martedì 17 maggio 2022

JACOPO DEL CASSERO, BUONCONTE DA MONTEFELTRO, PIA DEI TOLOMEI (5° CANTO) SORDELLO DA GOITO (6°-7° CANTO)

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Relazione di Silvia Laddomada

Siamo ancora nell'Antipurgatorio.

Lasciato Belacqua e gli spiriti negligenti, Dante ricomincia la salita, seguendo, egli dice, "le orme del mio duca".

Viene distratto però dal grido di uno spirito negligente che, accortosi dell'ombra proiettata dal corpo del poeta, esclama una gridò: 

«Ve’ che non par che luca 
lo raggio da sinistra a quel di sotto, 
e come vivo par che si conduca!».(5°canto Purgatorio vv. 4-6)                                

(guarda il raggio del sole non trapassa dal lato sinistro quello che va sotto, e si muove come se fosse vivo).

Dante vorrebbe rispondere, ma Virgilio non lascia spazio alla distrazione 

 «Perché l’animo tuo tanto s’impiglia», 
disse ‘l maestro, «che l’andare allenti? 
che ti fa ciò che quivi si pispiglia?                                
Vien dietro a me, e lascia dir le genti: 
sta come torre ferma, che non crolla 
già mai la cima per soffiar di venti;(Canto 5° Purg. vv.10-15)  

(Perché ti distrai e rallenti il passo? Che ti importa di quello che qui si bisbiglia? Vieni dietro a me e lascia chiacchierare la gente, guarda avanti e resta come una torre salda, che non scuote mai la cima al soffiar dei venti).

Rosso di vergogna, Dante lo segue.


Intanto vedono arrivare una schiera di anime, che cantano il Miserere e corrono lungo le pendici del monte.

Vedendo che Dante proietta l'ombra interrompono il loro canto, e alcuni di loro corrono verso i due pellegrini per capire di che si tratti.

Virgilio conferma che Dante é vivo e consente al poeta di parlare con loro, ma senza fermarsi.

Le anime corrono velocissime verso il gruppo e tutte si affollano intorno a Dante. Sono negligenti anche loro ma morti "per forza", cioé per violenza. Uccisi.

Devono stare nell'Antipurgatorio tanto tempo quanto quello vissuto, ma devono correre sempre. Furono peccatori infino a l'ultima ora, ma poi toccati dalla grazia, in punto di morte sono trapassati "a Dio pacificati".

Tutti chiedono a Dante di portare notizie di loro sulla Terra, per ottenere preghiere di suffragio dai loro cari.

Tre di queste anime parlano con Dante.

Il primo é Jacopo del Cassero, un nobile di Fano (Pesaro-Urbino), che combattè con i guelfi fiorentini a Campaldino nel 1289, ma inseguito fino a Padova dai sicari di Azzo VIII d'Este, fu ucciso.

Jacopo racconta la sua fine, chiedendo prima, a Dante, di portare notizie di lui a Fano, affinchè si preghi da parte di chi è in grazia, per aiutarlo a diminuire la permanenza.

In tutte le anime del Purgatorio prevale sempre il rimpianto per la vita perduta, la nostalgia delle cose lasciate. Jacopo non nutre rancore per il signore di Ferrara (Estense), ma confessa lo spavento per l'odio implacabile di quell'uomo  

Corsi al palude, e le cannucce e ‘l braco 
m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’io 
de le mie vene farsi in terra laco». (5° canto Purg. vv.82-84)                               

(Fuggii verso la palude, ma le canne e il pantano mi impigliarono, tanto che caddi, quindi raggiunto dai sicari facilmente e vidi con i miei occhi, formarsi una pozza del mio sangue).

Jacopo prova una profonda pena per lo strazio subito dal suo corpo, per la sua orrenda morte.

Dante vuole, ancora una volta, in Purgatorio, sottolineare la ferocia, l'inutilità della violenza umana.

