mercoledì 13 aprile 2016

Il matrimonio (O γάμος) in Grecia, oggi di Carmine Prisco

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INCONTRO CULTURALE ALL'UNIVERSITA' “MINERVA”

La presidente dell'Associazione M. Liuzzi e il relatore P. Speziale

Ha relazionato brillantemente il prof. Pietro Speziale sulla base delle  testimonianze del prof. Carmine Prisco, che pubblichiamo qui di seguito 
 

Il matrimonio (O γάμος) in Grecia, oggi 

(Come in Italia può essere scelto il rito religioso o quello civile)



(Testo tratto dal libro: “Simboli e tradizioni nella Grecia moderna. Grecità di oggi fra tradizione e globalizzazione” di Carmine Prisco- Antonio Dellisanti Editore, pagine 336 – maggio 2014).


Il matrimonio è uno degli eventi più importanti e significativi della vita di un uomo o di una donna.

Nelle società più avanzate questo evento, storicamente consolidato e regolamentato in tutti i suoi aspetti, tende oggi ad assumere connotazioni diverse in tema di durata, effetti, rapporti di coppia, ritualità e spesso viene sostituito da una semplice convivenza. Tuttavia l’istituto appare ancora oggi dotato di grande vitalità e coinvolge le rispettive famiglie dei nubendi.

Nella società greca, legata alle sue tradizioni, il matrimonio (ο γάμος), specialmente quello religioso ortodosso, è una cerimonia ricca di gesti e rituali fortemente simbolici, che produce effetti non solo in ambito religioso, ma anche sul piano civile.

In ogni matrimonio un ruolo, a volte decisivo, giocano le rispettive famiglie degli sposi e in modo speciale quella della sposa. Le donne di famiglia provvedono a organizzare la parte della dote che la sposa porterà nella nuova casa e che consiste principalmente nel corredo di biancheria e ricami realizzati da mamme, nonne e zie e che farà bella mostra di sé, insieme ai regali ricevuti dagli altri parenti e amici più intimi. quando questi saranno invitati a vedere la nuova casa qualche giorno prima della cerimonia. Al padre della sposa invece compete assicurare alla coppia la casa possibilmente già completa di mobili ed elettrodomestici. Tutto ciò è praticato anche da noi in Italia e presso altre nazioni, anche se non è un obbligo giuridico ma semplicemente una dimostrazione di solidarietà e di affetto verso la nuova famiglia. L’ammontare della dote al giorno d’oggi risente dei condizionamenti di natura economica, sociale e culturale presenti in ambito familiare e ciò, in molti casi, può portare ad una riduzione anche notevole della entità della dote.

Da un punto di vista legale il matrimonio civile può essere sciolto con una procedura di divorzio analoga a quella italiana, nel rispetto delle specificità della legislazione greca in materia.

Il matrimonio religioso ortodosso invece si differenzia notevolmente rispetto al matrimonio cattolico. Il matrimonio ortodosso infatti può essere sciolto fino a due volte per ciascuno dei coniugi e quindi ci si può sposare con rito religioso anche tre volte. Questa possibilità non è consentita per il clero. In pratica si può essere preti anche da sposati o contrarre matrimonio dopo la ordinazione sacerdotale, ma senza la possibilità di divorziare o di fare carriera nel clero ortodosso.


Momenti significativi del matrimonio

Come avviene di regola in ogni parte del mondo il matrimonio, prima di giungere alla sua concreta realizzazione, passa solitamente attraverso diverse fasi, che in qualche modo ne determinano effetti, tempi e modalità. Vediamo nel matrimonio greco i passaggi più importanti.


Il fidanzamento
Il fidanzamento (Ο αρραβώνας) è il primo passo ufficiale necessario per arrivare al matrimonio. Di regola è l’uomo che chiede la mano della donna che ama al padre di lei. Se le famiglie sono d’accordo stabiliscono la data del fidanzamento, che ha il duplice significato di promessa reciproca di matrimonio tra ì fidanzati e di impegno delle rispettive famiglie ad agevolarlo. Il fidanzamento ha anche la funzione di rendere noto a parenti e amici l’intento dei giovani nubendi. Nel giorno fissato per il fidanzamento è tradizione invitare un prete a benedire le fedi, che egli pone sulla mano sinistra dei due promessi sposi. Parenti e amici invitati formulano i loro auguri con la classica frase: καλά στέφανα! (letteralmente > buone coroncine!, ovvero buon matrimonio!). È da osservare che molte tradizioni si stanno perdendo nei grandi agglomerati urbani, nelle grandi città come Atene o Salonicco, a causa del ritmo convulso della vita in tali centri e della contaminazione con altre etnie (la Grecia è un paese ad alta immigrazione)
In tale contesto si determina un affievolimento se non un abbandono degli usi e dei costumi tradizionali. Questi tuttavia sono abbastanza presenti e resistono soprattutto nei piccoli centri e nelle isole.


