mercoledì 27 maggio 2020

IL VALORE DELLA LIBERTA’ E DEL LIMITE

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Relatrice Silvia LADDOMADA


Vorrei rivolgere oggi un invito a riflettere su alcune emozioni che abbiamo vissuto in questi ultimi tre mesi, e su alcune consapevolezze che abbiamo acquisito. Siamo nella fase 2, diciamo.
Le raccomandazioni alla prudenza sono sprecate. Lo vediamo, in giro c’è gente che non rispetta le norme elementari, c’è chi sostiene che è stata tutta una farsa, che non c’è niente da temere.
Ci vuole davvero del coraggio, per sostenere queste idee.
La vita deve riprendere, è vero. Pensiamo ai disagi economici di molte categorie di lavoratori e lavoratrici. Si teme che se non siamo morti di coronavirus, potrebbe accadere che si debba morire di inedia, di fame. E questo è molto pericoloso, per le conseguenze sociali che ne deriverebbero.
Ricordate la canzone di Rita Pavone, “La pappa col pomodoro”? Ad un certo punto diceva “ La storia del passato ormai ce l’ha insegnato, che un popolo affamato fa la rivoluzion”. Ma non è di questo che dobbiamo parlare stasera.
Io condivido l’idea che ora si debba non riprendere, ma rinascere, dando importanza a tutto quello che nobilita la nostra umanità. Il dott. Lazzaro, riferendo un racconto del libro “Il cammino dell’uomo” di Martin Buber, ha detto che un giorno Dio va nel giardino e chiede “Uomo dove sei? A che punto sei nella tua vita?"
Bene, lo scopo è quello di far emergere quelle forze latenti insite in noi, quella carica di umanità che ci porta verso l’altro e verso l’alto.
Ritorniamo indietro col pensiero, rivediamo noi e la nostra vita alla fine di febbraio. Pensavamo che i nemici capaci di disturbare la nostra vita fossero l’immigrazione, la recessione, l’inquinamento, il terrorismo. Invece siamo stati costretti ad affrontare un nemico invisibile e terribile: un microorganismo, un virus, il coronavirus, che ha bruscamente trasformato la nostra quotidianità. La metafora bellica si è imposta rapidamente: è guerra?, non è guerra? Stranamente, però, a differenza di quanto accade in un conflitto armato, la nostra umanità si è manifestata con gesti di solidarietà e fratellanza. Di fronte alle devastazioni, al contagio che dilagava, che sorpassava confini regionali, e poi nazionali, e poi continentali, questa morte con la falce a tracolla, dalle fattezze medievali che seminava terrore a livello planetario, abbiamo capito che eravamo tutti uguali, non esistevano più confini, muri, eravamo noi, essere umani, ad affrontare nella stessa barca un’emergenza sanitaria epocale, un mare tempestoso con una riva sempre più lontana.
Abbiamo scoperto di essere capaci di un raccoglimento stretto, inusuale, che ci obbligava a unirci ai pensieri e ai sentimenti di tutti.
La vita improvvisamente è rimasta sospesa. Uno, due, tre...stella, tutti fermi, ricordate il gioco dei bambini?
Sono rimasti sospesi i progetti che avevamo in cantiere prima della crisi, è rimasta sospesa la nostra capacità di fare progetti nuovi. Noi, gente stanca, occupata, frettolosa, senza pazienza, con una vita che correva come un fiume, senza mai incontrare intralci, abbiamo improvvisamente capito che gli intralci fanno parte della vita. Ci è mancato improvvisamente quello che prima avvertivamo come dispersivo e travolgente: la frenesia degli spostamenti, la molteplicità dei contatti, degli incontri. Siamo stati costretti a vedere la vita da un divano. Prima poteva essere una prospettiva desiderabile, poi ci è sembrata una condanna senza appello. Improvvisamente l’imperativo categorico è stato: «io resto a casa». Sono venute meno le relazioni di affetto, di amicizia, di conoscenza. Preclusi gli incontri, le passeggiate, niente visita a genitori, a figli, a coniugi lontani. Niente bar, niente cinema, niente teatro, palestra, ipermercato, sport. Una semplice uscita è stata condannata come possibile, involontario pericolo di contagio. Le piazze sono diventate vuote e surreali, le città sembravano spettrali. Tutto era deserto. E’ stato drammatico quando il virus ci ha impedito di andare a mostrare l’affetto per chi era ammalato, affidandoci alle cure eroiche degli operatori sanitari. Nessuna possibilità di accompagnare i propri cari che hanno lasciato questo mondo. Per loro solo una veloce benedizione religiosa.
Questa pestilenza, che camminava invisibile di giorno e di notte, ci ha chiesto di non toccarci, di non stringerci la mano, di restare lontani gli uni dagli altri. Ma anche queste precauzioni non sempre sono bastate a rassicurarci. A seconda delle notizie ascoltate dai mass media, e a seconda del nostro stato d’animo, abbiamo sperato, ci siamo disperati, siamo stati fatalisti.
L’indeterminatezza temporale, il non sapere quando sarebbe finita l’emergenza, ha creato una specie di spaesamento.
Abbiamo dovuto imparare ad auto strutturare il tempo, che di solito è scandito dall’esterno.
Eppure in questo essere sospesi tra obbligata solitudine e desiderata socializzazione, in questo restare a casa, abbiamo sentito molto il bisogno di essere parte di un’unica realtà di relazioni.
Ci siamo preoccupati della salute degli altri e dei risvolti di un’emergenza sanitaria planetaria.
Il telefono e la rete sono stati gli strumenti che ci hanno permesso di tenere vive le relazioni, per non lasciare posto a sentimenti di isolamento e di abbandono. Attraverso il digitale abbiamo alimentato gli incontri interpersonali; abbiamo inviato messaggi, battute, vignette e video estemporanei; abbiamo moltiplicato le video chiamate, per salutarci, per fare cin-cin davanti allo schermo.
Nell’emergenza abbiamo dato il meglio.
E’ stata l’occasione per condividere la quotidianità dei figli. Ci siamo reinventati la vita in casa, in pochi metri, abbiamo condiviso gli spazi, abbiamo fatto qualcosa insieme, dalla cucina al disegno, al canto, al bricolage. Abbiamo sperimentato la presenza di tutta la famiglia, in cui si può anche dire di no, ma in un contesto in cui c’è tempo per recuperare la relazione.
Molti genitori si sono impegnati per consentire la didattica a distanza dei propri figli. Molti giovani hanno seguito le lezioni on line. Gli anziani sono diventati più digitali, per comunicare con figli e nipoti.
