lunedì 28 dicembre 2020

"LA BIBLIOTECA DI CRISPIANO" di Michele ANNESE

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"50 ANNI DI ATTIVITA' DELLA BIBLIOTECA DI CRISPIANO"-

DIRETTAMENTE DALLA CASA EDITRICE SCHENA, SCONTO 20%

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“LA BIBLIOTECA DI CRISPIANO”  di Franco PRESICCI


Che fatica sollevare questo volume di quasi 600 pagine di Michele Annese: “La Biblioteca di Crispiano: documenti, testimonianze e foto di un’esperienza di promozione culturale, sociale e turistica nel territorio di Crispiano”. E che fatica per lui nel raccogliere tutto quel materiale, una ricchezza per un paese adagiato in mezzo a una corona di colline. Quando, scendendo da Martina Franca, si arriva al bivio, il cui cartello indica a destra Grottaglie e a sinistra Crispiano, si avverte già un’aria che ristora soprattutto lo spirito. E’ un paese vivace, dove la gente non si annoia mai. Le iniziative si susseguono con ritmo accelerato, e le feste anche. Un tempo a far da motore al movimento era la Biblioteca “Carlo Natale” e la sua flotta guidata da Michele Annese, che era anche segretario generale della Comunità montana. L’atmosfera in quell’oasi di cultura era accogliente e dava piacere la “vista di tante persone, giovani e anziani, chinati su un libro o su un giornale, avidi di conoscenza, a sinistra dell’ingresso. Se chiedevi un libro in due secondi già te lo trovavi fra le mani. Se cercavo inutilmente un testo nelle librerie di Taranto, correvo in via Roma, alla Biblioteca “Carlo Natale”, e uno dei fanti subito lo pescava su uno scaffale e te lo affidava. Era un’impresa avere un tavolo e una sedia per leggere, ma la disponibilità degli addetti e la premura, la gioia nell’accontentarti approntava il rimedio. La Biblioteca, che non chiudeva mai, era un cantiere sempre all’opera. Il motto poteva essere “Novità e sviluppo”. Un programma dietro l’altro: corsi di preparazione agli esami, di aggiornamento professionale, di cucito, persino per addetto stampa, tenuto da un giornalista professionista, mostre d’arte, di fotografia, presentazione di libri. Ecco un pezzo di giornale: “La Biblioteca di Crispiano: uno strumento di crescita civile”. Un altro: “Fare cultura in provincia: un buon esempio da Crispiano”; “La biblioteca è una cittadella dove si fa cultura”, recita il titolo di un’inchiesta.

La biblioteca è un luogo d’incontro, di formazione. E’ una stazione, dove arrivano personalità di ogni tipo: quanti scrittori sono piombati a Crispiano per dialogare con i cittadini, dopo aver illustrato le proprie opere. Alberto Bevilacqua, per esempio. Se si mette il volume di Annese sul piatto della bilancia, l’ago si ferma a due chili e 50 grammi (la cultura, oltre ad essere un valore, potere, prestigio, ha anche un peso). Queste pagine ce l’hanno per la quantità di fatti, di chicche, di situazioni che offrono della vita di Crispiano, anche attraverso immagini e ritagli di giornale, con pazienza certosina, con passione.

Spulcio qua e là e mi fermo a leggere quegli avanzi di giornale: “Un comitato per salvare il forno di Crispiano?”, del l 4 gennaio’83. La spiegazione: una nuova costruzione, con regolare concessione edilizia, farà scomparire il forno a legna più antico di Crispiano?”.

I “C’era una volta” continuano con le cantine sociali, con i divertimenti di un tempo, con i vecchi mestieri: “ ‘u callarel”, lo stagnino; “’u carvuner”, il venditore di carbone”, “‘a cazztter”, la riparatrice di calze di nylon¸ “’u cazzabrecc”, il frantumatore di pietre... Una notizia: “Nel ’47 si aprì a Crispiano un prestigioso pastificio, alla via Salita Luccarelli, gestito dai tre fratelli Chisena, che utilizzavano prodotti e tecnologie di Gragnano. Chiusa l’attività, Giuseppe fu poi fatto sacrestano alla Chiesa Madre”. Annese va addirittura ad esplorare il Registro generale delle contravvenzioni del Comune, gelosamente custodito dall’attuale comandante della polizia locale, dottor Donato Greco. E scopre che la prima contravvenzione è del 29 gennaio ’52 e riguarda un tale che dopo aver scaricato la paglia dal carretto ha omesso di pulire la strada. Crispiano è una città pulita, civile, non permette simili infrazioni.

Nel libro sfilano anche sindaci, assessori, consiglieri comunali; si ricordano serate musicali, manifestazioni in masseria, tra le quali la Lupoli, che ha anche un museo della civiltà contadina. Tra i sindaci, Giuseppe Laddomada e Francesco Paolo Liuzzi, che una sera lasciò una cena in un’architettura rurale per seguire con il collega Martino De Cesare una ragazza disperata (entrata urlando e chiedendo un telefono) per il fidanzato che rischiava il coma diabetico. L’ho conosciuto, Liuzzi, uomo intelligente, orgoglioso, spiritoso, generoso, capace, all’occorrenza, di chiedere scusa. Una sera nel cortile di una rosticceria, al termine di un convegno sulle “chiocciole” (exargot, se si preferisce il francese), organizzato da un altro Liuzzi, Franco, ne offrirono una coppa a ogni invitato. Il sindaco Liuzzi era seduto a un passo da me, e quando si accorse che la mia era rimasta vuota, me ne indicò cinque su un altro tavolo e mi spinse ad approfittare, ”perché le lumache mangiano il colesterolo”.

Un’altra pagina e un’altra preziosità: “Le vacanze di Alda Merini a Crispiano”: “In villa Valente, in via Piave 26, erano soliti passare le giornate estive il poeta Michele Pierri e la grande Alda Merini. Tanti hanno avuto modo di conoscerli, incontrarli sotto l’albero di gelso davanti alla casa dove Alda amava suonare il pianoforte”. Era la casa in cui Michele Annese è nato e cresciuto fino all’età di undici anni. Nell’ottobre del 1983 Alda e Michele Pierri si sposano e vanno a vivere a Taranto. Alda è curata e protetta dal marito, che prima di andare in pensione era un medico, ex primario di cardiologia dell’ospedale Santissima Annunziata di Taranto…”.

