mercoledì 15 marzo 2017

Tramonto o eclissi del “valore” famiglia?

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Dotta relazione 

del prof. Giovanni Pergolese





 
Introduzione
È abbastanza agevole concordare sul fatto che la famiglia appartenga al patrimonio originario dell’umanità.
Infatti, il primo ambiente vitale che, in generale, l’uomo incontra venendo al mondo è la famiglia. Pertanto, la sua minaccia di estinzione riguarda l’uomo stesso.
Oggi, influenze culturali, sociali ed economiche contrastano con la famiglia al punto da ostacolarne la formazione. È possibile restituirle il valore che le è proprio?
Alla luce di questa situazione si pone la questione circa il tramonto o l’eclissi del “valore” famiglia. Una domanda su tutte: nella società attuale è ancora essenziale il servizio reso dalla famiglia? Ne vengono riconosciuti dallo Stato i diritti originari e connaturali: dalla procreazione responsabile all’educazione della prole?

Ritratto di Pietro Stanislao Parisi con la famiglia (Giuseppe Tominz - 1849)
Ripensare l’intera area della sessualità, del rapporto di coppia, del dono della vita, del rapporto famiglia-società, facendo fino in fondo i conti con le acquisizioni della modernità; come pure il superare la crisi, spirituale e morale avviata dalla seconda guerra mondiale, drammatica smentita dei miti del progresso e dell’autosufficienza dell’uomo, portò i padri costituenti a rivedere l’istituto della famiglia nell’ordinamento giuridico italiano. Ne scaturì una questione antropologica: la famiglia ritornava ad essere considerata importante per il futuro dell’umanità, passaggio obbligato sulla via di un’autentica umanizzazione del mondo.
Un nuovo umanesimo, dunque, in cui recuperare le radici profonde del rapporto uomo-donna e dell’esperienza della paternità-maternità: la famiglia come luogo della produzione e della trasmissione dell’umano.
Fonti della presente ricerca: il diritto romano, la legislazione scaturita dalla rivoluzione francese e la Costituzione Italiana.

  1. Premessa storico-giuridica
Nel mondo romano la parola famiglia deriva dal latino familia. Indica un complesso di persone legate tra loro da un rapporto di matrimonio, di parentela, di affinità. Quella semplice (detta talvolta elementare o biologica) costituita da un padre, da una madre e dai loro figli, è l’unità base di ogni gruppo sociale, sia essa patrilinea o matrilinea1.
La natura e la storia della familia romana si possono comprendere distinguendo gli istituti familiari che si riferiscono alla familia, o familia iure proprio, che è la famiglia schiettamente romana, da quelli che riguardano invece i rapporti di sangue e cioè la famiglia domestica (per la quale il linguaggio giuridico romano non ha un termine preciso).


