mercoledì 29 aprile 2020

75° Anniversario della Liberazione

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Relatrice: Silvia Laddomada



Quest'anno ricorre il 75° anniversario della Liberazione, spesso confusa con la giornata della festa della Repubblica, che invece é il 2 giugno, quando gli italiani, nel 1946, chiamati a un referendum popolare, decisero di rinunciare alla monarchia e dar vita alla repubblica. Una ricorrenza, quella del 25 aprile, che col tempo é stata vissuta come un appuntamento con una storia passata, sempre più lontana nel tempo, da ricordare, magari, con bellissimi discorsi retorici , e conseguente contraltare.

Quest'anno l'abbiamo vissuta con più consapevolezza. Ci siamo scambiati sui social, immagini e video, in cui si inneggiava alla libertà riconquistata, 75 anni fa.

Non ci sono state manifestazioni, perché sappiamo, ormai da 50 giorni, che bisogna restare casa, perché andrà tutto bene, perché ce la faremo.

L'attenzione verso gli eventi di quegli anni, 1945, é stata generata senz'altro dalla pietà che abbiamo provato nell'apprendere che molti ultrasettantenni sono stati falcidiati dal virus, spesso, purtroppo, tra le pareti sicure di una RSA. Sono scomparsi molti testimoni di quei giorni drammatici, se n'é andata una generazione, quella che aveva visto la guerra, ne aveva sentito l'odore e vissuto le privazioni. Se ne sono andati senza una carezza, senza che nessuno stringesse loro la mano. Abbiamo visto colonne di bare partire senza un seguito, un saluto. Abbiamo visto sepolture evidenziate da una croce piantata nel terreno, un cimitero di guerra.

Erano giovani 75 anni fa, avevano degli ideali, per i quali avevano combattuto, nell'uno e nell'altro campo di battaglia.

Abbiamo sentito che "tanto, erano vecchi" e si é anche detto che dopo i 60 anni una persona non vale più niente, la sua salute è a rischio, meglio non farla uscire, meglio lasciarla a guardare la televisione in poltrona, col plaid sulle ginocchia..

Vuol dire che, nonostante tutto, conta l'efficienza nel presente, la fretta, la velocità? Chissa!?

E comunque abbiamo scoperto, nel trauma della pandemia, un eco di eventi lontani, forse perché stiamo avendo una diversa percezione della realtà, stiamo conoscendo anche noi la privazione, il terrore collettivo, la paura, l'incertezza, la rinuncia.

Abbiamo associato la liberazione dell'Italia dal nazifascismo alla liberazione dal corona virus. In realtà di fronte al virus dobbiamo parlare di resistenza, perché il nostro 25 aprile deve ancora arrivare.

Noi oggi dobbiamo resistere a un'epidemia che pensavamo fosse un fantasma dei secoli passati.

Resistere é l'imperativo che ci siamo imposti di fronte alla paura della morte, rimanendo chiusi in casa. Diceva il grande scrittore cileno Sepùlveda "Ammiro chi resiste, e dimostra senza grandi gesti che é possibile vivere, e vivere in piedi, anche nei momenti peggiori".

Una resistenza, la nostra, che non é per niente sfiorata da contrasti ideologici, é una minaccia comune.

Siamo dei reclusi, alcuni in larghi spazi, altri in spazi ristretti, ma é una reclusione uguale per tutti. L'unica piazza in cui ci incontriamo é la rete, una novità imprevista, i social ci tengono uniti e vicini.
Quando tutto sarà finito, esulteremo, festeggeremo, dimenticheremo la paura, le sofferenze, faremo la nostra sfilata per le strade, come la fecero i partigiani a Milano. La loro esultazione ebbe il sopravvento sul ricordo delle sofferenze, dei lutti e delle devastazioni morali e materiali, provocate dalla guerra. E noi cosa faremo? Una nostra amica, Anna De Marco , ha scritto " Sono convinta che impegneremo molto meglio il nostro tempo, che faremo tesoro delle opportunità che ci verranno offerte, che saremo consapevoli nello scegliere quello che più ci piace, ma soprattutto quello che ci fa stare bene insieme agli altri e che ci arricchisce".

Il presidente Mattarella ci ha invitato a " fare memoria della Resistenza, della lotta di Liberazione, di quelle pagine decisive della nostra storia, dei coraggiosi che vi parteciparono. Ricordare tutto ciò significa ribadire i valori della libertà della giustizia, della coesione sociale, da cui é nata la Costituzione. L'Italia - ha detto il presidente - ha superato nel dopoguerra ostacoli che sembravano insormontabili. Le energie positive che seppero sprigionarsi in quel momento, portarono alla rinascita. Il popolo italiano riprese in mano il proprio destino. La ricostruzione cambiò il volto del nostro Paese e lo rese moderno, più giusto, conquistando rispetto e considerazione nel contesto internazionale, dotandosi di antidoti contro il rigenerarsi di quei germi di odio e follia. Ricordando le vittime della pandemia, la nostra peculiarità nel saper superare le avversità, deve accompagnarci anche oggi, nella dura prova di una malattia che ha spezzato tante vite".

La ricorrenza del 25 aprile é stata sempre divisiva, si dice. E' chiaro che in ogni guerra, nessun esercito può evitare episodi di brutalità. Il 25 aprile ha sempre diviso gli italiani, a proposito di violenza giusta e violenza ingiusta . Evidentemente ancora oggi l'Italia é troppo incerta sulla sua identità.

Ed ora un breve excursus degli avvenimenti di quel tempo, senza alcuna pretesa di presentare un trattato di Storia.

La guerra stava per finire già nel 1943.

Gli angloamericani nel gennaio '43, decisero di attaccare l'Italia. Il Paese era giunto al limite della propria possibilità di resistenza, era evidente che Mussolini aveva perso il consenso dell'opinione pubblica, e in alcuni ambienti, monarchia, esercito, lo stesso fascismo, c'era la convinzione che l'unica via di salvezza andava cercata in un immediato sganciamento dalla Germania.

Il 10 luglio 13 divisioni angloamericane sbarcarono in Sicilia, mentre le forze aeree americane bombardarono Roma e Frascati.

Sulla scia di questi eventi il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo approvò a maggioranza il ripristino dello Statuto albertino, implicitamente si intendeva la fine del regime di Mussolini. Nel pomeriggio Vitt. Emanuele III obbligò Mussolini alle dimissioni e lo fece arrestare.

Un avvenimento imprevisto, a cui l'Italia rispose con una esplosione di entusiasmo. Sembrava che la fine della dittatura fosse arrivata con inaspettata rapidità.

Gli italiani però furono richiamati alla realtà dal proclama del nuovo capo di governo, Pietro Badoglio, in cui si annunciava che la guerra continuava su tutti i fronti.

Nel frattempo (il 3 settembre) si firmava a Cassibile presso Siracusa, un armistizio con gli angloamericani, per trattare una pace separata e uscir dal conflitto. Decisione resa ufficiale l'8 settembre.

Ma nessuna indicazione su quale atteggiamento da tenere verso il tedesco.

Il risultato immediato di questa iniziativa fu quello di far precipitare l'Italia in un drammatico caos, mentre la notte del 9 settembre Badoglio e il re abbandonarono Roma e si rifugiarono a Brindisi.