E non abbiamo avuto paura del silenzio. Si può restare in silenzio, magari davanti alla finestra a pensare, ad ascoltare il silenzio: pensare ci rende più umani, più consapevoli, più intelligenti.
E poi, nella memoria di tutti, resterà quel “andrà tutto bene”, scritto su bandiere improvvisate, disegnato dai bambini, rilanciato dai social. In questo tragico momento gli Italiani hanno dimostrato la capacità di resilienza. Dice una pubblicità: “Se non c’è la strada, gli Italiani sanno inventarsene una”.
L’Italia che resiste ha scelto due luoghi: le finestre o i balconi e i social network. Dai balconi i famosi flasc-mob: ad una certa ora si sentiva cantare l’Inno di Mameli, oppure si applaudiva in solidarietà col personale sanitario, che si consumava di fatica negli ospedali, prestando servizio nelle aree critiche.
O ancora si sono visti ondeggiare la luce dei cellulari o i lumini. La gente si è affacciata, ha cantato, suonato, ha alzato il volume dello stereo. E’ stato un modo per dire “ci siamo”, anche se a distanza, anche se dal luogo di confino delle pareti domestiche.
Spesso, attraverso la televisione, ha cantato e ha pregato tutta la nazione, o forse tutto il mondo. Come dimenticare la preghiera del Papa nel deserto di una piazza S. Pietro, su cui il cielo lasciava scorrere le sue lacrime di pioggia?
Non era mai accaduto prima.
Tutto questo testimoniava la gravità del momento, certo, ma è servito a raccogliere la gente, a dare coraggio, a stimolare un sentimento e una fiducia che sembravano incerti.
E’ stato esaltato il patriottismo, l’orgoglio di essere parte di una comunità, un chiudersi stretti per proteggerla. Siamo stati invitati, mentre risuonava l’Inno, a sventolare il Tricolore, una testimonianza di italianità, un comune sentimento di condivisione della nostra identità.
E poi abbiamo abbiamo fatto echeggiare le note delle canzoni «Nel blu dipinto di blu», «Azzurro», «La Canzone del Sole». «Tre brani, dice Paolo Giordano, che rappresentano tre generazioni. “Nel blu” è stato il brano che ha celebrato la rinascita dell’italianità dopo la guerra. “Azzurro” ha accompagnato l’Italia a vivere i decenni del benessere, prima delle contestazioni del 1968 e la “Canzone del Sole” ha traghettato i ragazzi degli anni ‘60 fino al ‘90. Sintesi del nostro costume, scintille che hanno saputo accendere il patriottismo e il bisogno di essere parte della stessa comunità. E’ stata una risposta simbolica a un momento di difficoltà.
La dimostrazione, al di là di qualche filo di retorica, che nel momento del bisogno, i simboli della propria collettività diventano i collanti indispensabili per affrontare la crisi».
Ora che siamo nella seconda fase, non dovremo dimenticare i buoni sentimenti e le buone azioni. Usare le mascherine, lavarci le mani, mantenere le distanze fisiche, non sociali, versare nei contenitori giusti mascherine e guanti, non deve stancarci, lo faremo per rispetto nei nostri confronti e nei confronti degli altri.
Usiamo in modo consapevole la libertà, diamo un senso al nostro incontrarci, domani al nostro abbracciarci. La libertà, un valore che la nostra cultura occidentale ha conquistato e di cui ora, che ci è stata sottratta, riconosciamo il valore. Riscopriamo con cura il fascino della socialità, che la relazione virtuale non potrà mai darci. Quella relazione virtuale sempre più presente nella vita delle nuove generazioni.
Riscopriamo i nostri valori: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” (Ulisse nell'Inferno). La conoscenza, la cultura, le virtù elevano l’uomo dalle brutture, e la consapevolezza della imperfezione della natura umana ci porta a riconoscere il limite dell’onnipotenza dell’uomo.
Dice lo studioso Stenio Solinas che “ fino al 1980 imperava l’homo oeconomicus, poi è arrivato il narcisista, non tanto perché il mondo è lo specchio del suo io, ma perché vive perseguitato dall’ansia, in uno stato di inquietudine, di insoddisfazione, perché condannato a un eterno presente non in grado di soddisfarlo. Venuto meno il tempo dell’etica del lavoro e della fiducia nel progresso sociale, questo nuovo uomo psicologico è in balia di un individualismo fine a se stesso, afferma un’umanità senza più ostacoli da superare, in giro per il mondo, dove non ci sono più limiti, né confini, del tutto soddisfatto della propria centralità, convinto di una crescita continua in linea con un progresso scientifico in grado di assicurare ogni cura, di sconfiggere qualsiasi malattia, di prolungare indefinitamente la propria vita terrena.
Una società che non sa cosa farsene degli anziani inutili, andati in pensione prima di esaurire le loro capacità lavorative, una società che mette in risalto in ogni occasione la sensazione della loro superfluità. Come abbiamo sperimentato in questi mesi.
Le vittime sono stati gli anziani, non perché avessero più possibilità di venir contagiati; in loro l’infezione si manifestava in modo più grave, perché c’erano condizioni di malattie prima del contagio, la loro condizione di fragilità riduceva la capacità di reagire. Quanti di loro hanno lasciato questo mondo, chiusi in bare accatastate in carri militari e finiti nei crematori.
Valutata l'esperienza degli anziani, la società odierna attribuisce importanza alla forma fisica, alla destrezza, all'elasticità nello stare al passo con le idee nuove.
Una società che ha perso l’idea del passato, non ha interesse per il futuro, non trasmette perché non tramanda, vive in una sorte di eterna giovinezza-attualità. Abbiamo un’etica della comodità e il culto dell’edonismo e dell' autorealizzazione”.
Abbiamo invece capito in questi mesi quanto sia fragile e precaria la nostra esistenza. Abbiamo raggiunto una maggiore consapevolezza della realtà, certo, un maggior livello culturale, sappiamo che la pandemia è dovuta a un virus, non parliamo di untori, nè siamo superstiziosi. Come ai tempi della peste del Boccaccio nel 1300 o del Manzoni nel 1600, anche noi però, per debellare un virus siamo rimasti a casa, ci siamo lavati le mani spesso, portiamo la mascherina, manteniamo le distanze.
In un'epoca in cui la scienza ci aiuta a oltrepassare i confini della terra e la tecnologia raggiunge traguardi impensabili, abbiamo capito quanto siano fragili le conquiste di questo mondo e quanto sia matrigna la natura, diceva Leopardi, che da sempre domina l’uomo.
Ripensare il mondo, questo serve dopo un'epidemia.