L’evoluzione storica si compie per grandi linee, nel senso di un lento progressivo dissolversi dei primi istituti giuridici in favore dei secondi: ma non è possibile segnarne con esattezza le tappe, come è estremamente difficile risalire alle origini. La struttura primitiva della familia ha costituito per storici e giuristi un problema: fu concepita come società patriarcale, sull’esempio della famiglia dell’antichità biblica (H.I.Summer Maine, Th.Mommsen); si diede il massimo risalto al suo carattere sacro, considerandola come una comunanza di culto e di sacra (N.D. Fustel de Coulanges); fu veduta come organismo sociale formatosi dalla scissione di gruppi maggiori (E. Meyer), e prevalentemente come organismo economico ( V. Arangio – Ruiz). Ma la maggior luce su queste origini è venuta dalla teoria di P. Bonfante, che ha visto nella familia romana un gruppo preesistente alla civitas, nato per ragioni di ordine e difesa come vero e proprio organismo politico che ha i caratteri essenziali dello stato e ne adempie le funzioni. Questa ipotesi spiega i poteri del paterfamilias, in tutto simili a quelli del capo di un gruppo politico. L’evoluzione si compie nel senso di un rafforzamento dei poteri della civitas, mentre la familia sopravvive come società domestica intesa a mantenere l’ordine etico nelle relazioni tra i due sessi, e aventi per scopo la procreazione e l’educazione dei figli. La familia è sottoposta al paterfamilias che statuisce sopra di essa.
Il quadro della famiglia naturale vivente all’interno della familia romana è il seguente. I rapporti giuridici non dipendenti dalla patria potestas fra genitori e figli sono regolati dai vincoli di sangue: i figli non possono agire in giudizio contro i genitori senza l’autorizzazione del magistrato, né possono intentare azioni infamanti contro di loro; i genitori godono di fronte ai figli del beneficium competentiae, e gli uni e gli altri sono esenti dall’obbligo della testimonianza. I genitori sono obbligati ad educare la prole e hanno diritto a tenerla presso di sé. Sotto l’impero sorge il diritto reciproco agli alimenti. Ma il capolavoro di questo ordinamento domestico è il matrimonio, basato sulla volontà continua ed effettiva di essere marito e moglie, e sulla convivenza, intesa non soltanto in senso materiale, ma come esistenza di quel complesso di relazioni che i Romani designano col nome di honor matrimonii.
Con l’avvento del cristianesimo, e soprattutto a partire dall’altomedioevo, l’istituto della famiglia fu profondamente influenzato dalla legislazione ecclesiastica, che ne affermò la sacramentalità e, contro talune tesi, codificò l’indissolubilità del matrimonio, nonché il principio monogamico. Si cominciò a considerare il “consenso” nel momento in cui veniva dichiarato, con coscienza e volontà, e non più come consenso continuato, suscettibile di venir meno per volontà delle parti. Dove invece l’opera della Chiesa non riuscì, fu nell’eliminazione della differenza tra maschi e femmine, portata dal diritto feudale. La disparità di trattamento tra i figli nella successione sarà superata solo dalla Rivoluzione francese, che segnò anche l’avvento della concezione laica della famiglia col prevalere del movimento filosofico razionalista. Questa affermazione della laicità della famiglia, pur toccando l’idea sacramentale del matrimonio, non incise sul contenuto sociale dell’istituto familiare nelle linee fondamentali che il Cristianesimo aveva elaborato, e anzi con l’avocarne allo stato l’integrale disciplina, ne assunse il concetto informatore. Il codice napoleonico ne fu la tipica espressione, dettando al mondo le linee maestre di un’organizzazione familiare intesa come nucleo elementare ed essenziale dell’organizzazione dello stato, tutt’oggi pressoché intatte2.
L’ordinamento giuridico italiano considera la famiglia sotto due diversi profili: da un lato come istituzione sociale, dall’altro come vincolo reciproco che corre tra due o più persone anche indipendentemente dalla convivenza, e che è produttivo di determinati doveri giuridici.
La nostra Costituzione dedica alla famiglia (istituzione sociale) una serie di disposizioni3, dalle quali si evincono la sua natura e la sua rilevanza giuridica, nonché altre forme di convivenza4.
Va evidenziata la scelta compiuta dai nostri costituenti di inserire la famiglia nella Costituzione. Non si trattava di una scelta scontata, anzi essa andava contro tutta la nostra tradizione costituzionale e legislativa.
Lo Statuto Albertino (1848), che per oltre un secolo aveva rappresentato la Costituzione del Regno d’Italia, aveva sempre ignorato la famiglia.
Lo Stato liberale, pur tutelando la famiglia l’aveva relegata nel codice civile (1865), ossia tra gli istituti e i rapporti di diritto privato, valorizzando di essa soprattutto gli aspetti patrimoniali derivanti dal matrimonio, che caratterizzarono la famiglia borghese individuata dal Codice napoleonico del 1804, al quale si ispirarono le successive codificazioni europee dell’Ottocento.
Il regime fascista aveva invece considerato la famiglia a servizio dello Stato col prevedere il dovere dei genitori di educare e istruire la prole, oltre che in base ai “principi della morale”, in conformità al “sentimento nazionale fascista” (art. 147 cod. civile del 1942 nel testo originario).
I nostri costituenti vollero superare queste posizioni e riconoscere la famiglia come realtà originaria e primigenia rispetto allo Stato, ma al tempo stesso, trattandone nell’ambito dei “Rapporti etico-sociali” (Titolo II, Prima parte) insieme alla scuola5, ne riconobbero le funzioni tipiche per la promozione e lo sviluppo della persona umana. Il problema venne sollevato all’inizio del dibattito in Assemblea quando V.E. Orlando presentò nella seduta del 23 aprile 1947 un ordine del giorno in cui proponeva la cancellazione degli articoli dedicati alla famiglia e il loro eventuale inserimento in un Preambolo della Carta. I costituenti cattolici e le sinistre respinsero l’o.d.g. di V. E. Orlando. Cosi facendo l’Assemblea manifestò chiaramente la sua volontà di inserire la famiglia tra le istituzioni cardine del nuovo assetto costituzionale anche nella prospettiva della difficile ricostruzione del tessuto economico e sociale del paese, sottolineandone la specifica rilevanza sociale e valoriale. Nella Costituzione, quindi, la famiglia rileva non come fondamento dei rapporti economici della società, bensì come comunità naturale costituita dall’unione tra un uomo e una donna, con assunzione di reciproci diritti e doveri mediante il matrimonio, ove si sviluppa la persona umana in un contesto di reciproca solidarietà tra più generazioni.
2. La nozione di famiglia
Il nucleo centrale della definizione della famiglia è dato dall’art. 29 della Costituzione, che recita: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. L’uso del verbo “riconoscere” rimanda alla visione dell’anteriorità sociale della famiglia rispetto allo Stato. Si tratta di un’espressione che ricorre anche nell’art. 2, ove si afferma che la Repubblica “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, e nell’art. 5, ove si dice che essa “riconosce e promuove le autonomie locali”.
In questi casi la Costituzione ha inteso rimarcare l’esistenza di situazioni che precedono la Repubblica e che favoriscono la crescita della persona nella famiglia, luogo di affetti e di relazioni solidali, e in comunità locali per maturare la sua partecipazione alla vita politica e sociale del paese.
La definizione della famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, richiamando il concetto di natura, rifletteva un’idea religiosa e razionale di famiglia (l’unione tra un uomo e una donna per la procreazione dei figli). Affermava inoltre il principio di eguaglianza tra i coniugi: “il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
Il codice civile (1942) assegnava nel matrimonio un indiscutibile primato al marito sia nei rapporti coniugali sia nella potestà sui figli. Solo con la riforma del diritto di famiglia (1975) il principio dell’uguaglianza tra i coniugi fu introdotto nella disciplina civilistica e fu attuato anche sul piano dei rapporti patrimoniali, con l’introduzione del regime di comunione legale dei beni. Nel suo complesso, quindi, l’art. 29 Cost. individua la famiglia come una comunità “naturale”, ossia dotata di una propria fisionomia e di una propria autonomia che vanno oltre il diritto. Nel contempo il richiamo all’istituto matrimoniale e al principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi apriva uno spazio legislativo per la tutela dei diritti individuali con riferimento all’evoluzione sociale e culturale del paese.