Nell’imminenza del matrimonio

Come già detto in precedenza il matrimonio in Grecia è una cerimonia ricca di simbolismo, che raggiunge il suo culmine soprattutto nel matrimonio religioso ortodosso. Alcune usanze tuttavia sono praticate anche in assenza dell’elemento religioso. Vediamone alcune.


Il letto perfetto
Qualche giorno prima della cerimonia del matrimonio i promessi sposi invitano i parenti e gli amici più intimi a visitare quella che sarà la loro casa da sposati. Inutile dire che si è accolti con la classica ospitalità greca: ricco buffet, dolcetti, stuzzichini, bevande per tutti. Si visitano le diverse stanze della casa, già complete di tutto; si osservano i regali ricevuti, che fanno bella mostra su un grande tavolo; si fanno complimenti e auguri ai nubendi e alle loro famiglie. Ad un certo punto un gruppetto di tre o quattro ragazze (la tradizione le vuole vergini) si chiudono nella stanza da letto con il compito di preparare il letto in maniera perfetta in termini di geometria, assenza di pieghe, posizionamento dei vari elementi che insieme costituiranno l’estetica e la funzionalità del talamo nuziale. Quando le ragazze ritengono di aver adempiuto al loro compito, chiamano i genitori degli sposi e gli amici invitati per mostrare loro il lavoro fatto. Infine viene chiamato lo sposo per verificare la bontà e la riuscita di questa importante operazione. Lo sposo osserva, guarda dappertutto (anche sotto il letto) e, apparentemente insoddisfatto, solleva lenzuola e coperte, lanciandole in aria e disfacendo in tal modo il letto. Le ragazze devono ripetere l’operazione, cercando di capire che cosa non è piaciuta allo sposo. Si prepara il letto una seconda volta e si ripete la stessa scena: anche questa volta lo sposo appare insoddisfatto e il letto è ancora da rifare. Le ragazze, che sanno perfettamente come vanno queste cose, rifanno il letto una terza volta e, finalmente, lo sposo si dichiara soddisfatto e si complimenta con loro. A questo punto la stanza è invasa dai parenti e dagli amici che, mano al portafoglio, gettano sul letto un ulteriore regalo in denaro, volendo così esprimere la loro fattiva e concreta solidarietà alla nuova famiglia che sta per costituirsi. Quale è il significato di questa usanza?. È un invito, se non proprio un avvertimento alla sposa che sarà la padrona di casa, a tenere la stessa in perfetto ordine, pulita, accogliente, pena la insoddisfazione del marito e qualche eventuale rimprovero. (Retaggio di una società maschilista?). Per dovere di completezza di quanto detto a proposito del letto perfetto c’è da aggiungere che oltre il denaro gettato da parenti e amici sul letto appena rifatto, chi ha bambini piccoli con sé getta anche questi, a volo, sul letto, che pertanto si presenta come una nidiata di figli circondati da ricchezza. È un modo simbolico, tutto greco, di augurare la nascita di molti figli senza problemi economici.


Preparazione della sposa

Nelle ore che precedono la cerimonia la sposa è aiutata a prepararsi al grande evento: le donne di famiglia, le amiche più intime e esperti di look e maquillage si prendono cura di lei per farne risaltare bellezza, fascino ed eleganza. Tutto ciò richiede anche diverse ore e deve avvenire in segreto e comunque non in presenza dello sposo, poiché si ritiene di malaugurio che lo sposo possa vedere la sposa prima della cerimonia in chiesa o al municipio.


La cerimonia del matrimonio ortodosso

La cerimonia del matrimonio (Η τελετή ) è il momento decisivo, quello del fatidico sì con il quale la volontà dei promessi sposi diventa realtà, certezza e coronamento di un sogno, di un desiderio coltivato da tempo..Il senso profondo del matrimonio religioso greco è che esso vuole certificare l’unione di anime più che un tipo di contratto finalizzato alla realizzazione di interessi comuni dei due sposi. Particolarmente suggestiva è la cerimonia con rito ortodosso (τελετή θρησκευτικού γάμου ), ricca di momenti altamente simbolici.
Le fasi tipiche di un matrimonio ortodosso sono le seguenti: a) corteo della sposa verso la chiesa; b) dinanzi all’altare- scambio degli anelli; c) incoronazione degli sposi e condivisione del vino; e) processione intorno all’altare; f) benedizione- termine della cerimonia; g) ricevimento nuziale.