lunedì 25 maggio 2020

LA CREATIVITA’ COME RISPOSTA ALLA CRISI di Giuseppe Lazzaro

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La conversazione riguarderà «la creatività», una parola che abbiamo sentito
nominare spesso in questo periodo. Per non annoiarci, cerchiamo di essere creativi, così abbiamo scoperto di avere dei talenti: chi si é dilettato nella cucina,
chi nella musica, chi nel canto, chi nel travestimento artistico, i famosi «quadr antech». C'é stato anche chi, nell'angolo più comodo di casa, si é dedicato alla lettura, alla pittura, al cucito, al ricamo.
Parliamone con uno specialista.        




Relatore: dott. Giuseppe Lazzaro, specializzato in Psicologia clinica


La creatività è l'unica spinta che ci aiuta a dare un senso a quello che viviamo in questo momento. Diceva Einstein : noi non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare sempre le stesse cose.

Io collego il concetto di creatività al concetto di crisi. Le due parole hanno la stessa radice, hanno un significato, forse opposto e nello stesso tempo integrativo.

Einstein diceva che una crisi può essere una vera benedizione per ognuno di noi. E' un momento di profondo cambiamento, in cui emergono potenzialità interiori, profonde, psichiche, che ci permettono di adattarci al nuovo.

La crisi è un beneficio per qualsiasi nazione, questo pensiero si sposa con quello che stiamo vivendo a livello planetario.

Tutte le crisi portano a un progresso. Storicamente sappiamo che ogni crisi ha portato a dei grandi cambiamenti, ricordiamo la grande crisi prima del 1° conflitto mondiale; la crisi della Borsa , tra le due guerre. La crisi porta a un cambiamento, anche a livello personale.

Per Einstein la creatività nasce da quella profonda angoscia che comunque spinge ogni essere umano a guardare oltre. Angoscia che lo scienziato collega alla notte buia, da cui proviene il giorno. La crisi è un ciclo, ci aiuta a scorgere quali sono gli elementi giusti per far sorgere il sole anche nelle nostre esistenze. Nelle crisi nascono grandi opportunità, nuove idee, nuove inventive. Le grandi scoperte, le grandi strategie che sono state messe in atto nel corso della Storia, provengono da grandi momenti di crisi. E' vero, in questi mesi c'è stata tantissima sofferenza. Io ho perso un caro amico, vittima del corona virus e ho pianto.

Molte persone hanno perso parenti, amici. E' stato drammatico vivere questi momenti. Ora recuperiamo lentamente i nostri spazi. Questo non significa che la crisi è stata superata, ma significa che stiamo cominciando a dare alla collettività, alla comunità, a livello personale, quel minimo di speranza, che ci aiuterà a vivere il nostro futuro con più fiducia. Chi supera una crisi riesce a superare se stesso, e si ritrova ad essere una persona completamente diversa, rispetto al momento precedente. L'atteggiamento di fronte a un momento difficile della nostra vita (e chi non ha un momento difficile, di crisi!) è dare la colpa a qualcosa di esterno a noi, ma incolpare qualcuno di quello che ci accade non ci aiuta ad adattarci alla realtà oggettiva e soggettiva, a dare un senso alle nostre cose, alle nostre particolari vicissitudini inserite in un contesto più ampio.

Quello che forse non ci aiuta a superare la crisi, a livello psichico, è una sorta di incompetenza, o una sorta di chiusura. Se, ad esempio, in un rapporto tra amici, io accuso sempre gli altri per quello che mi capita, non c'è crescita interiore che mi porti ad essere una persona adulta, matura, anzi resto ancorato a quel bambino che tutti coccolano e mettono al centro dell'attenzione. Le crisi personali, che viviamo nella nostra esistenza, ci aiutano ad evolverci e a dare senso ad un io più adulto.

Cosa c'entra la creatività con la crisi? La creatività è associata alla crisi. Per superare una crisi, un momento difficile c'è la ricetta del fare, dell'inventare, dello spostarsi da quel «putridume di sofferenza» che ci casca addosso. Quando una persona sta male, forse non lo sa, pertanto serve l'intervento di un'altra persona. Un mio insegnante diceva che la verità sta nell'incontro tra due persone, mentre l'una esprime le proprie sensazioni o emozioni, l'altra cerca di aiutare a vedere le cose da un altro punto di vista. Ecco perché nell'ambito psicologico, l'interazione è di fondamentale importanza, in un percorso terapeutico. Se vediamo che il terapeuta non dà fiducia, non empatizza col paziente, non aiuta, non ascolta, non entra in contatto con la sofferenza, è meglio cambiare terapeuta. Si gioca tutto sulla fiducia. Spesso non si supera una difficoltà perché non si vuole crescere, si vuole rimanere ancorati a quel mondo di sofferenza, che spesso diventa uno scudo per ritornare a quel bambino che vuole essere coccolato.

Il processo di maturazione ci deve portare a diventare persone adulte che fanno nella loro esistenza delle scelte libere. Sono importanti l'atto della scelta, l'atto della libertà e l'atto della creatività, che ci portano ad essere sempre più simili alla nostra essenza.

Spesso i giovani pensano di realizzare qualcosa per monetizzare, per avere un guadagno, scrivono un libro, una poesia e pensano quanto varrà.

La libertà creativa, l'auto consapevolezza, è per Jung uno degli istinti primari, insieme alla fame, alla sete, alla sensualità, i tre istinti di Freud. Jung ha una visione più completa, lavorando in una clinica psichiatrica, egli sfida i canoni della psicologia dogmatica e interpreta il linguaggio della schizofrenia e osserva che nei deliri, nelle allucinazioni degli schizofrenici manca il principio della realtà.

Noi oggi abbiamo «perso la bussola», la sofferenza che ci è piombata addosso ci ha fatto perdere il principio della realtà, siamo spaventati. E la paura non ci permette di affrontare con coraggio il futuro, tant'è che questo senso di incertezza che ci portiamo dietro non ci aiuta a scegliere di sviluppare il senso della creatività.

Crediamo che fare qualcosa non possa servirci, spesso siamo così chiusi nel dolore che non riusciamo ad andare oltre, speriamo nell'aiuto. Le vicissitudini della vita ci fanno comprendere che piano piano dobbiamo superare le difese, le resistenze, non dobbiamo più coccolare la nostra sofferenza, ma dobbiamo sviluppare quel motore profondo di energia in noi per sentire qual è l'essenza della vita, la vitalità, l'amore per quello che siamo, per i doni che ci sono donati da Dio, del quale possiamo dire quello che non è, come diceva San Tommaso e sviluppare quelle cose che possiamo decidere di poter fare, realizzare qualcosa che abbiamo sempre sognato. In questo modo si sposta il polo della nostra sofferenza ad altro e ci scrolliamo di dosso quel cappotto di dolore che ci imprigiona, che non ci lascia respirare.

Nelle crisi possiamo mostrare realmente chi siamo facendo emergere la forza interiore. Senza una crisi, qualsiasi cosa diventa leggerezza, è una cosa che passa. A livello personale mi sono evoluto dalla perdita di mio padre, che tanto mi ha fatto soffrire; ho tirato fuori le mie potenzialità psichiche e mi sono ripreso. Tanti, nell'esperienza del dolore, riescono a trovare la forza di tirare fuori le competenze, o più semplicemente le risorse. Ricordo che da piccolo vedevo un cartone animato, l'incredibile Hulk, ricordo l'episodio in cui con uno sforzo incredibile riesce a sollevare l'auto sotto il quale era rimasto prigioniero il figlio per un incidente. Questo episodio lo porto come esempio. Le risorse psichiche emergono di fronte al dolore, perché fanno parte di noi.