Tale condotta creò un vuoto di potere, causò lo sbandamento delle istituzioni e dell'esercito italiano e facilitò ai tedeschi il compito di mantenere il controllo militare sulla parte del paese non occupata dagli alleati.

Moltissimi soldati italiani gettarono la divisa cercando di confondersi con i civili e ritornare a casa, evitando così di essere presi prigionieri dei tedeschi.

Dal canto loro i tedeschi completarono l'occupazione di Roma. Un gruppo di paracadutisti tedeschi liberò Mussolini dal carcere sul Gran Sasso e lo condusse in Germania.

Mussolini, ormai strumento nelle mani di Hitler, si affrettò a dichiarare di voler riprendere la guerra, e proclamò la Repubblica Sociale Italiana, detta di Salò dal nome della cittadina, sul lago di Garda, che diventerà la sede del nuovo Governo.

Iniziava una drammatica fase del conflitto per il nostro paese, privo di una sicura guida politica e invaso da due eserciti.

Molti italiani si trovarono divisi in due campi avversi: da una parte i repubblichini, fedeli al governo di Salò, animati spesso dalla sincera volontà di mantenere l'onore dell'Italia, vicini ai tedeschi e difensori del fascismo; dall'altra parte c'erano i partigiani, gruppi spontanei di combattenti armati, formati da antifascisti, soldati sbandati e civili ostili al nazifascismo, impegnati a far uscire l'Italia dall'alleanza con la Germania.

Organizzati in piccoli gruppi, con basi nelle zone collinari e sulle montagne, collegati, ovviamente, ai partiti democratici e antifascisti, riorganizzatisi nei 45 gg. (25 luglio - 8 settembre). Questi gruppi di partigiani avevano dato vita ad un Comitato di Liberazione nazionale, con lo scopo di condurre la guerra di liberazione con gli angloamericani e alla fine, rifondare lo Stato su basi democratiche.

Sappiamo che Badoglio dichiarò guerra alla Germania, che l'esercito alleato, dalla Sicilia risaliva verso il nord e che Napoli, dopo 4 giorni di lotta, costringeva le truppe tedesche a abbandonare la città, il 1 ottobre 1943.

Così Napoli fu la prima città europea a insorgere contro i tedeschi.

Mentre procedeva l'avanzata degli alleati e i grandi della terra Roosvelt, Churcill e Stalin decidevano le sorti della Germania, il teatro d'azione della Resistenza italiana si localizzò nell'Italia Centro settentrionale al di là della linea gotica, cioè la linea difensiva preparata dai tedeschi fra il Tirreno e l'Adriatico, essa partiva dalla provincia di Massa Carrara e raggiungeva Pesaro, correndo sui crinali delle Alpi Apuane e dell' Appennino tosco-emiliano.

Nelle regioni settentrionali, oltre alla fame, al freddo e ai continui bombardamenti, la popolazione civile dovette patire prepotenze e violenze di ogni genere.

Inizialmente la Resistenza si limitò ad attività di spionaggio e sabotaggio, ma di fronte alla violenza nazista, si rafforzò la coscienza di combattere per la salvezza della civiltà e non solo per gli interessi nazionali.

Questo dava alla popolazione, una grande energia morale e una singolare fermezza di propositi. In 22 mesi nel centro-nord si svolse una conflitto senza esclusione di colpi, caratterizzato da una barbarie che non aveva visto eguali nella storia italiana.

I combattenti della Resistenza si prodigavano in una lotta senza quartiere per liberare il territorio nazionale dalle truppe nazifasciste e per intralciare lo sviluppo delle loro operazioni belliche.

La risposta dei nazisti, alle azioni dei partigiani, fu estremamente dura, si ricorreva a rappresaglie (cioè si compivano atti di violenza contro i civili come vendetta per i danni subiti dai propri militari) e si ricorreva a rastrellamenti di civili; venivano prelevati ostaggi, distrutti interi paesi, ordinate esecuzioni di massa di innocenti.

Tra i casi più tristemente noti ci sono quelli delle Fosse Ardeatine, presso Roma, dove il 23-24 marzo 1944, 335 persone furono fucilate, come rappresaglia, in seguito alla morte di 32 militari tedeschi, avvenuta nel corso di un attentato partigiano di via Rasella.

L'esecuzione avvenne alle Fosse Ardeatine, dove si trovavano delle cave, ed era perciò il luogo ideale per occultare i cadaveri.

Un'altra strage di innocenti fu quella avvenuta a Marzabotto, un paese dell' Appennino bolognese, i cui abitanti offrivano aiuto alla brigata partigiana "Stella Rossa".

Il 29 settembre 1944 una colonna di SS fece irruzione in paese, uccidendo barbaramente 1836 persone, sopratutto donne, vecchi, bambini.

Intanto nella primavera 1945 la guerra volgeva al termine.

Gli angloamericani passarono il Reno e marciarono verso il cuore della Germania, dopo aver sottoposto le città tedesche a tremendi bombardamenti, e a loro volta i sovietici dopo aver liberato la Polonia, occuparono la Prussia orientale e superarono l'Oder.

Il 25 aprile le avanguardie americane e sovietiche si incontrarono sul fiume Elba e così la guerra antinazista si chiuse.

Contemporaneamente in Italia gli angloamericani superarono la linea gotica ed entrarono nella pianura padana.

Fu questo il momento scelto per l'insurrezione generale.

Nelle maggiori città del Nord, prima dell'arrivo degli alleati, i partigiani liberarono Torino, Genova e Milano, insediando governi locali, espressi dai vari Comitati di Liberazione nazionale.

Era il 25 aprile.

La fine della Resistenza, e finalmente la Liberazione.

sabato 25 aprile 2020

Omaggio a Luis Sepulveda - 21.04.2020

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RELATRICE SILVIA LADDOMADA

Dedichiamo questo incontro culturale a un grande e noto scrittore, nonchè attivista politico, Luis Sepulveda, che all'età di 70 anni é stato, purtroppo, travolto dalla pandemia; il coronavirus non lo ha risparmiato.

E' venuto a mancare giovedi 16 aprile, a Oviedo, vicino Gijion, nelle Asturie, regione della Spagna nord-occidentale. Qui egli viveva, con la moglie Carmen Yanez, poetessa cilena e grande amore di una vita. Era nato in Cile, nell'America meridionale, il 4 ottobre 1949, era cresciuto in un quartiere proletario a Santiago. Aveva trascorso l'infanzia col nonno, un anarchico andaluso fuggito poi in Sud - America. Iscrittosi al partito socialista durante la presidenza di Salvator Allende, era entrato a far parte della guardia personale. Dopo il colpo di stato, che portò alla dittatura di Pinochet, nel 1973 Sepulveda venne arrestato due volte e torturato per 7 mesi, rinchiuso in uno spazio dove non poteva nemmeno alzarsi in piedi. Anche la moglie era stata detenuta in un atroce centro di tortura cilena. Lasciò il Cile nel 1977, grazie alle pressioni di Amnesty International che ne ottenne la scarcerazione in cambio dell'esilio. Da esule visse in Brasile, Paraguay e Nicaragua dove fece parte delle Brigate internazionali del rivoluzionario Simon Bolivar. Nel 1978 si era trasferito in Europa, prima ad Amburgo (Germania) e dal 1996 a Gijon, dove si era stabilito, nonostante nel 2017 avesse riottenuto la cittadinanza cilena. Era un grande combattente, ma anche un grande affabulatore e uno scrittore popolarissimo e famoso in tutto il mondo. Autore di poesie, romanzi, racconti, aveva ricevuto diversi premi: premio Heminguway per la letteratura, Premio Chiara alla carriera, Laurea honoris causa in Lettere dall'Università di Urbino. 

