sabato 28 aprile 2018

"VIA CONVERTINO 10" di Giacomo Salvemini

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P. Castronuovo con G. Salvemini

Presentazione  di Silvia Laddomada

Intervento di Paolo Castronuovo

(Poeta, scrittore, editor. Tra le sue opere in prosa e poesia troviamo: Labirinti (Stampalibri, 2009); Filo Spinato (Scorpione, 2010); Ambaradan (Libro d’Artista, 2014); Streghe Ignifughe (Lupo, 2014); Labiali (Pietre Vive, 2016); L’insonnia dei Corpi (Controluna, 2018). Di prossima pubblicazione a giugno 2018, La Falla Oscura (Castelvecchi).
È presente in numerose antologie e in varie riviste e blog letterari. Alcune sue poesie sono state tradotte in polacco e spagnolo. Collabora con case editrici come editor.
Appassionato di surrealismo, beat generation, neoavanguardia, postmodernismo...).

Giacomo Salvemini è un poeta, un critico letterario e un attore. Ha pubblicato, fin dal 1979, numerose raccolte di poesia; con "Via Convertino 10" siamo alla decima opera pubblicata. 
(Queste le altre opere: "Orme sulla terra insala", 1979; "Strapiombi e raggi d'amore", 1986; "Scogli", 1987; "Al ronzio dei rami in amore", 1993; "Tra labra di marea", 1996; "Promenade" è "Il Canto della Megasttera", 2000; "Venti dell'amore oscuro", 2005; "Dalla tana di tufo", 2009).              
Giacomo ha recitato in diversi cortometraggi, in opere teatrali e in film.
Ha recitato con Paola Gassman, con Vanessa Gravina e Marco Morelli, diretti da Rina Lagioia.
La corrente letteraria in cui si inserisce la produzione del nostro poeta e sostenitore della nostra Università è quella della Neoavanguardia e del neo Sperimentalismo. Siamo nel secondo dopoguerra, siamo negli anni Sessanta, gli anni del boom economico, della televisione, dei mass media, gli anni del consumismo. Questa società del benessere riduce l'arte, la cultura a merce, soggetta alle leggi della domanda e dell'offerta.
Numerosi intellettuali, mossi da un rinnovato impegno sociale, assumono una posizione critica nei confronti della massificazione culturale indotta da questa società. Riprendendo la lezione formale delle Avanguardie storiche del primo Novecento (Futurismo, Dadaismo, Surrealismo), essi si fanno interpreti nelle loro opere di un polemico rifiuto della "società del benessere", denunciandone le storture e i rischi di omologazione delle coscienze ai modelli proposti dall'industria culturale.

Essi denunciano l'uso del linguaggio banalizzato dai media, e si impegnano nella ricerca di una lingua nuova, in grado di riprodurre il caos e il disordine nella modernità.
                                         

                               
Prevale successivamente un esasperato sperimentalismo formale, quasi un rifugio nel privato o il rifugio in un'arte intesa come puro gioco intellettualistico. Queste tendenze sperimentali e neo avanguardistiche sono presenti soprattutto in Francia, ma è fondamentale l'esperienza della beat generation (beata, libera da convenzioni), fiorito negli anni '50 a S. Francisco e a New Jork.
In ambito italiano al filone sperimentale si collega un gruppo di intellettuali che ruota intorno alla rivista "Officina", fondata da Pier Paolo Pasolini.
Più innovative, sul piano formale, sono le soluzioni portate avanti dal "Gruppo '63". A questo movimento, che prende il nome di Neoavanguardia, si collegano poeti sperimentali con Elio Pagliarini, Edoardo Sanguineti, e poi Zanzotto. a loro si collega il nostro amico Giacomo Salvemini.
Sul versante della narrativa lo sperimentalismo della Neoavanguardia si manifesta nella tendenza a far emergere l'incomunicabilità e la solitudine dell'uomo moderno.
                                                                                                                           
