martedì 18 dicembre 2018

CENA SOCIALE CON TOMBOLATA A "TUTTOBUONO"

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I soci e gli “amici” all’Università del Tempo Libero e del Sapere “Minerva” si sono dati appuntamento nel ristorante “Tuttobuono” di Crispiano, non per un incontro culturale, ma per incontro gastronomico. “La cultura arricchisce sempre” è lo slogan dell’Università, ma in prossimità del Natale, anche sedersi tutti intorno a un tavolo e condividere una cena sociale e una tombolata, ha avuto la sua valenza culturale: è stata una gradita occasione di socializzazione e di consolidamento di una sincera amicizia, tra gli assidui frequentatori degli incontri settimanali e nuovi amici. Alcuni amici e collaboratori assidui erano assenti per giustificati motivi, ma presenti nel pensiero di tutti.
Negli intervalli della cena sono stati organizzati dei giri di tombola, gioco tradizionale, ma che contribuisce tanto a creare la giusta atmosfera natalizia.
Ristorante-Pizzeria "Tuttobuono"
Non sono mancati i premi per i fortunati vincitori, ma alla fine anche i non fortunati hanno ricevuto un premio di consolazione.
A sorpresa, il proprietario del ristorante, Pino Russano, che ha collaborato all’iniziativa, ha offerto, con estrazione a sorte, un buono per una cena per due persone.
Il nostro progetto è quello di offrire l’opportunità di ampliare i propri orizzonti culturali, di arricchire il bagaglio delle proprie conoscenze, con conversazioni e relazioni nell’ambito umanistico, scientifico e pratico.
A tutti, l’augurio di trascorrere un sereno periodo di feste natalizie.
Riprenderemo i nostri incontri a gennaio.
                                                                 Silvia Laddomada
 
SU MINERVA NEWS (SITO:associazioneminervacrispiano), "Il fascino, la spettacolarità del presepe" di Franco Presicci.

giovedì 6 dicembre 2018

I DONI DI DEMETRA, TRA PRATO E SOTTOBOSCO

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Nell'incontro culturale si è parlato di prodotti alimentari che la natura copiosamente e spontaneamente ci dona in questa stagione: erbe selvatiche e funghi.                               L'agronomo Cosimo Clemente ha offerto l'opportunità di imparare a conoscere queste prelibatezze, a selezionarle e a gustarle.
Non poteva mancare la notizia o la riflessione culturale, come é d'obbligo in questi incontri. I funghi sono considerati oggetti misteriosi, perché sono vegetali che non possiedono radici, né foglie, né fiori, né clorofilla. Il fungo ha sempre interessato l'uomo, fin dai tempi più remoti. Per gli Egiziani i funghi erano "erbe dell'immortalità", "figli degli Dei", mandati sulla terra attraverso i fulmini, per questo solo i Faraoni potevano mangiarli. Altre leggende si soffermano sugli effetti velenosi o allucinogeni dei funghi. Secondo una leggenda cristiana delle origini, i funghi sarebbero nati dalle briciole di pane cadute in un bosco da due pagnotte, che Gesù e san Pietro stavano mangiando mentre camminavano nella foresta. Le due pagnotte erano una bianca e una nera, le briciole cadute, dettero origine ai funghi buoni e a quelli velenosi.
Molti sono gli studi sulle proprietà dei funghi, ma resta sempre il legame con vecchie tradizioni, miti e leggende che considerano il fungo come qualcosa appartenente ad un mondo misterioso, legato a fenomeni ultraterreni e a forze sovrumane. La raccolta delle erbe spontanee commestibili é antica quanto l'umanità. All'inizio della preistoria gli uomini erano nomadi, cacciatori e raccoglitori si muovevano in cerca di cibo; molto più tardi si é passati all'allevamento e alla coltivazione, quindi non più tribù di nomadi, ma piccoli villaggi di famiglie stabilmente dimoranti in un territorio. Nei paesi industrializzati sono andate perdute molte delle tradizioni che nei secoli avevano caratterizzato popoli e culture.
Tra queste, la tradizione del saper riconoscere e cucinare le erbe selvatiche commestibili. Questa pratica é andata perduta sia per l'enorme disponibilità di cibo dovuto alla meccanizzazione delle attività agricole, sia per fatti culturali. Raccogliere erbe campestri e cibarsi di esse, venivano considerate un'abitudine dei poveri, per cui le nuove generazioni del dopoguerra non hanno voluto apprendere questo genere di sapere dei contadini. Nel corso dei secoli l'utilizzo é aumentato, purtroppo, nei periodi di carestia, segno che a questa alimentazione si ricorreva nei momenti di necessità. Oggi la ricerca scientifica ha confermato l'utilità delle erbe spontanee addirittura per la prevenzione di alcuni disturbi.
Oggi i cibi e le pratiche contadine sono percepite come più genuini, rispetto a quelli industriali; ecco perché "le verdure di campagna" tornano sui banchi dei mercati, nei menù di ristoranti di nicchia e sulle tavole di chi pratica la raccolta diretta - Vecchie erbe commestibili dalle benefiche proprietà per la salute. Attraverso la pratica della raccolta spontanea, si sperimenta il contatto diretto con la natura, si risveglia un sentimento di rispetto reverenziale per Madre Terra, che dona alimenti ai suoi figli, verdure e funghi in queste fredde stagioni.
Ci si rende conto di quanto amore la Natura é in grado di offrire, anche in piena epoca tecnologica. Madre Natura, quindi.
Non si puo' fare a meno di ritornare agli antichi miti, raccontati dai nostri antenati, in epoche remote, quando ancora non si conosceva la scrittura e i racconti venivano tramandati oralmente. Si parla di un'età mitologica, lontana, fantasiosa. Ma perché i miti? Il mito é una narrazione sacra, nasce dal bisogno dell'uomo primitivo di trovare una spiegazione a fenomeni naturali (la pioggia, il fulmine, il giorno e la notte, le stagioni) oppure dal bisogno di rispondere ai tanti interrogativi sull'esistenza e sul mondo. Racconti che prevedono l'intervento di figure antropomorfe, cioè di esseri aventi sembianze umane, ma considerati eroi, semidei, dei, esseri immortali e onnipotenti, che hanno compiuto azioni fantastiche, modificando il mondo degli uomini con il loro intervento. Abbiamo citato Demetra. Demetra ( o Cerere per i Romani) era la sorella di Zeus (Giove per i Romani), dea della fertilità dei campi. Per i Greci era la divinità che aveva insegnato agli uomini l'agricoltura, favorendone il progresso. Era la Madre Terra, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte.
Demetra e Persefone
 



















