

Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m'era durata la notte ch'i' passai con tanta pieta.

E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l'acqua perigliosa e guata,

così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva.

Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso, ripresi via per la piaggia diserta, sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.

Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta, una lonza leggiera e presta molto, che di pel macolato era coverta;

e non mi si partia dinanzi al volto, anzi 'mpediva tanto il mio cammino, ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.

Temp' era dal principio del mattino, e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle ch'eran con lui quando l'amor divino

mosse di prima quelle cose belle; sì ch'a bene sperar m'era cagione di quella fiera a la gaetta pelle

l'ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m'apparve d'un leone.

Questi parea che contra me venisse con la test' alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l'aere ne tremesse.

Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame,

questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch'uscia di sua vista, ch'io perdei la speranza de l'altezza.

E qual è quei che volontieri acquista, e giugne 'l tempo che perder lo face, che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;

tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi 'ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove 'l sol tace.

Mentre ch'i' rovinava in basso loco, dinanzi a li occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio parea fioco.

Quando vidi costui nel gran diserto, «Miserere di me», gridai a lui, «qual che tu sii, od ombra od omo certo!».

Rispuosemi: «Non omo, omo già fui, e li parenti miei furon lombardi, mantoani per patrïa ambedui.

Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.

Poeta fui, e cantai di quel giusto figliuol d'Anchise che venne di Troia, poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.

Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte ch'è principio e cagion di tutta gioia?».

«Or se' tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?», rispuos' io lui con vergognosa fronte.

«O de li altri poeti onore e lume, vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore che m'ha fatto cercar lo tuo volume.

Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore, tu se' solo colui da cu' io tolsi lo bello stilo che m'ha fatto onore.

Vedi la bestia per cu' io mi volsi; aiutami da lei, famoso saggio, ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi».

«A te convien tenere altro vïaggio», rispuose, poi che lagrimar mi vide, «se vuo' campar d'esto loco selvaggio;

ché questa bestia, per la qual tu gride, non lascia altrui passar per la sua via, ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;

e ha natura sì malvagia e ria, che mai non empie la bramosa voglia, e dopo 'l pasto ha più fame che pria.

Molti son li animali a cui s'ammoglia, e più saranno ancora, infin che 'l veltro verrà, che la farà morir con doglia.

Questi non ciberà terra né peltro, ma sapïenza, amore e virtute, e sua nazion sarà tra feltro e feltro.

Di quella umile Italia fia salute per cui morì la vergine Cammilla, Eurialo e Turno e Niso di ferute.

Questi la caccerà per ogne villa, fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno, là onde 'nvidia prima dipartilla.

Ond' io per lo tuo me' penso e discerno che tu mi segui, e io sarò tua guida, e trarrotti di qui per loco etterno;

ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, ch'a la seconda morte ciascun grida;

e vederai color che son contenti nel foco, perché speran di venire quando che sia a le beate genti.

A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a ciò più di me degna: con lei ti lascerò nel mio partire;

ché quello imperador che là sù regna, perch' i' fu' ribellante a la sua legge, non vuol che 'n sua città per me si vegna.

In tutte parti impera e quivi regge; quivi è la sua città e l'alto seggio: oh felice colui cu' ivi elegge!».

E io a lui: «Poeta, io ti richeggio per quello Dio che tu non conoscesti, a ciò ch'io fugga questo male e peggio,

che tu mi meni là dov' or dicesti, sì ch'io veggia la porta di san Pietro e color cui tu fai cotanto mesti».

Allor si mosse, e io li tenni dietro. »





