3. Il tema della filiazione
Alla filiazione è dedicato l’art. 30 della Costituzione, secondo il quale “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”. La disposizione, nella sua apparente semplicità, afferma una serie di principi.
In primo luogo, tenuto conto della anteriorità della famiglia rispetto allo Stato, riconosce il diritto, non più solo il dovere (come nel testo originario del codice civile del 1942), dei genitori di svolgere la loro funzione educativa nei confronti dei figli. Si individua nella cura della prole la ragione fondamentale, anche se non esclusiva, di quel favor familiae cui è ispirato il testo costituzionale. Pertanto, nel successivo art. 31 Cost. le forme di aiuto e sostegno alla famiglia sono specificamente finalizzate alla sua “formazione” e all’“adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”.
In secondo luogo la disposizione afferma tale diritto e dovere dei genitori anche nei confronti dei figli “nati fuori dal matrimonio”, prevedendo altresì che la legge assicuri ad essi “ogni tutela giuridica e sociale, compatibilmente con i diritti dei membri della famiglia legittima”. Si tratta del principio dell’equiparazione della tutela giuridica dei figli naturali a quelli legittimi. Viene così recepito un criterio di civiltà giuridica, consistente nel non far ricadere sui figli le colpe dei genitori. Questa tendenziale equiparazione incontra ancora una serie di limiti nell’ordinamento italiano vigente, primo fra tutti quello del mancato riconoscimento del figlio naturale da parte di parenti del padre e/o della madre, in quanto il riconoscimento del figlio naturale produce effetti solo nei confronti del singolo genitore che l’ha effettuato. Questa minore tutela rispetto ai figli legittimi comporta che al figlio naturale riconosciuto sia precluso non solo di succedere a fratelli, zii, nonni, etc., ma anche che venga adottato da parte di altri parenti, per esempio i nonni.
Infine, anche i genitori dei figli nati fuori del matrimonio hanno il diritto, non solo il dovere, nei confronti dello Stato, di mantenerli istruirli ed educarli.