Il più importante mito legato a Demetra é la sua relazione con la bellissima figlia Persefone (Proserpina per i Romani). La giovane dea mentre giocava con alcune ninfe sulle coste della Sicilia (lago di Pergusa, oggi Siracusa) fu rapita da Ada, dio dei morti (Plutone per i Romani) e divenne la dea del mondo sotterraneo. Demetra punì le ninfe che non si erano opposte al rapimento, trasformandole in sirene, e poi, disperata cominciò ad andare in cerca della figlia perduta. La vita sulla terra si fermò, niente più raccolti, niente più fioritura, niente più stagioni, una vera carestia. Gli uomini, affamati, protestavano, alcune divinità, impietosite si rivolsero a Zeus perché convincesse Ada a restituire Persefone a sua madre. Ade però, prima di farla ritornare sulla Terra, aveva invitato Persefone a mangiare sei, sette semi di melograno, il cibo dei morti.
Così ella aveva infranto il digiuno, di regola negli Inferi, per cui Ade la costringeva a ritornare nel mondo sotterraneo, alcuni mesi all'anno, da 6 a 7, quanti i semi mangiati. Persefone uscì dagli Inferi, riabbracciò sua madre, la terra rifiorì e le piante crebbero rigogliose, ma solo per 6-7 mesi all'anno, all'inizio dell'autunno Persefone ritorna tra le ombre dell'aldilà. La terra ridiventa spoglia e infeconda, la vegetazione ingiallisce e muore. Ecco il mito che spiega la variazione delle stagioni. Cosimo Clemente ha quindi invitato i presenti a selezionare le verdure, da lui raccolte, e poi ha illustrato le loro caratteristiche, le loro virtù benefiche. Interessante poi la presentazione dei funghi, anche qui una copiosa quantità di diversi esemplari, descrivendo per ognuno forme, colori, tipi di terreno in cui nascono.                                                                Non sono mancati suggerimenti e semplici ricette per gustarli al meglio.                                               Infine, plaudendo alla disponibilità e generosità del relatore, tutti hanno portato a casa una porzione dei doni di Demetra.
                                                                     Silvia Laddomada

SUL SITO MINERVA NEWS - "I TUMORI DELLA MAMMELLA" DI ALDO CAPOZZA.

sabato 1 dicembre 2018

“Tumore della mammella – prevenzione, cura e aspetti psicologici”

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Questo il tema dell’incontro settimanale dell’Università “Minerva”, organizzato in collaborazione con l’Ambulatorio specialistico “Crispiano Medical Center (C.M.C.) di Tiziano Solito.

Laddomada-Capozza-Arena



Relatore il dott. Aldo Capozza, medico specialista

Chirurgia generale, Senologia e Malattie dell’apparato

digerente.

Laureato a Pisa, specializzato in Senologia a Modena, 

Capozza ha lavorato, come chirurgo, agli ospedali di 

Taranto e di Martina. 

Ora a Crispiano, presterà, presso il C.M.C., la sua

opera di Senologo.




(Silvia Laddomada) - “Mi auguro che questo incontro sia a voi gradito, nonostante la modesta sala, sia per la ricchezza delle informazioni che metteremo tutti nello zaino, sia per la soddisfazione di ascoltare un relatore che, vi assicuro, saprà conquistare l’attenzione e la fiducia di tutti.