Era spesso ospite di festival letterari italiani. Numerosi i suoi interventi al Salone del Libro di Torino. Da 2005 era cittadino onorario di Pietrasanta in Versilia, dove tornava per incontrare i ragazzi, pubblico che amava, e al quale ha lasciato uno dei suoi ultimi messaggi esistenziali.: "Ricorda che vola solo chi osa farlo". I giorni della lotta, quelli dell'esilio, la vita da rivoluzionario, le cicatrici lasciate dalla dittatura, le miserie del "secolo breve", la lunga separazione dalla donna amata, sono alcuni temi che hanno perseguitato la memoria di Sepulveda fino alla fine. "Non importa dove stiamo. L'ombra di ciò che abbiamo fatto e siamo stati ci perseguita con la tenacia di una maledizione". Oltre all'impegno politico, che ha accompagnato sopratutto la sua vita di uomo e poi di scrittore, Sepulveda aveva curiosità e sguardo aperto sul mondo, credeva in molti altri valori: invitava al rispetto per i diritti dell'uomo, per i diritti del diverso, per la natura, per gli animali, per l'ambiente. Auspicava un futuro sostenibile per il pianeta. Conquistò la scena letteraria con il suo primo romanzo "Il Vecchio che leggeva romanzi d'amore", apparso nel 1989. Protagonista é un uomo solo, che vive ai margini della foresta amazzonica, degradata e colonizzata, e che legge e rilegge alcuni romanzi d'amore, nella solitudine della sua capanna sulla riva del grande fiume. Nel libro c'é parte della vita di Sepulveda, il quale trascorse sette mesi con gli Indios Shuar nella foresta, dove si trovava per studiare l'impatto della civiltà sulla popolazione indigena per conto dell'Unesco, dopo l'espulsione dal Cile. Nelle sue opere Sepulveda ha raccontato storie ricche di magia e di insegnamenti, la magia sudamericana combinata con il realismo europeo. Storie essenziali, profonde in cui, egli diceva, "davo voce a chi non ha voce". Vorrei condividere con voi alcune considerazioni sulla felicità, espresse in una conversazione con il giornalista Petrini, al Salone del libro di Torino qualche anno fa.

Aveva chiesto il giornalista: La felicità é ancora di questo mondo?


In un'epoca frettolosa, dove é finito il tempo per la vita, per le persone, per la condivisione?

A questo interrogativo, Sepulveda rispose: "Tutto quello che si fa per un mondo migliore ha un punto di partenza, e questo punto di partenza é ... conquistare il diritto a un'esistenza piena. Ciascuno ha diritto a uno stato di benessere e di piacere, a cui si arriva attraverso piccole soddisfazioni, e che può essere perseguito attraverso scelte pubbliche.
Una felicità solo personale corre sempre il rischio che sia messa in pericolo. Se si va per strada e si vede qualcuno che rovista nella spazzatura alla ricerca di cibo, ecco che quella felicità si interrompe. Non posso stare più bene. Non esiste felicità senza empatia. E questo vale fino dagli albori della storia. Quando ci sono stati almeno due uomini di Neanderthal, hanno cominciato a comunicare per scoprire cosa potevano fare insieme. E già questo primo passo altro non é che una tensione verso la felicità, che nel loro caso era sopravvivere nelle condizioni date. La felicità non é uno stato empirico, ma una particolare ricerca quotidiana. Sono felice quando sento che sono un uomo giusto, ho fatto una cosa giusta. In questo senso la felicità personale coincide con quella della comunità. Non é possibile una felicità senza paragone; se la mia felicità non si riflette nell'altro non é felicità. La felicità inoltre non dipende dall'accumulo dei beni, ma é un piacere che parte dalle piccole cose". Difficile esaminare in questa sede l'enorme produzione dello scrittore cileno, ho pensato di soffermarmi su alcune favole, che lo hanno consacrato come scrittore per la generazione dei giovani.

Favole che tanto hanno da insegnare anche agli adulti.


Nel 1996 il titolo che gli ha dato davvero la fama globale é "Storia di una Gabbianella e del gatto che le insegnò a volare", da cui nacque il film d'animazione con la regia di Enzo d'Alò. Sulla scia di questo titolo, Sepulveda incominciò a produrre, negli anni Duemila, nuove favole: "Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico", "Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza", "Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà" e ultima "Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa", scritta con la moglie, nel 2018. Sono storie di amicizia, lealtà, di attenzione alle differenza, storie d'amore, di rispetto per la natura, capaci di divertire e commuovere più generazioni, perchè questa è la magia dello scrittore cileno. I protagonisti delle favole sono gli animali e questo, dice Sepulveda, come succedeva con le favole antiche di Esopo ad esempio, permette di vedere dall'alto il comportamento umano, per comprenderlo meglio, per raccontare come siamo o come riusciamo a diventare. Dare voce agli animali gli permette di parlare di quotidianità con occhio diverso e di rappresentare in modo essenziale dinamiche emotive e sociali che forse tra gli uomini si complicano senza ragione. Mi soffermo sulla favola della gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Una gabbiana Vengah, capitata in una macchia di petrolio nelle acque del mare, atterra in fin di vita sul balcone del gatto Zorba, al quale affida l'uovo che sta per deporre e riesce a farsi promettere di averne cura e di insegnare a volare al piccolo che nascerà. Zorba riuscirà a far volare la gabbianella, servendosi dell'aiuto di un umano. Tra i tanti presenti nella casa, Zorba sceglie il poeta " Era un umano strano, che a volte rideva dopo aver letto quello che aveva scritto, e a volte appallottolava i fogli senza nemmeno guardarli." Perchè proprio lui? gli chiese un altro gatto. "Non lo so . Quell'umano mi ispira fiducia. L'ho sentito leggere quello che scrive. Sono belle parole, che rallegrano o rattristano, ma non mancano mai di provocare piacere e desiderio di continuare ad ascoltare". "E cosa ti fa pensare che quell'umano conosca il volo?". "Forse non sa volare con ali di uccello, ma ad ascoltarlo ho sempre pensato che voli con le parole".Un racconto poetico sul potere dell'amicizia e della solidarietà, sull'importanza del coraggio, con un grande monito che compare alla fine del racconto "vola solo chi osa farlo".

Consideriamo un'altra favola, che mi sembra contenere una morale molto adatta per questo tempo di quarantena, che stiamo vivendo tutti.

"Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza" 


Ad una lumaca senza nome, malata di anticonformismo, non basta più il prato in cui vive da sempre con le altre lumache, abituate a condurre con rassegnazione, una vita lenta e silenziosa, sicurissime di trovarsi nel posto migliore del mondo. Non avendo mai viaggiato non potevano fare confronti, ma non importava, perchè bastava quel prato in cui crescevano le piante di dente di leone, molto gustosi. Chiamavano quel prato Paese del dente di leone e amavano ripararsi dagli assalti di animali più veloci, sotto una frondosa pianta di un calicanto. Ma una di loro voleva avere un nome ed era curiosa di scoprire le ragioni della lentezza. Lo chiede ad un gufo, che apriva gli occhi di sera, per vedere quello che c'é e li chiudeva di giorno per vedere tutto quello che c'era stato. il gufo dice che è lenta, "perchè ha sulle spalle un gran peso". Ma del guscio non si era mai lamentata nessuna lumaca! E il gufo aggiunse "tutto ciò che hai visto, tutto ciò che hai provato, amaro e dolce, pioggia e sole, freddo e notte, è dentro di te, e pesa". La lumaca ritorna sotto il calicanto e osserva le compagne impegnate in quello che chiamavano "abitudine": mangiare in gruppo i denti di leone. Mangiare in gruppo era qualcosa di fantastico, che avevano imparato osservando le formiche. Ma la lumaca voleva conoscere i motivi della lentezza e avere un nome. le compagner erano infastidite, volevano cacciarla: Così decise di andarsene da sola e di non fare ritorno finchè non avesse avuto un nome e una risposta. Nel buio della notte si rifugia su una piccola altura e scopre al mattino che è il guscio di una tartaruga. Due animali lenti si sono incontrati per caso. Insieme attraversano lentamente il prato e la tartaruga, sentendo quali erano le richieste della lumaca, dice che quando un umano fa domande scomode, lo chiamano ribelle. La lumaca è contenta, ha un nome, si chiamerà Ribelle. Giunte al limite della radura, vedono degli umani che stanno per asfaltare il prato, il loro prato. La lumaca ha paura, ma la saggia tartaruga che si chiama Memoria, l'ammonisce, "un vero ribelle conosce la paura ma sa vincerla". La lumaca vorrebbe avvertire le compagne del pericolo che incombe, e la tartaruga osserva che se lei fosse stata veloce e distratta, forse non si sarebbero incontrate e non avrebbero scoperto il pericolo. Quindi, dice la lumaca "La mia lentezza é servita per incontrarti, per farmi dare un nome da te, per farmi mostrare il pericolo e ora so che devo avvertire le mie compagne". "E' questa determinazione a fare di te una ribelle", risponde la tartaruga. Così la lumaca ritorna nel paese dei denti di leone. Nel suo percorso avverte del pericolo le formiche, i bruchi, le lucertole, i grilli, insomma tutti gli animali del prato. E tutti la ringraziano, dicendo che "se tu fossi veloce, rapida, non ci avresti visto, e non ci avresti allertato". Così la lumaca comincia a conoscere i motivi della sua lentezza. Dopo un esausto cammino ritorna dalle sue compagne, che non accettano la proposta di andare via. La lumaca le fa salire lentamente su un ramo di calicanto , impiegando il tempo senza misura degli esseri lenti, e così anche loro vedono gli umani che stendono il manto nero sul prato. Allora lentamente, ma molto lentamente, decidono di abbandonare il calicanto, per andare alla ricerca di un nuovo paese dei denti di leone. "Non sono sicura di trovare il uovo paese- dice Ribelle- non so dov'é, né se lo troveremo, nè so se incontreremo altri pericoli. Ma so che il nuovo paese é davanti a noi e non alle nostre spalle". Si ricordò di Memoria, la tartaruga che le aveva detto che un vero ribelle conosce la paura ma sa vincerla e allora incoraggia le compagne a superare quella cappa nera, dal fetore insopportabile, che gli umani chiamano strada, e raggiungono il bosco. 

Lo attraversano, alla ricerca di una radura di piante selvatiche. Ribelle si accorge che lasciano una scia di bava, una traccia di dolore, pensa, ma poi la vede brillare nella rugiada, e pensa che sia una traccia di speranza. Chiama le sue compagne e le invita a guardarla, per non dimenticarla più. Trascorre il tempo senza misura degli esseri lenti e... quando si svegliano dal letargo, si accorgono che lungo la scia di bava lasciata, sono cresciute appetitose foglie di denti di leone. Erano nel nuovo Paese? "No, - dice Ribelle - In questo viaggio, iniziato quando volevo avere un nome, ho imparato tante cose. Ho imparato l'importanza della lentezza e adesso ho imparato che il Paese del dente di leone, a forza di desiderarlo, era dentro di noi".
Il valore della lentezza, quello che stiamo riscoprendo in questi giorni. Nella società della tecnologia, pensiamo che la vita più é rapida, più é felice, più é intensa. Invece bisogna concedersi dei momenti di pausa, guardare i piccoli dettagli, le sfumature del cielo, lo sguardo dei nostri simili, i loro sorrisi, ascoltare le loro sofferenze, le loro gioie. Soffermarsi sulle emozioni e i sentimenti presenti nel vorticoso e frenetico scorrere di un giorno sull'altro. Non dobbiamo farci schiacciare dalla velocità, non dobbiamo accontentarci di quello che si vede, non dobbiamo assecondare le abitudini, perché esse ammazzano la curiosità. Volare alto, superare con coraggio i pregiudizi, le difficoltà, gli ostacoli che impediscono la realizzazione dei nostri sogni. La lentezza ci aiuta a pensare, a riflettere, a non dimenticare chi siamo, ci insegna ad amare l'umanità: un altro mondo é possibile, - ci dice lo scrittore cileno - se la solidarietà, il rispetto, la fratellanza resteranno vivi tra gli esseri umani. "Solo sognando e restando fedeli ai sogni, riusciremo a essere migliori, e se noi saremo migliori, sarà migliore il mondo?"

Questo l'interrogativo di Sepulveda.

giovedì 23 aprile 2020

IO RESTO A CASA - Conversazione con ... Martedì 14 aprile 2020

Print Friendly and PDF  SINTESI DI Silvia LADDOMADA


Michelangelo Serio
 



















Buona sera e benvenuti al nostro settimanale incontro.
 
Spero che tutti abbiate trascorso una serena giornata di Pasqua e una spensierata giornata di Pasquetta.
Sono state giornate particolari, che ognuno conserverà nel proprio cuore, giornate cariche di tristezza, certamente, ma anche di speranza, quella speranza e quella certezza che il sole ritornerà a splendere, dopo una notte buia.
Dobbiamo resistere ancora, con prudenza, giudizio e senza furbizia.
C'è un video che circola sui social, vorrei condividerlo con voi. Trascrivo le parole.

Andrà tutto bene
Rilassati, respira, ascoltati,
guarda il cielo, pensa a chi ami,
e ora non esitare, diglielo,
perchè l'amore è l'unica cosa che conta, non dimenticarlo mai.
E non farti ingannare,
il denaro, il successo, il potere, sono solo illusioni.
Risvegliati, liberati, impara a dire di no:
no alla violenza, non all'ignoranza, no all'indifferenza,
no all'ipocrisia, no alla mediocrità,
no a chi distrugge il pianeta.
No alla cultura della morte, no alla competizione sfrenata,
no a chi nega che esista la Verità.
E non aver paura , amico mio,
torneremo ad abbracciarci, ci stringeremo più forte,
ci daremo i baci più belli, saremo finalmente liberi.
Perchè avremo scoperto cosa conta davvero,
e magari anche compreso che lassù Qualcuno ci ama.