Per la poesia, Sanguineti scompone le regole sintattiche del linguaggio tradizionale, non ha alcuna pretesa di comunicazione immediata, in senso provocatorio egli vuol far emergere il senso di profonda alienazione dell'uomo contemporaneo, che il linguaggio poetico corrente non sa esprimere. Egli cerca una nuova lingua, che permetta al poeta di ritrovare ed esprimere l'essenza della realtà, il nucleo profondo del proprio io.
Per rinnovare la lingua Zanzotto attinge ad ambiti diversi: al linguaggio della scienza, della psicanalisi, ai giochi fonici, al linguaggio infantile e pregrammaticale, alle lingue classiche, al lessico aulico della tradizione letteraria.
Ne nasce una poesia oscura e complessa, che non scaturisce dal desiderio di provocare la reazione scandalizzata del lettore, ma si distingue per il suo carattere lirico, legato all'idea del poeta come ricercatore di una verità assoluta, convinto che questa ricerca di senso sia destinata a fallire di fronte all'ostinato non-senso della realtà, o al massimo permetterà il raggiungimento di verità provvisorie e instabili, annunciate con amara ironia. Alla poesia è affidato il compito altissimo di creare e conoscere il mondo, destinato però a risolversi a un fallimento: l'autore non cessa di inseguire il senso ultimo delle realtà, ironicamente consapevole che esso non esiste. All’incontro è intervenuto Paolo Castronuovo, poeta e scrittore, curatore della pubblicazione del libro, per conto della casa editrice Controluna, Roma, il quale ha avviato col poeta Giacomo Salvemini un interessante colloquio poetico, integrato da osservazioni e interventi degli amici presenti che hanno “interrogato” il poeta ed espresso le loro interpretazioni e i loro sentimenti.
Via Convertino 10” è degno dell’eredità di una penna - scettro zanzottiana, ha detto Castronuovo. Il titolo può ricordare il famoso “Via Paolo Fabbri 43” di Guccini, ma è tutt’altro, c’è in comune solo la residenza dell’artista come appellativo. Difatti Salvemini struttura il suo poema, sia nelle strofe che nel numero dei versi, a seconda della planimetria del condominio nel quale risiede. Si parte dalla rampa ingresso, per passare al piano rialzato e arrivare ai vari interni, fino all’interno 9, quello della sua abitazione, dove troviamo un acrostico che sta ad indicare il suo cognome scritto sul campanello, e poi il terrazzo.
Sono questi i titoli di alcuni capitoli, scaglioni pungenti che aprono la carne e lasciano scorrere flussi joyciani. Il numero dei versi coincide con scalini, numero di inquilini, grandezza degli appartamenti (un solo verso per “cantina”, vano piccolo).
Via Convertino 10” è un progetto poetico innovativo, che va dal geografico-topografico, al matematico, ma è pregno di una poesia sperimentale senza precedenti. Una avanguardia possibile anche alla fine della seconda decade del 2000, nella quale Giacomo Salvemini ci delizia con la fantasia del suo verbo, delle sue sperimentazioni letterarie, della miriade di neologismi usati.



Parla Giacomo Salvemini:

 All’interno di ogni lirica c’è il mio Io interiore”
All’inizio sono state frasi tracciate su fogli riciclati, poi è nata l’idea di costruire un palazzo, una struttura, un contenitore, in cui ho inserito il mio pensiero, i miei valori, attraverso un fluire ininterrotto di parole”.
La mia poesia è un microcosmo, che abbraccia l’attualità, il mondo che mi circonda: vivo nel presente, ma guardo indietro e avanti, se non riesci ad abbracciare, che poeta sei?”.
Se non si protesta, a che serve scrivere? Si scrive protestando, in modo che si cresca; in una nazione libera, possiamo esprimere liberamente il nostro pensiero, e da lì ricavare il nocciolo della questione”.
Il poeta è un servo della penna, della scrittura”.
L’assenza di punteggiatura amplia i significati”.
Il poeta è un fallito se si chiude in se stesso. La parola è sacra, è un macigno, deve far traballare, se il poeta non mette lo sgambetto non è un poeta, è una scartina”.
Non chiedete spiegazioni ai miei versi, leggete più volte, lasciatevi trasportare dal fiume fluido delle parole”.
                                                                                                                   
  Pag. 43 - strofa 2

  
Pag. 49 - strofa 6
 

















giovedì 12 aprile 2018

CENTENARIO PRIMA GUERRA MONDIALE - "Quadro socio-politico del primo Novecento"

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 RELATRICE: PROF.SSA SILVIA LADDOMADA


La belle époque fu un periodo di crescita complessiva della società europea, ma anche di grandi conflitti sociali e forti contrasti politici.
Il benessere e la gioia di vivere riguardavano solo uno strato superficiale della società, cioè quelle poche persone potenti che occupavano, per ricchezza e prestigio, i gradini più alti della scala sociale.
Contadini e operai ne erano esclusi.