Corteo della sposa verso la chiesa

La sposa di solito viene accompagnata verso la chiesa (di regola la parrocchia di appartenenza), dove sarà celebrato il rito nuziale. La accompagnano, prendendola sottobraccio da ambo i lati, il padre e uno dei fratelli o, in mancanza, i parenti più stretti. Giunta alla porta della chiesa, la sposa viene consegnata allo sposo che la attende lì e insieme si avviano verso l’altare, lo sposo alla destra della sposa. Questa fase non è molto diversa da quella analoga che si può vedere dalle nostre parti in un matrimonio, se non si considera l’accompagnamento della sposa da parte di due parenti stretti che danno l’impressione di volerla trascinare a forza in chiesa. In realtà la presenza dei due vuole rappresentare la partecipazione di tutta la famiglia alla gioia dell’evento.

Dinanzi all’altare


Giunti all’altare i nubendi uniscono le loro mani destre e le poggiano sull’altare come segno della loro volontà di unirsi. Qui il papàs riceve dai nubendi la dichiarazione che essi vogliono contrarre liberamente il matrimonio, li benedice e li invita a scambiarsi le fedi da lui precedentemente benedette. Lo scambio degli anelli simboleggia la solidarietà reciproca, che deve caratterizzare la loro unione. Lo scambio viene ripetuto per tre volte in ossequio alla Santa Trinità e il posizionamento delle fedi al dito degli sposi avviene con l’aiuto del compare e della comare di matrimonio..

Incoronazione e condivisione del vino.

L’incoronazione (το στεφάνωμα) è uno dei momenti più suggestivi del rito nuziale ortodosso. Sul capo di ciascuno degli sposi il papàs pone una corona (το στεφάνι) o un diadema a seconda delle tradizioni del luogo. In tal modo gli sposi vengono incoronati rispettivamente re e regina della famiglia e contemporaneamente essi promettono di aiutarsi vicendevolmente in tutte le difficoltà che potrebbero incontrare nella vita di coppia. Le due coroncine di solito sono legate tra loro da un nastro (vedi foto), per significare che i nubendi, pur essendo liberi come re e regina della casa, non possono discostarsi molto nelle loro azioni poiché le loro autonomie sono interdipendenti.
L’incoronazione è momento centrale della azione liturgica. È in questa fase che entrano in azione il compare e la comare di matrimonio ( ο κουμπάρος και η κουμπάρα): essi mantengono sospese sulla testa degli sposi le due coroncine e le incrociano per tre volte (per i dettagli vedi §17). Il significato di questo gesto è la concordia, la condivisione delle scelte che insieme i due dovranno fare nella vita futura, il confronto, il dialogo che deve caratterizzare il rapporto di coppia.
L’incrocio delle due coroncine sopra le teste degli sposi sta a significare appunto che ciò che esce o entra nella testa di ciascuno dei due non deve mai essere a senso unico, ma essere il risultato di una decisione valutata e condivisa da entrambi. Al termine dell’incoronazione gli sposi vengono festeggiati dagli invitati con lancio di riso e confetti.
Sulla scia di questi concetti si inserisce anche la condivisione del vino. Gli sposi per tre volte bevono il vino nel calice comune a voler confermare i propositi di concordia e condivisione totale, che caratterizzerà la loro vita. La presenza del vino nel rito nuziale religioso vuole ricordare la partecipazione di Gesù Cristo alle nozze di Cana e il miracolo che lì fece trasformando l’acqua in vino ed evitando così agli sposi il disagio della mancanza di tale bevanda. La condivisione del vino vuole esprimere anche la speranza e la fiducia dei nuovi sposi nell’aiuto e nella protezione divina, come avvenne alle nozze di Cana, nelle difficoltà che potranno incontrare nella vita a due. Durante la cerimonia il papàs oltre a recitare preghiere per i nuovi sposi rivolge loro un discorso pieno di raccomandazioni e inviti ad agire nelle loro attività quotidiane con correttezza e nel rispetto degli insegnamenti della Chiesa. In particolare raccomanda alla sposa di essere ubbidiente, sottomessa, rispettosa nei confronti del suo sposo. La sposa esprime il suo assenso a tale raccomandazione, ma contemporaneamente calpesta col suo piede destro quello sinistro dello sposo, suscitando un moto di ilarità e di approvazione da parte degli invitati. É come se dicesse allo sposo: sì, ma… non esagerare! Un modo simpatico e scherzoso, quasi un avvertimento, per ricordare al suo uomo la perfetta parità nella loro vita di coppia.


Processione intorno all’altare
Un altro momento particolare del rito nuziale ortodosso è la processione degli sposi. Essi, guidati dal papàs, fanno per tre volte il giro dell’altare sul quale è posto il vangelo, come a voler iniziare il loro primo viaggio insieme all’insegna della fede cristiana e a proseguire allo stesso modo nel cammino della vita. Il papàs, mentre precede gli sposi nei giri intorno all’altare, canta il brano dell’Isaia, che ricorda la sacra danza con la quale i popoli antichi accompagnavano i riti religiosi di particolare solennità.