Tiziano Solito-Laddomada-Capozza-Arena
Un medico specialista competente, che ha fatto della sua vita una missione, con un brillante percorso professionale. Siamo qui questa sera grazie alla generosa disponibilità dell’ambulatorio specialistico C.M.C. di Tiziano Solito, che ha sponsorizzato questa meritevole iniziativa. Il dott. Aldo Capozza ha cominciato proprio a Crispiano la sua esperienza di medico e dopo 45 anni, in vista ormai del suo collocamento a riposo, tornerà a Crispiano con un ambizioso progetto: promuovere a largo raggio l’informazione medico-scientifica e sensibilizzare ad una maggiore attenzione alla prevenzione e alla cura delle patologie. Una scelta che ci fa sentire orgogliosi, come crispianesi e come promotori dell’Università del Tempo Libero e del Sapere “Minerva”. Tutti i cittadini hanno diritto a ricevere le migliori cure, sempre e in ogni parte d’Italia. Diritto che, con la grossa crisi di organico che stanno vivendo le strutture sanitarie pubbliche, è a grave rischio. Ben venga quindi una formazione personale basata su conoscenze certe, in alternativa a tante forme di conoscenze ingannevoli che passano attraverso i social e che generano pregiudizi deleteri per il benessere psico-fisico individuale. Oggi che statisticamente la vita si è allungata, occorre garantire un corretto miglioramento del proprio stile e assicurare “più vita agli anni”. 
Silvia Laddomada-Aldo Capozza-Anna Arena
Io come direttrice dell’Università “Minerva” esprimo ufficialmente la gratitudine di tutti noi per il sostegno del C.M.C. e per la collaborazione che il dott. Capozza avvierà con noi. Sarà un valore aggiunto all’attività iniziata 4 anni fa, con incontri culturali e formativi settimanali in cui sono state trattate tematiche letterarie, storiche, giuridiche, artistiche, informatiche, religiose e sanitarie. In questo anno accademico siamo ben lieti di avviare uno specifico percorso medico sanitario, a scadenza mensile, che vedrà alla regia il dott. Capozza e come attori protagonisti medici di varie specializzazioni, ma anche oratori di indiscussa referenzialità. Il dott. Capozza, come sappiamo, ci parlerà del male del secolo, con una delicatezza e naturalezza come lui sa fare, e concluderemo con l’intervento della psicoterapeuta dott.ssa Anna Arena, valido supporto nella cura della patologia e nel sostegno a chi ha a cuore la salute dei proprio cari. Grazie”.