L'atto creativo fa parte della nostra spiritualità, di quella scintilla divina che ci è stata donata dal «Padrone dell'universo».

La creatività quindi non è una prerogativa di grandi geni dell'arte e delle scienze, come Mozart, Michelangelo, Schopenhauer, ma è innata in ogni essere umano.

Creatività e crisi hanno le stesse radici, abbiamo detto. Però la crisi è una forza disgregante, è come se tutti i pezzi del nostro io vanno in frantumi. La creatività è un forma di integrazione, rimette insieme tutti i pezzi caduti, che non vogliamo lasciare andare; ci aiuta a generare dentro di noi una persona nuova.

Più si supera la paura, più si supera la crisi, più l'essenza di ogni essere umano viene esplicata in maniera armonica. La creatività è armonia, è musica. E come la musica, la creatività permette di esprimere emozioni profonde con un linguaggio comune, che appartiene a tutti gli esseri umani. La creatività non è un fatto astratto, essa va canalizzata in un processo di umanizzazione, perché ogni volta che noi mettiamo in atto un processo creativo vero, assomigliamo sempre più alla nostra umanità, quell'umanità che ci apre all'altro, alla collettività.

Da una crisi profonda, crisi esistenziale, deriva un'identità diversa, più consapevole. E' interessante un libro di Martin Buber «Il cammino dell'uomo», ricco di racconti rabbinici. In un racconto egli presenta Dio che va nel giardino e chiede: «Uomo dove sei? A che punto sei nella tua vita?» E' la parola divina che ti provoca, è quella parola creativa che ti dice che la tua vita è un momento continuo di crescita, in cui tu devi assomigliare a te stesso. Perché Adamo ed Eva furono cacciati dal Paradiso terrestre? Perché essi decisero di non essere più simili a se stessi, ma di essere simili a Dio. Entrarono in un'ottica di delirio, di narcisismo.

Attraverso i social siamo invitati anche noi a diventare chissà chi, chissà che cosa. Quest'idea di rincorrere il successo in forma delirante non ci porta ad essere profondamente umani.

Quando uno si concede il diritto di essere sempre più simile a se stesso, alla propria umanità, vive profondamente la propria spiritualità e vive profondamente il linguaggio di quella scintilla divina che ognuno di noi ha dentro.

Come sappiamo gli orientali hanno in mano il segreto della vita, loro sono il nostro letto di cultura, di umanità, di cui essere fieri. Invece noi andiamo dietro all'empirismo, al pragmatismo, al desiderio di produrre per accumulare cose che spesso non servono. La produzione è un atto diverso dal creare, la produzione fa perdere la poesia della vita. Creare viene da poieo, significa diventare artisti della propria esistenza, non a parole ma attraverso scelte libere e consapevoli.

Invito ancora a ricordare che abbiamo risorse interiori per vivere al meglio questa crisi e, stretti insieme in una comunità di esseri umani, possiamo farcela. Ognuno di noi può scegliere responsabilmente di vivere questo momento in maniera concreta, rifacendosi a quel processo interiore profondo che ci fa scoprire dentro di noi cose che non pensavamo di avere.

mercoledì 13 maggio 2020

09 MAGGIO.....DATA DA RICORDARE!

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Relazione di Silvia LADDOMADA

Il 9 maggio scorso abbiamo visto in Tv le immagini in bianco e nero dei Padri dell'Europa unita; abbiamo sentito parlare di Shumann, di Monnet, che 70 anni fa decisero di far nascere la Comunità europea.
Parleremo di questo progetto, di come esso prese forma e sostanza.
Nessuna pretesa di tracciare l'iter di questi 70 anni!

Questa data ci ricorda anche un evento triste: la morte del grande statista Aldo Moro.
Una vicenda di cui non sono ancora chiari i contorni. Possiamo, in questa sede, ricordare il contesto storico in cui tale evento si colloca.

Ricordiamo ora quando é nata l'idea di unificare i Paesi europei.
Nella prima metà del Novecento, le rivalità economiche, i nazionalismi, l'odio reciproco tra le nazioni europee avevano provocato due guerre che avevano coinvolto il mondo intero, e avevano portato morte e distruzione in tutto il continente.
Con 60-70 milioni di morti e il continente ridotto a un cumulo di macerie, i vinti erano in ginocchio, ma lo erano anche i vincitori.
Nessuno stato aveva tratto vantaggi dalla guerra, anzi tutte le ex potenze europee si trovarono in un ruolo subordinato rispetto alle due potenze dominanti.
Cioè il guadagno che l'Europa trasse da questi due conflitti fu il tramonto del suo predominio mondiale: da protagonista della storia essa crollò a quasi colonia delle super potenze mondiali, Stati Uniti e Russia, che possedendo la bomba atomica e una forte economia, erano ormai arbitri del destino dell'umanità.
Si parlò di guerra fredda, di equilibrio del terrore, che nasceva dalla certezza che una guerra nucleare avrebbe provocato la distruzione totale.
Nella primavera del 1950 l'Europa stessa era sull'orlo del baratro.
La guerra fredda faceva temere un imminente conflitto tra paesi occidentali e paesi dell'Est. Cioè gli avversari di un tempo erano ben lontani dell'essersi riconciliati.
Ci si chiedeva come evitare di rivivere gli errori del passato, come creare le condizioni per una pace duratura tra nemici storici. Il nocciolo della questione erano le relazioni tra Francia e Germania, bisognava stabilire un legame tra i due paesi e ricongiungere ad essi tutti i paesi liberi d'Europa, per costruire insieme un destino comune.
Ma da dove cominciare? E sopratutto, come?
Jean Monnet, considerato il padre dell'Europa, forte della sua esperienza di uomo di pace, propose al ministro degli Esteri francese Robert Schumann e al cancellerie tedesco Konrad Adenauer di creare un interesse comune ai due paesi, che individuò nella gestione del mercato del carbone e dell'acciaio, affidata al controllo di un'autorità indipendente.
Tale proposta venne solennemente formulata dalla Francia il 9 maggio 1950 e accolta con favore da Germania, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo.