Benedizione e termine della cerimonia

Giunti al termine della cerimonia il papàs benedice ancora una volta gli sposi e toglie dal loro capo le coroncine, che rimarranno per sempre presso di loro come simbolo e pegno della loro unione consacrata col rito nuziale. Terminata la cerimonia gli sposi rimangono ancora in chiesa per ricevere gli auguri e gli abbracci da parte degli invitati, che salutano gli sposi con il tradizionale να ζήσετε! ( lunga vita a voi!).


Ricevimento (Tο γλέντι)
Il ricevimento per il pranzo nuziale (το γλέντι > divertimento, spasso) di solito in un ristorante, ma anche in casa, è la fase conclusiva del matrimonio. Si balla, si mangia, si beve per tutta la notte. La festa è allietata con musica dal vivo che sgorga in continuazione dai classici strumenti della tradizione greca, quali il bouzouki (μπουζούκι), il violino, la fisarmonica , il clarinetto, la batteria e il sassofono. Gli invitati si alternano sulla pista da ballo esibendosi in acrobatici assolo o in balli di gruppo, tipici delle usanze greche; quando ritornano ai loro tavoli c’è sempre qualcosa da mangiare o da bere e così via fino all’alba
. Ovviamente anche gli sposi si lanciano nel ballo, esibendosi spesso in personali performances. Nel corso della festa si usa rompere piatti sbattendoli a terra nel segno della vivacità e della allegria. Spesso si organizza anche una specie di danza dei soldi consistente nell’appuntare banconote sui vestiti degli sposi oppure nell’acquistare pezzi della cravatta dello sposo. É evidente lo scopo: fare ulteriori regali agli sposi in segno di amicizia e solidarietà. Chi non è impegnato a ballare ed è rimasto al tavolo o in piedi ai bordi della pista partecipa comunque alla atmosfera di festa e allegria battendo le mani al ritmo della musica del momento, quasi a voler sottolineare la sua presenza e la partecipazione alla gioia di tutti anche senza ballare. Verso la fine della festa gli sposi regalano alle famiglie degli invitati la classica bomboniera. Questa in sintesi è la sequenza delle fasi di un matrimonio greco. A seconda dei luoghi e delle tradizioni locali queste fasi possono presentare delle varianti o delle particolarità dipendenti sia dalle usanze tipiche locali, sia dallo status sociale degli sposi. Ad es. mi è capitato di partecipare ad un matrimonio celebrato alle nove di una sera di maggio in un bosco vicino ad Atene, in cui era stato allestito l’altare per la celebrazione del rito nuziale.

Il ruolo del compare nel matrimonio greco
Il compare (o κουμπάρος) potrebbe essere tranquillamente identificato nel nostro “compare d’anello” con funzione di testimone alle nozze, anche se questa definizione è alquanto riduttiva rispetto al ruolo che questa figura assume (almeno in teoria) nel matrimonio greco. Il cumparos è presente alla cerimonia, che si svolge in chiesa davanti al papàs. Egli sta alle spalle degli sposi, spesso in posizione sopraelevata (su uno sgabello, ad esempio) rispetto agli stessi. Ad un certo punto della cerimonia, quando il papàs si rivolge agli sposi con consigli, esortazioni, incoraggiamenti e auguri per la nuova famiglia, il compare (o la comare) mantiene sospese sulle teste dei due sposi le due coroncine (τα στεφάνια), una per la sposa e una per lo sposo, incrociandole tra loro e spostandole da una testa all’altra per tre volte nel corso della omelia (ομιλία) del sacerdote ed infine depositandole nuovamente sulla testa degli sposi. Questa usanza è diffusa anche in altre aree di religione ortodossa, come ad es. in Russia. Le coroncine sono di metallo pregiato, oro o argento, a seconda della capacità economica e della volontà del compare.
Ma possono essere fatte anche con delle ghirlande di fiori, impreziosite da gemme o altri oggetti di valore. É noto che i Greci nel loro modo di essere e di manifestarsi nelle diverse circostanze della vita ricorrono molto spesso a gesti simbolici, a comportamenti solitamente legati alla tradizione, che vogliono esprimere sentimenti, idee, consigli, esortazioni, inviti, diretti ai destinatari di tali gesti e che dicono molto di più di quanto possano fare parole o discorsi a volte un po’ tediosi. Con il gesto descritto poc’anzi il compare vuole dire ai nubendi che la loro vita a due deve basarsi sulla condivisione delle idee e delle azioni conseguenti (da una testa all’altra e viceversa), sulla concordia, sulla solidarietà, sull’affetto e sulla assistenza reciproca di ciascuno dei due verso l’altro. Le due coroncine saranno poi conservate per tutta la vita come simbolo e pegno di una vita vissuta e da vivere ancora insieme. Ma il ruolo del compare di nozze non si esaurisce con la cerimonia in chiesa. Egli assume il compito di guidare i novelli sposi nella vita a due, che d’ora in poi dovranno affrontare; egli diventa una specie di protettore della nuova famiglia, impegnandosi ad aiutarla, anche economicamente, nelle eventuali difficoltà che dovessero sorgere. La sua figura è tanto importante che spesso il primo figlio della giovane coppia porterà il suo nome, se non gli sarà dato quello del nonno. Ne deriva che la scelta del cumparos non avviene a caso: egli diventerà “uno di famiglia, quasi un consanguineo”. Deve essere quindi il migliore tra i possibili, deve essere capace di adempiere ai suoi compiti verso la nuova famiglia. La sua funzione può paragonarsi, mutatis mutandis, a quella del padrino nel battesimo e nella cresima dei cattolici. La figura del compare, così come viene concepita tradizionalmente dal popolo greco, è indicativa, almeno in teoria, della importanza attribuita al matrimonio e al valore della famiglia che da esso discende, tanto da prevedere un persona, il cumparos appunto, che ha il compito di aiutarla a crescere e a consolidarsi nel corso del tempo. Il ruolo effettivo di questa figura nella Grecia moderna, ferme restando le idealità ad essa connesse, risente inesorabilmente delle evoluzioni delle società mature, che tendono ad affievolire e quasi abbandonare usi e costumi ereditati dal passato, riducendo la funzione del cumparos a quella di un amico speciale, utile per salvare la forma e la ritualità di un matrimonio, ma con consapevole attenuazione dei tradizionali doveri connessi a tale figura.