 
Nulla dovrà essere come prima, fuorchè l'amore.

Dobbiamo vivere questo momento con grande senso di responsabilità.
Posso dire che la comunità di Crispiano sta mostrando un comportamento virtuoso, che denota un alto senso civico e il desiderio di dare buono esempio, per consentire a tutti di abbreviare questo tempo. A livello istituzionale e non, ognuno deve fare il suo dovere, con gesti piccoli ma di grande significato, soprattutto rimanendo a casa e limitando le proprie uscite allo stretto indispensabile. Le forze dell'Ordine, a livello nazionale, hanno adottato delle misure a supporto delle disposizioni ministeriali, diffuse in tutta l'Italia. I cittadini devono sentirsi responsabili e devono condividerle, altrimenti scatteranno delle sanzioni per chi le viola. E' stata data l'opportunità di motivare, di giustificare la propria uscita, attraverso un'autocertificazione, che ciascuno deve compilare e portare con sé. Sono state fatte delle ironie su queste autocertificazioni, perché in poche settimane sono uscite più versioni. Chi ha compilato questa modulistica non ha bisogno di difesa. Il prefetto Gabrielli, capo della Polizia di stato ha ribadito che le rinnovate stesure hanno avuto un obiettivo: limitare il più possibile lo spostamento delle persone fisiche, prevedere controlli rigorosi per i furbetti e comprendere le situazioni in cui l'uscita è necessaria: Il riferimento va a quei lavoratori che in questo periodo devono continuare a sostenere l'attività di quelle aziende, per le quali la pausa lavorativa avrebbe delle negative ricadute economiche per tutti.

Pertanto, chi si reca sul posto di lavoro, é autorizzato, sia per allontanarsi dalla propria abitazione, sia per rientrare. Autorizzazione valida sia nello spostamento nel proprio Comune sia nei Comuni vicini, anche col proprio mezzo. Occorre essere corretti e collaborare con le forze dell'Ordine, altrimenti, in base all'art. 495 del codice penale, scatteranno pesanti sanzioni per dichiarazioni mendaci rese a pubblico ufficiale.
Un'altra ipotesi é: uscire per motivi di salute.
Muniti di autocertificazione, ci si può recare in uno studio medico, in una struttura sanitaria, per una visita specialistica. Occorre precisare il motivo e il luogo della struttura, un eventuale controllo delle forze dell'Ordine può avvenire contestualmente alla visita medica. Il tutto rientra nella necessità di scoraggiare le scuse di comodo. E' legittimo uscire per assistere un congiunto in stato di necessità o perchè disabile, purchè il percorso sia fatto nelle vie interessate.
Sanzioni pesanti sono previste, ovviamente, per chi, in quarantena, va in giro per strada, mettendo a rischio la sua vita e quella degli altri.
Il pedone può essere sanzionato se non giustifica la sua uscita con motivazioni credibili, la sanzione va da 400 euro a 280, se paga in 30 giorni.

Chi gira in auto senza motivo, rischia una sanzione che va da 530 euro a 373 se paga entro 30 giorni. In questo periodo non si può ricorrere al giudice di pace, ma si può rivolgere al Prefetto uno scritto difensivo. Ovviamente la procedura si allunga.
E' importante, per tutti, munirsi anche di mascherina, guanti di lattice e rispettare i due metri di distanza dagli altri.
Casi particolari: no a visite di cortesia, sostituibili con una telefonata.
No a trascorrere qualche tempo in seconde case.
Se si é separati, si rispettano le sentenze del giudice, si possono prelevare i figli, osservando le norme prescritte.
No ad andare in due a fare la spesa e in auto i coniugi devono sedersi su sedili distanziati.
Qualora non si potessero avere i moduli di autocertificazione dai vigili, si possono stampare anticipatamente le fotocopie.
Ancora una volta mi congratulo con i cittadini di Crispiano che osservano e rispettano le norme nazionali che l'Amministrazione locale comunica attraverso vari canali. Lo dimostra la limitazione del traffico veicolare e la disciplinata fruizione degli esercizi commerciali per gli acquisti.
Non dimenticare che il miglior antidoto alla diffusione del virus é: rimanere a casa.

mercoledì 8 aprile 2020

QUEL RAMO BENEDETTO di Silvia Laddomada

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Il giorno delle Palme, che ricorre la domenica precedente il giorno di Pasqua, é il giorno in cui grandi e piccoli si recano in Chiesa, portando stretto nella mano un mazzo di ramoscelli di ulivo o un ramo più lungo, ricco di ramoscelli.
La Chiesa cattolica ricorda, tra lo scampanio festoso che si spande nell'aria, l'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, sul dorso di un asino, che sfila per le strade della città tra due ali di folla che agitano ramoscelli di ulivo e foglie di palma.















Cantando, come allora la folla, "Osanna al figlio di Davide, Osanna al Redentor", il sacerdote benedice i rami d'ulivo e ciascuno scambia con amici e parenti un ramo benedetto, in segno di pace e di ardente spiritualità.
Quest'anno questo rito ci é mancato. E forse, restando a casa, abbiamo avuto modo di ricordare questa festività, nel suo significato più autentico e più familiare.
Un ramo benedetto, che per tradizione appoggiamo vicino al chiodo di un quadro religioso in casa, o al capo del letto, vicino al crocifisso, un altro ramo lo portiamo al cimitero, depositandolo tra i fiori nel vaso appoggiato alla lapide dei nostri cari. Un tempo si portava ai nonni e si baciava loro la mano, quando si donava il ramo. In cambio, sapevamo, il nonno ci donava 50, 100 lire.

Poi siamo soliti portare un ramo sul terrazzo di casa, un altro in campagna, nei propri terreni.
E se ancora é rimasto qualche scheletrico stelo del ramo dello scorso anno, ci hanno insegnato che si bacia e si getta nel fuoco.
Tutto questo quest'anno ci é mancato.
Ora é cominciata la Settimana Santa.
Don Primo Mazzolari ha detto che la settimana Santa comincia con l'ulivo e finisce con il legno.
Vorrei oggi condividere con voi, alcune considerazioni sul valore simbolico di questa umile e preziosa pianta.
L'ulivo affonda le sue radici nella storia dell'umanità e si intreccia con i racconti popolari, la mitologia e la religione.
E' uno degli alberi più antichi del mondo, ha una crescita lenta, continua, é un albero longevo, può vivere secoli, ma ci sono anche esemplari millenari.
E' la pianta dai molti simboli, é la pianta che al meglio riunisce le civiltà mediterranee che per millenni sono state le culture dominanti del pianeta.
Ha un'origine sacra, e il suo prodotto, l'olio, riveste un ruolo importante nei riti sacri di tutte le religioni (ebraica, egizia, greca, romana).
I colori delle sue foglie, verde e argento, rappresentano il sole e l'oscurità, la sacra unione tra cielo e terra.
L'ulivo é un atto di benevolenza divina nei confronti dell'umanità.

