giovedì 20 aprile 2023

COMMEDIA- PURGATORIO: STAZIO

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DIVINA COMMEDIA - PURGATORIO: STAZIO

(canti 20°-21°-22°)

 23° INCONTRO

Relazione di Silvia Laddomada

Siamo nella 5° cornice. Virgilio ha interpretato lo strano sogno di Dante, la femmina balba, brutta prima e poi trasformatasi in una sirena ammaliante. Ma una donna giusta, squarciandole il ventre, aveva mostrato a Dante le sue brutture. La sirena rappresenta le false immagini del bene che ci attirano comunemente: la ricchezza, le bevande e i cibi deliziosi e i piaceri della carne. Ad essi corrispondono tre peccati: avarizia, gola, lussuria. Peccati che derivano non dal desiderio del male, ma da un esagerato desiderio di un ben terreno, non é il vero bene, ma é comunque legato alla prosperità e allo sviluppo della vita umana.

Questi tre peccati sono meno gravi degli altri,

e si scontano nella parte superiore del

Purgatorio, sempre però che l'anima si sia

pentita di questo eccessivo attaccamento. La

moderazione, la giusta misura, sempre.

Siamo nella cornice degli avari e prodighi. Distesi per terra, piangono e si lamentano. Non possono guardare in alto. In vita sono stati legati ai beni terreni, o per eccessiva avarizia o per prodigalità, cioè sperpero eccessivo dei propri beni. Si pecca quando si esagera.

Dante ha incontrato un papa, Adriano V, il quale rivestendo il manto papale aveva scoperto, dice, quanto bugiarda fosse la vita mondana.

Proseguendo, il poeta sente le anime che pronunciano esempi di povertà, e scorge un'anima che, nel ricordare la povertà di Maria che depose il Figlio in una mangiatoia, si esprime con una tale dolcezza che Dante vuole sapere chi sia.

L'anima dice di non essere un semplice avaro ma di essere,  

Io fui radice de la mala pianta 
che la terra cristiana tutta aduggia, 
sì che buon frutto rado se ne schianta.
(vv. 43-45, canto 20°).

E' Ugo Capeto, capostipite dei Capetingi, è lui la radice di quella cattiva pianta che oppresse la cristianità, tanto che raramente si coglie, tra loro, il frutto di qualche persona virtuosa.

I Capetingi governarono la Francia dopo i Carolingi. Ugo Capeto ricorda con rammarico che da lui sono discesi molti re francesi, avidi di potere e ricchezza, che con inganni e violenze si sono resi responsabili di tanti atti malvagi.

(Carlo D'Angiò uccise Corradino di Svevia, ultimo discendente degli Svevi nel Sud Italia. Poi avvelenò Tommaso D'Aquino. C'é quel Carlo di Valois, che intervenne a Firenze, nella disputa tra Guelfi bianchi e Guelfi neri, schierandosi con i Neri, e decretando l'esilio dei Bianchi, Dante compreso. E poi Filippo IV il Bello, nemico di Bonifacio VIII, che arrestò e schiaffeggiò il papa ad Anagni.) Il papa, per la forte umiliazione, morì pochi mesi dopo. Venne poi eletto Clemente V, che trasferì la sede pontificia ad Avignone, sotto il diretto controllo dei re di Francia.

Ugo Capeto quasi invoca l'ira punitrice di Dio, nei confronti dei suoi discendenti.

 "O avarizia, che puoi tu più farne, 
poscia c’ha’ il mio sangue a te sì tratto"
(v. 82-83).

(Oh avarizia, cos'altro di peggio puoi farci, dopo aver attirato a te la mia discendenza?)

Ugo Capeto

in questo sfogo di Ugo Capeto dobbiamo leggere anche una condivisione dell'imprecazione da parte di Dante, perchè l'avarizia "é una delle tre faville ch'hanno i cuori acceso", aveva detto Ciacco nell'Inferno, parlando del malessere di Firenze. L'avarizia, la famosa lupa che spaventò Dante nella selva, al punto da fargli rinunciare a salire il monte.

Quindi, ascoltato lo sfogo di Ugo Capeto, i due poeti riprendono il cammino.

 

All'improvviso sentono tremare il monte e da ogni parte si leva un canto di gioia " Gloria a Dio nell'alto dei Cieli".

                                                  Dice Dante: 

No’ istavamo immobili e sospesi 
come i pastor che prima udir quel canto, 
fin che ‘l tremar cessò ed el compiési.
(v. 139-141)

(Rimanemmo immobili come i pastori di Betlemme , finchè il canto e il terremoto cessò).