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 IL TEATRO GRECO ANTICO

 Relazione di Eleonora Massafra
La relatrice E. Massafra e S. Laddomada

Laurenda in Scienze dei  Beni Culturali 

Guida turistica regionale certificata


Il teatro greco nasce in Attica, ad Atene, dove in particolare l’epica si trasforma da narrazione ad azione e i protagonisti delle tragedie diventano protagonisti delle rappresentazioni teatrali.
Rispetto al teatro moderno, così come lo si concepisce oggi, ci sono delle sostanziali differenze. In primo luogo queste rappresentazioni si svolgono all’interno di in un contesto sacro, durante le feste religiose ma è bene specificare che esse non sono mai di tipo religioso, non sono le divinità ad essere rappresentate ma le gesta leggendarie di un eroe o di un popolo, fatta eccezione per Dionisio che compare nelle Baccanti di Euripide e nelle Rane di Aristofane.
Esse non hanno mai uno scopo commerciale, l’unico scopo dei commediografi era quello di partecipare agli agoni teatrali.
Svolgono una funzione di diffusione della cultura, in un epoca in cui l’unico mezzo di diffusione è la parola. Frequentare i teatri e partecipare alle manifestazioni permette non solo di diventare parte integrante della comunità ma in rari casi anche di tener salva la vita, come accadde per alcuni prigionieri ateniesi a Siracusa che grazie al fatto di conoscere a memoria i testi delle tragedie di Euripide furono salvati da morte certa e destinati alla recitazione di queste tragedie, poiché Euripide a Siracusa era molto apprezzato.

Le donne avevano un ruolo marginale nella società greca del V secolo e non era permesso loro di svolgere nessuna attività all’infuori di quelle casalinghe, così il teatro era fatto per soli attori maschi che interpretavano ruoli femminili servendosi di travestimenti, maschere e costumi. Grazie all’uso dei costumi e delle maschere, il pubblico non era sempre in grado di distinguere la realtà dalla finzione, l’atto scenico veniva vissuto come un azione che si stava svolgendo realmente in quel momento e il pubblico ne era completamente compenetrato ed emozionato.

Il teatro era all’aperto e quindi sottoposto alle avversità climatiche e meteorologiche, le rappresentazioni non avvenivano di sera, come accade per noi moderni, ma cominciavano all’alba per terminare al tramonto.

La musica e la danza erano elementi fondamentali per il teatro greco, il coro danzava e cantava con l’accompagnamento musicale.



LE FESTE RELIGIOSE



Antesterie

E’ la festa più antica in onore di Dioniso e si svolgeva in tre giorni, nell’11°, 12° e 13° giorno del mese di Antesterione, ottavo mese del calendario greco che corrisponde alla fine del nostro Febbraio e inizio di Marzo. Il termine deriva dal greco Anthos che significa fiore, poteva essere inteso come l’infiorescenza del vino sulle botti al momento dell’apertura che si effettuava proprio in questi giorni, o alle corone di fiori poste sul capo dei ragazzini che attraversavano il momento di passaggio dall’infanzia all’età adulta. Durante queste feste, infatti, per la prima volta i ragazzini potevano bere del vino, questo gesto rituale li introduceva nel mondo degli adulti.