Una foto troneggia a corredo di un articolo e suscita emozione in chi ha lavorato alcuni anni battendo i tasti di una “Lettera 22” (cara ad Adriano Olivetti e a Indro Montanelli ed esposta al Moma di New York) prima dell’irruzione dei computer: una macchina da scrivere che non può nascondere i suoi anni. Che bello, questo libro di Michele Annese. Bello e interessante. Lo si legge e lo si guarda con piacere. L’autore è meticoloso, attento, informato, colto. Non dimentica le feste patronali, il carnevale estivo e il presepe vivente , allestiti dalla Pro Loco, creati nelle grotte basiliane, la storia di Crispiano in un quadernetto degli anni 50-60 della piccola Silvia Laddomada; il Premio letterario Città di Crispiano, la pregevole raccolta di circa 150 tesi di laurea di professionisti locali, i premi in libri assegnati dalla Fondazione Nuove Proposte presieduta dall’avv. Elio Greco, che ha contribuito per anni anche all’organizzazione della “Biblioteca in vetrina” e “Biblioteca in condominio”, iniziative la banda musicale storica e ricostituita dopo 70 anni, il gemellaggio con la Grecia, l’esemplare figura dell’editore Nunzio Schena, la cui casa editrice ha sfornato migliaia di volumi sulla Puglia, compreso questo; e neppure i pittori, come Franco Palazzo, artista d’avanguardia che espone in tutto il mondo; la poetessa e pittrice Maria Santoro, laureatasi in tarda età consultando i documenti del neo istituito Centro Studi Montale della Biblioteca, i briganti, tra cui Pizzichicchio, al secolo Cosimo Mazzeo, classe 23 gennaio i837, catturato nella gola del camino della masseria Belmonte (è anche il titolo di un godibilissimo libro di Franco Zoppo). Libro da tenere bene in vista in libreria: una fonte inesauribile di fatti, dati, esperienze. Ogni pagina una notizia, decine di foto: il Premio Crispius, il volume “Le cento masserie”, recital. Iniziative nei cortili delle masserie con esposizioni di opere eseguite da artigiani di grande valore, tra i quali Mimino Miccoli con i suoi don Chisciotte e altre sagome eseguite con pezzi metallici; serate con la presenza di finti briganti con fucili in spalla.

Nel salone della Biblioteca “C. Natale” fu anche presentato il volume “Recupero e Valorizzazione delle gravine di Crispiano”. Potremmo continuare, ma purtroppo le pagine di un giornale non sono di gomma. E’ doveroso aggiungere che c’è anche una pagina tratta dall’intervento di Nico Blasi, direttore di “Umanesimo della Pietra”, eccellente rivista che da anni si pubblica a Martina Franca, in un incontro per le celebrazioni del centenario dell’autonomia del Comune di Crispiano.

La presentazione è di Michele Cristella, giornalista caporedattore al “Corriere del Giorno”, quotidiano di Taranto purtroppo estinto; la premessa di Anna Sorn. In copertina un pregevole scritto di una deliziosa e bravissima giornalista, Anita Preti, che si legge sempre volentieri. Anita fa la storia della Biblioteca “Carlo Natale”, di Michele Annese, del suo amore per i libri… Parte dal ’64, quando lui stava per affrontare mille chilometri di strada ferrata per andare al Nord a prendere il posto che gli aveva assegnato un concorso. Ma a Crispiano occorreva un uomo come lui, capace di dar corpo alla biblioteca e lo supplicarono di restare. E lui s’imbarcò in quell’avventura che succhiò tutte le sue forze, la sua intelligenza, la sua attrazione per Crispiano.

La sua mente fervida ha partorito una pletora di imprese, che hanno sempre riportato successo. Ricordo uno spettacolo musicale nella masseria “Monti del Duca”, dove il pianista suonava con una mano sola perché l’altra era infortunata (presentava alla grande Anna De Marco, una delle collaboratrici della Biblioteca); e la serata per il libro “Puglia, il tuo cuore” di Giuseppe Giacovazzo nella “Monti del Duca”, con la sua austera torre di vedetta, la chiesa, lo stemma, gli animali, la bellezza della struttura…. Tutto quello che ho conosciuto a Crispiano, uomini e luoghi, lo devo a lui, a Michele. Con lui ho partecipato a sagre ottimamente allestite (quella del fungo di Lino Bruno; quella del peperoncino, ideata e realizzata dagli Amici da sempre, con il professor Biagi, espertissimo di “diavulicchie asquande” a mostrare preziosità internazionali nel suo stand). Ho conosciuto il gruppo musicale Crispianapolis, con Antonio Palmisano, valido dipendente della Biblioteca, Jean Burgers, professore dell’università di Amsterdam, autore degli scavi nella masseria Amastuola. Insomma Michele Annese è stato per me anche un premuroso cicerone. Mi resta da visitare la sede dell’Università del Tempo libero e del Sapere, istituita da lui e dalla moglie, la giornalista e professoressa d’italiano Silvia Laddomada dopo l’uscita dalla Biblioteca con tutto il suo ”staff”.        Franco Presicci

 



 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La Biblioteca di Crispiano



Caro Michele, abbiamo avuto modo di parlare in due o più occasioni del tuo bello e minuzioso impegno per produrre questo poderoso volume di storia di un cinquantennio, che poi è la nostra stessa storia e quella di una comunità che ha avuto tanta voglia di crescere e progredire e ha dato quello che poteva per realizzare tutto quanto da te annotato con meticolosa precisione di date e dati.

Ma sento di dover esprimerti per iscritto, “verba volant”, alcune brevi impressioni, riflessioni e pensieri che non sono riuscito a trasmetterti per telefono e che mi piacerebbe ne venissi a conoscenza.

Tu sai, così come tanti, che ti sono amico e proprio per questo innanzitutto esprimo un sentimento di rabbia quando penso agli 2015 e seguenti. Quali novità ci sono state o ci saranno per coloro che hanno letto o tenuto tra le loro mani la tua fatica dato che “con la cultura non si mangia”. Ma nemmeno cinquanta anni fa, anzi a maggior ragione, con la cultura si mangiava. Piuttosto si digiunava e si facevano enormi sacrifici per salire qualche gradino della scala sociale. Eppure tu, in quegli anni, con grande determinazione sei riuscito ad imporre una idea, o meglio un progetto, perché a distanza di tanto tempo, avendoti conosciuto meglio, mi sono convinto che era già nella tua mente in quel lontano 1964 come organizzare e quanto realizzare. Non si può minimizzare sulle tue doti di manager gestionale ed organizzativo, chi ti conosce bene lo può asserire. Ma non si può neanche nascondere che per ottenere dei risultati occorrono sia sforzo che grande impegno e determinatezza, doti che non ti sono mai mancate né ti mancheranno, ne sono sicuro. Continuando nel mio dire sono ancora più arrabbiato dal fatto che, come diciamo noi “ na lo_sc giurn né cant jadd”