Davanti ad una sala gremita di ospiti, anche provenienti dalla provincia, il dott. Capozza ha esordito salutando il suo maestro dott. Pasquale Bruno, ha ringraziato tutti i presenti ed ha ricordato la memoria di Uccio Capani e Enzo Rinaldi (zio Enzo), amici degli anni di inizio carriera a Crispiano. Ha poi introdotto il tema della serata affermando che il tumore è la patologia del secolo, che può colpire a qualsiasi età; c’è senz’altro una predisposizione famigliare, ma è necessaria la prevenzione, che passa attraverso la conoscenza e l’attuazione di un corretto stile di vita, per evitare che la patologia degeneri e poi si affronti il difficile viaggio della speranza, non condiviso dal relatore. “Veronesi ha detto che abbiamo sconfitto il cancro, io non voglio smentirlo, ma ciò è possibile solo se le cose vengono fatte per bene e da persone esperte”.
Intanto bisogna ricordare che i più comuni fattori di rischio sono: alcol, fumo, vita sedentaria, obesità, eccesso di insulina, pillola anticoncezionale, prima mestruazione al di sotto dei 12 anni, assenza di gravidanza, alimentazione scorretta (preferibile quella mediterranea). E’ utile anche correggere alcune abitudini: niente cosmetici, deodoranti, profumi, basta un semplice sapone neutro per lavarsi; la biancheria intima da preferirsi è in cotone bianco. Ma ovviamente “il troppo stroppia”, quindi se ci si alimenta con moderazione, ci si può concedere sempre qualche soddisfazione gastronomica, o qualche capo di abbigliamento intimo più colorato e civettuolo. E’ molto utile l’attività fisica, non necessariamente in palestra, è molto salutare un giro in bicicletta all’aria aperta, o una piacevole passeggiata: 5000 passi al giorno sono sufficienti. Prevenzione è anche rapporto di fiducia col medico. Già intorno ai 30 anni, la donna deve fare una visita senologica, prima di avvertire qualche sintomo. Spetta al senologo correggere lo stile di vita della paziente, dando semplici consigli, e indirizzandola verso una mammografia annuale e, quando è necessario, ricorrere alla risonanza magnetica e alla microistologia, per conoscere il tipo di displasia da cui la donna è stata colpita. Avuta la diagnosi, senologo e oncologo devono insieme studiare il caso e, se necessario, procedere con l’intervento.
Intervento del Cons. regionale Renato Perrini
Il dott. Capozza si è dichiarato contrario alla mutilazione completa della mammella. Un “medico esperto”, che si impegna a “fare le cose per bene”, si avvale dell’evoluzione della terapia chirurgica e procede con la quadrantectomia, cioè il taglio interessa solo un quadrante della mammella, e attua subito la ricostituzione del seno. “Personalmente – ha detto il dottore – ritengo di ridurre il danno il meno possibile, al fine di non mortificare la donna, colpita nel suo io due volte: la malattia e la mutilazione. Ritengo che in questi casi il medico non debba trincerarsi dietro un camice bianco, ma debba seguire h24 la propria paziente, instaurare con lei un rapporto di fiducia e di amicizia, che vada al di là della sala operatoria e della struttura ospedaliera, perché la donna deve capire che nulla è cambiato nella sua vita famigliare e di coppia. E’ necessaria quindi la vicinanza dei medici, anche nel cammino di ripresa, affinché la terapia post-operatoria sia seguita scrupolosamente. La serietà e la sensibilità del comportamento del personale medico, la prevenzione, il tempestivo intervento hanno portato all’85% la percentuale della sopravvivenza post-operatoria”. Il dott. Capozza ritiene però necessario anche un supporto psicologico per la donna e per le persone a lei care.
La Psicoterapeuta Anna Arena
E’ quindi intervenuta la dottoressa Anna Arena, psicoterapeuta cognitivo comportamentale, che ha posto all’attenzione dei presenti i complessi meccanismi emotivi che si manifestano nel comportamento della donna, che ha visto sconvolta la propria salute e menomata la sua femminilità. C’è in tutte uno stato di disorientamento – ha detto la dottoressa – una confusione, un’angoscia, un’ansia, ma anche tanta tristezza per ciò che ha subìto e a volte tanta rabbia per l’ingiustizia: “accade proprio a me?”, come se le cose brutte dovessero accadere solo agli altri. C’è poi la donna capace di superare lo shock emotivo, capace di gestire le emozioni negative, protegge dal dolore le persone care, è portata a negare, o almeno a evitare di parlare di sé e della sua condizione. In entrambi i casi il livello emotivo è alto: occorre prenderla per mano, sia quando si rassegna passivamente, credendo di essere impotente e dipendere sempre dagli altri, sia quando cerca di essere combattiva, di aiutarsi da sola. Bisogna capire che la mutilazione, parziale o totale, provoca comunque un cambiamento nella donna, sia fisico che psichico: la perdita dei capelli la mortifica, la porta alla perdita del senso di sé, al disgusto per il proprio corpo, alla vergogna, all’ansia, alla depressione. Con l’aiuto di figure di supporto, la donna deve imparare a gestire le emozioni negative, ad accettare le paure, le ansie, a superarle e andare avanti. 

L'Assessore Aurora Bagnalasta
Anche il partner, in queste situazioni, ha bisogno di supporto psicologico. Può succedere che il cambiamento fisico della donna non venga accettato, per cui si crea un circolo vizioso, pericoloso per la vita di coppia. Infatti la donna è portata ad esprimere facilmente le emozioni negative, l’uomo è più propenso a sfuggirle, questo può influire nella donna, che si sentirà incompresa e tenderà ad esprimere più visibilmente le sue paure, mentre l’uomo sembrerà sempre più lontano. La soluzione è quella di imparare, con l’aiuto di esperti psicologici, ad affrontare insieme la malattia, a superare il disagio e ricomporre l’armonia famigliare. Erano presenti all’incontro l’Assessore comunale alla Cultura e ai Servizi Sociali Aurora Bagnalasta e il Consigliere regionale Renato Perrini, che ha ricordato il suo impegno per le strutture ospedaliere e in particolare per rafforzare il ruolo di polo oncologico dell’Ospedale Moscati (Ospedale nord), auspicando anche la presenza, in tutti i servizi pubblici sanitari, di professionisti psicologi.


lunedì 26 novembre 2018

LETTURA ATTIVA: Madame Bovary di Gustave Flaubert

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Madame Bovary si colloca in un momento particolare della cultura del 1800.


Il romanzo viene pubblicato nel 1857 (stesso anno della pubblicazione dei “Fiori del Male” di Baudelaire). La cultura romantica era in crisi, erano in crisi gli ideali, le virtù, i valori assoluti.

Stava nascendo un nuovo movimento: il Positivismo, che nella narrativa (Naturalismo e Verismo italiano) si proponeva la descrizione realistica di un ambiente e l’oggettività scientifica dell’indagine psicologica dei personaggi.

La scienza era il motore del progresso della società e il metodo scientifico doveva essere esteso a tutti i campi del sapere, anche all’arte e alla narrativa.

Quindi il romanzo di Flaubert rivelò subito il suo carattere innovativo e antiromantico. L’ambiente decritto minuziosamente, la realtà quotidiana fatta di particolari, di oggetti, di gesti.