In Egitto é la dea della Luna, Iside, a insegnare all'uomo la coltivazione dell'albero sacro.
In genere, tutti i popoli orientali consideravano la pianta dell'ulivo, una pianta sacra.
Per gli Ebrei l'ulivo era simbolo di giustizia, di sapienza, di fecondità, di benessere.
Nel Vecchio Testamento la prima citazione dell'ulivo appare alla fine del racconto del diluvio universale, quando una colomba portò a Noè un ramoscello d'ulivo, per confermare che la Terra e il cielo si erano riconciliati.
Il ramoscello d'ulivo quindi, come simbolo della rigenerazione, perché dopo la distruzione causata dal diluvio, la terra ritornava a fiorire.
Ma era anche simbolo della pace, perchè attestava la fine del castigo di Dio e la riconciliazione con gli uomini.
L'Ulivo era uno dei sette prodotti, simbolo di ricchezza, della Terra Promessa.
"Il Signore Dio sta per farti entrare in un paese fertile, paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi, un paese di ulivi, di olio e di miele".
L'Ulivo é un bene che va condiviso con i poveri.

"Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornare indietro a ripassare i rami, saranno per il forestiero per l'orfano, per la vedova" (Deuteronomio 24,20).
Il profeta Geremia presentava l'ulivo come simbolo dell'identità d'Israele: "Ulivo verde, maestoso, era il nome che il Signore ti aveva imposto".
I Salmi presentano i credenti come "ulivo verdeggiante" e i figli dei credenti sono "virgulti d'ulivo".
Quando un individuo doveva svolgere un servizio divino, si parlava dell'Unto del Signore Dio, con riferimento all'ulivo.
In una delle feste ebraiche, chiamata festa delle capanne, si ricorda la vita del popolo di Israele nel deserto, durante il viaggio verso la Terra Promessa. Essi costruivano capanne per ripararsi, con rami d'ulivo e di alberi frondosi.
Nel Nuovo Testamento sono tante le occasioni in cui si fa riferimento all'ulivo e al suo frutto, l'olio. Maria, Giuseppe e Gesù si nascosero in un tronco d'ulivo, per sfuggire alla strage di Erode, prima di fuggire in Egitto.
Ai tempi di Gesù, l'olio veniva usato non solo nell'alimentazione, ma anche come unguento per le cure del corpo, per alimentare le lampade per l'illuminazione, come medicina per le ferite.
Nella parabola del buon samaritano, lo sfortunato viaggiatore viene medicato con olio e vino.
Gesù trascorse le ultime ore, prima della Passione, sul monte degli ulivi, in prossimità di un luogo, in cui c'era un frantoio dell'olio, il Getsemani.
La Chiesa usa l'olio santo, benedetto la notte di Pasqua, nella somministrazione di alcuni sacramenti, quali il Battesimo, la Cresima, l'Estrema Unzione, l'Ordine Sacro.

E passiamo alla civiltà greca.
Secondo la mitologia, l'ulivo nato sulla tomba di Adamo, il primo uomo della storia, fu prelevato da Ercole, che si era recato oltre i confini del mondo, nel Paradiso terrestre, per raccogliere la pianta e portarla nel bosco consacrato a Zeus.
Fu la dea Atena a donarlo agli uomini, trasformando e addomesticando l'arbusto originale selvatico, l'olivastro, in una pianta fruibile per la bontà del suo frutto, l'olio.
E a proposito di Atena, ricordiamo un altro importante racconto mitologico.
Il Fato aveva predetto che l'Attica sarebbe diventata la regione più forte, ricca e importante di tutta la Grecia.
Così gli dei decisero di insediarsi nella città, dove ognuno di loro avrebbe avuto il suo culto personale.
Poseidone, dio del mare, per primo si recò in Attica, vibrò un colpo di tridente in mezzo all'Acropoli e fece apparire una fonte d'acqua salata.
Dopo di lui venne Atena, dea della guerra, che percosse il suolo col suo giavellotto e dal terreno emerse un albero d'ulivo. Scoppiò una contesa, nessuno dei due voleva cedere la città all'altro.
Zeus, che era riuscito a riconciliarli, decretò che la scelta del dio protettore spettasse a un tribunale, composto da tutte le divinità dell'Olimpo.
Poseidone e Atena si presentarono dunque davanti al Tribunale divino. Zeus non espresse parere, ma mentre tutti gli dei maschi appoggiavano Poseidone, le dee si schierarono dalla parte di Atena.
Così per un voto di maggioranza, Atena ottenne di governare sull'Attica, poichè aveva fatto a quella terra il dono migliore: la pace.
Poseidone, furibondo, inviò un'inondazione che ricoprì la pianura.
Secondo un'altra versione, Poseidone avrebbe offerto in dono non una fonte d'acqua salata, ma colpendo con il suo tridente la terra, avrebbe fatto saltare fuori una creatura mai vista prima, il cavallo, che popolò tutta la terra e diede un grande aiuto alla vita dell'uomo.
Ma di fronte al cavallo, simbolo di guerra e di potenza, gli dei preferirono il dono dell'ulivo, simbolo di pace.
E così Atena, la dea guerriera, ma anche dea della ragione, delle arti, della letteratura, della filosofia, del commercio, divenne la protettrice della città.
E tra le opere letterarie greche, ricordiamo l'Odissea, Omero cita l'olio, allorchè Ulisse, di ritorno a Itaca, sbarcato nell'isola dei Feaci, viene accolto dalla principessa Nausica, che gli offre il morbido olio per rigenerare il corpo, dopo il bagno nell'onda fluente del fiume.
Sempre a proposito di Ulisse, ricordiamo il letto nuziale, costruito per sè e per Penelope.
Un letto scavato nel tronco di una possente pianta d'ulivo, simbolo di unione salda e duratura.
Ricordiamo ancora che presso i Greci le corone per gli atleti, vincitori alle Olimpiadi, erano un intreccio di rami d'ulivo.
A questo proposito vorrei ricordare il nostro gemellaggio con Nea Halkidona, in provincia di Atene. Quando il sindaco Nicola Papamicrulis venne con i giovani ateniesi a Crispiano, portò,in segno di pace e di amicizia , una pianta di Ulivo, che fu interrata nella nostra villa Falcone, a ricordo secolare di questo gemellaggio.
E infine, citando i Romani, secondo la tradizione, Romolo e Remo nacquero sotto un albero d'ulivo; e nell'età antica, l'ulivo era il simbolo della dea romana della pace, detta Pax.
I soldati romani, nei cortei trionfali portavano corone con rami di ulivi, in onore di Minerva, dea della guerra (equivalente di Atena greca).
Ed era tradizione incoronare con l'ulivo anche le teste di uomini illustri.
Nel corso della storia, l'ulivo ha sempre ispirato riti, tradizioni, scrittori e poeti.
Concludo con la lettura della sesta strofa dell'Inno all'Ulivo di Giovanni Pascoli (dai Canti di Castelvecchio:
Tu, placido e pallido ulivo,
non dare a noi nulla; ma resta!
ma cresci, sicuro e tardivo,
      nel tempo che tace!

ma nutri il lumino soletto
che, dopo, ci brilli sul letto
      dell’ultima pace!