Il primo giorno era dedicato all’apertura delle giare contenenti il vino raccolto nell’autunno precedente.

Il secondo giorno era detto “dei boccali”, c’erano delle gare di bevute in tutta la città, chi beveva più boccali di vino e li consegnava alla sacerdotessa del tempio vinceva un otre, anche questo colmo di vino. Parallelamente nel tempio della palude dedicato a Dioniso, si svolgevano le nozze simboliche tra il Dio e la moglie dell’arconte re.

Il terzo giorno era dedicato ai defunti. Secondo una leggenda essi tornavano sulla terra sottoforma di demoni e vagavano per la città. Per scongiurare l’arrivo dei demoni si offriva ad Hermes psicopompo una mistura di miele e granaglie per assicurarsi che quest’ultimo accompagnasse le anime dei defunti nell’aldilà.




Teatro del Lykavittòs sulla omonima collina di Atene
Lenee 
E’ una festa da ricondurre alla baccanti, avveniva nel mese di Gamelione o Lenone, 7° mese del calendario greco che corrisponde al nostro Gennaio, un mese particolarmente freddo. Le rappresentazioni erano legate alla vita della polis , con riferimenti a personaggi in vista ed era consuetudine lanciare dei messaggi precisi che puntualmente venivano accolti. La festa prevedeva una processione guidata dall’arconte re e un sacrificio in onore di Dioniso. Era una festa molto sentita tant’è che ogni tipo di attività della vita quotidiana veniva sospesa per poter partecipare alle Lenee, “durante la processione al Lenèo e gli agono tragici e comici[…]non sia consentito ne pretendere pegni ne sequestrare i beni altrui,neanche in caso di insolvenza oltre i termini pattuiti” (Decreto di Evegoro). In occasione della festa si tenevano gli agoni, delle vere e proprie gare tra poeti che rappresentavano le loro commedie o tragedie, vi partecipavano in tutto cinque poeti. Vi erano delle gare anche tra attori, ed era permesso di far parte del coro anche agli stranieri che spesso diventavano coreghi cioè coloro che sponsorizzavano le rappresentazioni investendo i propri soldi al fine di ottenere notorietà.



Dionisie rurali

Si tenevano in un periodo particolarmente freddo, tra Dicembre e Gennaio, in un mese che si chiamava Posideone. Nel V sec.a.c. l’Attica era divisa in Demi, distretti territoriali, ognuno dei quali aveva una propria organizzazione interna, politica, economica, amministrativa. Ogni Demo aveva un Demarco, colui il quale spettava l’organizzazione della festa ed era anche colui che nominava i coreghi. Queste feste davano l’opportunità ad ogni Demo di rafforzare la propria identità culturale e di sentirsi piccoli stati dentro lo stato, in un unico corpo che era l’Attica. Durante la festa vi erano dei rituali legati al culto della fertilità, uno di questi era rappresentato dalle processioni chiamate Fallofòrie in cui sui carri sfilavano simboli che rappresentavano gli organi genitali maschili, non vi era oscenità in questo tipo di manifestazione, era un modo per assicurasi la fertilità della famiglia ,della terra e del bestiame.



Dionisie cittadine o Grandi Dionisie

Considerate come le Dionisie per antonomasia, era la festa più importante dell’anno e si teneva ad Atene nel 9°, 10° e 11° giorno del mese di Elafebolione, 9° mese del calendario attico che corrisponde ad un periodo compreso tra Marzo e Aprile. Fu istituita da Pisistrato nel periodo del suo potere politico, intorno al 535/ 533 per conquistare il favore popolare contro il potere dell’aristocrazia. Attraverso il culto di Dionisio, in cui tutti si riconoscevano, Pisistrato volle richiamare a se il maggior numero di cittadini, tant’è che questa festa, date le condizioni meteorologiche ottimali, era frequenta da tutti, non solo i cittadini ateniesi ma in quei giorni si recavano ad Atene gente proveniente da tutta la Grecia, erano feste panelleniche. Durante le dionisie la vita cittadina si fermava, tutti si dedicavano alla sua realizzazione mettendo a disposizione la propria professionalità; c’era una pausa giudiziaria, i processi venivano rimandati, i carcerati venivano liberati momentaneamente e sotto cauzione, anche gli schiavi erano liberi. Forse l’aspetto più importante di questa festa è quello politico, in questi giorni infatti i singoli rappresentanti delle città alleate versavano il loro tributo ad Atene, durante una cerimonia pubblica che avveniva nello stesso teatro in cui si tenevano le rappresentazioni e davanti ad un folto pubblico. Questi poi sedevano nelle prime file, in quella che viene detta Proedrìa. Un altro momento molto importante era la sfilata degli orfani di guerra, vestiti di tutto punto, istruiti e mantenuti da Atene per diventare i futuri guerrieri. Attraverso questa sfilata Atene dimostrava agli alleati, ed ai nemici presenti, la sua potenza, era in grado di mantenere e istruire alla guerra giovani leve che in futuro avrebbero dato la vita per lei.