; lasciamo stare questo periodo pandemico che si protrae e non permette alcuna azione da parte di qualcuno, ma c’è in giro un’aria statica, stagnante che se non viene rimossa in qualche modo potrebbe riammorbare la cultura, il conoscere, il sapere e il ricordo. Ecco il ricordo. E il tuo poderoso volume è il Ricordo. Poderoso nel senso che ho apprezzato il formato, così saggiamente consigliato anche dalla Casa Editrice Schena, che dà un valore aggiunto al tuo impegno ed una imponenza al lavoro fatto per diventare e rimanere fruibile, perchè il suo ingombro ed il suo peso devono esercitare tutta la potenza del pensiero e delle opere in essi contenuti e che si sono svolti nei cinquanta anni descritti o documentati con una enorme e traboccante raccolta iconografica e di documenti. La mia rabbia si chiude alla pagina 79 del tuo libro perché ho ricordato un episodio del mio curriculum studiorum quando dovetti affrontare l’esame di maturità. In quella tu citi l’Enciclopedia Treccani, il suo prezzo e il suo acquisto chiedendoti chi mai l’avrebbe consultata; ebbene, ricordati che, uno di quelli che per primo lo fece, chiedendo il XXIV volume dell’Enciclopedia conservata allora al piano terra del Comune, fui proprio io e mi servì per svolgere la tesina di storia su Napoleone Bonaparte e la Rivoluzione Francese (quando l’Esame di Maturità era una cosa seria e molto impegnativa). Sono ancor oggi seccato però dal fatto che dovetti copiare ben 27 pagine il tutto stando lì seduto su uno scannetto al freddo e in una ambiente senza suppellettili, un po’ umido (ricordi l’ambiente?) per alcuni giorni. La tesina fece furore. Questa è uno dei tanti ricordi che grazie a te e al tuo libro mi ha riportato a quei tempi in cui iniziava la bella avventura della Biblioteca “ Carlo Natale” e non solo. Riflettendo col senno di poi è possibile dire che si sapeva, o quanto meno prevedeva, che le cose sarebbero andate bene perché l’impegno e la volontà di fare e realizzare erano intensi ed il tempo per fare era tutto davanti a noi. Ed è stato fatto. E bene.

Ecco finisco qui questo mio pensiero, altrimenti non mi fermo più, però prima permettimi di ringraziarti per l’ampio spazio che in esso hai dedicato alla mia persona e alle iniziative che abbiamo condotto in collaborazione (una delle prime iniziative di educazione sanitaria e prevenzione nei confronti della popolazione in Italia, anche se a piccoli gruppi, l’abbiamo prodotta nella Biblioteca di Crispiano. Poi ci siamo inventati i Lunedì della Salute, come hai ben evidenziato. E grazie anche per la considerazione e la stima nei confronti dell’Accademia e del Centro Pugliese di Storia dell’Arte Sanitaria di cui sono molto orgoglioso. 

Il tuo lavoro non può non piacere e mi è piaciuto.

Grazie e ciao.       Nino  (dott. Martino De Cesare)


mercoledì 16 dicembre 2020

I SIMBOLI DEL NATALE

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Relazione di Silvia Laddomada

Il Natale é una festa che richiama e perpetua tradizioni, credenze, usanze, una festa che mescola elementi storici con elementi fantastici.

Storia e leggende che esaltano sentimenti e affetti domestici. Emozioni, che ogni anno, nell'allestimento degli addobbi natalizi, ci riportano all'infanzia, a quei momenti in cui la casa si illuminava in maniera diversa, e le nonne si affaccendavano a preparare i dolci tipici, diffondendo per la casa odori di olio fritto misto a odori di miele bollente.

Facciamo il presepe, cioè rievochiamo l'evento misterioso accaduto in una grotta di Betlemme oltre 2000 anni fa.

Gesù nasce in una grotta e la Madonna lo depone in una mangiatoia, probabilmente un deposito di paglia e un rifugio per gli animali, nel piano sottostante dell'osteria dove si fermavano i viaggiatori a riposare.

Era notte. Nelle vicinanze, dei pastori vegliavano il loro gregge.

Furono i primi a visitare il neonato.

Poi nel cielo apparve una stella molto luminosa, che indicò ai sapienti re magi il luogo in cui avrebbero trovato il Bambino.

Natale 2020-Presepe realizzato da Silvia e Gabriele Annese

Tutti personaggi che noi poniamo nel posto in cui allestiamo il Presepe: la sacra Famiglia, cioè Maria, Giuseppe, Gesù; gli angeli che diffusero la lieta notizia, i pastori, i magi, e poi la moltitudine di gente che accorre, fabbri, panettieri, pescatori, zampognari, musicanti di strada, mendicanti, donne, bambini, il mondo dei contadini e degli artigiani di Betlemme.

Spesso nella scenografia riserviamo un posto al palazzo del re Erode e ai suoi soldati, posizioniamo qualche casa o palazzo diroccato.

La presenza di strutture in rovina risale alla leggenda aurea: un testo medievale in cui c'era scritto che il Tempio della Pace a Roma sarebbe crollato quando una vergine avesse partorito.

Per i cristiani ciò era accaduto quella notte santa.

I re magi sono gli ultimi ad arrivare.

Essi hanno viaggiato tanto e davanti alla grotta si sono inchinati, donando oro (simbolo di regalità), incenso (simbolo di divinità), e mirra (simbolo di umanità).

La tradizione pone il loro arrivo nel giorno dell'Epifania, quando la Befana porta i doni ai bambini.

Ma come addobbiamo le nostre case e quale significato simbolico hanno i vari ornamenti?

In ogni casa é presente anche l'albero di Natale.

E' una tradizione dei paesi nordici, é un abete, una pianta sempreverde, simbolo di forza ed eternità, che veniva adornato con ghirlande e nastri colorati, simbolo del rinnovarsi della vita nei riti di passaggio dall'autunno all'inverno.

Nella tradizione cristiana esso rappresenta la Luce di Gesù, e le decorazioni simboleggiano la sua generosità.

Un'altra tradizione nordica ci ha portato Babbo Natale, che la notte di Natale parte dalla Lapponia , in Finlandia, e porta i doni ai bambini su una slitta, trainata da otto renne.

Gli fa compagnia il pupazzo di neve, altro personaggio del Natale.

Secondo alcune leggende sarebbe l'aiutante di Babbo Natale, a lui viene affidato il compito di far nevicare, creando così le condizioni ideali per la consegna notturna dei doni.

I fiocchi di neve, che attacchiamo ai vetri delle finestre o appoggiamo ai rami dell'abete, é la grazia che scende dal Cielo.

Fiocchi che si trasformeranno in acqua, simbolo di un cambiamento, di un nuovo inizio.