Abbiamo detto la Settimana Santa comincia con l'Ulivo e termina con il legno.
Secondo una tradizione, l'asse orizzontale della Croce di Cristo, portata sulla spalle, era legno di Ulivo.

lunedì 6 aprile 2020

DANTEDI'- Giornata dedicata a Dante Alighieri

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RELAZIONE DELLA PROF.SSA SILVIA LADDOMADA

Il 25 marzo si é celebrato, per la prima volta, il Dantedì, la giornata dedicata a Dante Alighieri, istituita dal ministero della pubblica istruzione e dal ministero dei beni e attività culturali. D'ora in poi sarà giornata nazionale annuale, e forse internazionale. Tanti all'estero sono affascinati da Dante.

Dante, simbolo della cultura e della lingua italiana.

Non ci sono stati i solenni festeggiamenti previsti, le iniziative programmate, perchè siamo tutti impegnati a proteggerci da questo virus invisibile e ostile.

Il ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina, ha invitato tutti a recuperare dagli scaffali della propria libreria la Divina Commedia, e a leggerne un brano.


Fin dalle scuole medie abbiamo letto qualche canto, ricordiamo qualche verso, perché la Divina Commedia, come i Promessi Sposi, sono i libri che tutti gli studenti leggono, sono i classici per eccellenza della nostra letteratura. In questo momento cosi difficile, così complesso, il mondo della cultura ci ha invitato a ricordare insieme, a condividere, tutti uniti, attraverso il filo conduttore della poesia, i versi del poeta immortale.

E' stato un modo per unire il Paese, perché Dante é l'idea stessa di Italia.

Un'esperienza, simile a quella provata quando tutti insieme, ad una certa ora del giorno, abbiamo cantato, applaudendo e sventolando bandiere dicendo in coro: "Andrà tutto bene".
Festeggeremo il prossimo anno i 700 anni dalla morte del poeta ( Nato nel 1265 a Firenze,Dante morì a Ravenna il 14 settembre 1321), a 56 anni, di febbre malarica. Tornava da Venezia, dove aveva condotto una difficile ambasceria per conto di Guido da Polenta, il signore di Ravenna, che ospitò l'esule Dante con i suoi figli, nella sua dimora. Il nome di Dante é legato sopratutto alla Divina Commedia, ma notevole é stato il suo contributo nell'elaborazione della concezione stilnovistica dell'amore.

L'amore gentile, l'amore che esige nobiltà d'animo, l'amore che attraverso la donna angelo, conduce l'uomo a Dio.

E poi ricordiamo la sua proposta di una lingua volgare comune a tutti, che potesse assumere il ruolo di lingua letteraria, in sostituzione della lingua latina.

In politica Dante ha condannato il potere temporale della Chiesa, ha auspicato che il papa fosse solo guida spirituale dell'umanità.

Ce l'aveva con il papa Bonifacio VIII, lo collocherà nell'Inferno nell'ottavo cerchio colpevole di simonia (compravendita di cose sacre, avidità di onori e ricchezze terrene). Quel Bonifacio VIII, che favorì la presa del potere dei Guelfi Neri a Firenze, causando l'esilio del poeta.

Dante é anche autore di un trattato enciclopedico, di contenuto filosofico e teologico, con l'intento di offrire a tutti, anche ai meno dotti, la possibilità di partecipare a un Convivio, a un banchetto di sapienza, che appagasse la fame di conoscere degli uomini, che appagasse la loro voglia di ampliare gli orizzonti della mente.

"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza".

Questo dice Ulisse che Dante colloca nell'Inferno, tra i consiglieri fraudolenti, ingannatori (con riferimento al cavallo di Troia, inganno architettato da Ulisse contro i troiani).

Perchè il 25 marzo?

Perchè Dante il 25 marzo 1300, 1° anno santo della storia, (istituito da Bonifacio VIII), nella settimana santa di Pasqua, racconta di aver intrapreso il viaggio nell'aldilà. Il viaggio comincia di notte, ma non in una notte qualsiasi, ma la notte del 25 marzo, tra giovedì e venerdì santo.
Il poema di Dante é oggi di un'attualità sconvolgente. E' una vera opera letteraria, di quelle che sono utili a tutti, perché ci insegnano a guardare in maniera diversa le circostanze che abbiamo davanti. Il viaggio immaginario nell'aldilà é la storia del cammino personale di un uomo che riuscirà, con la ragione, a capire, e con la fede a ritrovarsi. Virgilio e Beatrice, le sue guide, la ragione e la fede. All'inizio del poema Dante dice: " nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita..." Dante si é smarrito, vive in uno stato d'animo simile alla morte. Nel 1300 ricopriva una delle più alte cariche pubbliche del comune di Firenze, era Priore. Nel 1301 viene cacciato da Firenze, condannato in contumacia, deve elemosinare per tutta l'Italia l'ospitalità. Ha perso la patria, la famiglia, il prestigio sociale e politico, la celebrità poetica. Si sente perso, lui, che mirava al successo, che era ambizioso, che si sentiva al centro dell'attenzione. E' crollato tutto, si sente una nullità. L'esilio, arrivato all'improvviso, ha cambiato la sua vita, ha rivoluzionato la sua esistenza, ha sbiadito il colore delle cose che prima erano importanti. Tutto sembra inutile.

L'esilio, come un virus, come un coronavirus, può cambiare la vita.

Confuso, smarrito, stordito, Dante é bloccato nella selva oscura e intricata; non capisce più nulla; é depresso, diremmo oggi.

Non riesce a trovare una via d'uscita. Non può uscire. E' in quarantena.

La selva é buia, eppure lui credeva di sapere tutto di sè, si immaginava potente, grandioso. Ora sperimenta la fragilità, qualcosa comincia a cambiare in lui.


Passano le ore, finchè arriva l'alba: il chiarore del sole illumina il pendio di un colle. Dante pensa di farcela. Da solo. Avanza, ma si blocca: tre belve, una lince, un leone e una lupa avanzano grintosi contro di lui. Chi sono? cosa rappresentano? Sono i limiti che ci impediscono di crescere interiormente. La lince (o pantera) rappresenta la lussuria, un falso amore, facile da avere, difficile da mantenere. 
Il leone rappresenta l'arroganza, la presunzione di chi si sente migliore, facendo il furbetto, il prepotente. La lupa rappresenta la brama del possesso, il desiderio di avere, non di essere. Quello che vogliamo dobbiamo prendercelo, anche a costo di qualche scorretto comportamento. La consapevolezza di questi limiti, di questi ostacoli, lo opprime, lo fa rotolare verso il basso. Ma appare Virgilio, la ragione, il quale gli assicura che "tornerà a veder le stelle", ma deve fare un percorso interiore, deve scendere nell'aldilà, nella sofferenza, per poter guardare ai valori su cui gli altri hanno basato la loro vita, deve confrontarsi con loro, con i loro limiti, deve ascoltarli, deve allontanarsi dalla loro negatività, guardare con occhi nuovi, pieni di lacrime, deve imparare a fare la differenza tra bene e male. Solo così potrà rigenerarsi e raggiungere la luce del colle; con l'aiuto della fede, poi, potrà ritrovare se stesso e dare un senso più alto alla vita. Ritornerà "a riveder le stelle", ma niente sarà più come prima. Il viaggio di Dante é il viaggio di tutti noi in questi giorni difficili. Da questa drammatica situazione che viviamo, deve venire una luce nuova. La quarantena, la nostra selva oscura, non é il momento in cui le cose vanno male, certo c'é un limite alla nostra vita sociale: siamo chiusi in casa, vorremmo uscire, ma non possiamo.
La quarantena é il momento, invece, in cui dobbiamo svegliarci per capire l'essenza della vita. Il virus, come l'esilio di Dante, non sarà considerato una punizione mandata da Dio, ma un'occasione per riconquistare noi stessi, in modo autentico, per cambiare lo sguardo sulla nostra vita, smettendo di essere protagonisti. Vorrei concludere con la lettura di un messaggio che corre sui social: "In questo momento siamo tutti in una selva oscura, siamo smarriti. Venivamo da un'era che ci ha educato a correre all'impazzata, a non fermarci mai un attimo, a trascurare chi abbiamo vicino, a perdere di vista il tramonto, a non sederci a tavola con calma, per mangiare un piatto lento, seduti, con le famiglie al completo. La vita adesso ci sta invitando a fare un'inversione a U, la U di Umanità.