COREGIA PROAGONI E DITIRAMBI



Coregìa

All’inizio dell’anno attico, nel mese di Ecatombeone che corrisponde per noi ad un periodo compreso tra Giugno e Luglio entrava in carica l’arconte eponimo, colui il quale dava il nome all’anno in cui sarebbe stato in carica. Per quanto riguarda le rappresentazioni teatrali, il compito dell’arconte era quello di individuare il corego, qualcuno che fosse abbastanza ricco per poter investire i propri averi al fine di realizzare lo spettacolo. La coregìa era un impegno gravoso poiché il corego doveva addossarsi tutte le spese, non solo nell’allestimento dei teatri ma anche nel pagare gli attori, i locali per le prove, i sarti, le maschere, i figuranti ecc… il corego nominato dall’arcone poteva opporsi alla liturgia (dal greco eitūrgía, comp. di lḗiton ‘luogo degli affari pubblici’ e érgon ‘opera’, in sostanza “opera a favore del popolo”) ma doveva identificare e proporre un sostituto. Per dimostrare a tutti che non poteva accollarsi tali spese doveva proporre al sostituto un’antidòti, cioè lo scambio di beni tra i due, questo gesto avvalorava la tesi del primo corego che dimostrava di essere meno ricco del sostituto. Essere corego aveva anche i suoi vantaggi, oltre a raggiungere una straordinaria popolarità e ammirazione, il corego riceveva dei premi e poteva anche usufruire di benefici giudiziari”[Nicia] dubitando di poter battere con armi pare l’accondiscendenza cialtronesca con cui Cleone compiaceva e insieme dominava gli Ateniesi, cercava di conquistare il popolo con spettacoli teatrali e ginnici e simili munificenze, superando per fasto e gusto tutti i suoi predecessori e contemporanei” (Plutarco, vita di Nicia. 3.2-3). Una volta individuato il corego, i poeti fanno quell’operazione chiamata “chiedere il coro” cioè i tragediografi e i commediografi presentano all’arconte eponimo una bozza dei loro lavori, sulla base di una lettura preliminare, se questa viene approvata dall’arconte, egli concede il coro per la rappresentazione che sarebbe avvenuta nell’anno successivo. I tragediografi e commediografi ammessi erano cinque, ogni tragediografo doveva rappresentare tre tragedie e un dramma satiresco, i commediografi presentavano una commedia e poi c’erano i ditirambi, dei canti corali in onore di Dioniso.



Proagone

Il giorno prima dell’inizio dei festeggiamenti, avveniva quello che si chiamava proagone, cioè un’anticipazione di ciò che sarebbe stato rappresentato.

Nell’Odèon (dal gr. ōidêion, deriv. di ōidè ‘canto’, termine da cui deriva la parola ode) fatto costruire da Pericle nel 442 a.c. accanto al teatro di Dioniso, normalmente si tenevano delle gare musicali, grazie alla buona acustica, ma in questa occasione i tragediografi salivano sul palco con i loro attori che indossavano delle corone di fiori e spiegavano quello che avrebbero rappresentato nei giorni successivi. Il proagone era funzionale alla conoscenza di quello che si sarebbe visto, dato che in questo periodo non abbiamo ancora la diffusione della scrittura, tantomeno una tradizione libraria.



Ditirambo

E’ un canto corale in onore di Dioniso, formato da dieci cori di adulti e dieci di ragazzi. Il numero dieci è dato dal fatto che l’attica era divisa in dieci tribù, in questo modo ogni tribù era rappresentata, partecipavano cinquecento persone nel coro degli adulti e cinquecento in quello dei ragazzi, ogni tribù quindi presentava un coro di cinquanta componenti per gli adulti e un coro di cinquanta componenti per quello dei giovani, in tutto erano mille partecipanti. Ogni coro cantava e ballava nell’orchestra ( dal greco orkhéomai ‘danzo’) intorno al tempio di Dioniso, a differenza del coro tragico e comico non indossava delle maschere. I vincitori nelle due sezioni, adulti e ragazzi, ricevevano in premio un tripode, il premio veniva riscosso dal corego il quale lo poneva su un basamento su cui vi erano delle iscrizioni.



Come si svolgessero queste rappresentazioni è ancora argomento di dibattito tra gli studiosi. Alcuni di loro ritengono che i ditirambi, ovvero i canti corali, avvenissero nel pomeriggio del 10° giorno di Elafebolione mentre le tetralogie tragiche fossero rappresentate una al giorno nel 11°, 12° e 13° ,per le commedie invece si pensa che fossero rappresentate tutte e cinque nel 14° giorno. Di parere discordante è invece chi pensa che l’ordine si invertisse esattamente al contrario.