Divina Commedia
 

Presentazione dell'Autore e dell'Opera

                               di Silvia Laddomada



Dante nasce a Firenze nel 1265 e muore a Ravenna nel 1321.
Il suo interesse per la vita della città di Firenze e il suo impegno politico cominciarono all'età di 30 anni. Nel 1300 viene nominato Priore della città, è la più alta carica pubblica del Comune di Firenze. Ma  il 1330 è un anno decisivo della sua vita, è il momento della sua massima ascesa alla vita politica ma è anche il momento in cui maturano  gli eventi che gli costeranno la condanna e l'esilio. Firenze è una città comunale che si autogoverna, come tante città del nord, che  dopo la guerra con Federico Barbarossa avevano ottenuto  l'autonomia dall'Impero. A Firenze, però, ci sono due fazioni, due partiti, i Guelfi Bianchi e i Guelfi Neri, che si odiano e si distruggono a vicenda. I Guelfi Bianchi erano inclini a un equilibrio tra le prerogative del Papa, che aveva potere temporale, e  quelle dell'Imperatore. Dante è a capo dei Guelfi Bianchi. Il Papa Bonifacio 8° , con la complicità dei Neri, cerca di controllare la vita politica della colta e ricca Firenze. Dante si oppone.
Nel 1301 Firenze invita Carlo di Valois, fratello del re di Francia  Filippo il Bello, a fare da mediatore tra il Papa e la città. In realtà Carlo di Valois arriva come braccio armato del papa, con cui ha stipulato un accordo per dare il potere ai Neri . Il governo dei Bianchi viene destituito e i capi vengono mandati al confino. Dante, che era andato a Roma per parlare col papa, viene trattenuto  con l'inganno e non può più ritornare a Firenze, anzi gli viene chiesto di pagare una grossa multa  perchè accusato di baratteria di uso illecito di denaro pubblico. Dante si rifiuta di pagare, consapevole della sua onestà e dirittura morale, per cui i Neri procedono confiscandogli i beni e condannandolo al rogo per contumacia.
Così nel 1302 comincia la durissima stagione dell'esilio, ospite dei Signori d'Italia (come sa di sale lo pane altrui), ospite degli Scaligeri di Verona, di molte famiglie del Nord e infine ospite di Novello da Polenta, signore di Ravenna, dove muore nel 1321, e qui viene sepolto nella chiesa oggi dedicata a s. Francesco.
Vent'anni di esilio. E' in questo periodo  che Dante compone diverse opere, tra cui il poema Divina Commedia, di contenuto morale, filosofico e teologico. Commedia perchè usa un  linguaggio medio  e non quello tragico , cioè solenne dei grandi trattati. Divina è un aggettivo che aggiunse Boccaccio, per il contenuto spirituale dell'opera.
Tre volumi, cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso); cento canti.                
 E' un viaggio immaginario nell'Aldilà, compiuto nell'arco di una settimana, dall'8 al 15 aprile del 1300, settimana santa, anno santo.
Il poeta ha 35 anni, e il viaggio è allegorico, è simbolico. è il suo itinerario spirituale. Siamo in un momento di crisi sociale e morale: il papa ha un potere politico, l'Imperatore è assente, l'ingiustizia e la disonesta trionfano, in tutta la Chiesa c'è avidità di denaro, di possesso di beni materiali, c'è corruzione politica, lotte tra partiti, malvagità, traviamento dei costumi. Uno stato di degrado che porta la società ad allontanarsi dalla fede; lo stesso dante ha un momento di smarrimento, di buio,dal quale però si riprende e quasi investito di una missione profetica, si propone di riportare l'umanità sulle retta via.
Non si rivolge agli uomini con un discorso filosofico, ma decide di scrivere un racconto esemplare: gli uomini hanno bisogno della ragione,  per individuare il male e allontanarsene, e della fede, per ritrovare la grazia di Dio.
Con questo viaggio, Dante si propone di indicare agli uomini la dritta via, che l'umanità ha smarrito, e di mostrare loro con un racconto allegorico, che il male commesso nel mondo si tramuta in pena eterna , a meno che non ci sia un ravvedimento, un pentimento, anche in fin di vita. (Manfredi nel Purgatorio "la misericordia di Dio ha sì gran braccia che prende tutto ciò che si rivolge a lei") .
Nel suo viaggio Dante incontra personaggi famosi dell'antichità, personaggi mitologici ma anche persone note della sua epoca, della sua città, che egli mostra puniti o premiati dalla giustizia divina, proponendo così dei modelli di comportamento per i suoi contemporanei.
Essendo un'opera di significato morale e teologico, e evidente che Dante si sia documentato. Le fonti, quindi.  Confluisce in questo poema la poesia  latina , quella volgare francese e italiana, la filosofia antica, quella della Scolastica, la tradizione Patristica, il vecchio e Nuovo testamento, l'astronomia e l'astrologia.
Dante immagina che le anime, pur essendo puri spiriti, patiscano sofferenze, a volte anche disgustose, come se avessero un corpo fisico. La pena  assegnata  dalla giustizia divina è in rapporto al peccato commesso, secondo la legge del contrappasso. (patire il contrario). Esempio: i golosi, amanti di cibi appetitosi, ora sono immersi nel fango e squartati da Cerbero; gli indovini che volevano prevedere il futuro, hanno la testa girata verso le spalle e camminano all'indietro (contrappasso per contrapposizione); i consiglieri fraudolenti, che in vita agirono di nascosto, ora sono nascosti in una fiamma  che li ricopre completamente. (contrappasso per analogia).

L'Inferno è immaginato come un cono rovesciato, il cui vertice coincide col centro della Terra, dove si trova Lucifero, angelo ribelle che fu scaraventato dal Paradiso.  La Terra, per l'orrore e il ribrezzo verso quest'angelo,    si è ritirata, creando la voragine infernale, e finendo dall'altra parte del globo, sotto forma di monte (Purgatorio) .
All'interno di questo luogo buio, le anime dei peccatori, traghettate dal demone Caronte, attraverso il fiume Acheronte, vengono giudicate da Minosse, mitico re di Creta,  e assegnate ai vari gironi, nove in tutto, immaginati tutti come superfici rotonde ( il passaggio da uno all'altro è possibile attraverso un dirupo scosceso).
All'ingresso dell'Inferno Dante colloca gli ignavi, coloro che in vita non si sono adoperati nè per fare il bene, nè per evitare il male. Non sono graditi nè ai demoni, nè agli angeli, sono nell'Antinferno.
Nel primo cerchio c'è il Limbo, , dove si trovano le anime dei grandi uomini che non hanno conosciuto Cristo e  i non battezzati.
Dal secondo al quinto cerchio ci sono gli "incontinenti", coloro che non seppero dominare i loro vizi (lussuria, gola, avarizia e prodigalità, ira, accidia).
Il sesto cerchio racchiude le anime degli eretici.
Nel settimo cerchio si trovano i violenti, divisi in gironi, in gruppi. Violenti contro il prossimo,  contro se stessi e contro Dio, l'arte e la Natura).
L'ottavo cerchio è quello delle Malebolge, il cerchio dei fraudolenti, degli ingannatori di chi non si fida: ruffiani, seduttori, lusingatori, simoniaci, indovini e maghi, barattieri, ipocriti, ladri, falsi consiglieri, seminatori di discordie e scismatici, falsari).
Il nono cerchio, il peggiore, il lago ghiacciato di Cocito,  racchiude le anime dei fraudolenti, degli ingannatori di chi si fida: traditori dei parenti, della patria, degli ospiti, dei benefattori.
Al centro del lago c'è Lucifero  con tre facce, che dilania i grandi traditori dell'Impero (Bruto e Cassio) e di Cristo (Giuda).
Per dare voce e immagine  a tutto questo universo, nei suoi aspetti umani e divini, Dante non usa un linguaggio unico e omogeneo, egli sceglie per il poema sacro il plurilinguismo e il pluristilismo, mescola gli stili, amplia il lessico, accosta al dialetto fiorentino altre forme  dialettali, di varia provenienza, inventando, quasi, una lingua  che poi diventerà la base lessicale  dell'italiano che parliamo ancora. Dante, sommo poeta, padre della lingua italiana.