Quali sono i colori dominanti a Natale?

Il più comune é il rosso.

Rosso é il vestito di Babbo Natale, rossa é la stella di Natale, il fiore che vivacizza le nostre case.

C'é sempre questo colore nelle nostre tovaglie per il pranzo, nelle nostre stoviglie, nei nastri con cui decoriamo le ghirlande appese all'ingresso.

La tradizione delle ghirlande é di origine romana.

Gli atleti vincitori appendevano alle porte delle loro case le corone di alloro per segnalare le vittorie conquistate.

Rosse sono spesso le palle che decorano l'albero.

Il rosso é il colore della regalità, della sacralità.

L' altro colore é il verde.

E' il segno della rinascita, del risveglio. E' il simbolo della speranza.

Poi c'é il bianco, associato alla luce, alla purezza, alla rinascita interiore.

Il quarto e quinto colore sono l'oro e l'argento, rimandano a un'idea di ricchezza, di sovranità.

Un elemento bianco-rosso é il bastone del pastore, quel bastoncino che usiamo come decoro dell'albero.

Altri elementi con significato simbolico sono l'agrifoglio, il vischio.

Donarli é sempre un segno di buon augurio.

Il vischio veniva venerato e colto con il falcetto d'oro dai druidi. Esso é simbolo di protezione, di amore e di fortuna.

L'agrifoglio é un porta fortuna. Rappresenta la capacità di sconfiggere le avversità dell'inverno.

Secondo una credenza le foglie spinose rievocano le spine della Corona di Gesù, le bacche rosse il suo sangue.

Sannachiudd tarantini

Secondo una leggenda, quando la Sacra Famiglia fuggì da Betlemme per evitare la strage di Erode, fu nascosta da un agrifoglio.

Maria gli dette la sua benedizione rendendolo sempreverde.

Sul piano gastronomico, oltre ai nostri dolci tradizionali: pettole (il cuscino di Gesù), porcellini o "sannachiudd" (si devono chiudere, tenere riservati per Natale), le cartellate, simili a ghirlande, da condire con zucchero, miele o vincotto, abbiamo il classico panettone (pan di Toni, il cuoco che realizzò un dolce impastando vari ingredienti) e il tronco di Natale, il dolce a forma di ceppo di legno. il "tronchetto".

Anche questo dolce, a forma di piccolo ceppo di legno, ha tradizioni antichissime, tutte diffuse nel centro-nord dell'Europa, in Lombardia, in Grecia, Spagna, Portogallo.

 

La buche sorride-disegno di Anna Presciutti

Si racconta che nel 1100 il capo famiglia, la sera della vigilia di Natale, bruciava un tronco di legno (faggio, quercia, ulivo) nel camino, che idealmente doveva bruciare fino al 6 gennaio.

Il ceppo rappresentava l'albero della vita. Con esso si riscaldava la casa, per renderla più confortevole in occasione della venuta di Gesù.

I resti del ceppo dovevano essere conservati, perché avevano proprietà propiziatorie, come quella di favorire il raccolto e l'allevamento, nonché la fertilità della donna e degli animali.

Oggi il caminetto non é presente in tutte le case, per cui il grosso tronco può essere sostituito con un simbolo in miniatura, si decora la casa con un centrotavola, composto da un tronchetto addobbato di foglie e candele.

Sono stati i francesi, dopo la 2^ guerra mondiale, a trasformare la tradizione in prodotto gastronomico.

"Le buche di Noel".

Nel menù di Natale, i francesi hanno previsto questo dolce ricoperto di cioccolato o di crema caffè e glassa, ripieno di marmellata.

Nel periodo delle feste di Natale porta fortuna mangiare il melograno e le lenticchie. Il melograno è simbolo di rinascita, di resurrezione. Le lenticchie sono sempre di buon auspicio e sono simbolo di prosperità economica.

E dopo aver gustato tutte queste delizie, soddisfiamo un'altra curiosità.

A Natale si scambiano dei doni, perchè?

La tradizione risale al re sabino Tito Tazio, prima che Roma conquistasse il mondo conosciuto.

Dal 17 al 23 dicembre si organizzavano i "Saturnalia", feste religiose dedicate al titano Saturno e all'età dell'oro. In questo periodo si allestivano banchetti e i partecipanti portavano in dono rami di ulivo e di altre piante, raccolte nel bosco della dea Strenia.

La calza appesa al caminetto

L'usanza é diventata popolare, per cui i rami furono sostituiti con doni simbolici, le strenne (termine ancora in uso con riferimento ai doni di Natale), che gli adulti si scambiavano come simbolo di uguaglianza sociale.

Un'ultima tradizione: le calze appese al camino, che poi Babbo Natale o la Befana riempiranno di dolciumi.

Il riferimento é a S. Nicola, Santa Claus, da Sinter Klaas, traduzione olandese di San Nicola.

Secondo una leggenda, San Nicola salvò tre povere fanciulle, destinate alla prostituzione per procurarsi il denaro per la dote, allora molto essenziale per il matrimonio. Di notte, dice la leggenda, il santo col suo cavallo si arrampicò sul tetto della casa delle fanciulle e lasciò cadere delle monete d'oro nelle calze, che loro avevano steso sul camino.


Così, tra leggenda e storia, godiamoci questi giorni di festività.

Auguro a tutti tanta gioia e serenità.

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mercoledì 9 dicembre 2020

LA TREGUA DI NATALE

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Relazione di Silvia Laddomada

Buonasera amici e buona giornata dell'Immacolata.

La tradizione di noi crispianesi pone al giorno 8 dicembre l'inizio delle festività natalizie.

Un tempo era questo il giorno in cui, incontrandoci, dopo la Messa, ci scambiavamo un abbraccio e un augurio di "buone feste".

Era il giorno in cui si portavano a tavola i dolci tradizionali: porcellini, cartellate, pettole, da condire col miele, col vincotto, con lo zucchero.

Qualcuno assaggiava anche il torrone.

Oggi le tradizioni si sono integrate: già a santa Cecilia, tradizione tarantina, circolano in casa i dolci di Natale, i balconi addobbati, la casa arredata con oggetti natalizi, l'albero.

Un tempo novembre era rigorosamente il mese in cui pensavamo e pregavamo per i nostri defunti.

Ora il periodo delle feste natalizie lo abbiamo allungato.

Qualche anno fa c'era una pubblicità di un attore che mangiava il panettone in anticipo.

"Tanto - diceva - Natale quando arriva, arriva".

Noi quest'anno siamo chiamati a vivere il periodo delle feste con una certa tristezza. "Natale con i tuoi", ma quest'anno nemmeno quello.

