venerdì 9 marzo 2018

CENTENARIO PRIMA GUERRA MONDIALE - "Gli intellettuali del primo Novecento"

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RELAZIONE DI SILVIA LADDOMADA


GLI INTELLETTUALI DEL PRIMO NOVECENTO



Stiamo sviluppando un discorso sulla prima guerra mondiale, conclusasi 100 anni fa. Sono lezioni di Storia, a scadenza mensile e in forma ridotta. Ritengo interessante, oltre che utile, delineare il contesto storico, politico, sociale e letterario del primo Novecento, come necessario terreno di gioco per le forze che scenderanno in campo nel 1914, per parlare poi anche dei risvolti umani e sociali di quei quattro anni, nonché delle conseguenze del conflitto. Sono gli anni della "belle époque", gli anni in cui lo sviluppo industriale ha abbagliato la società, prospettando un progresso infinito, offrendo tantissime novità in tutti i campi. La vita della borghesia procedeva con spensieratezza: il benessere, le città illuminate, i teatri e i caffè frequentati da tanta gente, la grande disponibilità delle merci, le novità tecnologiche rendevano più comoda la vita, davano la sensazione di aver realizzato il migliore dei mondi possibili.
Italo Svevo
Ma gli intellettuali di questo periodo non condividevano questa visione ottimistica della vita, anzi rifiutavano questo pensiero razionale, chiamato Positivismo, che invitava tutti ad avere fiducia solo nella ragione, nella scienza, nella tecnica, senza curarsi più delle fantasie, dei sogni, delle emozioni, dei sentimenti, che avevano caratterizzato l'età romantica, ormai rifiutata perché aveva idealizzato troppo la realtà. Certo, dicevano questi intellettuali, é importante capire come avvengono le cose, quale relazione di causa effetto le lega, ma l'uomo non può essere ridotto a un congegno meccanico, nel quale perfino un'emozione deve essere interpretata come la conseguenza di una reazione chimica avvenuta all'interno del nostro corpo. In una società solo scientifica l'uomo è costretto ad annullare il suo io interiore, è un numero nella catena di montaggio all'interno di una fabbrica. E' alienato, è qualcos'altro la vita. Questi intellettuali esaltavano l'aspetto fantastico e irrazionale dell'animo umano; per loro la realtà non é quella che osserviamo con i cinque sensi e comprendiamo con la ragione; oltre a questa c'è un'altra realtà, che possiamo intuire ma non spiegare, una realtà simbolica che possiamo cogliere in modo soggettivo, e che è la vera realtà. (es. : un oggetto è importante, perché ha un valore affettivo). In Francia questi artisti, poeti, scrittori, che frequentavano i locali sulla riva sinistra della Senna, esprimevano il loro rifiuto, il loro disagio nei confronti della società borghese con atteggiamenti provocatori e anticonformisti.
Paul Verlaine
Un grande poeta, Paul Verlaine, nella lirica "Languore" diceva " Sono l'Impero alla fine della decadenza, che guarda passare i grandi Barbari bianchi". (con riferimento alla condizione dell'Impero romano di fronte alle invasioni barbariche IV-V secolo d.c.). Da questo verso prende nome il movimento letterario del Decadentismo.
All'inizio usato in senso dispregiativo dai borghesi, per indicare la nuova generazione dei "poeti maledetti", come furono definiti Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, che incitavano al rifiuto dei valori borghesi: benessere, denaro, successo, emarginazione di chi non condivideva. Un termine che invece i poeti utilizzarono per definire il loro disagio esistenziale, la loro insofferenza, la loro diversità ed estraneità rispetto alla società borghese. "Les decadents", con la loro rivista "Le decadent". Questi artisti rifiutavano l'impegno politico e sociale e celebravano l'arte come valore assoluto. Essi non si confondevano con la vita della gente "comune", dominati dal tedio, dalla noia (lo spleen) e dotati di una superiore sensibilità, percepivano la banalità e il grigiore della vita moderna.
Marcel Proust
Quindi si definivano "veggenti", in quanto capaci di cogliere l'essenza della realtà oltre al suo aspetto fenomenologico, attraverso il deragliamento dei sensi, l'abbandono ai sensi, non escludendo l'uso di sostanze allucinogene. Si definivano "esteti", dandy, perché amavano costruire la propria vita come un'opera d'arte, sostituendo i valori sociali e morali con il culto della bellezza e l'esaltazione del piacere. Si definivano "superuomini", che tramite l'arte miravano alla completa affermazione di se stessi. La poesia del Decadentismo fu influenzata dal Simbolismo francese, una corrente attenta al mistero che si cela dietro la realtà, che può essere intuito con un linguaggio musicale, suggestivo, a volte comprensibile solo per il poeta che lo usa.
Albert Einstein
Questa visione diversa e più pessimistica del mondo é certamente influenzata dal pensiero scientifico e filosofico di altri protagonisti della cultura di questi decenni, una cultura che precede e che, in qualche modo, determina lo scoppio della grande guerra.
Lo scienziato Einstein formulò la teoria della relatività (1905): i concetti di spazio e tempo non sono più valori assoluti, ma fenomeni dipendenti dal punto di vista dell'osservatore. Del resto, la radio, il telefono permettevano la comunicazione in tempo reale, rendevano possibile l'esperienza della simultaneità, i tempi si accorciavano.
Anche lo spazio si modificava: lo sviluppo della rete ferroviaria, i primi aerei, le prime automobili, tutto portava a percepire le distanze in un modo soggettivo, relativo.
Henri Bergson
Il filosofo Bergson aggiunse che il tempo non é solo una successione di momenti isolati, ma é una dimensione interiore, un flusso continuo, simultaneo, in cui l'uomo vive il presente con la memoria del passato e l'anticipazione del futuro. Inoltre Bergson affrontò il tema della conoscenza. La realtà può essere conosciuta in modo scientifico ma é un modo superficiale, per cogliere l'essenza spirituale della realtà occorre l'intuizione. Un'altra teoria rivoluzionaria fu quella elaborata dal filosofo Sigmund Freud. Egli pose all'attenzione l'esistenza dell'inconscio, una zona d'ombra della psiche che non é soggetta al controllo della ragione e della coscienza, in cui si scontrano pulsioni istintive che condizionano il comportamento.
Teorie che diffondono una visione relativistica del mondo, generando disorientamento, svuotamento delle certezze acquisite, perdita di identità.
Per cui un altro filosofo Nietzsche dirà che i valori tradizionali sono menzogne, nulla é stabile, nulla é sicuro - "Dio é morto", intendendo che non ci sono più quelle verità certe, quei valori morali della ormai stagnante e ipocrita società borghese.
Gabriele D'Annunzio
Egli proponeva , in alternativa, la figura del superuomo, un individuo votato a esperienze eccezionali e alla realizzazione di una vita straordinaria, sfruttando le proprie infinite possibilità, superando tutti gli ostacoli, compresi quelli morali, che reprimono i desideri e le aspirazioni individuali.