Primo canto
Il quadretto realistico che Dante descrive nel primo canto è semplice: il poeta si è smarrito in una selva, in un bosco buio, senza sentieri, senza via d'uscita. All'improvviso vede una luce che illumina le pendici di un colle; basta seguire il sentiero in salita, pensa, e spariranno la paura e l'angoscia del buio del bosco. Ma ecco un animale selvatico che lo ostacola, una lonza (un ghepardo); è quasi alba, Dante prosegue, ma c'è ancora una belva, un leone e poi avanza una terribile e famelica lupa. Dante quasi vorrebbe tornare indietro, ma improvvisamente appare Virgilio, sommo poeta latino, un mito per Dante, che lo consola e gli promette che un bravo veltro , un cane da caccia, rimanderà indietro quelle belve. Ma se vuole arrivare lassù, alla luce di quel colle, Dante deve accettare di fare un lungo viaggio. Lo accompagnerà il suo maestro, Virgilio.

Questo canto è ricco di simboli: la selva rappresenta il luogo dell'errore, del peccato, della perdita dei valori, della crisi morale. E' il sonno della ragione, non ci si rende conto di come si sia scivolati nel male.
Il colle, rivestito dai raggi è la Verità, che si può raggiungere con la ragione, ma soprattutto con la fede.
Le tre belve rappresentano i te vizi maggiori che attanagliano l'animo umano: la lonza è la lussuria, la disonestà, la corruzione dei costumi;  il leone è la superbia, la sfrontatezza di chi detiene il potere, calpestando leggi e diritti altri; la lupa è l'avidità, il desiderio di possesso delle ricchezze, il desiderio di beni terreni.
Queste tre belve rappresentano bene la società agli inzi del 1300, e Firenze in modo particolare. Si auspica l'arrivo di un veltro per rimuovere gli ostacoli. Chi sarà? Forse Dante pensava a un nuovo papa, a un signore italiano, a un imperatore onesto.
Virgilio rappresenta la retta ragione, che riconosce i propri limiti e riconosce il Bene da conquistare. Ma non basta l'intenzione per salvarsi; occorre conoscere più a fondo le radici del bene e del male.
Il peccatore deve fare un viaggio interiore, dovrà conoscere le pene dell'Inferno, conseguenza di una vita sbagliata, dovrà sentire il bisogno di purificarsi, pentirsi (Purgatorio) e dovrà aspirare a una sfera di valori che trascendono la materia, l'istinto. Valori che conferiscono una superiore dignità al vivere umano. Una volta consapevole di  questo bisogno, l'uomo potrà, con la fede e la grazia, raggiungere la luce di quel colle (Paradiso).

venerdì 1 aprile 2016

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LE TRADIZIONI PASQUALI A NEA HALKIDONA 

di Carmine PRISCO

 

Organizzato dall'Università "Minerva" si è tenuto un incontro culturale sulle "Tradizioni pasquali a Nea Halkidona" (città ateniese gemellata con Crispiano) da vent'anni.                             Il prof. Carmine Prisco, studioso della lingua e delle tradizioni greche,  ha illustrato gli usi e costumi delle festività pasquali presso il popolo greco. Pasqua di Resurrezione, che i Greci quest'anno festeggiano il 1° maggio, seguendo il calendario Giuliano.         



Ha parlato con interessante documentazione fotografica del "sabato di Lazzaro" (precedente la domenica delle Palme), della preparazione di dolci e biscotti aromatizzati; dell'epitaffio, un baldacchino portato in processione in cui è depositato il sacro velo sul quale è dipinto o ricamato il volto di Cristo (nella religione ortodossa non si rappresentano le Divinità con  statue o sculture, ma solo con pitture); della tradizionale e simbolica preparazione delle uova lessate e colorate di rosso; della battaglia delle uova; delle solenni processioni a cui partecipano le autorità religiose, politiche e militari; della funzione con le candele, la notte del sabato santo, dell'agnello allo spiedo, tipico pranzo pasquale all'aperto a cui partecipa tutta la comunità, con la classica danza finale. Festività che si prolungano nella settimana successiva, con notevoli riferimenti a episodi storici e politici che vengono commemorati.
In Grecia nella celebrazione di una festività (soprattutto a Pasqua) le motivazioni religiose e civili o nazionali si sovrappongono, perchè è stata la Chiesa ortodossa a preservare la lingua, la cultura, le tradizioni dei greci durante i 400 anni di predominio Turco. Senza la Chiesa Ortodossa non esisterebbe oggi lo Stato greco con le sue peculiarità.
L'incontro è iniziato con l'ascolto dell'inno nazionale greco e si è concluso con filmati di danze e del  noto ballo "Sirtaki". 


CONTINUAZIONE DA DESTRA:

Gli exaptèryga sono dischi metallici montati su un’asta dove sono impressi le immagini dei serafini che, nella tradizione cristiana, sono i custodi del trono di Dio e cantano la Sua gloria.

Sono dotati di sei ali e per questo sono chiamati con tale termine, che vuol dire appunto “ con sei ali”. Ogni chiesa porta in processione il suo Epitaffio e nelle grandi città tutte le processioni confluiscono nella piazza centrale, dove si tengono le orazioni funebri. La sera si celebra l’ Εσπερινός, ossia il Vespro, durante il quale si recitano i passi relativi alla sepoltura di Cristo e la discesa della Sua anima nel regno di morti, così come vennero narrati da Giuseppe di Arimatea e dal Vangelo di Nicodemo. Questo in estrema sintesi è quello che avviene il giorno del Venerdì Santo in ogni angolo della Grecia, anche se a livello locale possono esserci alcune varianti o aggiunte legate alle tradizioni del posto. Ad esempio, in Atene l’Epitaffio è accompagnato, oltre che dall’arcivescovo, dalle autorità di Governo e da una rappresentanza dell’esercito. Sempre ad Atene, nella mattinata, un gruppo di giovani si reca al porto per confezionare con erba secca, rami e paglia una sagoma di Giuda Iscariote. Tale sagoma sarà appesa ad una forca issata su una barca, che la porterà in mare. La sera, dopo la processione, ci si reca al porto con l’Epitaffio; il sacerdote sale sulla barca, cosparge la sagoma di benzina e le da fuoco. In pochi minuti la sagoma brucia completamente e cade in mare.