Il trattato che istituì la prima Comunità europea, quella del carbone e dell'acciaio (CECA), fu firmato nell'aprile 1951 e ha segnato l'inizio delle realizzazioni concrete dell'Europa.
Le prime iniziative di collaborazione tra stati europei sono nate quindi, per ragioni economiche, incoraggiate tra l'altro dagli Stati Uniti che vedevano positivamente l'integrazione delle economie europee, anche perché un'Europa occidentale, economicamente prospera, rappresentava un vasto mercato per i loro prodotti.
Nello stesso tempo un'Europa unita, appariva una forza concorrente, rispetto al mercato americano, nello sfruttamento comune delle risorse di energia e materie prime.
Ma può sembrare che l'Europa sia nata con ambizioni limitate, visto che si puntava su un'alleanza economica.
In realtà per unificare l'Europa, c'erano anche motivi ideali:
c'era il desiderio di evitare per sempre al vecchio continente gli orrori di guerre tra paesi vicini;
era necessario salvare un patrimonio di cultura; le radici che affondano nel mondo greco-romano e che sono state arricchite di valori cristiani nel Medioevo. Non si poteva accettare di essere schiacciati da due super potenze.
C'era il desiderio di un'Europa unita nel segno della pace, della solidarietà, della democrazia.
Sono stati questi desideri ad imporsi con vigore alla coscienza dei governanti e dei cittadini più consapevoli. A impegnarsi nel cercare di far nascere un'amicizia tra i popoli fu un numero esiguo di uomini politici, che riproposero in sostanza, l'idea di un intellettuale, di un agitatore culturale che si faceva chiamare Ulisse.
Parliamo di Altiero Spinelli, un antifascista confinato a Ventotene, nel braccio di mare davanti alla città di Latina.
Nel 1941, mentre su tutti i fronti infuriava la guerra, prevedendo la catastrofe finale, intuì che l'Europa avrebbe potuto risollevarsi se avesse creato una nuova forza politica, magari una federazione come gli Stati Uniti.
Da questa idea egli sviluppò il manifesto di Ventotene, insieme ad altri due compagni di confine, Ernesto Rossi ed Eugenio Colormi.
"La via da percorrere non é facile, nè sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà", così scriveva Spinelli nel suo manifesto, considerato oggi una pietra miliare del progetto di unificazione europea, un documento base del federalismo europeo.
L'Europa dei 6, col tempo si é ampliata, é diventata l'Europa dei 27 paesi, con un'apertura anche agli ex Paesi dell'Est.

Esistono ancora delle divergenze tra i Paesi, l'asse Francia-Germania é dominante. Manca una collaborazione realistica e vantaggiosa.
E questo rallenta il cammino verso l'Unità e accresce il numero degli euroscettici.
E' stato utile ricordare che parliamo di Unione Europea, ma forse dobbiamo ancora fare tanta strada per arrivare a una Europa federale, con un governo sovranazionale e con una base comune di ideali etici, civili e giuridici, secondo un autentico spirito costituente.

Un altro momento storico da non dimenticare é il ritrovamento del cadavere di Moro, nascosto nel portabagagli di un'automobile. Era il 9 maggio 1978.
Questa é una delle pagine più oscure e drammatiche della vita della repubblica italiana, dopo 30 anni di vita.
Dopo 40 anni, non abbiamo ancora un'unica versione dei fatti. Possiamo però riportare alla memoria i famosi "anni di piombo", nei quali maturò questo delitto.
La crescita economica, il cosiddetto boom, che negli anni '50-'60 del Novecento, trasformò l'Italia da paese agricolo a paese industriale, modificò la struttura sociale del paese, trasformando le abitudini, la mentalità degli italiani.
Nasceva la società di massa, la civiltà dei consumi.
Nel mondo giovanile, la più larga diffusione degli studi superiori e universitari aveva accresciuto il numero degli studenti, che sembravano una nuova categoria sociale, con una notevole capacità di riflessione critica.
Moro - Andreotti
La contestazione studentesca, nata negli Stati Uniti, raggiunse il suo apice nel '67-'68: gli studenti contestavano i metodi tradizionali dell'insegnamento, chiedevano una maggiore democratizzazione della vita scolastica e universitaria.
La protesta acquistò ben presto un carattere politico, avanzò esigenze di radicali riforme sociali ed economiche.
Maturò una diffusa sfiducia verso il sistema parlamentare in genere, ma sopratutto verso i partiti di sinistra, compreso quello comunista, accusato di aver abbandonato l'idea della rivoluzione.
I giovani della nuova sinistra, rifiutavano le regole della democrazia occidentale e si dicevano sostenitori di un'azione diretta delle masse popolari, le uniche capaci di attuare la rivoluzione proletaria contro il sistema.
Si chiedeva una trasformazione rivoluzionaria del sistema, si contestava il capitalismo e il consumismo.
Anche da parte del mondo operaio e sindacale, emergeva una forte domanda di rinnovamento sociale e politico, nonchè una serie di rivendicazioni economiche.
Per la prima volta nel dopoguerra, scesero in piazza masse di giovani e di operai; scioperi che spesso culminarono in occupazioni a catena di scuole, di Università e in scontri con le forze di polizia.
Nonostante le importanti conquiste politiche e civili, concretizzate in leggi approvate dai governi di centro sinistra, si assistette alla deriva dei "programmi rivoluzionari" e all'emergere di una novità destinata a sconvolgere la vita del paese: la violenza come arma politica.
Sorsero dei gruppi armati, come Potere operaio, Lotta continua, che si definivano extra parlamentari e anticostituzionali, cioè lontani dalla Sinistra parlamentare e in aperto contrasto con i tradizionali partiti di sinistra, sopratutto col Partito Comunista, accusato di aver smarrito la sua carica rivoluzionaria .
Questi gruppi prospettavano un sovvertimento radicale del sistema, da attuare anche con l'uso della violenza.
Lo sviluppo della contestazione suscitò allarmi e timori nella parte più conservatrice del paese.
Alcune forze eversive di estrema destra, alcuni settori deviati dei servizi segreti, alcune associazioni segrete (Loggia massonica), misero in atto un progetto di stampo neofascista volto a destabilizzare la vita del Paese, per favorire una svolta reazionaria.
Stragi indiscriminate tra la folla tentarono di gettare il paese nel caos, di far credere che lo Stato democratico fosse impotente a mantenere l'ordine e a proteggere i cittadini e che, pertanto, fosse necessario instaurare un nuovo regime, forte e autoritario.
Il primo atto di questa "strategia della tensione", come fu chiamata, si ebbe a dicembre 1969 con l'esplosione della bomba a piazza Fontana, a Milano, nel salone della banca nazionale dell'Agricoltura.
Altre bombe scoppiarono nel 1973 alla questura di Milano, nel 1974 in piazza della Loggia a Brescia, durante un comizio sindacale, sempre nel 1974 sul treno Italicus, sulla linea Bologna-Firenze.
Una lunga serie di stragi e violenze si intrecciò con manovre preparatorie di azioni golpiste. Non dimentichiamo l'attentato nella sala di aspetto della stazione di Bologna, avvenuto molto dopo (2 agosto 1980), eseguito da un piccolo gruppo di estremisti neofascisti.
La politica delle stragi accentuò nei gruppi di estrema sinistra la convinzione che era giunto il momento decisivo: o governo reazionario o vittoria del proletariato.
Quindi al "terrorismo nero", si contrappose il "terrorismo rosso", praticato da organizzazioni clandestine che si proclamavano comuniste, Nuclei armati proletari, Prima Linea e sopratutto le Brigate Rosse.
Se i terroristi neri si muovevano tra stragi e aspirazioni golpiste, gli estremisti rossi colpivano, con attentati individuali, bersagli scelti per il loro significato simbolico: magistrati, poliziotti, giornalisti, dirigenti di azienda.
In entrambi i casi si voleva destabilizzare la società italiana a far precipitare il paese verso uno scontro frontale e una violenza diffusa.
In questi anni di piombo, come furono chiamati, la democrazia italiana si dimostrò più salda di quanto si pensasse.
Le forze politiche si unirono per fronteggiare il pericolo con la massima efficacia. Nel 1976 si formò un governo di solidarietà nazionale, guidato dalla Democrazia Cristiana, (capo di governo Andreotti), e sostenuto da tutti i principali partiti con l'appoggio esterno del partito comunista, di cui era segretario Enrico Berlinguer.
Sembrava che si stesse realizzando l'incontro tra forze popolari, comuniste e cattoliche, quello che Berlinguer aveva chiamato "compromesso storico".
Compromesso storico (Berlinguer con Moro)
Paradossalmente, la politica delle stragi e il terrorismo finirono per favorire l'ingresso del PCI nell'area di governo, dopo 30 anni di opposizione.
Il dialogo si fece sempre più stretto sopratutto con Aldo Moro, l'esponente democristiano più favorevole a un accordo con Partito Comunista.
Mentre il progetto di compromesso storico sembrava che stesse realizzandosi, il 16 marzo 1978, il giorno in cui il Governo del compromesso storico si presentava al Parlamento per ricevere la fiducia, un commando delle Brigate Rosse sequestrò Aldo Moro in via Fani, uccidendo 5 uomini della scorta.
Dopo 55 giorni Moro fu ucciso e il suo cadavere venne ritrovato in un'auto abbandonata, parcheggiata in via Caetani a Roma, esattamente a metà strada tra la sede nazionale della DC e quella del PCI.
La simbologia del messaggio non poteva essere più chiara.
Le Brigate rosse avevano colpito il "cuore dello Stato".
Un evento di estrema gravità, destinato ad avere ripercussioni sulla politica e sulla storia dell'Italia.
Con la morte di Moro, era scomparso il teorizzatore di una linea di avvicinamento al Pci, che avrebbe potuto garantire la partecipazione dei Comunisti al Governo.
Ora si chiudevano gli spiragli di un possibile dialogo con l'opposizione. Le elezioni amministrative del 1978 impedirono al PCI di continuare a seguire la linea dell'appoggio esterno.
Con le dimissioni di Andreotti (gennaio 1979) era finita l'esperienza di solidarietà nazionale.
Si avviava un dialogo preferenziale con il PSI, e si dava inizio alla formula del Pentapartito: DC, Psi, Pri, Psdi e Pli, già alleato della Dc nella fase del centrismo.
Formula che si protrasse fino alla fine della prima Repubblica, nei primi anni '90.