Da questa realtà emerge la psicologia dei personaggi, in particolare i sogni e le fantasie della protagonista, Emma Bovary.

Attraverso la descrizione del reale, l’autore fa emergere lo spazio interiore dei personaggi.

La pubblicazione di “Madame Bovary” costò allo scrittore un processo per “offese alla morale pubblica e religiosa”, da cui però fu assolto.

Era il primo caso di censura di un’opera letteraria da parte dell’autorità; sotto accusa era l’adulterio della protagonista e soprattutto l’atteggiamento del narratore, che non interveniva con opportuni giudizi di condanna. Al contrario, sembrava giustificare la condotta del personaggio.

La vicenda, che occupò anche le pagine dei giornali, contribuì alla popolarità dell’autore; la critica letteraria si divise nel giudizio sull’opera, ma ben presto arrivarono i riconoscimenti.

L’opera apriva la strada a quasi tutte le esperienze narrative di fine Ottocento.

In realtà siamo difronte ad un modo oggettivo di raccontare, e questa è la novità. Personaggi, situazioni non sono presentati, interpretati e commentati dall’autore. Egli non lascia trasparire la sua visione del mondo e della vita. Le vicende vivono “da sole”, grazie alla precisione, all’efficacia del linguaggio. La scelta di un narratore che non interviene, che si limita a registrare con fedeltà quanto accade, è un aspetto decisivo del realismo di Flaubert che egli stesso ha teorizzato, indicandolo come atteggiamento di “impersonalità del narratore”. I fatti vengono raccontati attraverso i sentimenti, gli occhi, le sensazioni della protagonista.

“L’artista nella sua creazione deve essere come Dio nella creazione, sì che ovunque lo si senta, ma non lo si veda. E’ tempo di dare all’arte la precisione delle scienze fisiche”, dice Flaubert.

L’opera è un’analisi fredda della vanità e della dissoluzione della vita borghese, colta da Flaubert nei suoi aspetti più desolanti e meschini, e descritta come una condizione immodificabile, da cui è impossibile uscire.

La critica alla società borghese, la denuncia delle sue convenzioni, della sua ipocrisia, sono condotte con assoluta assenza di partecipazione alla vicenda, che sottolineano ancora di più l’interesse di denuncia feroce.

La protagonista è una signora di provincia che mal sopporta il succedersi regolare della vita quotidiana e ne sogna l’evasione, ma non è capace di andare al di là del sogno, dell’immaginazione.

Si scontrano la realtà degradata e volgare del mondo borghese e l’aspirazione a un mondo superiore che, per Flaubert, non è un valore autentico, ma al contrario, è il desiderio sempre frustrato di qualche altra cosa, destinato a non soddisfarsi mai.

Agli occhi della protagonista, questo scontro con la realtà sempre più insignificante e volgare è la causa di una sofferenza, di una insoddisfazione lacerante, quella che la porta alle fantasticherie, alle letture solitarie, infine all’adulterio, da cui spera la liberazione dalla noia del matrimonio e della provincia, al suicidio finale di fronte al fallimento di quello che aveva creduto il vero scopo della sua vita.

Col successo del romanzo, si diffuse anche un neologismo (una parola nuova): il bovarismo, la malattia di Emma, ovvero il conflitto insanabile tra una vita ideale, costruita sui libri e sui sogni, e la grigia verità del quotidiano, che approda alla scoperta della noia e del vuoto dell’esistenza. Il bovarismo è, in pratica, l’eterno conflitto tra la banalità della vita quotidiana e i sogni e le ambizioni di ciascuno di noi.


..." Alle tre, cominciò il ballo figurato con sorprese.9 Emma non sapeva ballare il valzer:10 tutti lo ballavano, anche la signorina d’Andervilliers e la Marchesa; erano rimasti soltanto gli ospiti del castello, circa una dozzina di persone. Uno dei ballerini, tuttavia, che tutti chiamavano familiarmente Visconte, con un panciotto molto aperto che sembrava modellato sul petto, andò una seconda volta a invitare la signora Bovary, assicurandola che l’avrebbe guidata e che se la sarebbe cavata bene.
Cominciarono pian piano, poi andarono più in fretta. Giravano: tutto girava attorno a loro, le lampade, i mobili, le pareti e il pavimento, come un disco su un perno. Nel passare vicino alle porte, la gonna d’ Emma s’avvolgeva ai calzoni di lui; le gambe entravano le une nelle altre; egli abbassava lo sguardo verso di lei, ella lo alzava verso di lui; si sentiva presa da un torpore, e si fermò. Ripresero, e, con un movimento più rapido, il Visconte, trascinandola, disparve con lei sino in fondo alla galleria, dove, ansimante, ella fu lì lì per cadere, tanto che, per un attimo, gli appoggiò la testa sul petto. Poi, girando sempre, ma più lentamente, egli la ricondusse a sedere; ella si arrovesciò contro la parete, parandosi gli occhi con la mano.