Prima di sapere cosa sia successo, é necessario evidenziare l'interessante incontro che avrà adesso Dante con un personaggio famoso, il grande poeta Stazio, originario di Napoli, vissuto tra il 45 e il 96 d.C., uno dei principali esponenti della poesia epica dell'età dei Flavi (Tito e Domiziano).

Dante, Virgilio e Stazio

Stazio sarà, insieme a Virgilio, la guida di

Dante nell'ultima parte del Purgatorio, fino

a quando Dante e Beatrice voleranno verso

il Paradiso.

Dante ha scelto Stazio, come simbolo della filosofia morale, della ragione illuminata dalla fede, che sorregge la ragione umana, Virgilio, per poter proseguire il cammino fino all'arrivo di Beatrice, che rappresenta la scienza divina, la teologia.

Vedremo nel corso dell'incontro quanto affetto, quanta riconoscenza ha Stazio nei confronti di Virgilio.

Grazie a lui ha vissuto una grande esperienza intellettuale che lo ha incoronato poeta e grazie a lui Stazio ha conquistato la fede cristiana.

Nel loro incontro Dante é presente, ma é soletto, sembra in disparte, compiaciuto dai loro discorsi.

Un incontro in cui si assiste al trionfo dell'intelligenza, c'é un affetto, un amore filiale, una intimità tra spiriti intelligenti e colti. Dante dà molta importanza alla funzione civile e spirituale della poesia, crede nel poeta vate.

Crede nella poesia classica latina, rappresentata da Virgilio e dal suo discepolo Stazio, come presupposto, come base per l'opera di letterati e filosofi medievali.


Canto 21°

I due poeti, impressionati dall'improvviso terremoto, camminano veloci, curiosi di sapere.

Un'anima, dietro di loro, li saluta dicendo "O frati miei, Dio vi dea pace".

I due pellegrini si girano e ricambiano il saluto, ma Virgilio precisa che per lui non c'è speranza di pace, perché é relegato nell' "etterno essilio", é un'anima del Limbo, che sta accompagnando Dante, che é vivo, in un viaggio voluto da Dio.

Virgilio gli chiede il perché del terremoto, e l'anima risponde che non é un fenomeno con cause fisiche, ma succede quando un'anima, ormai libera dalle colpe, del tutto purificata, lascia il Purgatorio; una gioia condivisa dalle altre anime penitenti, che glorificano Dio per questo. Stazio é pronto per andare in Paradiso.

Alla richiesta di Virgilio, l'anima di Stazio si presenta: fu un poeta famoso, ricorda compiaciuto i propri trionfi poetici, dice di essere vissuto a Roma al tempo in cui l'Imperatore Tito distrusse Gerusalemme (70 d.c.), é autore di due grandi poemi Tebaide e Achilleide (le vicende di Tebe e di Achille).

Aggiunge di essersi interessato alla poesia grazie alla conoscenza dell' Eneide di Virgilio, fonte ispiratrice delle sue opere, la quale "mamma fummi/, e fummi nutrice, poetando". 

de l’Eneida dico, la qual mamma 
fummi e fummi nutrice poetando: 
(v. 97-98)

Confessa la sua ammirazione per Virgilio, dicendo che, se fosse stato possibile essere vissuto sulla terra al tempo di Virgilio, sarebbe disposto a rimanere un altro anno solare in Purgatorio.

Nonostante Virgilio abbia fatto cenno a Dante di tacere, il poeta fiorentino sorride a Stazio, accortosi dell'occhiolino, é curioso di sapere.

Quindi Dante rivela l'identità della sua guida e Stazio, colmo di gioia, si inchina ad abbracciare i piedi di Virgilio, dimenticando di essere entrambi ombre incorporee.

Un quadretto umano, una leggerezza tra uomini, più che tra autorevoli poeti.


Canto 22°

Intanto un angelo cancella la 5^ P dalla fronte di Dante e i tre poeti, in un clima di confidenza e di amicizia si avviano verso la 6^ cornice.

Dante segue in silenzio e più rilassato il discorso dei due grandi.

Intanto Virgilio dice a Stazio che sapeva della sua ammirazione per lui, perché un poeta romano, Giovenale, ne aveva parlato nel Limbo, per cui, confidenza per confidenza, Virgilio esprime la sua meraviglia nel saperlo penitente nel girone degli avari.

Stazio, sorridendo, gli risponde che lui non ha scontato il peccato dell'avarizia ma quello della prodigalità.

Per la Chiesa, avarizia e prodigalità sono colpe di "dismisura" nella ricerca e nell'uso dei beni materiali.