I figli lontani, i fratelli, le sorelle lontani, i genitori lontani.

In questa Italia a colori, con le sue restrizioni, sarà difficile per le famiglie stare insieme.

Lo faremo virtualmente, perché questo Natale é particolare.

Nessuno di noi, da quando é nato, ha mai provato l'angoscia di questo periodo.

Forse molti di noi non hanno nemmeno voglia di prendere una decorazione natalizia e metterla sul tavolo.

Siamo perseguitati da un nemico invisibile, che non fa differenze; siamo ossessionati dai bollettini di guerra che quotidianamente ci aggiornano sul totale delle vittime.

Ma il Natale é una ricorrenza particolare.

Tra tutte le notti dell'anno, quella di Natale é una delle più speciali, notte luminosa, notte di attesa, di speranza, di fiducia in un Dio misericordioso.

La dolcezza di questa magica notte, il calore degli affetti famigliari non possono essere annullati.

Nella nostra guerra contro il virus, decidiamo tutti di fare una tregua, una pausa.

Esprimiamo la nostra vicinanza e il nostro affetto a coloro che sono stati colpiti da questa pandemia, ma per alcune settimane pensiamo al Natale.

La tregua. In Grecia, in occasione delle feste religiose o dei giochi olimpici, si rispettava la tregua.

In quei giorni cessavano tutte le inimicizie pubbliche e private; ci si incontrava senza difficoltà, vivendo tutti insieme lo spirito della festa.

Quindi viviamolo, questo spirito natalizio.

La notte di Natale ha ospitato eventi storici o episodi di bontà, che sembrano fiabe, ma sono accaduti davvero.

La notte di Natale dell' 800, Carlo Magno si fece incoronare imperatore del Sacro Romano Impero da papa Leone III, nella Basilica di San Pietro. Scelse la notte più bella dell'anno.

La vigilia di Natale del 1223 san Francesco tornava da Roma, dove con i cardinali e il papa aveva parlato della sua regola di povertà assoluta.

Fermatosi a Greccio, un paese montano vicino Rieti, chiese a una amico di procurargli un asino, un bue e un pò di paglia. Voleva ripetere la Natività, come a Betlemme.

Saputa la notizia, la gente accorse al lume delle fiaccole. I frati cantavano, e lo stesso Francesco lesse il vangelo della nascita di Gesù.

Era nato il primo presepe.


PRESEPE DI SABBIA (Associazione Amici da Sempre)

Ed ora una notizia storica. Non é una fiaba, non é una leggenda.

E' accaduto realmente, ci sono documenti, sono stati realizzati dei film, anche se per molto tempo non se n'é parlato.

La vera "tregua di Natale" l'hanno vissuta i giovani che nel 1914 erano nelle trincee a combattere una guerra orribile.

La guerra era stata dichiarata dall'Austria alla Serbia, nel luglio 1914, in seguito all'assassinio dell'erede al trono austriaco, Francesco Ferdinando.

Una questione interna all'Impero austriaco, in quanto l'Austria voleva estendere il suo dominio sui Balcani e la Serbia voleva unificare tutti i popoli slavi dei Balcani sotto il suo potere.

Ma c'erano in Europa delle Alleanze strategiche, delle concorrenze tra gli Stati.

Per cui, allo scoppio della guerra tutti i paesi europei si trovarono in conflitto tra loro, e in breve tempo il conflitto divenne mondiale.

Si parlava di una guerra lampo, di una guerra che sarebbe finita subito. A Natale tutti a casa, si mormorava tra i soldati.

Ma dopo i primi scontri, la speranza di una vittoria rapida svanì, mentre apparve concreta la prospettiva di un conflitto lungo e logorante, combattuto nel fango delle trincee.

Quella notte della vigilia di Natale, la neve cadeva lenta e silenziosa.

In Belgio, a Ypres, nella regione delle Fiandre, soldati tedeschi e soldati scozzesi erano nascosti tra i cespugli delle rispettive trincee.

All'improvviso il silenzio della trincea venne rotto da una melodia natalizia. I soldati tedeschi intonarono "Stille Necht" ("Astro del ciel") e con candele accese decorarono i parapetti delle trincee, e i cespugli.

I soldati scozzesi si commuovono, escono timidamente dalle trincee, e intonano anch'essi i loro canti tradizionali del Natale.

I cannoni tacciono. Spunta un drappo bianco, e lentamente i soldati avanzano gli uni verso gli altri, nonostante i divieti dei comandanti, fino a incontrarsi nella terra di nessuno, lo spazio delle battaglie corpo a corpo.

Si stringono la mano, si scambiano doni: cioccolato, tabacco, liquore.

I soldati fraternizzano, scoprono che i nemici sono uomini come loro, sono giovani uomini che condividono la stessa quotidianità, fatta di stanchezza, di disagio, di timore, di paura della morte.

Spunta un pallone, si disegnano le porte nella neve e si gioca a calcio, tedeschi e inglesi, in un campo precario, pieno di buche di granate e di filo spinato.

Il pallone si blocca su un filo spinato e si sgonfia: 3 a 2 per i tedeschi, la partita si interrompe.

Quella notte non si pensa all'inutile strage, come fu poi definita da papa Benedetto 15° la guerra.

Non si spara. All'alba si approfitta per raccogliere i propri compagni, morti nella zona pericolosa, per dargli una degna sepoltura. Poi il fischio del cannone.

I soldati si voltano e ritornano nelle proprie trincee. La guerra ricomincia.

Era stato un breve momento di spensieratezza, in un clima di disperazione.

Nonostante tutto, era Natale!

Buone feste a tutti.

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mercoledì 2 dicembre 2020

TANGO ARGENTINO: IL SENSO DI UN ABBRACCIO

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RELATRICE: MARZIA ANNESE

 

 

 

 

 

 

 

 

PREMESSA
L’argomento che vorrei condividere oggi con voi è il TANGO ARGENTINO, una passione a me cara e sicuramente una cultura, una danza che sta diventando sempre più popolare negli ultimi
anni anche in Italia.

Come tanti altri campi, in questi mesi anche questo mondo ha subito una declinazione virtuale.
Sono tanti i ballerini e I cultori del tango che si stanno incontrando on-line per approfondire la loro conoscenza e poter imparare ancora qualche passo con dei video e lezioni, offerte dai loro maestri tangueri.
Anch’io vorrei oggi riflettere con voi su questo mondo, su questa forma artistica:
Sia per darne qualche cenno storico, di un fenomeno nato più di un secolo fa in un paese lontano, come l’Argentina.
Sia per riflettere sul tango come senso dell’ABBRACCIO, per la connessione non verbale che veicola in questa danza.
Tentando di riflettere sul tango, non posso esimermi dal parlarne in prima persona, anche se talvolta slitterò su alcune considerazioni più generali.