Queste teorie portarono i letterati a sviluppare nuove tematiche nelle loro opere ed ad usare nuovi linguaggi.

In Italia i grandi poeti del vasto movimento del Decadentismo sono D'Annunzio e Pascoli;
Giovanni Pascoli
D'Annunzio interpreterà in modo originale la figura dell'esteta e del superuomo di Nietzsche; Pascoli erediterà dai Simbolisti francesi la conoscenza intuitiva della realtà e la musicalità del linguaggio, con il suo "fanciullino". In generale gli artisti più rivoluzionari furono chiamati artisti delle Avanguardie, artisti polemici verso tradizione, regole, forme, contenuti abituali delle opere d'arte. Rigettavano l'idea borghese dell'opera d'arte come prodotto da vendere e consumare.
Si disinteressavano del bello e del buono, anzi cercavano di provocare disgusto e scandali. Ricordiamo il Futurismo, il Crepuscolarismo, il Dadaismo, l'Espressionismo, il Surrealismo. Comune a tutti é il lavoro collettivo, per gruppi, essi facevano conoscere il loro programma tramite un manifesto. Il loro scopo non era più quello di dire qualcosa di comprensibile, ma sperimentare un modo diverso di vivere e di creare. Nella narrativa tramonta il romanzo realistico (Manzoni, Verga, partecipazione corale di tanti personaggi); esso risulta insufficiente a far luce sulle problematiche psicologiche dell'uomo contemporaneo, per cui all'analisi oggettiva della realtà sociale si sostituisce la riflessione sul mondo interiore dell'individuo. Uno dei motivi che accomuna i romanzi decadenti é l'Estetismo, ossia l'esaltazione della bellezza come valore supremo della vita, non solo per i personaggi, ma anche per gli autori stessi. I protagonisti sono spesso una proiezione dell'autore, sono degli aristocratici in preda a nevrosi che rasentano la follia; sono esteti, dandy, giovani raffinati e amanti di tutto ciò che è bello, raro, ricercato, che costruiscono la loro vita come un'opera d'arte.
Oscar Wilde
Parliamo dei romanzi di Karl Huismans (Controcorrente), di Oscar Wilde (Il ritratto di Dorian Gray), di Gabriele D'Annunzio (Il Piacere). Sono eroi negativi, perché il loro anticonformismo si risolverà in un fallimento, cioè nella consapevolezza amara che solo l'arte é eterna, l'uomo invece é legato a un triste destino di vecchiaia e decadimento. Poi ci sono i romanzi che analizzano la psiche, che danno importanza all'introspezione, ai processi psicologici interni al protagonista. In questi romanzi non si raccontano i fatti, l'Autore, spesso, fa parlare il protagonista in prima persona, usando la tecnica dl "monologo interiore", oppure ricorre ai "flussi di coscienza", associazione di idee, cioé l'Autore riporta il libero formarsi di pensieri così come affiorano inconsapevolmente dall'inconscio. Ricordiamo Italo Svevo (La Coscienza di Zeno), Marcel Proust (Alla ricerca del tempo perduto -memoria involontaria), James Joice (Ulisse). E' chiara l'influenza di Freud! I protagonisti di questi romanzi sono convinti che la realtà
Sigmund Freud
vera è sempre diversa da quella che appare, per cui hanno delle cose una visione frantumata, priva di certezze stabili, anche perché la vita sociale e collettiva appare un ambito non autentico, appare una fonte di falsità e fallimenti. In questi romanzi, i personaggi sono incerti, ambigui, malati, per i quali la malattia, la nevrosi non sono altro che un alibi, il segno visibile della loro estraneità al mondo. Sono i romanzi della crisi, scritti da Autori che sanno di non poter mutare la realtà di fatto, la possono rivelare, ma senza illudersi di migliorarla.
Luigi Pirandello