Non ha ancora finito di parlare, ed ecco un'altra anima: Buonconte da Montefeltro

Poi disse un altro: «Deh, se quel disio 
si compia che ti tragge a l’alto monte, 
con buona pietate aiuta il mio!

                                   
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte; 
Giovanna o altri non ha di me cura; 
per ch’io vo tra costor con bassa fronte». (Canto 5° Purg. vv.85-90)                 


E' il figlio di Guido, incontrato da Dante tra i consiglieri fraudolenti (insieme a Ulisse), avvolti in una fiamma. Aveva dato un consiglio al papa Bonifacio VIII, per poter ingannare i nobili romani, pur avendo vestito il saio francescano e promesso di non peccare più.

Ma era caduto in peccato di nuovo, convinto dal papa che lo avrebbe assolto. Ma alla sua morte ci fu il conflitto tra S.Francesco che voleva accogliere l'anima e il diavolo che se lo portò all'Inferno.

Buonconte dice "Possa compiersi il tuo desiderio di pace, ma tua aiutami a compiere il mio. Mia moglie Giovanna e altri parenti non mi pensano, per questo cammino con vergogna".

Questo signore di Urbino cacciò i Guelfi da Arezzo e nel 1289 si schierò contro Firenze e morì nella battaglia di Compaldino, alla quale prese parte anche Dante. Quindi era un suo avversario. Purtroppo il suo corpo non fu mai ritrovato. Dante interpreta la sua misteriosa scomparsa raccontando una contesa tra il diavolo e l'angelo, che riuscì a portare la sua anima in Purgatorio, per il pentimento in fin di vita, per cui il diavolo di vendicò, scatenando una bufera che disperse il suo corpo nell'Arno.

C'é da parte dell'anima una profonda nostalgia della vita e una profonda pietà per il proprio corpo disperso.

Ma leggiamo questo scontro. 

Io dirò vero e tu ‘l ridì tra’ vivi: 
l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno 
gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?                       
 

Tu te ne porti di costui l’etterno 
per una lagrimetta che ‘l mi toglie; 
ma io farò de l’altro altro governo!".                               


Ben sai come ne l’aere si raccoglie 
quell’umido vapor che in acqua riede, 
tosto che sale dove ‘l freddo il coglie.                           

Pia de' Tolomei


Giunse quel mal voler che pur mal chiede 
con lo ‘ntelletto, e mosse il fummo e ‘l vento 
per la virtù che sua natura diede.                                   

Indi la valle, come ‘l dì fu spento, 
da Pratomagno al gran giogo coperse 
di nebbia; e ‘l ciel di sopra fece intento,                        


sì che ‘l pregno aere in acqua si converse; 
la pioggia cadde e a’ fossati venne 
di lei ciò che la terra non sofferse;                                 

e come ai rivi grandi si convenne, 
ver’ lo fiume real tanto veloce 
si ruinò, che nulla la ritenne.                                          

Lo corpo mio gelato in su la foce 
trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse 
ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce                     

ch’i’ fe’ di me quando ‘l dolor mi vinse; 
voltòmmi per le ripe e per lo fondo, 
poi di sua preda mi coperse e cinse»(Canto 5° Purg. 103-129)                      


(Per una lagrimetta, ti porti l'anima e io tratterò diversamente il suo corpo. Dante si rifà a S. Tommaso: i demoni hanno potere sulle forze della natura. Possono, per esempio, scatenare tempeste.

Dopo Buonconte, parla subito un terzo spirito.

E' Pia dei Tolomei. Pochi versi ma densi di significati, di richiamo, di emozioni.

Era la moglie di Nello Pannocchieschi, che la fece precipitare dal balcone del suo castello in Maremma, per gelosia e per sposare un'altra donna. 

«Deh, quando tu sarai tornato al mondo, 
e riposato de la lunga via», 
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,                                
 

«ricorditi di me, che son la Pia: 
Siena mi fé, disfecemi Maremma: 
salsi colui che ‘nnanellata pria 

disposando m’avea con la sua gemma». (Canto 5° Purg. vv.130.136)


Viene in mente un altro personaggio dantesco: Francesca da Rimini (incontrata nel cerchio dei lussuriosi), uccisa dal marito.