Le più importanti processioni della Pasqua si tengono ad Atene, a Kifissia (un elegante quartiere alla periferia di Atene) e nelle isole di Corfù e Mikonos. Accanto alle celebrazioni ufficiali, come sopra descritte, bisogna considerare i comportamenti e le usanze che si praticano a livello individuale o familiare. In questo giorno, in ricordo della Passione di Cristo a cui venne dato aceto per bere, i fedeli rispettano il digiuno, astenendosi dal mangiare dolci. È consentito tuttavia consumare un pasto povero, costituito da lenticchie o verdura con aceto o da una minestra preparata con limoni, aceto, patate, cipolle e carote, ma senza olio, chiamata tachinòsupa (ταχινόσουπα). Altra regola da rispettare è il divieto assoluto di usare in questo giorno martelli, aghi o chiodi.


8) Sabato Santo (Μέγα Σάββατο)     Dopo le funzioni religiose del Venerdì Santo la gente comincia a prendere un sospiro di sollievo: il Sabato Santo è l’ultimo giorno di tristezza per la Passione di Cristo; nella serata ci si recherà in chiesa per ascoltare la voce del sacerdote che, a mezzanotte, annuncerà la Resurrezione del Signore (Ανάσταση του Κυρίου). Si passerà dal tempo della tristezza e del dolore a quello della gioia, della fraternità, dello scambio di auguri e di abbracci. Verso sera, vestiti con abiti da festa o nuovi, i fedeli si recano in chiesa, non senza aver prima acquistato una o più candele. La chiesa è addobbata con foglie di alloro e di mirto, che hanno sostituito gli elementi funebri. Le luci sono volutamente fioche e i cantori si alternano nella lettura dei vangeli e degli inni religiosi (τροπάρια) durante una lunga funzione che dura fino alla mezzanotte. A questo punto il celebrante accende una striscia di lana o di stoffa e la agita in alto, annunciando ad alta voce: CRISTO È RISORTO (XΡΙΣΤΌΣ ΑΝΕΣΤΗ). Poi con questa specie di fiaccola accende le candele dei fedeli più vicini a lui, mentre si accendono tutte le luci all’interno della chiesa. Ogni fedele accende quindi la propria candela e tutti si scambiano abbracci e baci, mentre escono dalla chiesa.

Da questo momento in poi il saluto e gli auguri che ci si scambiano sono scanditi con la rituale frase “Cristo è risorto > Χριστός Ανέστη”, a cui si risponde con “veramente è risorto >αληθώς ανέστη”. Una credenza popolare afferma che se una ragazza accende la sua candela da quella di un ragazzo, i due si sposeranno entro l’anno. La funzione religiosa però non è finita. La gente, uscita dalla chiesa, si ferma sul sagrato, dove è stato approntato un palco, su cui il papàs sale con i suoi aiutanti e con le autorità locali, per completare le preghiere e per fare a tutti gli auguri di BUONA PASQUA (ΚΑΛΟ ΠΑΣΧΑ). Le campane suonano ininterrottamente a festa, mentre il cielo si illumina con fantasmagorici fuochi d’artificio.

I fedeli, con la candela accesa, ritornano a casa dove, appena giunti, fanno un segno di croce con il fumo della candela sull’architrave della porta e poi accendono il lumicino posto presso le immagini sacre o dei propri cari, lumicino che resterà acceso per tutto l’anno. È questo il momento in cui si da inizio alla tradizionale cena pasquale e alla famosa battaglia delle uova rosse. In casa si avverte il profumo dei dolci tipici della Pasqua, come i tsurekia (τσουρέκια) e quello della maghiritsa (μαγειρίτσα). Il tsureki non è altro che un pane tradizionale, dolce o salato, tipico della Pasqua, tanto che viene chiamatο anche lambropsomo (λαμπρόψωμο), che vuol dire pane di Pasqua (da Λαμπρή > Pasqua + ψωμί > pane). Nel confezionarlo viene farcito con delle uova rosse, che vengono consumate con il rituale delle altre uova rosse presenti sulla tavola. Si presenta come una brioche di notevoli dimensioni, alla quale assomiglia come sapore. Può assumere diverse forme (cerchio, treccia, ecc) ed è cosparso di semi di sesamo. Non può mancare in nessuna tavola greca nel giorno di Pasqua. A volte è usato dai bambini per offrirlo come dono pasquale ai loro padrini.

La maghiritsa è una zuppa a base di frattaglie di agnello, tagliate in striscioline sottili e cotte, insieme ad altre spezie, con salsa di avgolemono (αυγολέμονο), una salsa cremosa a base di uova e limone.