venerdì 8 maggio 2020

COME DIFENDERSI DALLE FALEK NEWS

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RELAZIONE DEL DOTT. GIANPAOLO ANNESE




Buonasera, ringrazio l’associazione Minerva per l’invito. Ci occuperemo stasera delle famigerate Fake news, le bufale, le notizie false che circolano soprattutto in rete, sui social network: whatsapp, Facebook, a volte anche sui mass media tradizionali ma si tratta di un caso diverso come vedremo. Un problema ingigantito dall’emergenza sanitaria. 
 
TRE INTERROGATIVI

Nella conversazione di questa sera proverò a rispondere fondamentalmente a tre interrogativi: cosa sono esattamente le Fake news? Perché vengono divulgate? Come possiamo difenderci? Proprio l’esperienza del Covid-19 ha riacutizzato il fenomeno, sono andato a vedere sul sito del ministero della Salute quali sono state in questi due mesi le Fake news circolate maggiormente e c’è da preoccuparsi: solo per citarne alcune, respirare l’aria calda del phon elimina il virus dalla gola, tagliare la barba evita il contagio, bere alcol rafforza il sistema immunitario, fare gargarismi con la candeggina protegge dall’infezione e via di questo passo. Siamo di fronte a casi abbastanza clamorosi, ma le fake news possono essere molto più sottili. Come quella che ha colpito per esempio il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti che ha contratto il coronavirus e per qualche giorno è circolata la notizia che si era curato in una clinica privata a spese dello Stato, mentre lui invece era rimasto in quarantena a casa per tutto il periodo. Potete capire le conseguenze per la sua immagine. 
 
DEFINIZIONE DI FAKE NEWS



Questo episodio però ci offre un paio di indicazioni su come si può definire una Fake news: il primo elemento è che per definirsi Fake la notizia deve essere volutamente falsa, chi la divulga sa perfettamente che sta propalando una bufala, ci deve essere insomma una intenzionalità. Diverso è il caso invece del classico errore giornalistico o comunicativo, la scivolata dovuta alla fretta o alla mancata verifica, in quel caso non si tratta di Fake news, a patto però che venga immediatamente smentita o rettificata. Il secondo elemento è che una notizia falsa per essere efficace (e questo chi le confeziona lo sa) deve contenere una puntina di verità (o almeno di verosimiglianza) così da acquisire credibilità e agganciare meglio il destinatario. Nel caso precedente era vero che Zingaretti ha contratto il coronavirus, ma non è vero che si è fatto curare in una clinica privata. Allo stesso modo mi ricordo una Fake che girava su Whatsapp nella quale si gridava all’emergenza negli ospedali (fatto vero) – pazienti nei corridoi, infermieri chiamati a scegliere chi salvare (purtroppo vero) – ma poi si aggiungeva che c’erano un sacco di giovanissimi ricoverati nelle terapie intensive (falso). A differenza – si specificava- di quanto sostenevano i media ufficiali (questa considerazione sul marcare una diversità rispetto ai media tradizionali tenetela a mente che ci tornerà utile dopo).

LE FAKE NEWS NELLA STORIA

Non che le Fake news siano un fenomeno solo contemporaneo. Ci sono notizie false che hanno letteralmente cambiato il corso della storia. Dal generale spartano Pausania accusato di aver scritto una lettera a Serse per passare con i Persiani, dalla falsa Donazione di Costantino che ha permesso alla Chiesa la giurisdizione su una vasta area dell’Italia centrale legittimandone il potere politico, temporale della Chiesa, i protocolli dei Savi di Sion diffusi dalla polizia segreta zarista russa su un presunto complotto giudaico per impossessarsi di tutte le ricchezze del mondo, fino alle più recenti, ne cito una per tutte, sul fatto che l’11 settembre non ci sono ebrei tra le vittime perché erano tutti stati avvisati il giorno prima e non erano andati al lavoro: in realtà tra le vittime purtroppo ci sono state anche persone di religione ebraica. Qual è la differenza rispetto a oggi? Che con la diffusione di social network la possibilità di divulgare fake news è enormemente cresciuta ed è molto più difficile nel mare magnum del web individuare i responsabili. Noi stessi possiamo inconsapevolmente renderci complici della diffusione di notizie false: è stato calcolato che con l'aumento dei dispositivi elettronici il numero di persone che amplifica i messaggi è aumentato in un anno dal 26% del 2018 al 40 per cento del 2019. 
 