In effetti c'é una simmetria che lega il 5° canto dell' Inferno al 5 del Purgatorio e al 5 del Paradiso.

Tre donne a confronto.

Nell'Inferno una donna vendicativa e innamorata (Caino attende chi a vita ci spense. Il marito finirà nel cerchio dei traditori dei parenti).

Nel Purgatorio un'altra donna, che però non mostra nessuna vendetta, nessun odio verso il marito. Vittima della volontà e della crudeltà dell'uomo.

Pia ricorda il momento più bello della sua vita (La mia vita si spense in Maremma, come accadde lo sa colui che mi aveva sposato e posto al dito l'anello con la gemma di famiglia).

Da notare l'attenzione per il pellegrino, "quando ti sarai riposato del lungo viaggio, ricordati di me che son la Pia (verso entrato, per gioco, nel linguaggio comune)



<<Sordello

Oltre alle 3 anime che hanno avuto la fortuna di raccontare la loro fine tragica, tantissime anime, pur continuando a correre, fanno ressa intorno ai due poeti, nella speranza di ottenere preghiere e suffragi da chi vive ancora.

Dante ne riconosce tanti, e fa anche i loro nomi. Si tratta di molti personaggi toscani uccisi nell'ambito di lotte politiche e civili.

Lasciato il gruppo dei penitenti, i due poeti riprendono il cammino e mentre cercano una via più rapida, per salire sul monte, incontrano un'anima seduta in disparte che, "sola soletta" li osserva in silenzio, "a guisa di leon quando si posa" (come un leone a riposo).

Un personaggio immobile, calmo, diverso dalle anime che si erano ansiosamente affollate intorno ai due poeti.

Un atteggiamento altero, una statua viva, pur nella sua immobilità. Nonostante questo atteggiamento apparentemente sdegnoso, Virgilio chiede proprio a lui indicazioni sul percorso. L'anima non si scompone, rimane sul piedistallo.

Domanda invece di rispondere. Vuole sapere da dove vengono.

Virgilio fa appena in tempo a pronunciare Mantova, che quell'anima esce dalla sua immobilità leonina e balza commossa in piedi e si avvicina a Virgilio, solo perchè ha sentito il dolce nome della sua patria, dicendo "O mantovano io son Sordello, della tua terra". E si abbracciano.

Sordello da Goito, un poeta trovatore, un nobile che aveva frequentato le principali corti dell' Italia settentrionale e della Provenza, e fu consigliere anche di Carlo D'Angiò, ricevendo in dono alcuni feudi nel regno di Napoli.

Lo sceglie forse perché aveva scritto un libro (Compianto in morte del nobile Blacatz, in cui criticava la viltà e la corruzione dei signori europei).


Il nuovo venuto é mantovano, di quella terra che é la sua terra, nonostante il desiderio di salire sulla montagna; scatta tra i due un affetto fraterno, una nostalgia della vita terrena, una nostalgia delle strade, dei palazzi, delle immagini e delle emozioni vissute forse da entrambi a Mantova.

Anche Dante é commosso. Di fronte a questa manifestazione d'amore cittadino, il poeta non può fare a meno di lanciare una invettiva contro la situazione politica dell'Italia, abbandonata dall' imperatore e straziata dalle lotte civili.

Leggiamo i versi famosi  

Ahi serva Italia, di dolore ostello, 
nave sanza nocchiere in gran tempesta, 
non donna di province, ma bordello!                             78

Quell’anima gentil fu così presta, 
sol per lo dolce suon de la sua terra, 
di fare al cittadin suo quivi festa;                                     81

e ora in te non stanno sanza guerra 
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode 
di quei ch’un muro e una fossa serra. (Canto 6° Purg. vv.76-84)                    


(Ahi serva l'Italia, luogo di dolore, sei come una nave senza timoniere in mezzo alla tempesta, non sei più signora dei popoli - come Giustiniano l'aveva definita - ma una prostituta, ossia un bordello, un luogo di corruzione.