Quando li riaprì, una dama, seduta su uno sgabello in mezzo al salone, aveva dinanzi tre ballerini inginocchiati: scelse il Visconte e il violino riprese.
Tutti li guardavano: passavano e ripassavano, ella con il corpo immobile e il mento abbassato, ed egli sempre nella stessa posa, il corpo eretto, il gomito arrotondato, la bocca sporgente. Quella sì che sapeva ballare il valzer! Continuarono a lungo, e stancarono tutti gli altri.
Si chiacchierò ancora per qualche minuto, e, dopo gli addii o, piuttosto, il buon giorno, gli ospiti del castello andarono a coricarsi.
Charles saliva, aggrappandosi alla ringhiera, con le ginocchia che gli s’insaccavano nel corpo. Era stato, per cinque ore di seguito, in piedi davanti alle tavole da gioco, guardando giocare a whist, senza capirci nulla. Quando pertanto poté levarsi le scarpe, emise un gran sospiro di soddisfazione.
Emma si buttò uno scialletto sulle spalle, aprì la finestra e s’affacciò….

9. ballo figurato con sorprese: danza con la quale si concludeva spesso il ballo e che consisteva in una danza figura inframmezzata da scene mimate.10. valzer: era, all’epoca, considerato più audace delle altre danze, in quanto il cavaliere sorregge la dama cingendole la vita. Emma, più provinciale della sua ospite, non lo sa ancora ballare.



... La signora Bovary, con la schiena voltata, teneva il viso appoggiato contro un vetro; Léon aveva il berretto in mano, e se lo batteva leggermente contro la coscia. «Sta per piovere,» disse Emma. «Ho il mantello,» rispose lui. «Ah!» Ella si voltò, col mento abbassato e la fronte in avanti. La luce vi scivolava come su un marmo, fino alla curva delle sopracciglia, senza che si potesse arguire che cosa Emma guardasse all’orizzonte, né che cosa pensasse entro di sé. «Allora, addio!» sospirò Léon. Ella rialzò il capo con un movimento brusco: «Sì, addio... andatevene!» Si avvicinarono l’uno all’altra: egli tese la mano, lei esitò. «All’inglese, dunque» disse ella, abbandonandogli la propria e sforzandosi di ridere. Léon la sentì tra le dita, e la sostanza stessa di tutto il proprio essere gli parve discendesse in quel palmo umido. ' Poi aprì la mano: gli occhi s’incontrarono, ed egli scomparve. …


.... Rodolphe non si voltava. Ella lo rincorse, e, chinandosi sulla sponda, tra i cespugli: «A domani!» esclamò. Egli era già di là dal fiume, e camminava rapido per la prateria. Dopo alcuni minuti, Rodolphe si fermò, e, quando la vide nell’abito bianco svanire a poco a poco nell’ombra come un fantasma, ebbe una tale palpitazione di cuore, che si appoggiò a un albero per non cadere. «Che imbecille sono!» esclamò, spaventosamente bestemmiando. «Non conta: era un’amante squisita!»
E, subito, la bellezza d’Emma, con tutti i piaceri di quell’amore, gli riapparvero. Dapprima s’intenerì, poi si ribellò contro di lei. «Ma certo! È proprio così!» esclamava gesticolando; «espatriare, caricarmi di una bambina, non posso di sicuro, io!» Si diceva queste cose per farsi più forza. » «E le complicazioni, poi, la spesa... Ah! no? no, mille volte no! sarebbe una bestialità madornale.»


Su "Minerva News"  (icona con libro aperto) "Un fotografo avido di luce"

martedì 20 novembre 2018

CENTENARIO PRIMA GUERRA MONDIALE - "Pagine di Storia..."

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  MIO NONNO (Piero Sicuro) di Carosino

      Pensiero della Nipote Piera Zaccaria (a destra il marito Cosimo Clemente)
    



Foto, Cartolina e medaglie di Piero Sicuro(Coll. Clemente)




Croce di guerra e attestato di Piero Sicuro

Regio Decreto rilasciato a Piero Sicuro

                                                                      LA RELAZIONE

La relatrice prof.ssa Silvia Laddomada

Dopo il racconto dei fatti storici, con focalizzazione sulle vicende italiane, nella seconda parte sono stati letti documenti e discorsi relativi alla posizione dell’Italia, sia di esponenti politici neutralisti che intervenisti , come Giolitti, Salandra, Papini.

“…..Io avevo la convinzione che la guerra sarebbe stata lunghissima, perché si trattava di debellare i due imperi militarmente più organizzati del mondo…. Una guerra lunga avrebbe richiesto colossali sacrifici finanziari, specialmente gravi e rovinosi per un Paese come il nostro, ancora scarso di capitali e con molti bisogni...Atteso l’enorme interesse dell’Austria di evitare la guerra con l’Italia, e la piccola parte che rappresentavano gli italiani irredenti in un impero di cinquantadue milioni di popolazione,si avevano le maggiori probabilità che trattative bene condotte finissero per portare all’accordo...” (Giovanni Giolitti)

“….La gran maggioranza della popolazione, sparsa per casolari, o aggruppata in piccoli aggregati di casa, dedita al lavoro dei campi o alla pastorizia, ha scarsissima cultura; ha una coscienza politica rudimentale; ed è ignara dei superiori interessi e dei grandi ideali della nazione. Concepisce perciò la guerra come un malanno simile alla siccità, alla carestia, alla peste… La gran massa della popolazione è quasi tutta avversa a ogni specie di guerra: la moltitudine desidera la pace...” (Antonio Salandra).