Le donne greche preparano questo piatto durante la mattina del Sabato Santo. Le frattaglie sono quelle dell’agnello che verrà  cotto al forno o alla brace la domenica di Pasqua. Dopo il periodo di astinenza della quaresima la festa di Pasqua deve cominciare con un pasto leggero, ma gustoso, quale è appunto la maghiritsa, che si consuma al rientro in casa, dopo la mezzanotte del Sabato Santo, nella quale è stata annunciata la Resurrezione (Ανάσταση). La cena di solito comincia con la tradizionale battaglia delle uova. È una specie di gioco in cui ogni commensale tiene stretto in mano il suo uovo rosso, con la punta del quale deve cercare di rompere quello del vicino. Durante il gioco si pronuncia da entrambi i partecipanti la frase rituale: Cristòs Anesti / Alithòs Anesti. Vince chi alla fine rimane solo ad avere il suo uovo ancora intatto. Si crede che il vincitore sarà fortunato per tutto il resto dell’anno. Ma il gioco è fatto per ridere, per scherzare e per creare una atmosfera di allegria in tutta la famiglia, che spesso è allargata ai parenti e agli amici più intimi.



9) Domenica di Pasqua (Το Άγιο Πάσχα)

A mezzogiorno della Domenica di Pasqua nelle chiese viene celebrato per la seconda volta il rito della Pasqua, in cui il Vangelo viene solitamente letto in dodici lingue. Questa cerimonia viene chiamata comunemente “amore” dal momento che Cristo fu crocifisso per amore degli uomini. Per questo motivo la caratteristica fondamentale di questo rito è il bacio della fraternità, che coloro che abitano nella stessa parrocchia si scambiano alla fine della S. Messa, come avviene anche durante il primo rito della Pasqua, quello della mezzanotte appena trascorsa. La Domenica di Pasqua si mangia l’agnello allo spiedo (ο οβελίας), la cui cottura assume le caratteristiche di un vero e proprio rito con gli anziani, che ancora oggi indossano i costumi tradizionali locali, e gli uomini e le donne che, seduti davanti agli spiedi disposti l’uno accanto all’altro, si alternano nella lunga fase della cottura iniziata sin dalle prime ore della mattina. I festeggiamenti si svolgono all’aperto con canti e balli e lo straniero che si trovasse eventualmente in Grecia per la ricorrenza viene ben accolto ed invitato con la classica ospitalità e cordialità greca: a nessuno è dato di passare senza che abbia la sua porzione di agnello ed un bicchiere di vino. In questo giorno le famiglie, gli amici, i vicini di casa si ritrovano fuori per il pranzo, per mangiare insieme l’agnello cotto allo spiedo. Di solito lo spiedo è manuale e lo si gira per ore passando sulla carne una foglia bagnata del tradizionale ladorigani, un mix di olio e origano. I più organizzati dispongono di un motore elettrico, che fa girare lo spiedo sostituendo la fatica manuale di uomini e donne, che tuttavia si alternano alla brace per spalmare l’agnello con la suddetta salsa Chiunque può avvicinarsi e prendere la sua porzione, bere un bicchiere di vino e scambiare gli auguri di rito: χρόνια πολλά!, Χριστός Ανέστη / αληθώς ανέστη. In tutto il paese e nelle isole, ovunque, si organizzano balli, processioni e manifestazioni folkloristiche: molto belle e particolari sono quelle di Corfù, Mégara (presso Atene), Aràchova e Livadià (presso Delfi). Le tradizioni più antiche sono conservate nell’Epiro e a Creta. Questa tradizione di mangiare l’agnello arrostito sulla brace , all’aperto, con amici o parenti vicini o lontani, fa sì che le grandi città in questo giorno sembrino vuote, deserte, perché la gente è andata fuori città, in campagna o in altre località, dove l’agnello viene arrostito anche in qualche piazza, in cui è possibile assistere alla cottura di intere batterie di spiedi e partecipare ai festeggiamenti e ai balli del posto. Fatte le dovute proporzioni, per noi italiani questo giorno potrebbe essere paragonato alla nostra Pasquetta del lunedì dopo Pasqua.

10) La settimana dopo Pasqua > Η εβδομάδα μετά το Πάσχα

Il clima di festa del periodo pasquale si protrae ancora per una settimana. Le scuole pubbliche e private sono chiuse: la vacanza per studenti e personale della scuola continuerà ancora fino alla domenica successiva. Ma in tutta la Grecia i festeggiamenti continueranno con modalità e tempi diversi, a seconda delle tradizioni locali.                              Ad esempio, a KALIMNOS nel pomeriggio del lunedì dopo Pasqua la gente si riunisce nelle piazze del porto, dove viene festeggiata la partenza dei pescatori di spugne (σφουγγαράδες) e vengono benedette le navi; il tutto accompagnato da danze e canti popolari.

A IERISSOS (Penisola Calcidica) il martedì, dopo la Messa, si da inizio alle danze. Tenendosi per mano gli abitanti formano una fila lunga 400 metri. Si balla e si cantano canzoni tipiche del periodo pasquale. Nel ballo finale viene rappresentato il massacro di 400 abitanti di Ierissos, avvenuto per mano turca durante la rivoluzione del 1821. Il ballo termina quando la fila si divide in due parti e ognuna sfila di fronte all’altra per salutarsi. A tutti vengono offerti il tipico caffè greco bollito in un grande pentolone e le tradizionali ciambelle pasquali, ovvero i famosi τσουρέκια farciti con le uova rosse. È questo un altro esempio di compenetrazione fra un elemento sicuramente laico e patriottico, come la memoria della lotta di liberazione dai Turchi, con un elemento religioso legato alle celebrazioni della Pasqua.

A MEGARA, nello stesso giorno del martedì dopo Pasqua, al termine della Messa, ogni due anni si celebrano particolari festeggiamenti locali, a cui partecipano i complessi bandistici del posto e che culminano con il tradizionale “ballo della Trata”, tipica danza dei pescatori greci, che imita il trasporto dei pesci nella rete e vuole ricordare il momento in cui gli abitanti chiesero al Pascià che venisse loro concesso di costruire una chiesetta. Il Pascià diede loro il consenso a patto che iniziassero la costruzione della chiesa di mattina e la terminassero la sera, altrimenti li avrebbe uccisi. Gli abitanti riuscirono a terminare la costruzione a mezzogiorno e la dedicarono a San Giovanni il Galileo.