INFORMAZIONE DA VERTICALE A ORIZZONTALE


In particolare è stato determinante il passaggio da un’informazione che fino agli anni 2000 continuava a essere tutto sommato di tipo verticale, vale a dire che il messaggio discendeva da alcune fonti (giornali, tv, radio, siti internet) e raggiungeva unilateralmente molteplici destinatari. I quali non potevano far altro che recepire la notizia e se non gli stava bene al massimo cambiare giornale o canale della tv. La svolta è arrivata con l’innovazione tecnologica web 2.0 a metà degli anni 2000 per cui il semplice cittadino non è più mero ricevente dell’informazione, ma diventa protagonista in grado di diffondere a sua volta messaggi globali. L’informazione cioè da verticale diventa orizzontale. Le opportunità di dire la propria come è evidente aumentano così come crescono le fonti di informazioni così da avere la possibilità di farci un’idea più completa. E questo non può che essere un vantaggio. Ma parimenti emergono anche dei rischi:
  1. L'enorme quantità di informazioni cui siamo sottoposti può generare un pericoloso senso di sazietà che in realtà occulta una deprivazione, scarsità di nutrimento. Il pericolo è insomma, come già qualcuno lo definisce, è l'illusione di sapere, l'illusione di “sapere tutto, senza capire niente”: accumulare un'infinità di dati, notizie, informazioni di vario argomento significa anche cogliere il significato profondo dei processi? La medicina per esempio (grazie a internet diciamo noi al medico cosa deve fare e quale farmaco deve prescriverci), la scuola (i genitori spiegano all'insegnante come strutturare il programma). E' la famosa disintermediazione: non mi affido più a chi ne sa più di me, ma cerco di accedere e gestire direttamente le decisioni che mi riguardano, a prescindere dalla competenza. Si diffonde sempre di più l'insofferenza verso il trasferimento di conoscenza basato sul principio di autorità e gerarchia, si predilige una diffusione orizzontale appunto, si preferisce conoscere le cose dall'amico “laureato all’università della vita o della strada” che stimo piuttosto che dall'esperto che chissà da chi è pagato. La lettura salta da una news all'altra, si abbandona la modalità lineare. E si preferisce una modalità più visiva che scritta. 
     
  2. Siamo più esposti a chi in malafede ci vuole rifilare delle patacche, delle notizie false appunto. Ed è per questo che dobbiamo imparare a difenderci.
CLASSIFICAZIONE DELLE FAKE NEWS

Intanto conoscendo il fenomeno con cui abbiamo a che fare. La classificazione potrebbe essere anche più larga, ma credo sia sufficiente individuare tre livelli:
  1. Le fake news che ci arrivano tramite whatsapp. Per esempio “Non ce lo vogliono dire ma c’è un’invasione di zebre a Massafra”, “nel giorno di oggi se mettete una scopa al centro della sala si mantiene da sola per una particolare inclinazione dell’asse terrestre”,. Solitamente queste ‘notizie’ sono accompagnate da introduzioni che servono a renderle più credibili puntando sull’effetto familiare: “Mi ha detto un’amica di mia sorella”, “Lo ha saputo il fratello di un mio collega”…. Hanno generalmente un intento goliardico, allarmistico, i mitomani che le mettono in giro vogliono generalmente godersi lo spettacolo del loro messaggio che diventa virale. Solitamente in questo tipo di messaggi non c’è un secondo fine, ma sarebbe opportuno non inoltrarle ai nostri conoscenti così da fermare le catene ‘fate girare’.

  2. Il secondo livello riguarda le fake news che servono per ‘acchiappare contatti’: il sito internet sconosciuto fa un titolo su quali saranno gli effetti dell’asteroide che colpirà a breve la terra, con un mucchietto solitamente di punti esclamativi. A differenza del primo livello qui il secondo fine c’è. Quante più interazioni su quel sito internet ci saranno, più aumenta la possibilità per i proprietari di quel sito di vendere spazi pubblicitari a prezzi più alti. L’obiettivo quindi è massimizzare la visibilità per guadagnare. Non dobbiamo mai dimenticarci che i social network sono gratis perché il prodotto da vendere siamo noi, cioè noi forniamo i nostri dati per ricevere poi dalle aziende pubblicità tarate su misura. Generalmente questi siti li riconosciamo dal fatto che non esauriscono nel titolo la notizia, ma fanno venire l’acquolina in bocca scrivendo per esempio: “E’ tornato in casa a sorpresa ed ecco cosa ha trovato”, incuriositi si apre la pagina, leggete, e nel frattempo il sito registra una visualizzazione e un’interazione in più incrementando il suo fatturato. Quindi in questo caso c’è un motivo prevalentemente economico. 
     
  3. Il terzo livello, più insidioso, sono le Fake news organizzate in vere e proprie campagne strategiche per destabilizzare oppure per orientare elettoralmente la popolazione e distruggere l’immagine di avversari politici. E’ difficile esaurire il discorso nei minuti che oggi abbiamo a disposizione, dico solo che è ormai accertato per esempio che ci sono messaggi che provengono da siti di Paesi a democrazia vigilata, diciamo così, che provano a intossicare il dibattito democratico orientandolo in senso per esempio anti-Unione europeo (addirittura gli Stati Uniti hanno accusato la Russia di aver interferito con le elezioni americane e diverse inchieste giornalistiche hanno individuato il tentativo di alcune componenti dell’oligarchia russa di sgretolare l’Europa per inserirla nell’orbita russa oppure la Cina accusata di aver diffuso video in cui gli italiani al balcone cantavano inni cinesi). Oppure messaggi che fanno leva sulle paure dei migranti per favorire l’ascesa di partiti conservatori puntando sulla rabbia sociale, la paura, la voglia di capro espiatorio (si visualizzano scene di migranti nelle risse magari avvenute in altri Paesi). E ancora, dividere l’opinione pubblica su temi secondari (per esempio un’eccessiva attenzione agli stipendi dei politici e non per esempio ai bonus dei manager di aziende che ricevono tanti contributi di Stato) oppure seminare paure di natura tecnologica e sanitaria per scagliarsi contro le presunte elite dominanti: l’ultima è quella di Bill Gates che avrebbe diffuso il virus per poi guadagnarci vendendo il vaccino. Le Fake news hanno una portata simbolica, conferiscono identità a chi è smarrito, a chi ha paura, a chi dalla globalizzazione ritiene di avere solo da perdere. L’efficacia di queste campagne è ancora tutta da studiare, la percezione è che comunque abbiano avuto un ruolo in alcuni risultati elettorali in diverse parti del mondo.
ECO CHAMBER