La mia conoscenza del tango argentino risale a 10 anni fa, praticato per circa 5/6 anni, quindi non posso definirmi una specialista, ma sicuramente un’appassionata.
La mia conoscenza di questa danza è nata, fuori dall’Italia: prima a Copenaghen, dove una sera questa musica suonata in un piccolo locale mi risultava sconosciuta e lontana dal tango standard che avevo sentito nelle balere estive, frequentate in Emilia con la mia famiglia, durante la mia infanzia.

E poi a Londra, dove ho vissuto 2 anni, e ho frequentato dei corsi di tango, che mi hanno dato l’occasione di scoprirne i passi, la tecnica del ballo e dopo, coinvolta dalla maestro, ho conosciuto le classiche sale da ballo chiamate Milonghe, dove ho sperimentato I primi tanghi in coppia.
Il mondo anglossassone, per antonomasia, non può definirsi il mondo più caloroso da conoscere con il tango argentino ma la mia maestro, bravissima, mi aveva fatto appassionare.
Tornata a Milano, ho continuato a studiare il tango e con gli Italiani tutto è stato più facile, a livello di coinvolgimento e divertimento. 

Marzia e Donato pronti per il tango argentino
Il tango argentino mi ha dato l’opportunità di incontrare tante persone, molte di queste sono ancora miei attuali amici, nonché di conoscere mio marito, regalandomi insegnamenti non solo sulle piste da ballo, ma anche nella vita e in ciò che ci piace fare, ascoltare.
Con mio marito abbiamo passato una settimana (d’obbligo per gli amanti del tango) a Buenos Aires in cui respiravo a pieni polmoni quel fenomeno chiamato “tanghitudine”, nelle strade, café, mercati di Buenos Aires. Per Tanghitudine si intende quel particolare stato d’animo melanconico, intriso di pensieri sul senso della vita, della solitudine dei personaggi pioneri del tango, che a breve vi descriverò, frutto dell’abbandono, della delusione del grande sogno, della rabbia implosa.
Ho avuto il piacere di svolgere lezioni con maestri argentini bravissimi e alla sera recarmi nelle storiche e famose Milonghe, dove da sempre si balla e si “vive” il tango, con rituali codificati che si ritrovano originali nella città portena, ma che sono stati reiterati e ripetuti in tutto il mondo, per regalare sempre la tensione dell’incontro, la magia del tango.

ORIGINI E CONTESTO DEL TANGO
Il materiale su cui documentarsi non è preciso, proviene da vecchi spartiti, giornali, interviste a protagonisti ancora vivi.
Il tango nasce verso la fine del secolo scorso, nei sobborghi di Buenos Aires. Precursori sono la habanera cubana e la milonga.
Ci sono due grandi filoni sulla teoria delle origini:
1. A partire dal 1850, negli scambi mercantili tra il Rio della Plata e i Caraibi, si diffondono nei porti di Buenos Aires e Montevideo, la “habanera cubana”, ritmo proveniente a sua volta da tanghi andalusi.
In Argentina, in quel periodo l’economia era basata sull’agricoltura, e in periferia si spinge l’uomo di campagna, “il gaucho”, portando con sè il suo modo di fare musica con la chitarra, ovvero la “payada”, sonetti improvvisati sui temi della condizione umana.
La “habanera” si trasforma quindi in “milonga”, precursore del “tango”. Questa musica è intrisa anche dal “candombe”, ritmo ballato dai neri montevidiani nelle loro riunioni danzanti.
2. Nel 1883 uno studioso, Lynch, sosteneva che la milonga, come danza, fu creata dai “compadritos” per burlarsi dei balli dei neri. Generalmente napoletani e calabresi, la ballavano per le strade, accompagnati dal suono di un organetto con le ruote o nei “postriboli”, presenti lungo il fiume, simili a delle bettole.
Il ballo era considerato un orgoglio per gli uomini del tempo, quindi prima di recarsi nei postriboli, facevano le prove tra gli uomini. Anche le donne, che erano in minoranza, non dovevano essere necessariamente belle, ma brave nel seguire; venivano chiamate “le seguidoras”, per l’ostentazione dell’uomo di saper ballare, con un rispetto quasi liturgico di ciò che si stava facendo.
I personaggi che inventarono il tango non possono venire compresi fuori dai luoghi di questo fenomeno, profondamente popolare: a partire dalla metà dell’800, l’Argentina comincia a vivere un profondo e radicale cambiamento politico, economico e demografico. In poco tempo, diventa un’enorme distesa di terra, con un’altissima concentrazione del potere economico attorno alla sua città-porto. Il bestiame non era più sufficiente, così la classe governante decide di popolare il “deserto” , aprendo le frontiere agli stranieri, sopratutto europei, con la speranza di accogliere professionisti, agricoltori specializzati, persone illustri con il motto “Governare è popolare”, senza gravare con alcuna tassa.
Come si può immaginare, le masse di immigrati che invece risposero all’appello erano di tutt’altro tipo. Persone che già vivevano uno stato d’indigenza, ai margini della cultura nel loro paese d’origine, si sentivano attirati dalla possibilità di comprare appezzamenti a prezzi bassissimi. In realtà, la terra era già stata divisa tra poche famiglie di proprietari terrieri.
Gli abitanti di Buenos Aires passarono da 2 a 4 milioni.
Così l’immigrante finiva per radicarsi nelle zone urbane, cercando con qualsiasi mestiere, di racimolarsi qualcosa per sopravvivere.
A questo, si affianca un fenomeno di immigrazione interna: i militari, vivendo in un periodo di pace per l’Argentina, erano disoccupati e abituati a vivere in bivacchi; I gauchos, si spingevano dalle campagne verso le città con le famiglie e i loro figli, chiamati “compadritos”.Tutti questi uomini, in sproporzione con il numero demografico di donne, si installarono nei “conventillos”, grandi case con servizi comuni dove venivano stipate maree di famiglie.
Questa massa di persone solitarie, quotidianamente in cerca di distrazioni e svaghi lungo il fiume, si recava alla sera nei “postriboli”, che alla fine diventarono le primitive accademie di ballo.