4. Altre forme di convivenza
Un tema sensibile è quello della rilevanza giuridica di altre forme di convivenza diverse dal matrimonio. In realtà, da molti anni anche nel nostro paese l’argomento forma oggetto di approfondimento. Si è arrivati ad estendere taluni benefici previsti per il coniuge anche al convivente more uxorio.
L’aspetto nuovo è ricomprendere nel concetto di coppie di fatto anche forme di convivenza tra persone dello stesso sesso, ponendo questioni che vanno ben oltre il dato del matrimonio, e che si ricollegano piuttosto alle posizioni più radicali della c.d. ideologia di genere (gender), nel cui ambito l’esclusione delle coppie dello stesso sesso (omosessuali) dal matrimonio o da altre forme di riconoscimento pubblico viene presentata come un atto di discriminazione dell’individuo derivante dal proprio orientamento sessuale.
Da qui la tendenza recente da parte del legislatore di affrontare il tema delle convivenze sulla base dell’indifferenza del sesso dei conviventi, assegnando alla legge il compito non più soltanto di contrastare ogni forma di discriminazione dell’individuo per il suo orientamento sessuale ma anche di promuovere l’omosessualità sul piano etico e sociale, mediante il riconoscimento alle convivenze tra due persone dello stesso sesso di sussidi e benefici pubblici. Occorre porre attenzione al fatto che, paradossalmente, non finiscano per essere discriminate le famiglie delle coppie eterosessuali, che non vengono difese da quei gruppi di potere, la cui influenza nei mezzi di comunicazione sociale (cinema, televisione e stampa) è ormai un dato palese.
Posta in questi termini, la questione della rilevanza giuridica di forme di convivenza diverse dal matrimonio introduce elementi di forte discontinuità rispetto alle convivenze more uxorio. È infatti evidente la differente rilevanza che assumono sul piano costituzionale le convivenze eterosessuali rispetto a quelle omosessuali, e ciò non per una valutazione di ordine morale quanto per l’oggettiva diversità delle due situazioni.
Per le convivenze eterosessuali vale, in presenza di figli, la rilevanza giuridica che deriva dagli artt. 30 e 31 Cost. a tutela dell’interesse dei minori, anche quelli nati al di fuori del matrimonio. Il che consente di ribadire che il primato riconosciuto alla famiglia fondata sul matrimonio non è da intendersi come una sorta di privilegio, ma deriva da dati e valutazioni etico-giuridiche, che tendono a “premiare” una ben precisa formazione sociale per i benefici che essa arreca alla collettività (bene comune).
Per le coppie dello stesso sesso manca invece il riferimento alle disposizioni costituzionali in materia di matrimonio e famiglia (artt. 29-31), mentre per esse è ricorrente il richiamo all’art. 2 Cost., nel quale si afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (…)”. Sulla base di questa norma costituzionale diventa possibile riconoscere alle coppie dello stesso sesso gli stessi diritti delle coppie eterosessuali, che convivono more uxorio. Ogni formazione sociale che pretenda determinati benefici o forme di sostegno da parte della comunità non può sottrarsi ad una previa verifica di congruità con il bene comune, che si concretizza nell’utilità sociale.
Alla luce di queste considerazioni, possiamo affermare che la famiglia, in tutte le sue forme, valutate con riferimento al bene comune, è un valore dell’umanità a prescindere dalle diverse tendenze ideologiche.
Il suo tramonto, nonostante i più svariati tentativi posti in essere da modelli culturali che negano la persona, è ancora molto lontano dal verificarsi.