Feste greche

TESTO INTEGRALE RELAZIONE DEL PROF. CARMINE PRISCO TENUTA ALL'UNIVERSITA' "MINERVA" DI CRISPIANO

Generalità


Le festività sono una componente essenziale nella vita di ogni cittadino greco. Le occasioni per festeggiare, in famiglia o con amici o semplicemente insieme con altre persone anche sconosciute, un evento, sia religioso, sia politico, sia legato a tradizioni popolari che affondano le loro radici nella storia o nella mitologia della nazione greca, sono tante e così diversificate nel tempo e nello spazio che diventa difficile individuare un qualche criterio di classificazione o di diversificazione delle varie festività che si succedono nel corso del tempo. Feste tipicamente religiose spesso assumono una connotazione anche di carattere civile o nazionalistico, per cui non risulta agevole attribuire un significato univoco e preciso ad una determinata festività. Tuttavia un tentativo di classificazione, sia pure incompleto e sicuramente non esaustivo di tutte le festività che si celebrano nella vicina Grecia, è doveroso farlo, se non altro per creare una guida, un filo conduttore che aiuti il lettore a orientarsi nella comprensione del perché, del come e del quando ha luogo una certa festa. Una prima distinzione può essere fatta tra feste civili e feste religiose, pur sapendo che stabilire il confine tra un tipo e l’altro di festività in Grecia non sempre risulta agevole, poiché spesso, come si accennava poc’anzi, le motivazioni relative al carattere religioso o civile o nazionale si sovrappongono nella celebrazione di una stessa festività. Non si può ignorare in questo contesto l’influenza della Chiesa greca ortodossa nella vita sociale, politica e culturale della nazione. Fu la Chiesa greca ortodossa durante i quattrocento anni di dominazione turca a preservare con l’istituzione di scuole segrete la lingua greca, la cultura, le tradizioni, la fede ortodossa, riuscendo a difendere e conservare attraverso i suoi insegnamenti e la liturgia l’identità del popolo greco. L’ortodossia (= giusto credo ), consolidata in seguito al cosiddetto scisma d’oriente del 1054 tra la Chiesa orientale greca e la Chiesa romana cattolica, è la religione nazionale della Grecia di oggi. Per la stragrande maggioranza dei Greci è assolutamente impensabile una separazione netta tra Chiesa e Stato, anche perché l’ortodossia, più che una istituzione, è un sentimento di appartenenza, di unione, di identità. Sulla facciata di ogni chiesa greca si possono osservare le due bandiere: quella a strisce bianche e azzurre dello Stato greco e quella su fondo giallo-oro con l’immagine dell’aquila bicipite coronata della Chiesa ortodossa greca. Nella prima, in alto a sinistra, è disegnata una croce bianca su fondo azzurro, che vuole rappresentare la devozione del popolo greco verso la Chiesa ortodossa e il riconoscimento per il suo contributo determinante nella lotta per la libertà e la costituzione della nazione greca. La presenza congiunta delle due bandiere indica chiaramente lo stretto legame tra Stato e Chiesa, che si manifesta in tantissime situazioni, tra le quali le feste, in cui spesso l’elemento religioso e quello civile si fondono in un unico evento fortemente sentito e partecipato. Da quanto precede si può affermare che nella celebrazione delle festività in Grecia non sempre appare chiara la distinzione tra motivazione religiosa e non religiosa: il prete o l’autorità religiosa è presente quasi sempre anche in manifestazioni non strettamente legate alla religione, così come nelle feste sicuramente religiose si nota la presenza dell’autorità locale amministrativa o politica. La stragrande maggioranza delle feste si basa su elementi religiosi, che tuttavia non si limitano alla celebrazione del fatto religioso in chiesa o fuori in processione, ma si esprimono in manifestazioni varie di divertimento, gioia, partecipazione, come concerti, giochi, gare sportive, fiere, sagre, ecc.

La Pasqua greca

To Πάσχα (Η Ανάσταση του Κυρίου)

La Pasqua (La Resurrezione del Signore)
La Pasqua in Grecia è la festività più importante, la più sentita. Di solito la si festeggia in famiglia, insieme con amici e parenti, che per l’occasione ritornano anche dall’estero. Gli aspetti civili di questa festa sono da ricercare nella grande importanza che assume il mistero della Resurrezione di Cristo nella fede cristiana, sia cattolica che ortodossa. Senza la Resurrezione il cristianesimo non avrebbe la sacralità, la credibilità di religione universale accettata dalla comunità dei credenti. Senza queste caratteristiche la religione cristiana esisterebbe alla stregua di tante altre religioni, senza l’autorevolezza che le deriva dalla sua storia, oltre che dai suoi insegnamenti. E se il popolo greco segue la sua Chiesa, è perché la ritiene credibile, perché ha saputo conservare e proteggere nel corso di secoli l’identità della nazione greca, perché senza la Chiesa greca non esisterebbe oggi lo Stato greco con le sue peculiarità e le sue caratteristiche. Ecco dunque spiegato il motivo della grande importanza che la nazione greca attribuisce alla Pasqua: per i Greci questa festa vuole ricordare anche la loro Resurrezione, nazionale, politica e religiosa insieme. Nessuna altra festa in Grecia assume i connotati, l’importanza e la partecipazione popolare come la festa di Pasqua. Essa non coincide quasi mai con la Pasqua cattolica, perché in Grecia per la determinazione del giorno di Pasqua si segue il calendario giuliano, mentre per la chiesa cattolica si segue quello gregoriano. Mediamente la Pasqua greca cade una settimana dopo quella cattolica, ma vi sono anche anni in cui la distanza di tempo è maggiore. A volte può anche coincidere (circa ogni quattro anni).              Tutto dipende da quando e dove (meridiano di Gerusalemme per gli ortodossi) si considera presente il primo plenilunio di primavera, poiché la Pasqua deve cadere nella prima domenica di tale plenilunio. Da un punto di vista strettamente religioso il periodo pasquale inizia già dal Sabato di Lazzaro, seguono poi la Domenica delle Palme (Κυριακή των Βαΐων), i riti della Settimana Santa ( Μεγάλη Βδομάδα) e la Domenica di Pasqua (To Άγιο Πάσχα). Vale la pena conoscere qualche dettaglio su ciò che avviene in questo periodo.