Il 4° stato (Quadro di Pellizza da Volpedo)

Nelle fabbriche, gli operai lavoravano in cambio di un salario, un salario basso, visto l'abbondanza della manodopera; erano sfruttati, sottoposti a orari di lavoro massacranti, fino a 16 ore al giorno, non avevano alcun diritto all'assistenza in caso di malattia, invalidità, vecchiaia. Molti intellettuali si proposero allora di risolvere la questione sociale, cioè il problema dei lavoratori costretti a vivere in condizioni di terribile miseria.
Essi erano i socialisti, chiedevano una maggiore uguaglianza sociale ed economica e una distribuzione più giusta della ricchezza prodotta dall'industria. Essi facevano leva sugli operai più istruiti, necessari in una fabbrica in cui c'era da controllare il funzionamento delle macchine, l'organizzazione del lavoro. Furono questi operai più specializzati a far sviluppare una coscienza di classe, a far maturare la consapevolezza tra gli operai di unirsi per far valere i propri diritti violati.
Man mano che questa coscienza si sviluppava, gli operai si rendevano conto che loro erano solo una forza lavoro, non possedevano nulla se non la loro forza fisica, i loro figli, la prole. Erano proletari sottomessi a borghesi capitalisti, che possedevano i mezzi di produzione e si spartivano i profitti conseguiti.
Erano il quarto stato, la quarta classe sociale che si affacciava alla storia moderna, dopo nobiltà, clero e borghesia. A questa classe si rivolgevano Carlo Marx e Friedrich Engels, i due intellettuali tedeschi che nel 1848 avevano pubblicato il Manifesto del partito comunista ed esposto la teoria del marxismo, o materialismo storico.
Secondo questa teoria nella storia c'é sempre una lotta tra classi dominanti e classi dominate. Nell'età dell'industrializzazione la lotta era tra la borghesia e il proletariato. I proletari di tutto il mondo si dovrebbero unire in una lotta rivoluzionaria, per abbattere il capitalismo e creare una società comunista senza classi, caratterizzata dalla proprietà collettiva dei mezzi di produzione.
Queste idee si concretizzarono in vere e proprie formazioni partitiche, che partecipavano alla vita politica all'interno delle istituzioni liberali.
Il primo partito socialista nacque nel 1875 in Germania (partito socialdemocratico), in Italia il partito socialista nacque nel 1892; in Francia diversi partiti socialisti si unificarono nel 1905 e in Inghilterra nel 1906 nacque il partito laburista, più moderato rispetto all'ideologia marxista. Ufficialmente i partiti socialisti riconoscevano la dottrina di Marx, ma in molti di essi prevalse la tendenza revisionista, cioè all'interno delle istituzioni liberali lottavano per ottenere delle riforme economiche a favore dei proletari; sopratutto chiedevano una riduzione a 8 ore dell'orario di lavoro.
Nel 1890 il 1° maggio ci fu una manifestazione di lavoratori a Roma, a sostegno dei loro diritti, con l'impegno di istituire annualmente la festa dei lavoratori ( a ricordo della dura repressione di uno sciopero attuata dalla polizia di Chicago il primo maggio 1886).
Solo in Russia prevalse la tendenza rivoluzionaria che sfociò nella rivoluzione d'ottobre.
Anche la Chiesa mostrò sensibilità alle problematiche della classe operaia. Nel 1870 Pio IX, non riconoscendo lo Stato dei Savoia, vietò ai cattolici di impegnarsi in politica (non expedit), ma nel 1891 Leone XIII
emanò l'enciclica Rerum Novarum, con cui ricordava agli operai i doveri di: laboriosità, moderazione e rispetto per le autorità e agli imprenditori ricordava il dovere di dare all'operaio la giusta mercede (cioè un salario adeguato) e di rispettare la dignità umana. Sopratutto, il papa invitava i cattolici all'impegno politico, a promuovere una politica di collaborazione e solidarietà tra le classi sociali, a costituire associazioni di mutuo soccorso, movimenti di Azione Cattolica, a formare sindacati cattolici che sostenessero un programma interclassista.