Cioè l'attaccamento o lo sperpero dei beni materiali é una colpa se sono incontrollati, esagerati.

Ancora una volta, Stazio ringrazia Virgilio, perché la lettura di un passo dell'Eneide lo aveva indotto a riflettere sulla sua condotta, per cui si era pentito, evitando di finire nel cerchio di avari e prodighi dell'Inferno (4° cerchio, canto 7°).

"Perché non reggi tu, o sacra fame/ de l'oro, l'appetito dei mortali?" (o sacra fame dell'oro, perché non regoli nella giusta misura l'appetito dei mortali?).

Virgilio aveva commentato così, nel 3° libro dell'Eneide, l'uccisione di Polidoro da parte del cognato, per impossessarsi della sua ricchezza.

Per questo dice Stazio,

"Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali 
potean le mani a spendere, e pente’mi 
così di quel come de li altri mali".     
(vv.43-45).

(Allora mi accorsi che le mani si potevano allargare troppo nello spendere e mi pentii tanto del peccato di prodigalità, quanto degli altri).

Virgilio, riferendosi alle opere famose di Stazio (Tebaide, Achilleide) nelle quali il poeta latino invoca l'aiuto delle Muse, gli chiede come mai, da pagano, sia diventato poi cristiano.

Quale divina illuminazione, quali ammaestramenti umani lo hanno guidato?

Ancora una volta Stazio riconosce il merito di Virgilio.

"Se così è, qual sole o quai candele 
ti stenebraron sì, che tu drizzasti 
poscia di retro al pescator le vele?».

                            
Ed elli a lui: «Tu prima m’inviasti 
verso Parnaso a ber ne le sue grotte, 
e prima appresso Dio m’alluminasti.

                           
Facesti come quei che va di notte, 
che porta il lume dietro e sé non giova, 
ma dopo sé fa le persone dotte, 

                                   
quando dicesti: ‘Secol si rinova; 
torna giustizia e primo tempo umano, 
e progenie scende da ciel nova’.                               
Per te poeta fui, per te cristiano".
(vv.61-73)

(Tu per primo mi hai avvicinato alle Muse, e tu per primo mi hai guidato verso Dio. Hai fatto come colui che cammina di notte e porta il lume dietro, non utile a sè quindi, ma alle persone che seguono.

"Il mondo si rinnova, torna la giustizia e la prima età dell'oro, dell'innocenza; dal cielo scende una nuova generazione").

Questi versi sono presenti nella 4^ Bucolica di Virgilio.

Nel primo periodo del Cristianesimo, questi versi furono interpretati come una profezia dell'avvento di Cristo. Virgilio, quasi un profeta.

(Per merito tuo diventai poeta, per merito tuoi diventai cristiano)

Quindi, continua Stazio, cominciò a partecipare alle riunioni dei cristiani, aiutandoli addirittura durante le persecuzioni di Domiziano.

Aveva ricevuto il Battesimo, ma per timore di essere perseguitato, aveva tenuto nascosta la sua conversione. Per questo aveva sostato 400 anni nella cornice degli accidiosi.

Infine Stazio chiede a Virgilio dove sono tutti i grandi, che meritarono di ornare la loro fronte con la corona poetica dell'alloro e Virgilio gli risponde che sono nel Limbo, sia i grandi della cultura latina che quelli della cultura greca.

Anna Stallo

Elli givan dinanzi, e io soletto 
di retro, e ascoltava i lor sermoni, 
ch’a poetar mi davano intelletto.                     vv.127-129)

(Essi camminavano davanti e io dietro, solo solo, e ascoltavo i loro discorsi, che mi davano intelligenza e ammaestramento nell'arte di poetare).

Intanto sono arrivati nella 6^ cornice.

Qui i tre poeti si imbattono in un misterioso albero, simile a un abete rovesciato, con la chioma che si restringeva verso il basso.

Clara Sciurti
Da questo albero pendevano frutti buoni e profumati, irrorati da acqua freschissima che sgorgava dalla roccia. Tra le fronde, una voce vietava di cogliere i frutti, e ricordava esempi di moderazione (le donne romane che bevevano acqua e non vino, s.Giovanni Battista che nel deserto si cibava di locuste e miele selvatico).

In questa cornice scontano i loro peccati i golosi.

In vita divorarono con avidità cibi e bevande, ora devono passare sotto questo albero e devono soffrire la fame e la sete.

ANNA STALLO E CLARA SCIURTI HANNO LETTO PICCOLI TESTI SULLA PAROLA: "NOSTALGIA".


VIDEO: STAZIO di Silvia Laddomada 

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