1)Il sabato          di Lazzaro(To   άββατο του Λαζάρου)


Lazzaro, il “povero” Lazzaro, è una figura molto popolare in Grecia. È il personaggio risuscitato da Gesù che, secondo credenze popolari, nella sua seconda vita non rise mai per il ricordo terrificante di quanto aveva visto nel regno dei morti. Essendo un resuscitato dal regno dei morti, il popolo considera la sua vicenda come “la prima Pasqua” e nella liturgia della Chiesa ortodossa greca è ricordato il sabato che precede la Domenica delle Palme.

In questo giorno i ragazzi girano di casa in casa cantando il “Lazzaro” e ricevendo in dono monetine e uova. Questo canto, rievocando la resurrezione di Lazzaro, anticipa e commemora in realtà passione, morte e resurrezione di Cristo.

2) La Domenica delle Palme (Κυριακή των Βαΐων)

Come è noto, in questo giorno tutti i cristiani, cattolici e ortodossi, ricordano l’ingresso trionfale di Gesù Cristo in Gerusalemme. In Grecia, come da noi del resto, tutte le chiese vengono addobbate con rami di palma o anche di altri tipi di piante (alloro, salice, mirto, ecc).

Spesso i rami e le foglie delle palme vengono intrecciate secondo varie forme e, una volta benedetti, vengono distribuiti ai fedeli, che al termine del rito li portano nelle loro case e li conservano insieme alle immagini sacre. Le palme o i rami, secondo le tradizioni locali, vengono portate in chiesa dalle giovani spose o da coppie di sposi che si sono uniti in matrimonio nell’anno. Si crede che colpendo le spose con i rami delle palme si trasmetta ad esse la forza vitale e generatrice delle loro foglie.

3) La Settimana                     Santa  CH) εγάλη Βδομάδα)

È la settimana caratterizzata dal sentimento di dolore e tristezza per la Passione di Cristo, per ΤΑ ΑΓΙΑ ΠΑΘΗ. Viene intensificato il digiuno e nelle chiese si segue la messa vespertina. Canti, musica, teatro e ogni forma di divertimento sono sospesi. Anche il lavoro deve essere ridotto al minimo, compatibilmente con le esigenze connesse ai ritmi della vita moderna, come servizi essenziali (sanità, ordine pubblico, ecc). Sono consentiti i lavori inerenti la pulizia della casa e la preparazione di tutto ciò che è necessario per celebrare al meglio la SANTA PASQUA (ΤΟ ΑΓΙΟ ΠΑΣΧΑ). A tutt’oggi la Pasqua, festa delle feste, ha una solennità particolare. Durante tutto il periodo della Grande Settimana (Μεγάλη Βδομάδα), che precede la Domenica di Resurrezione, la Chiesa ortodossa celebra ogni giorno delle lunghe liturgie nelle quali commemora con alta poesia e pathos la passione e morte del Signore. I segni e i simboli presenti sono pieni di forza e di significato. Fiori, foglie, acqua, processioni, incensazioni, canti, prosternazioni sono solo alcuni degli elementi inseriti nella liturgia che chiunque può osservare visitando una chiesa ortodossa nel periodo della Settimana Santa. Anche a livello sociale in Grecia, come in un qualunque altro paese ortodosso la Pasqua crea un’atmosfera di particolare festività paragonabile a quella che si avverte in Italia nel periodo natalizio.

4) Martedì Santo (Η Μεγάλη Τρίτη)

Il Martedì Santo le casalinghe si dedicano alla preparazione dei tipici biscotti greci chiamati kulurakia ( κουλουράκια ), che non sono altro che piccole ciambelle di pane croccante, che si consumano tutto l’anno. Possono essere dolci o salati. Quelli venduti dagli ambulanti agli angoli delle strade sono un po’ più grandi e vengono chiamati kuluria (κουλούρια). Sono aromatizzati con seme di sesamo e si mangiano come spuntino, anche in strada.



5) Mercoledì Santo ( H Μεγάλη Τετάρτη)

Continuando i lavori iniziati sin dal giorno precedente, la casa viene pulita da cima a fondo e nel pomeriggio ci si reca in chiesa per la Sacra Unzione (Το Ιερό Ευχέλαιο).In questo giorno, a seconda delle tradizioni locali, si praticano diversi riti, collegati alla atmosfera pasquale, alcuni di carattere strettamente religioso, altri basati su credenze popolari quando non su superstizioni. Ad es., in alcuni luoghi, come nel Ponto, alla benedizione che viene fatta nelle chiese si aggiunge quella fatta nelle case, dove il sacerdote si reca nel corso della giornata e benedice la casa e diversi altri oggetti, tra cui farina e sale (che serviranno per preparare il lievito dell’anno) e le uova crude, che saranno lessate e tinte di rosso il giorno dopo, il Giovedì Santo. Ad Atene il Mercoledì Santo la sacrista gira per le case impastando il pane solo con sale e farina (senza lievito). Il papàs vi appoggia sopra la Croce e l’impasto diventa più spesso, come se fosse lievitato (così la credenza popolare). Con esso sarà preparato il pane che si mangerà a Pasqua.