All'inizio del '900 il sistema di produzione più diffuso nell'industria seguiva la teoria dell'ingegnere americano Frederik Taylor; una divisione del lavoro pianificato e parcellizzato, la catena di montaggio, basata sull'idea di far muovere i pezzi da lavorare e di tener fermi i lavoratori, così non c'era spreco di tempo e il ritmo era imposto dalla velocità della catena. L'operaio adattava i propri movimenti alle esigenze della macchina, ripeteva all'infinito le stesse semplici operazioni. L'operaio scopriva di essere una parte minima e anonima del processo produttivo, viveva con alienazione la sua giornata lavorativa, diveniva estraneo al suo stesso lavoro.
Di conseguenza aumentarono le proteste, gli scioperi. Solo più tardi si capì che il cattivo impiego delle risorse umane non migliorava la qualità, né aumentava la redditività, si rese necessario riqualificare le mansioni e curare le relazioni umane, solo così si ottenevano superiori livelli di efficienza.
Restringendo la nostra analisi della questione sociale all'Italia, dobbiamo ritornare al 1860-1870 quando l'Italia divenne il regno di Savoia con Roma capitale.
I piemontesi notarono subito la forte differenza tra nord e sud, i governi della Destra introdussero leggi che il Sud non accettò, la leva obbligatoria, il pagamento delle tasse, per cui si ebbe il triste fenomeno del brigantaggio (questione meridionale) che il governo represse con violenza.
Nel sud non c'erano industrie, non c'erano fabbriche, non c'erano conflitti tra capitalisti e operai, ma c'erano i conflitti tra contadini poveri e analfabeti e ricchi proprietari terrieri, per cui alle manifestazioni di protesta, agli scioperi degli operai del Nord (le industrie risiedevano nel triangolo Torino-Milano-Genova, come Breda, Pirelli, Fiat), si univano le proteste dei contadini. La Destra aveva il problema di combattere il brigantaggio e reprimere le rivolte popolari, riportare il bilancio statale in pareggio, per cui introdusse una tassa impopolare, quella sul macinato (imposta indiretta uguale per tutti, perché si applica ai beni di consumo: farina, sale, carbone). La tassa sul macinato fece aumentare il prezzo del pane e della polenta, alimenti di grande consumo popolare, quindi colpiva i più poveri.
In Italia ci furono proteste e disordini e alle elezioni del 1876 la Destra perse la maggioranza. Il re Umberto I affidò il governo a un rappresentante della Sinistra moderata, Agostino Depretis, con cui apparvero in Italia le prime leggi sociali a protezione e tutela dei lavoratori. Ma il malcontento aumentava, perché il governo introdusse il protezionismo, cioè il pagamento di un dazio su prodotti importati dall'estero. Si ebbero scioperi e manifestazioni in varie regioni italiane.
I fatti più gravi avvennero però nel 1898 a Milano, quando la popolazione insorse per protesta contro l'aumento del prezzo del pane.
Il governo intervenne prendendo a cannonate i manifestanti e, ancora peggio, il re Umberto I decorò il generale Bava Beccaris che aveva sparato sulla folla e riportato l'ordine in paese. La triste risposta a questa decisione fu l'uccisione a luglio 1900 del re Umberto I da parte di un anarchico, Gaetano Bresci, che voleva vendicare i morti innocenti di Milano.
In Italia, quindi, il secolo comincia con l'assassinio del re.
Gli successe Vittorio Emanuele III, che chiamò al governo un liberale, Giovanni Giolitti, il quale resterà al potere fino al 1914.
Con Giolitti la questione sociale non fu risolta. Anch'egli difendeva gli interessi dell'industria del nord, per cui a sud cominciò l'emigrazione delle famiglie più povere verso l'America, partirono circa 80 milioni di italiani.