Un dato certo è che nei giorni successivi vi fosse un’assemblea convocata dai Prìtani (magistrati membri del consiglio di ogni tribù) per discutere dell’andamento e dell’organizzazione della festa, e per decidere se riconoscere eventuali premi agli organizzatori o ai vincitori dell’agone teatrale.

Per decretare la vittoria negli agoni teatrali si nominava una giuria formata da un rappresentante per ognuna delle dieci tribù Attiche. I nomi di questi rappresentanti venivano estratti da un’urna in cui erano stati inseriti precedentemente, le urne o vasi sigillati, erano poi depositati sull’acropoli e affidati ai tesorieri di stato. Se qualcuno cercava di manomettere l’urna rischiava la morte. I dieci sorteggiati dovevano giurare di essere imparziali, assistere alle rappresentazioni e stilare una classifica di gradimento su tavolette d’argilla, inserire le stesse in un’altra urna da cui ne venivano estratte a caso soltanto cinque, calcolando i voti di gradimento in base alla classifica di queste cinque, si decretava il vincitore. Sulla incorruttibilità dei giudici non vi era molta certezza.



GLI ATTORI

Secondo gli antichi la composizione poetica e la fase recitativa sono due attività strettamente connesse, due fasi di un unico processo creativo e di ispirazione divina. Questa interdipendenza dopo la fase creativa e recitativa ha lo scopo di emozionare il pubblico. Di questo ci parla Platone nello ione, dove fa dire al suo personaggio, Socrate, che la creazione poetica si può ben rappresentare come una catena ad anelli in cui a monte c’è la divinità, poi il poeta, in mezzo il rapsodo e attore, “[…] la divinità mediante tutti questi anelli, trascina l’anima umana dove vuole, facedo dipendere il potere dell’uno dall’altro dal poeta pende una serie lunghissima di coreuti, maestri e istruttori attaccati obliquamente e sospesi dalla musa ( Plutarco, Ione, 535c-536a ).
Teatro Odeon di Erode Attico

Gli attori sulla scena sono tutti uomini, in greco si chiamano hypocrites che nella nostra lingua significa ipocrita, ma essi sono intesi come coloro che fingono. Il sostantivo hypocrites deriva dal verbo hypocrinesthai che ha due significati, il primo è di interpretare sogni, auspici, oracoli, il secondo è inteso come rispondere ad una domanda. Secondo gli studiosi il termine ha finito per identificare l’attore perché egli aveva anche il compito di interpretare e spiegare al pubblico quello che il coro cantava o mimava, in un primo periodo infatti l’attore interagiva fortemente con il pubblico. Un’altra spiegazione sta nel fatto che l’attore rispondeva al coro quando questo gli poneva delle domande. Un’altra terminologia che si è conservata nella lingua italiana vede termini come protagonistès, deuteragonistes e tritagonistès, cioè il primo, il secondo e il terzo attore. Protagonistès da pròtos primo più agonistès attore ma non si intenda per primo protagonista quello che interpreta ruoli principali, questi infatti potevano essere assegnati anche al secondo o al terzo, rispettivamente il deuragonistès e tritagonistès.



LE MASCHERE

La fonte che ci da maggiori informazioni riguardanti le maschere e i costumi di scena è l’Onomasticon di Polluce, nel quarto libro poi abbiamo anche testimonianze archeologiche, dipinti su vasi che riprendono scene teatrali. Pròsopon è il nome della maschera in greco e Polluce descrive bene le diverse tipologie di maschere, egli ci dice che ci sono ben sei tipologie di maschere per il personaggio dell’anziano, otto per i giovani, tre per i servi, undici per le donne e poi ci sono della maschere speciali come quella di Achille che si tagliò i capelli dopo la morte di Patroclo, la maschera per la personificazione della follia, la maschera per inscenare il pianto con un velo che cadeva sul viso, la maschera di Edipo che fece quel gesto orribile di cavarsi gli occhi. Nella maggior parte dei casi il pubblico riconosceva il personaggio già da alcuni aspetti caratteristici e convenzionali, ad esempio per le donne si usava una maschera di colore bianco perché essendo recluse in casa avevano un colorito sempre pallido, gli uomini invece avevano una maschera più scura sul rosso bruno. Gli attori sul palco erano solo tre e dunque la maschera dava loro l’opportunità di interpretare più ruoli anche quelli femminili. L’inizio dell’uso della maschera non ha una datazione certa, però è certo che fin dall’inizio delle prime interpretazioni artistiche si usava dipingersi il volto con colori naturali, o con la biacca o la feccia del vino. Le maschere invece si costruivano con il lino e il gesso. 

Info: e-mail Eleonora.massafra@gmail.com

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