Abbiamo allora dei personaggi che si sentono degli sconfitti, incapaci di accettare le sfide del futuro in James Yoice (Gente di Dublino); sono degli inetti, inadatti a vivere la vita come gli altri in Svevo Senilità, Una vita); sono degli esclusi, indossano una maschera, sono fuori di chiave, violino e contrabbasso, in Luigi Pirandello (Così é, se vi pare, Uno, nessuno, centomila);
Franz Kafka
sono colpevoli di colpe che non conoscono, vittime dell'assurdità del vivere quotidiano in Kafka (Il processo); sono uomini senza qualità, che si modificano in ogni momento, a seconda dei rapporti che intrattengono, in Robert Musil (Ulrich, l'uomo senza qualità); sono dei malati fisici, ma soprattutto mentali, che guariscono in una prospettiva di morte in Thomas Mann (La montagna incantata)
Questa crisi, questa incertezza porterà molti intellettuali a desiderare la guerra, "la sola igiene del mondo", urleranno i Futuristi.






Amiamo la guerra di Giovanni Papini

Finalmente è arrivato il giorno dell'ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell'anime1 per la ripulitura della terra.

Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l'arsura dell'agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di settembre.

E' finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell'ipocrisia e della pacioseria. I fratelli sono sempre buoni ad ammazzare i fratelli! i civili son pronti a tornar selvaggi, gli uomini non rinnegano le madri belve.

Non si contentano più dell'omicidio al minuto.

Siamo troppi. La guerra è una operazione malthusiana.2 C'è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un'infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita. Fra le tante migliaia di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che nel colore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare? Ci metterei la testa che non arrivano ai diti delle mani e dei piedi messi insieme. E codesta perdita, se non fosse anche un guadagno per la memoria, sarebbe a mille doppi compensata dalle tante centinaia di migliaia di antipatici, farabutti, idioti, odiosi, sfruttatori, disutili, bestioni e disgraziati che si son levati dal mondo in maniera spiccia, nobile, eroica e forse, per chi resta, vantaggiosa.

Non si rinfaccino. a uso di perorazione, le lacrime delle mamme. A cosa possono servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere. E quando furono ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere. E chissà che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto il figliolo prima che i manifesti lo chiamassero al campo. Lasciamole piangere: dopo aver pianto si sta meglio.
Chi odia l'umanità - e come si può non odiarla anche compiangendola? - si trova in questi tempi nel suo centro di felicità. La guerra, colla sua ferocia, nello stesso tempo giustifica l'odio e lo consola. "Avevo ragione di non stimare gli uomini, e perciò son contento che ne spariscano parecchi". La guerra, infine, giova all'agricoltura e alla modernità. I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai più di prima senz'altra spesa di concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s'ammucchiarono i fanti tedeschi e che grasse patate si caveranno in Galizia quest'altro anno!

E il fuoco degli scorridori3 e il dirutarnento4 dei mortai fanno piazza pulita fra le vecchie case e le vecchie cose. Quei villaggi sudici che i soldatacci incendiarono saranno rifatti più belli e più igienici. E rimarranno anche troppe cattedrali gotiche e troppe chiese e troppe biblioteche e troppi castelli per gli abbrutimenti e i rapimenti e i rompimenti dei viaggiatori e dei professori. Dopo il passo dei barbari nasce un'arte nuova fra le rovine e ogni guerra di sterminio mette capo a una moda diversa. Ci sarà sempre da fare per tutti se la voglia di creare verrà, come sempre, eccitata e ringagliardita dalla distruzione.

Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerra è spaventosa - e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.

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1la decima dell’anime:: un cospicuo tributo di vite umane.

2 un’operazione malthusiana: l'economista inglese Thomas Roben Malthus (1766-1834) sostenne la necessità di una limitazione delle nascite per risolvere la contraddizione tra incremento delle nascite e inadeguatezza delle risorse e dei mezzi di sussistenza.

3 scorridori: soldati mandati in avanscoperta.
4 il dirutamento: la distruzione. la rovina.



 

Bombardamento  ( la battaglia di Adrianopoli )

ogni 5 secondi cannoni da assedio sventrare spazio con un accordo tam-tuuumb ammutinamento di 500 echi per azzannarlo sminuzzarlo sparpagliarlo
all'infinito
nel centro di quei tam-tuuumb spiaccicati (ampiezza 50 chilometri quadrati) balzare scoppi tali pugni batterie tiro rapido Violenza ferocia regolarità questo basso grave scandere gli strani folli agitatissimi acuti della battaglia Furia affanno
orecchie occhi
narici aperti attenti
forza che gioia vedere udire fiutare tutto tutto tara-tatatata delle mitragliatrici strillare a perdifiato sotto morsi schiaffffi traak-traak frustate pic-pac-pum-tumb bizzzzarrie salti altezza 200 m della fucileria Giù giù in fondo all'orchestra
stagni diguazzare buoi buffali pungoli
carri pluff plaff impennarsi di cavalli
flic flac zing zing sciaaack ilari nitriti iiiiii scalpiccii tintinnii 3 battaglioni bulgari in marcia croooc-craac [LENTO DUE TEMPI] Sciumi Maritza o Karvavena croooc craaac grida degli ufficiali sbataccccchiare come piattttti d'otttttone pan di qua paack di là cing buuum cing ciack [PRESTO] ciaciaciaciaciaak su giù là là in-torno in alto attenzione sulla testa ciaack bello Vampe
vampe
vampe vampe
vampe vampe
vampe ribalta dei forti die-
vampe
vampe
tro quel fumo Sciukri Pascià comunica telefonicamente con 27 forti in turco in tedesco allò Ibrahim Rudolf allô allô attori ruoli
echi suggeritori scenari di fumo
foreste applausi odore di fieno fango sterco non sento più i miei piedi gelati odore di salnitro odore di marcio
Timmmpani flauti clarini dovunque basso alto uccelli cinguettare beatitudine ombrie cip-cip-cip brezza verde mandre don-dan-don-din-béèé tam-tumb-tumb tumb tumb-tumb-tumb-tumb
Orchestra pazzi bastonare
professori d'orchestra questi bastonatissimi suooooonare suooooonare Graaaaandi fragori non cancellare precisare ritttttagliandoli rumori più piccoli minutissssssimi rottami di echi nel teatro ampiezza 300 chilometri quadrati Fiumi Maritza Tungia
sdraiati Monti Ròdopi ritti al-
ture palchi loggione 2000 shrapnels sbracciarsi ed esplo-dere fazzoletti bianchissimi pieni d'oro Tumb-tumb 2000 granate protese strappare con schianti capigliature tenebre zang-tumb-zang-tuuum-tuuumb orchestra dei rumori di guerra gonfiarsi sotto una nota di silenzio
tenuta nell'alto cielo pallone sferico
dorato sorvegliare tiri parco aerostatico Kadi-Keuy.




E lasciatemi divertire


Tri, tri tri
Fru fru fru,
uhi uhi uhi,
ihu ihu, ihu.

Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente.

Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.

Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!

Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche,
Sono la mia passione.

Farafarafarafa,
Tarataratarata,
Paraparaparapa,
Laralaralarala!

Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la... spazzatura
delle altre poesie,

Bubububu,
fufufufu,
Friù!
Friù!

Se d’un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?

Bilobilobiobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!






 

 

 

 

 

"Desolazione del povero poeta sentimentale" di Sergio Corazzini

I
Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lacrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
II
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.
III
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle catedrali
mi fanno tremare di amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.
Vedi che io sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
IV
Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole, così vane,
Dio mio, così vane,
che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l'aria
di sgranare un rosario di tristezza
davanti alla mia anima sette volte dolente
ma io non sarei un poeta;
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui venisse di pregare, così, come canta e come dorme.
V
Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.
VI
Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.
VII
Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.
VIII
Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per esser detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.





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