6) Giovedì Santo (H Μεγάλη Πέμπτη)

Con il Giovedì Santo si entra nella fase più impegnativa delle celebrazioni pasquali. Accanto alla lunga liturgia ufficiale, il cui punto centrale è la lettura o il canto dei dodici vangeli e che è praticata in tutte le chiese, vi sono riti e manifestazioni locali, connessi alle tradizioni o alle credenze delle singole comunità di fedeli di una determinata zona del paese.

Ad esempio, al monastero di Patmos nella mattinata di questo giorno si svolge una ricostruzione della lavanda dei piedi e della preghiera di Gesù nell’orto degli ulivi. Invece a sera, dopo la lettura o il canto dei dodici vangeli, si accendono fuochi per ricordare quello della casa di Caifa, dove era stato condotto Gesù dopo il suo arresto e dove era presente l’apostolo Pietro, lì entrato per scaldarsi, che per paura negò di essere uno dei seguaci del Cristo.

Si noti come la tendenza ad imitare o rappresentare la passione di Cristo è presente anche in molte zone dell’Italia meridionale e in particolare nella cosiddetta Magna Grecia ( La nostra via crucis vivente). In serata, dopo le celebrazioni liturgiche, in tutte le chiese alcune ragazze preparano l’Epitaffio con ghirlande di fiori bianchi e rossi, per essere pronto per la grande liturgia e la processione del giorno dopo, quella del Grande Venerdì Santo. L’Epitaffio nella Chiesa ortodossa è un velo sacro su cui è dipinta o ricamata l’immagine del Cristo morto e dei personaggi che, secondo le scritture, erano presenti alla sua sepoltura. La parola epitaffio (Eπιτάφιος) deriva da έπι + τάφιος e vuol dire “che sta sopra al sepolcro” Questo velo eucaristico viene posto all’interno di una specie di baldacchino considerato sacro, detto Ιερό Κουβούκλιο. Per estensione l’Epitaffio indica di regola anche il baldacchino in cui è conservato il velo. Esso vuole rappresentare la bara che accoglie il corpo di Cristo e sarà portato per le vie della città nella grande processione del Venerdì Santo. Da osservare che nella Chiesa ortodossa non sono consentite statue o sculture che possano rappresentare Divinità o figure di Santi. Le immagini riferibili a tali soggetti possono essere realizzate solo mediante pittura.

Una delle tradizioni più diffuse in tutta la Grecia nel periodo pasquale è la preparazione delle uova colorate in rosso. Una Pasqua senza uova rosse è inconcepibile per un Greco. Secondo alcuni studiosi questa usanza era praticata dagli Ebrei durante i festeggiamenti. L‘uovo in sé è simbolo della nascita, mentre il colore rosso rappresenta la vitalità. Ma vi sono anche altre diverse interpretazioni in qualche modo legate a vari momenti della passione di Cristo. Una leggenda narra come Maria Maddalena fosse andata, con altre donne, al sepolcro di Gesù. Trovandolo vuoto, corse alla casa dei discepoli annunciando la straordinaria scoperta. Pietro allora la guardò incredulo e  disse “Crederò a quello che dici solo se le uova contenute in quel cestello diverranno rosse”. E  le uova si colorarono di rosso. Questa usanza è tanto importante che il Giovedì Santo è chiamato anche “il giorno in cui si tingono le uova di rosso”. In molte zone la tradizione precisa sia il numero delle uova da colorare, sia il modo con cui decorarle. Da aggiungere che la colorazione delle uova nel periodo pasquale è una usanza diffusa in molte altre parti del mondo. Ad esempio, in Germania e in Austria si regalano uova dipinte di verde, in Armenia le uova sono dipinte con immagini di Gesù o della Madonna o con scene della Passione, nei paesi dell’Europa orientale si usano motivi stilizzati geometrici combinando il bianco con i rosso o il blu. L’uovo di cioccolata che si usa da noi non è altro che un adattamento allo specifico italico di questa usanza, anche se dolci e ciambelle contenenti uno o più uova sode erano e sono ancora presenti nei preparativi della tavola di Pasqua nelle nostre contrade. Che fine fanno queste uova colorate? Si consumeranno nella notte di Pasqua durante la cosiddetta battaglia delle uova (vedi più avanti).
7) Venerdì Santo ( Mεγάλη Παρασκευή)

Il Venerdì Santo è giorno di lutto e di dolore: la Chiesa ricorda la Passione di Gesù Cristo. La gente vive questo giorno con intensa religiosità, che traspare dai semplici comportamenti tipici della settimana santa. Al mattino si commemora la Deposizione (Aποκαθήλωση), poi nel baldacchino addobbato la sera precedente si deposita il sacro velo, il vero e proprio Epitaffio, che sarà portato in processione per le vie della città a partire dal tardo pomeriggio. Questa processione, intesa come un grandioso funerale di Cristo, vede la partecipazione delle gerarchie della Chiesa, del clero, delle autorità locali, di bande musicali, della popolazione intera che assiste lungo le strade spargendo fiori in tutto il percorso. Essa si apre con un coro che canta solennemente inni religiosi o salmi, seguito dai sacerdoti che guidano la processione funebre reggendo la croce e gli stendardi sacri. Seguono i portatori dell’Epitaffio, a loro volta seguiti dalla banda musicale che esegue marce funebri o brani comunque adatti all’atmosfera di una processione funebre ( Marcia funebre di Chopin, Adagio in sol minore di Albinoni, la Sventura di Mariani, ecc.). Subito dopo avanzano i sacerdoti cantori, il resto del clero, le portatrici di olio profumato, le cosiddette myrofores (μυροφόρες), le immagini dei Cherubini, dette exapteryga (εξαπτέρυγα), portate da bambini vestiti da sacerdoti, il corpo dei giovani boy-scouts ed infine la folla dei fedeli.
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