Appendice
Al termine della relazione si sono avuti degli interventi meritevoli di considerazione circa le coppie di fatto, il ruolo della copia etero-sessuale nell’equilibrio psicologico e nell’educazione dei figli, l’età nell’adozione e la deriva della famiglia nell’attuale società.
Senza dubbio le coppie di fatto eterosessuali sono presenti nella Costituzione sin dall’inizio. Il loro ruolo risulta equiparato a quello della famiglia fondata sul matrimonio con gli stessi diritti e doveri in relazione all’educazione dei figli. Spesso dalle coppie di fatto si ricava una esemplarità notevole in relazione alla fedeltà che porta la loro unione a durare tutta la vita. Il rispetto della libertà di scelta è senza dubbio un valore.
Circa il ruolo dei genitori nell’equilibrio psicologico dello sviluppo, della formazione e dell’educazione dei figli non ci sono dubbi sul privilegio accordato dai padri costituenti al modello della famiglia di coppia eterosessuale fondata sul matrimonio. Gli studi psicologici nella loro totalità, salvo rare eccezioni, per lo sviluppo psichico dei minori ritengono fondamentale il ruolo del papà e della mamma.
Per quanto concerne il fattore età nell’adozione occorre sottolineare il fatto che la legge attualmente vigente considera l’età come un termine perentorio. A mio avviso, la tutela dell’interesse del minore sancita nel nostro ordinamento potrebbe dare una soluzione al problema soprattutto in presenza dei nonni.
Circa la deriva della famiglia oggi, che sarebbe sotto gli occhi di tutti, bisognerebbe avere il coraggio di continuare a dare fiducia ai giovani, tenuto conto che il valore originario e primigenio della famiglia si trasmette di generazione in generazione al di là della legge e in ragione dell’amore reciproco dei coniugi e della cura prestata nell’educazione dei figli.




Bibliografia

Busnelli F.D., «La famiglia e l'arcipelago familiare», in Riv. dir. civ. 2002, p. 509-ss.
Cavana P., Lezioni di diritto Costituzionale sul ruolo della famiglia https://www.docsity.com/it/lezione-cavana/601906/ (10.03.2017)
D’Agostino F., «Le coppie omosessuali, problema per i giuristi», in Iustitia, 1994, p. 77-ss.;
Ferrando G., «Le unioni di fatto tra disciplina per legge e autonomia privata», in Quad. dir. pol. eccl. 2002/1, p. 197-ss.;
Frezza G. (a cura di), «Trenta anni dalla riforma del diritto di famiglia», Milano 2005;
Grossi P. F., «Lineamenti di una disciplina della famiglia nella giurisprudenza costituzionale italiana», in Dir. fam. pers. 2015, II, p. 587-ss.;
Marano V., Le unioni di fatto. Esperienza giuridica secolare e insegnamento della Chiesa, Milano 2015;


1 Cfr. G. Treccani, Dizionario Enciclopedico Italiano, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1970.
2 Cfr. G. Treccani, op.cit., v. IV, voce famiglia.
3 Cfr. Costituzione Italiana, artt. 29-31, 37.
4 Ibidem, art. 2.
5 Ibidem, artt. 33-34.

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