“… Noi cattolici siamo per la neutralità e crediamo sia un delitto contro la Patria quello di gonfiare la portata dei nostri interessi lesi, al solo scopo di spingere il Paese in avventure da cui non potrebbe ritrarre che sventure nuove e nuove rovine...” (Osservatore romano)

“...Compagni, non è più tempo di parlare, ma di fare. Se l’incitare alla violenza i cittadini è considerato come crimine, io mi vanterò di questo crimine. Ogni eccesso della forza è lecito, se vale a impedire che la Patria si perda...” (Gabriele D’Annunzio).

“...Dei malvagi e degli idioti non mi curo. Restino nel loro fango i primi, crepino nella loro nullità intellettuale gli ultimi. A voi, giovani d’Italia, io lancio il mio grido augurale, sicuro che avrà nelle vostre file una vasta risonanza di echi e di simpatie….. Oggi una parola paurosa e fascinatrice:guerra!...” (Benito Mussolini)

“…. Ci voleva, alfine un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto; e una rossa svinatura per la vendemmia di settembre….. Siamo troppi. La guerra… fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutare la vita… Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura: La guerra è spaventosa, e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruttrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi… (Giovanni Papini)


Ci si è poi soffermati sulla sofferenza del “fante” e sulla dura vita in trincea. Sono stati trasmessi alcuni video storici di archivio e sono stati ascoltate canzoni di guerra di orchestre e di gruppi alpini.
Il prof. Pietro Speziale
Molto significativo il contributo dell’amico Pietro Speziale, che ha letto alcune poesie sulla Guerra scritte dal Maestro Giovanni Luigi Casavola e alcune pagine del diario di guerra del concittadino Michele De Lucreziis (nato il 19 ottobre 1885, morto sul campo, colpito da una pallottola nemica, sul Monte Pasubio il 16 novembre 1917). 

Tra gli interventi è stata molto gradita la lettura di una poesia, dedicata al nonno, da parte di una socia dell’Università, Piera Zaccaria, la quale ha anche fatto visionare a tutti i presenti le medaglie ed i relativi decreti di riconoscimento assegnati al nonno.
Il prof. Carmine Prisco ha letto alcuni canti di guerra, la signora Nadia Bumbi ha letto alcune pagine del romanzo “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu e il poeta Giacomo Salvemini ha letto alcune poesie di Giuseppe Ungaretti e di Andrea Zanzotto.
A conclusione tutti i presenti hanno intonato la “Leggenda del Piave” mentre su un’asta oscillava la bandiera italiana.
Il prof. Carmine Prisco
Soci dell'Università

IL FANTE E LA TRINCEA

In trincea la vita scorreva con una monotonia insopportabile, interrotta solo dal grido che tutti temevano, lanciato a giorni alterni dagli ufficiali dell’uno o dell’altro schieramento:”All’attacco!”. Questo grido era il segnale dell’assalto alla baionetta, un rito tanto inutile quanto sanguinoso, che falciava ogni giorno centinaia di vite umane…..
Lettura di Nadia Bumbi
Lettura di Giacomo Salvemini

Soci dell'Università
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La fanteria doveva arrampicarsi lungo le pareti del fossato, salire allo scoperto e gettarsi contro le protezioni di fili spinato delle trincee nemiche, sotto il fuoco di sbarramento delle mitragliatrici. Quelli che non restavano impigliati tra i fili spinati e non venivano colpiti dovevano gettarsi nei fossati nemici e colpirne i difensori con la baionetta, ingaggiando una lotta corpo a corpo. Se superavano gli avversari delle prime file, dovevano subire il contrattacco delle seconde e terze file che in genere ricacciavano i superstiti nella posizione di partenza.
Così milioni di soldati morirono giorno dopo giorni nel corso di quattro (o cinque) lunghissimi anni.
Nelle trincee i fanti vivevano in condizioni prive di igiene, senza potersi mai lavare né cambiare. Erano esposti al caldo, al freddo, alla pioggia, al vento e al bombardamento dell’artiglieria avversaria.