A questi, come abbiamo visto, si affiancavano I “compadritos” (figli dei gauchos), spesso uomini della malavita, per cui le serate danzanti finivano spesso in risse.
In questi ambienti, la diffusione del tango si deve a numerosi musicisti itineranti, sia “criollo” che emigrante, che spontaneamente si spostavano tra un bordello e l’altro, tra un’accademia e l’altra, interpretando gusti e modificando ritmi senza sapere che stavano dando luogo al fenomeno più
originale della cultura popolare argentina: il tango.
Se nel corso degli anni 80 dell’800 il tango transita in luoghi malfamati, agli inizi del 900 inizia ad affermarsi in luoghi di maggiore prestigio, guadagnandosi la fiducia della classe media portena, depurato degli abbellimenti e movimenti tipici del compadrito.
Per entrare nei saloni e nei teatri alcuni passi erano stati vietati e ripuliti.
Vi erano alcune case da ballo, di gente borghese, che organizzava le serate, facendo sì che le donne venissero accompagnate e gli uomini si prenotassero per entrare.
In queste occasioni, non c’erano diritti d’autore, per cui i compositori generalmente a “orecchio”, eredi degli insegnamenti lasciati nei conventillos da amici e parenti (quasi sempre italiani), per guadagnare dedicavano le loro musiche a qualche privato, che alla fine del pezzo, lo pagava 100 pesos.
Un personaggio famoso Villoldo, che suonava la chitarra e l’armonica, lascia una valida testimonianza con uno dei tanghi più famosi, El choclo e La Morocha (uno dei primi tango cantati) il cui spartito casualmente viene esportato a Parigi.
Negli anni 20 e 30 I musicisti smettono di essere degli emarginati e indossano lo smoking e le buone manerie.
Il tango subisce la sua era più felice, erano gli anni d’oro, suscitando interesse in tutta Europa e fino ai primi eventi bellici diventa un fenomeno di spensieratezza e divertimento della borghesia.
I cabaret si moltiplicano, qualche studioso di musica alternava le accademie di Buenos Aires a quelle di Parigi e Londra, così che l’argentino diventava fiero del fenomeno culturale, che aveva visto la culla nella sua pietra.
Nacquero gli spartiti e gli strumenti diventarono più sofisticati. Venne introdotto il pianoforte, il contrabbasso, il Bandoneon, che cambierà il temperament del tango: appare il tipico suono lamentoso, sentimentale, nostalgico, capace di commuovere fino alle lacrime.
Francisco Canaro diede l’avvio a un’importante trasformazione strumentale, costituendo l’ORCHESTRA TIPICA: due bandoneons, due violini, piano e contrabasso.
Un altro nome importante di questo periodo è Julio De Caro (Milanese, proveniente dal Conservatorio). Lo stile Decarismo è quello attuale del tango, portato poi avanti da Pugliese, Salgan, uno stile essenzialamente polifonico.

Negli anni 40 uno stile nuovo, che rompe con la tradizione, è rappresentato da Astor Piazzolla, personaggio discusso, dove il tango diventa meno ballabili, ma che inserisce degli elementi di jazz e batteria, dando origine alla “vanguardia”.
In questo periodo nascevano interessi anche per nuovi balli, provenienti dall’America, come il rock’n roll.
Il tango subisce, verso gli anni 60, con il decennio peronista, un arresto, in quanto nasce una certa diffidenza verso tutto ciò che si indentifica col nazionalismo.
In questi ultimi 30 anni c’è stato un arresto della produzione e con la repressione militare degli anni 80 il tango si é dovuto richiudere nelle cantine. Tutto ciò ha comportato che una generazione di giovani non solo non ha studiato tango, ma non ha potuto nemmeno respirarlo.
Con l’arrivo della democrazia, invece, c’è stato un vero e proprio revival del tango, sopratutto nella danza.
Negli anni 90, Il tango si dichiara patrimonio artistico e culturale argentino e l’11 dicembre è stata indetta la giornata del tango (data di nascita di Carlos Gardel e di Julio De Caro).
Negli anni 2000 si è sempre più affermato un genere noto come Tango Nuevo ballato soprattutto sulle note del tango elettronico. Un movimento vero e proprio si è venuto a creare attorno alla ricerca costante di nuove forme di movimento nel Tango, in Europa e di ritorno nella stessa Argentina.

TANGO CANZONE

Il tango, fuor di dubbio, nacque prima come musica fatta per ballare e le parole furono aggiunte successivamente. I primi “testi” erano esclamazioni del pubblico davanti a qualche prodezza dei ballerini, o degli apprezzamenti da parte dei compaditro sulle proprie virtù.
Alla fine del secolo scorso, la popolazione della città di Buenos Aires era costituita dal 50% da immigranti. Il “criollo” argentino da una parte partecipa al processo di integrazione dello straniero, dall’altro manifesta una sottile forma di xenofobia.
I “gringos” rappresentavano la valanga di Italiani emigrati, che appartenenti anche alla malavita, usavano un gergo in codice nei carceri chiamato “lunfardo”. Il lunfardo diventa sempre più la voce del porteno, e inserendosi sempre più nelle parole dei tanghi, ne denuncia i suoi tormenti, le ossessioni, le sue passioni e abitudini.
Il lunfardo rendeva colorito il linguaggio dei tangueri.
Ma agli inizi del 900 alcuni compositori inziano a scrivere le prime poesie, si ricorda MIlonga sentimental di Homero Manzi e I primi tanghi composti e cantati risalgono al 1917 con Carlos Gardel. Personaggio di origini confuse, rimaste misteriose anche per suo volere, è entrato nei grandi miti del popolo argentino.
Gardel è stato per gli argentini qualcosa di più di un cantante: è stato prima di tutto il simbolo del riscatto sociale, colui che attraverso la sua arte e il suo talento riesce ad emergere.
Le donne lo amano, gli uomini lo invidiano e lo ammirano.