Di certo c’è che inquinano il dibattito e costituiscono una minaccia per la democrazia, coltivano nuove coscienze e rafforzano le convinzioni preesistenti. In linea di massima chi è sensibile alle Fake news viene bombardato più degli altri da questo tipo di informazione. Non dobbiamo mai dimenticare infatti che sui social siamo 'profilati'. In base cioè alle ricerche che facciamo, ai messaggi a cui mettiamo mi piace, a quello, attenzione, che scriviamo su Whatsapp, ai siti in cui sostiamo di più, l'algoritmo della rete costruisce un menu informativo su misura per noi. Noi sulla rete incontreremo per lo più le informazioni che ci interessano di più, i commenti delle persone con cui siamo d'accordo e le informazioni, più o meno vere originate da siti spesso improbabili, che rispondono al nostro modo di vedere le cose. Anche il confronto con gli altri in rete avviene con le persone con cui siamo già d'accordo generando l'effetto Eco-chamber, camera dell'eco, in cui pensiamo che in corso un dialogo tra tante persone ma in realtà ogni comunità rimbalza gli stessi messaggi e le stesse informazioni da un utente all'altro. Se siamo vegani ci arriveranno pubblicità e proposte vegane, se siamo della Roma mi arriveranno notizie sulla Roma, in base al nostro orientamento politico ci imbatteremo per lo più in messaggi coerenti con quel partito. 
 
TUNNEL COGNITIVO

Ci infiliamo insomma in quello che gli psicologi chiamano ‘tunnel cognitivo’: bisogna sapere infatti che il nostro cervello è piuttosto pigro quando si parla di confronto delle idee e tende a cercare generalmente conferme alle proprie convinzioni scartando le altre: le fake news fanno leva su questa debolezza offrendoci esattamente quello che noi vogliamo sentirci dire.
 
CHE FARE?

Che fare? Spegniamo il computer, disattiviamo whatsapp? No, come dicevo prima, impariamo a difenderci.
  1. Intanto diffidiamo dei messaggi su Whatsapp o Facebook di seconda, terza mano. Il cugino del fratello che al mercato mio padre comprò, no. Fidiamoci tendenzialmente di chi è testimone in prima persona e ci mette nome e cognome. E’ già qualcosa. Bisogna dire che Whatsapp e Facebook hanno molto migliorato la lotta alle fake news rimuovendone a migliaia. Anche su Whatsapp avrete notato che nei messaggi inoltrati c’è adesso una freccetta che ci avverte che quel messaggio è stato a sua volta inoltrato a chi ce lo manda da una terza persona. 
     
  2. In seconda battuta quando siamo in presenza di titoli eccessivamente emotivi (tipo: clamoroso! Incredibile! Chi fa informazione seria non fa così) o che ci sembrano troppo in linea con certi stereotipi: tipo zingaro rapisce bambino nel supermercato, drizziamo le antenne. Stiamo in guardia anche quando le notizie corrispondo fin troppo alle nostre convinzioni, è un esercizio più complicato, ma con un pizzico di obiettività in più ci si può riuscire.

  3. Non date credito a chi generalmente esordisce con: “Ecco una notizia che nessuno ti farò mai leggere…”. Non c’è alcuna ragione oggi per cui i giornali veri debbano nascondere le notizie, la concorrenza è enorme, non conviene a nessuno. Sui giornali tradizionali o sui libri regolarmente in commercio pubblicati da case editrici è stato dato spazio, ovviamente in maniera critica, a qualsiasi punto di vista: da chi sostiene che la terra è piatta, a chi dice che in realtà l’uomo non è mai andato sulla luna, a chi dice che Gesù non è mai esistito. La propaganda oggi non si fa nascondendo le notizie, ma con strategie più sottili che poi magari in un altro incontro ci sarà modo di esaminare. Oggi tuttavia ci basta essere d’accordo sul fatto che se una notizia la pubblica un solo sito, magari sconosciuto, non vuol dire che gli altri la nascondono, ma magari semplicemente che quel fatto non è vero.
  4. Facciamo attenzione ai nomi dei siti internet che leggiamo: alcuni evocano i nomi

    dei giornali, tipo il Fatto quotidaino invece del Fatto Quotidiano, la Republica con una b invece della Repubblica, Libero giornale che non c’entra niente con Libero.
  1. Dopo che abbiamo fatto un primo filtro, un sistema ancora più infallibile è sottoporre la notizia ad appositi siti internet che smascherano le bufale. Ce ne sono diversi, io vi consiglio Butac.it (con una lista sempre aggiornata di siti a rischio), Bufale.net, per capire se una foto è fasulla Google image per capire a quando risale un’immagine, Fotoforensic.
CONCLUSIONI

Concludendo, mi sento di proporvi alcune riflessioni: la prima è che un’ottima protezione contro le Fake news è ingannare l’algoritmo, date l’amicizia e mettete mi piace a persone e profili che non rispecchiano in pieno i vostri gusti, in questo modo uscirete almeno un po’ dal tunnel cognitivo di cui parlavamo prima e nel quale un po’ tutti noi siamo finiti. Il secondo antidoto è la lettura. Secondo uno studio Ocse oggi in Italia il 46 per cento della popolazione non è in grado di comprendere un testo di difficoltà medio-bassa. La lettura di libri e giornali di qualità, anche una mezzoretta al giorno, è un valido anticorpo contro le notizie false, perché uno dei benefici della lettura è che rende più smaliziati, più resistenti alle manipolazioni retoriche di chi dietro le belle forme dei discorsi cela salti logici e vere e proprie informazioni fasulle. La lettura inoltre rende allergici agli stereotipi e al senso comune che, diceva Manzoni, nasconde spesso il buon senso. Collegato a questo, un altro potente antivirus è una parola ormai poco di moda, la fiducia. La fiducia in chi? In cosa? La fiducia in chi fa informazione per mestiere, che per questo viene pagato. Esattamente come ci fidiamo del pilota che ci porta in aereo, del chirurgo che ci opera, dell’insegnante che cura la formazione dei nostri figli, dell’architetto che firma il progetto della casa. Ci sono ottimi giornali e ottime emittenti tv e radio, internet in Italia, affidiamoci a quelle testate riconosciute da milioni di lettori ogni giorno. Se volete vi posso indicare quali sono le prime testate in Italia. Non occorre leggerle tutte: puntate su due tre testate e imparate a fidarvi nei giorni di quelle, individuate alcuni giornalisti e autori. E’ chiaro che potranno esserci punti di vista diversi sulle cose oppure anche degli errori, rari devo dire. Ma di sicuro sui quei giornali, su quelle testate online avrete la sicurezza che non state leggendo Fake news. E se poi proprio vi tradiscono fate in tempo a cambiarle. Come diceva il presidente americano Abramo Lincoln: “Potete ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni per tutto il tempo, ma non potete prendere per i fondelli tutti per tutto il tempo”.

RINGRAZIO l’Associazione Minerva per l’invito e quanti hanno seguito la relazione, tenuta nell’ambito delle attività dell’Università del Tempo Libero e del Sapere, diretta da Silvia Laddomada.