In campo politico, bisogna dire che dietro le immagini brillanti lasciate dalla belle èpoque, si celavano quelle rigide ed austere all'interno dei palazzi di governo dei diversi stati europei, tra i quali c'erano vecchi rancori, si stringevano nuove alleanze, si progrediva nel riarmo delle nazioni.
Tra i vecchi rancori, i più profondi erano quelli che dividevano i francesi dagli inglesi, nemici mortali nei 20 anni di guerre napoleoniche; quelli dei francesi contro i tedeschi, sconfitti (i francesi) nella guerra franco-prussiana; quelli tra Austriaci e Ungheresi, questi ultimi liberatisi dai Turchi erano stati assorbiti nell'Impero austriaco, divenuto poi austro-ungarico, mentre il sogno degli ungheresi era quello di divenire uno stato indipendente; quelli tra Italia e Austria, perché il Trentino e la Venezia Giulia erano ancora sotto il dominio austriaco. Un'altra rivalità c'era tra Austria e Russia, perché la Russia sperava in uno sbocco verso il Mediterraneo, quindi appoggiava i gruppi della penisola balcanica, ribelli all'Austria.
Fino al 1890 tutte queste tensioni erano state tenute a bada dalla politica del Cancelliere tedesco Otto Von Bismark che, impegnato nella crescita industriale della Germania, si adoperava per mantenere in Europa la pace. Fu proprio lui ad organizzare la conferenza di Berlino (1884-85) con cui favorì un accordo tra gli stati europei per la spartizione dell'Africa, dirottando quindi sul continente africano le mire espansionistiche delle grandi potenze europee.
Perché in Africa?
Alla base di questa espansione ci fu certamente la necessità di procurarsi le materie prime e di assicurarsi nuovi mercati per la sovrapproduzione. Ma si inserisce un'altra ideologia, il nazionalismo, che avrà tristi conseguenze nei decenni futuri. Questa ideologia si fonda sul pregiudizio della superiorità della società e della cultura europea sulle altre culture. Questo dava diritto agli europei, ritenuti più civili e più progrediti, di sottomettere e dominare altri popoli. Tale concezione servì a giustificare le conquiste coloniali, cioè la conquista di territori abitati da popolazioni ritenute di razza inferiore, che bisognava civilizzare. Si affaccia un'altra pericolosa teoria: il razzismo, le razze superiori contro le razze inferiori. Ciò produsse una corsa sfrenata alla conquista di terre incontaminate, ogni nazione europea doveva avere il suo impero coloniale. Quindi altre rivalità; tutti gli Stati miravano attraverso scontri, trattative non certo cordiali, di spartirsi il continente africano.
Anche l'Italia sottomise con forza e violenza i popoli del Corno d'Africa, mirando all'Etiopia, non ci riuscì, e si accontentò dell'Eritrea e della Somalia nel 1890 e della Libia nel 1911.
Intanto in Germania, nel 1890, al Bismark era successo il nuovo kaiser Guglielmo II. Questi volle imprimere alla sua politica un nuovo corso, per cui divenne aggressivo e bisognoso di alleanze. Una tendenza presto condivisa da altri governi, lo Stato doveva essere autoritario, doveva negare i diritti dell'opposizione , doveva imporre la sua volontà con la forza, doveva combattere i socialisti, ritenuti responsabili degli scontri sociali. (influenza di Nietzesche).
Questo bisogno di alleanze avvicinò Guglielmo II all'Impero austro-ungarico, suo ex nemico. Ciò preoccupò sia la Russia che la Francia, che si coalizzarono. Guglielmo II ricorse a un'altra provocazione: annunciò la costruzione di una grande flotta, per assicurarsi il dominio del mare del nord. A questo punto l'Inghilterra, dimenticando le antiche rivalità, si alleò con la Francia. Si costituì la Triplice Intesa (Francia, Inghilterra, Russia) nel 1907 contrapponendosi alla Triplice Alleanza, stipulata dalla Germania con l'Impero austro-ungarico, e con l'Italia, già nel 1882. L'accordo impegnava ciascun stato ad intervenire in difesa dell'altro, se fosse stato attaccato. L'Italia accettò l'alleanza per uscire dall'isolamento, visto che non tutti gli stati europei avevano condiviso la presa di Roma. Ma questo suscitò un forte sdegno tra i patrioti italiani, che si chiamavano irredentisti, i quali volevano togliere all'Austria il Trentino e la Venezia Giulia, per completare il Risorgimento, per completare l'unità d'Italia. Per protesta un patriota, Guglielmo Oberdan, progettò un attentato contro l'imperatore d'Austria, ma fu scoperto e condannato a morte. 
Nella Triplice Intesa troviamo la Russia, e sappiamo che in quel periodo c'era la monarchia assoluta dello zar, c'era un'arretratezza economica che rendeva difficile una politica imperialistica, come dimostra la sconfitta della Russia nel conflitto col Giappone del 1905. Fu proprio a causa di questo insuccesso che il governo russo si alleò con Francia e Inghilterra. Col loro aiuto sperava di affrontare l'avversario austro-ungarico.
Le nazioni europee più forti si dividono e fondono alleanze militari: la pace comincia ad essere in pericolo.
Ma un altro grave problema era la cosiddetta questione balcanica. Territori appartenenti all'Impero Turco, che avevano lottato per liberarsi, ma poi erano stati assorbiti nell'impero austriaco. Tra questi stati emergeva la Serbia, un paese slavo che odiava l'Austria, era legato alla Russia e con il suo aiuto mirava a unificare sotto di sé tutti i paesi balcanici, per cui dava luogo ad attività terroristiche che tenevano nel terrore molte teste coronate. La monarchia austroungarica sembrava la malata d'Europa e i Balcani erano la sua polveriera.