RITMO E CODICI DELL’ABBRACCIO
In una Milonga, ancora oggi, si va a ballare sia in coppia, che da soli per ritrovare o incontrare un ballerina/ballerina in sala. Stupisce che ancora oggi, in tutte le milonghe, famose o improvvisate, ci siano posti tradizionali, organizzati con tavolini sistemati intorno alla pista da ballo: si entra, ci si siede, si cambiano le scarpe e poi inizia l’invito tra uomo e donna: la “Mirada” in cui l’uomo “cabacea” per invitare la donna che, se accetta, incontra l’uomo al centro della pista.
Una tanda è composta 3 tanghi, interrotti da una cortina, solitamente una musica che dura meno di un minuto non ballabile, per far riposare i ballerini o cambiare dama.
Il tango argentino è caratterizzato da tre ritmi musicali diversi ai quali corrispondono altrettante distinte tipologie di ballo: Il Tango, la Milonga e il Tango vals (Vals criollo). Musicalmente il Tango ha un tempo di 4/4 o 2/4, come la Milonga, mentre il Tango Vals, che deriva dal Valzer ha tempo 3/4.
La posizione della coppia è nata sotto i migliori auspici: cavaliere e dama erano praticamente abbracciati strettamente, in modo tale che la dama potesse percepire i movimenti anche improvvisati del pratner, I bruschi cambi di direzione, e farsi guidare senza problemi. Intuizione ed intesa erano virtù fondamentali.La vera sensualità di questo ballo risiede nella complicità totale e maliziosa, intuitive e istintiva, che nel silenzio si stabiliva fra I partners: una specie di intimità senza parole.
Per definire l’abbraccio, mi rifaccio all’insegnamento di uno dei maestri, Osvaldo Roldan: Il modo di proporre il mio lavoro è quello dell’abbraccio sincere, in cui ciascuno si mette in gioco.
Utilizzo le risorse che ho per divertirmi e per far sì che l’altra persona si senta bene.
La connessione che cerco è quella che manca nelle persone, proprio per lo stile di vita che conduciamo. Già questo è un grande lavoro. Insegnare a creare questa connessione va al di là dell’insegnamento del ballo.
Il mio è un abbraccio del dialogo , non è semplicemente una questione di spazio.
E’ una connessione che sorprende perché ogni coppia è diversa, è una dimensione del sentire e del comunicare che ci scopre sinceri mentre balliamo.
L’abbraccio nel ballo è “cerrado”, stretto nella parte alta del corpo, petto contro petto, che è il centro delle nostre emozioni, il punto da cui parte la respirazione.
E’ quasi un paradosso: l’abbraccio, uno dei gesti più spontanei, un modo per comunicare il nostro affetto e vicinanza con una persona cara, nel tango viene usato con lo scopo di ballare, è ciò che rende possibile I movimenti del piede, anche se non conosciamo il partner e non vogliamo comunicargli alcunché.
E’ un’opportunità di comunicare, quella non inquinata dal pensiero, dai condizionamenti sociali, educativi. Si ripristina un tipo di comunicazione diretta.
La cosa più bella del tango non è ciò che si vede, bensì ciò che si sente.

Potrebbe essere considerato un ambiente maschilista, in quanto l’uomo guida e decide I passi, ma in realtà la donna, quando balla, segue i passi per far nascere la figura perfetta del tango, quella
che viene definito un “animale a 4 zampe”. Non si tratta di sottomissione della donna, ma di accettare e giocare un ruolo, come negli scacchi.
Il milonguero, prima di cominciare a danzare, ascolta la musica, abbraccia la donna, trattiene il respiro, ascolta il battito del suo cuore e allora, soltanto allora, esegue il primo passo.
Quando abbraccia, è solido ma non asfissia, conosce la misura esatta. Non scarica il suo peso sulla compagna nè si carica addosso quello di lei, la porta in un viaggio musicale.
Tutto il suo corpo guida. Emette il messaggio principale dal suo petto, attraverso la zona degli affetti, che offre alla sua compagna mentre la riceve nella sua casa corporea.
La donna non usa l’abbraccio per attaccarsi. Porta continuamente il suo corpo in avanti, anche quando cammina all’indietro. La ballerina milonguera sa che, se si separa, rimane senza informazioni del corpo del suo compagno. Per tale motivo cerca sempre il messaggio nel petto.
Sente, non analizza il messaggio. Non si ferma a pensare che cosa sta facendo. Solamente sente, riscoprendo a ogni istante nel suo sentimento la magia del tango.

TANGO ARGENTINO O TANGO STANDARD
Vorrei fare un punto sull’individuazione di parametrici classici di questo fenomeno “tanguero”, per distinguerlo dal mondo dei balli “standard”, internazionali, codificati nel mondo europeo e
anglosassone.
Ai primi del 900, dopo il successo degli spettacoli delle prime compagnie Argentine a Parigi, il tango cominciava a sottrarre spazio al Valzer e alla Polka; questo nuovo ballo interpretava un
modo nuovo, meno simmetrico e più complesso di intendere la coppia.Il mondo dei balli, fortemente codificato attraverso specialistiche riviste prevalentemente anglosassoni, con la pretesa di dettare regole precise e internazionali, non poteva accettarne la
forma libera e l’intima sensualità.
Analogamente a come era già avvenuto per il valzer nel 700, nasce quindi il tango “standard”, “british”: quasi una caricatura di quello originale; possessivo, conflittuale, a volte aggressivo,
caratterizzato da movimenti rigidi, scattosi, casquet, rose tra le labbra, ecc.
Il tango veniva considerato un ballo peccaminoso, in special modo per il fronte cattolico.
Si narra che il papa Pio X desse disposizioni affinché una coppia di ballerini di tango gli fornisse un’idea precisa del nuovo ballo, per valutarne direttamente gli aspetti scandalosi, e poterne revocare una sanzione ecclesiastica.
A quell’epoca venne presentato un tango “ripulito” dei passi tipici usati nei “postriboli” alla fine dell’800 e il papa nel 1914 accettò tale ballo.
Nel 900 il tango british di diffondeva nelle sale da ballo e teatri di tutto il mondo, con spettacoli e coreografie articolate.
Quello originario, invece, il tango argentine, a lungo agnostico a gare e regole, fuor di patria, fu meno conosciuto e solo recentemente, grazie alla diffusione di artisti e musicisti che l’hanno esportato nei teatri e saloni di alto rango, gli viene riconosciuta la fama in alcuni film, spettacoli teatrali e vede il proliferare di Milonghe in tutto il mondo dove si potrà sperimentare quella magia dell’abbraccio e magari sentire qualche accento porteno da maestri di ballo argentino.

                                                       

Presentazione di Silvia LADDOMADA

 

Siamo entrati nel mese di dicembre. Quest'anno

con le sue angosce e le incertezze, sta per finire.

Non finisce, però la nostra preoccupazione per

questo virus, che miete vittime in tutte le classi 

sociali, e costringe noi, soggetti della civiltà

moderna, così piena di ottimismo e

compiacimento, a piegare la testa, ripensare a se

stessi, a modificare profondamente modi di fare

e di vivere.

Ci prepariamo al grande periodo delle festività

natalizie.

Io penso e auguro a tutti di viverla con maggiore calore questa magia del

Natale.

Anche nel nostro piccolo, senza parenti, senza amici, non priviamoci dei

sapori e degli odori dei pranzi, delle luci del Presepe, anche se piccolo,

dei canti natalizi.

Accettiamo questa tregua di Natale. Per alcune settimane pensiamo a

noi, con la dovuta prudenza, sempre.

Nell'incontro di oggi, immergiamoci nella coinvolgente atmosfera del ballo. Un pò di musica, un pò di svago, un pò di gioia.

Ed ecco il tango argentino!

                                    

 TANGO ARGENTINO IMPROVVISATO NELLA PIAZZA DI TURI(Bari)

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