Quest'anima nobile fa festa al suo concittadino solo sentendo il suono del nome della terra natia, mentre quelli che vivono in te, non sanno stare senza guerra e quelli che vivono all'interno delle stesse mura e degli stessi fossati, si rodono tra loro, si dilaniano tra loro".

Lo sdegno del poeta coinvolge anche Firenze, simbolo della corruzione e della decadenza dell' Italia.

Nella città toscana tutti si mostrano giusti, ma in realtà le regole civili sono sconvolte da arroganza e presunzione. La città somiglia a una donna malata, che non trova pace nel letto e cerca sollievo alla sofferenza cambiando continuamente posizione (cioè cambia continuamente forma di governo).

Tutto il canto é occupato da questo trasporto emotivo, da questa polemica politica.

Dante costruisce una simmetria nel 6° canto di ogni Cantica.

Nel sesto canto dell'Inferno il fiorentino Ciacco, nel preannunciare l'esilio a Dante, aveva parlato delle discordie interne a Firenze, della lotta tra Bianchi e Neri.

Nel sesto canto del Purgatorio, il riferimento é alle discordie interne all'Italia, dovute, secondo Dante, al potere temporale della Chiesa che ostacola il potere imperiale, per cui gli imperatori tedeschi non scendono in Italia, dove incontrerebbero solo ostacoli, nemici, finti alleati.

E sappiamo che per Dante, l'Impero ha un ruolo universale nell'essere garante della giustizia sulla Terra.

Nel 6° canto del Paradiso si parlerà della discordia interna dell'Impero.

Dopo questo sfogo vibrante, Dante ritorna a guardare i due mantovani che si abbracciano tre, quattro volte, finché Sordello chiede: Voi, chi siete?

Virgilio pronuncia il suo nome e dice di essere un'anima del Limbo, dove risiedono gli "spiriti magni", che vissero virtuosamente, ma non professarono le virtù teologali: fede, speranza e carità.

Sordello, emozionatissimo, abbassa lo sguardo, e si inchina ad abbracciargli le ginocchia, onorato di incontrare "la gloria di latin" (la gloria degli italiani), "il pregio eterno del loco ond'io fui" (il pregio eterno del luogo in cui nacqui - Mantova).

Principi negligenti-Valletta fiorita

Visto che il sole già tramonta, Sordello consiglia a Virgilio di non continuare la salita ma di sostare in un luogo piacevole per chiacchierare, lui stesso si offre di condurli.

Così un sentiero in pendenza li conduce sull'orlo di una valletta, dove colori e profumi di erba e di fiori, formano un insieme " incognito e indistinto", fatto di "soavità di mille odori".

In questa valletta fiorita, scavata nel fianco del monte, siede un gruppo di anime che cantano il Salve Regina.

Sono le anime dei principi negligenti, che in vita si lasciarono travolgere dalle preoccupazioni terrene, trascurando i doveri verso se stessi, i familiari, i sudditi e aspettarono l'ultimo momento per pentirsi dei loro peccati.

Sordello li indica, tra loro imperatori tedeschi e sovrani europei.

(Rodolfo d'Asburgo, Pietro d'Aragona, Carlo D'Angiò).

Questa valletta fiorita é simile al luogo del Limbo, ove i grandi dell'antichità dimorano, in eterno, intorno al "poeta sovrano", cioè Virgilio.

(Simmetria che rivela una poesia costruita, una unità del poema)

In questo incontro solo Virgilio parla, Dante assiste senza intervenire.

Tace, lascia i due poeti lombardi alla loro pacata conversazione, dopo l'entusiasmo e l'emozione dell'incontro.

 


 VIDEO: Jacopo del Cassero, Buonconte da ...


 

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