Rimanere feriti o ammalarsi non era una bella esperienza, anche se, verso la fine della guerra, divenne la speranza di tutti, perché era l’unico modo per essere allontanati dalla trincea. Chiunque venisse ferito, doveva aspettare la notte, per essere prelevato dai barellieri, i quali dovevano attraversare “la terra di nessuno”, col rischio che qualcuno sparasse. Molti, purtroppo, che si sarebbero potuti salvare, morirono dissanguati. Da considerare anche la frustrazione dei chirurghi: molti feriti, rimasti nel fango, contraevano il tetano, e non c’era modo di salvarli.
Un altro nemico del fante in trincea erano i pidocchi. Li avevano tutti, sebbene si rapassero i capelli, ma spesso questi insetti non si limitavano a procurare prurito, ma generavano il tifo, una malattia che a quei tempi aveva un esito quasi sempre mortale.
Infine c’era lo stato di shock, una malattia psichica sconosciuta che derivava dal panico e dall’orrore per ciò che si era visto; chi ne era colpito ( lo “scemo di guerra”) era completamente disorientato, sordo agli ordini, a volte paralizzato. Molti ufficiali lo scambiavano per vigliaccheria e si
rifiutavano di far ricoverare chi ne era colpito. In molti fanti lo stato di shock era diventato una condizione permanente; vivevano in una totale indifferenza; non reagivano agli ordini e, quando veniva lanciato l’attacco, restavano fermi nelle trincee, sebbene la pena per questo comportamento fosse la fucilazione.
Dopo anni di trincea i fanti presentavano quei sintomi che i generali usavano definire “morale basso delle truppe”. Molti tentavano la diserzione, altri ricorsero alle automutilazioni, in molti casi ci fu l’ammutinamento di interi reparti.
Comunicato del gen. Cadorna: ”….Ricordo che non vi è altro mezzo idoneo per reprimere reati collettivi che quello di fucilare immediatamente i maggiori colpevoli e, allorché l’accertamento delle identità personali dei responsabili non è possibile, rimane ai comandanti il diritto e il dovere di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte...”(provvedimento della decimazione).

Dal "Diario di Guerra" di Michele De Lucreziis (cittadino crispianese a cui è stata intitolata una via).

"29.8.1917 - Il Primo battaglione del 157 Fanteria, mantiene quel tratto di linea che va dal Dente al Corno del Pasubio, la 3a compagnia ha il cosiddetto Cappello del Carabiniere, un cucuzzolo con due vallette laterali, nella Val Caprara, una facile via d'accesso pel nemico che tentasse di venire in forze, per cui è posizione da difendere fino all'ultimo uomo e vi sono i reticolati da gettare nei camminamenti perchè nessuno esca dalla trincea, ed il servizio vi è rigoroso specie di notte. Non mi pareva vero di trovarmi così vicino al nemico il quale nella notte si sentiva lavorare sul suo Dente e da esso rotolava giù detriti e ciottoli tolti a qualche galleria che andava scavando nell'interno. E mi davano un senso di misteriosa stranezza quelle vedette riparate dietro un mucchio di sassi e incappucciate, con l'occhio a scrutare nel buio o nella nebbia dinanzi e con l'orecchio teso a tutti i rumori; la parola d'ordine da esse richiesta al passaggio di chiunque, e poi nella galleria del corpo di guardia quei visi di soldati insonniti rischiarati da una lucerna fioca, alcuni sonnecchiavano seduti, altri fumavano, qualcuno chiacchierava con stanchezza, mentre dei minatori nel fondo della caverna facevano sentire i colpi monotoni e cadenzati del piccone. Veniva poi il giorno, si usciva all'imbocco della caverna a vedere il cielo e godere un po'
 di sole; verso mezzogiorno portavano da mangiare in una cesta per me e per l'altro aspirante con cui ero in servizio, e si pranzava in fondo alla galleria dove i minatori avevano smesso di lavorare in una specie di nicchia di circa un metro cubo seduti su delle casse vuote di bombe e rischiarati da una lucerna fatta con una bomba Sipe vuota. Eravamo dunque ritornati all'età della pietra, fra i trogloditi! Ma perchè ci si trovava in quella caverna? E, come mai si era balzati d'un tratto tanti secoli indietro? Tutto mi pareva stranezza e mistero, e avevo delle sensazioni nuove come se fossi rinato ad un'altra vita, in altra epoca remotissima, fra una generazione ancora molto primitiva".


*Da "Giovanni Casavola e la sua Poesia" di Pietro Speziale 


Riscossa

Sorgi, o Italia, ai tumulti cruenti

    che il tuo fato novello t'impose,

    fra le gare di libere genti,

    coronata dall'Alpi nevose,

    sorgi e salpa coll'anima altera

    sul tuo mar che fremente ti serra:

    nel fragor de la vindice guerra

    la tua Stella a brillare tornò!

 ......



Vittoria

 ......

Fummo divisi e deboli,

    l'amor ci unì più saldi:

    dal Piave i fanti balzano

    col cor di Garibaldi...



Fuor dall'Italia, o barbari!

    sul sacro suol risuona,

    la baionetta luccica,

    oltre il Danubio sprona.


......


* Giovanni Casavola, padre di "don Manlio", fu Maestro, Segretario comunale, Esperto in materia giuridica, economica ed amministrativa. Morì il 27 marzo del 1932, all'età di 72 anni.


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