venerdì 3 aprile 2020

Il nostro contributo alla lotta al coronavirus

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Intervento del dott. Aldo Capozza, specialista in Chirurgia generale

Il mio contributo a questa emergenza sanitaria che tutto il nostro paese sta vivendo.

Ci sono molti specialisti capaci di darci le notizie precise che tutti desideriamo. Questa sera vorrei dare il mio contributo a questa emergenza sanitaria che tutto il nostro paese sta vivendo.
dobbiamo capire tutti che ci sono delle norme a cui dobbiamo scrupolosamente attenerci. Regole che ci aiutano a superare questo momento
A cosa serve stare in casa.
Immaginate un capitano che ha un plotone di soldati che devono salvaguardare una fortezza, ma sono privi di armi e sono attaccati da un nemico crudele. Il capitano dice "nascondiamoci, perchè dobbiamo impedire che questo nemico possa attaccarci e così raggiungiamo due vantaggi importanti: il primo é che il nemico, non vedendoci, si stanchi di stare a guardare e se ne va; il secondo é che il buon capitano ha chiamato i soccorsi e sta aspettando altri soldati che sono con armi pronte a fronteggiare il nemico.
Questo non é vigliaccheria, ma strategia militare.
Questo noi facciamo, l'unica arma che noi abbiamo é toglierci di mezzo, nasconderci, perchè il nemico é talmente vigliacco che usa il nostro corpo, le nostre gambe per spostarsi.
E' difficile, capisco che é pesante. Molti amici e pazienti mi dicono che Tizio o Caio in tv ha detto che non ha difficoltà, Giustamente, con una casa di 300-400 metri quadri, è più facile adattarsi, ma non per chi ha un appartamento di 70 metri, nel quale deve convivere con moglie, figli, suocera.
Io non amo molto questi messaggi dei personaggi del mondo dello spettacolo, preferisco il messaggio di un comune mortale come me. Io vivo in una casa media con mia moglie e le mie due figlie e un gatto.
Non abbandonate gli animali, perché essi non portano infezioni; é peccato abbandonarli ma teneteli in casa. Io stesso che mi sposto per lavoro, ho raccolto per strada un gatto abbandonato che si é avvicinato appena mi ha visto. L'ho portato nella mia campagna, affidandolo ad una famiglia che ci abita.
E' importante stare in casa, dedicarsi a qualcosa, e capisco, sembra che stiamo agli arresti domiciliari, ma non é così. Stiamo prendendo energia, stiamo guadagnando tempo, per attaccare questo nemico, per riprenderci la nostra vita.
Lasciamo perdere quelli che dicono "siamo partiti tardi". Queste cose le potremo dire quando avremo vinto questa dura guerra, poi vedremo cosa fare, per affrontare il domani.
Oggi, lasciamo perdere, abbiamo capito che questa é la strada giusta.
Le ultime notizie arrivate pochi minuti fa, da tre giorni la salita é rallentata, certo ci sono dei morti, ma é il prezzo che stiamo pagando in questa guerra.
E' aumentato il numero di persone guarite. Lo so é una sconfitta per i medici, ci addolora sapere che tanti sono morti. Ma io non smetterò mai di ringraziare tanti medici, infermieri che stanno combattendo in prima linea. Io non voglio dimenticare tutto il resto, persone che lavorano in altri settori, che portano avanti insieme la situazione, come l'elettricista, il tecnico, l'esercito; persone che aiutano questi medici.
C'é questa infezione che sta sterminando un'intera popolazione ma non dimentichiamo, però non dimentichiamo che ci sono altre patologie. Come chirurgo, io continuo ad operare. Non possiamo abbandonare persone che hanno neoplasie, stringiamo i denti e si continua a lavorare, non come prima, ci siamo spostati in un'altra struttura.
Altro problema che riguarda lo stare a casa. rispettare le norme igieniche. C'è gente qualificata deve dirlo, non la gente dello spettacolo. Non é corretto. Lavarsi le mani é importante, non necessariamente con alcool a varechina, basta un buon sapone. La frutta é da sciacquare. Nel mercato viene toccata, ora per fortuna non più. Per precauzione occorre lavare la frutta e poi lavarsi le mani. Lasciare le scarpe fuori casa, perchè sul pavimento i bambini giocano e mettono in bocca quello che cade. Munirsi di pantofole,o andare scalzi, ne guadagna la postura.
No footing dieci volte al giorno, ma per il cane, la passeggiata 3 volte al giorno é sufficiente.
Invece si esce 5 volte per due ore alla volta. Ho litigato con due signori, che con i cani chiacchieravano per ore.
Sono importanti le attività sportive, ma di punto in bianco tutti sono diventati sportivi. Ai supermercati, file enormi, la gente esce con sacchi di farina, borsoni con pasta, siamo più prudenti, evitiamo i contatti.
Io sto in casa, si dice, e poi si va a casa dei condomini, si deve stare con la propria famiglia. Stare in ambienti stretti può anche permettere di conoscersi meglio, magari si litiga, ma ricordiamo che ci stiamo giocando la vita, questo é importante.
Non mi interessa se personalmente ho appeso al chiodo la bicicletta, non vado in campagna, sto salvando la mia vita e quella della mia famiglia. Non condivido il discorso di chi dice che avendo 90 anni non gli interessa più di morire. Sta sbagliando, della sua vita é padrone lui, ma potrebbe contagiare gli altri, se continua a circolare liberamente.
Far capire a tutti che, rimanendo a casa, potranno dire domani, di aver aiutato quei medici che lontano da noi, stanno lottando per salvare altre vite.
Abbiamo sentito che molti medici sono stati aggrediti, qualche mese fa, in ospedali, in pronto soccorso, da persone incoscienti.
Alla luce di quello che succede oggi, se i medici non ci fossero, cosa sarebbe successo?
Allora i medici sono importanti!
Si dice che un medico ha sbagliato, diceva il mio maestro che chi non sbaglia é chi non fa niente. Purtroppo un errore ci può essere, bisogna avere la capacità di riparare l'errore che si fa, i medici sono umani e possono sbagliare.
Perciò prima di scaraventarsi contro i medici, pensateci; adesso perchè non lo fate?
Chiedete "aiutateci" a quelli che sono stati malmenati. Si sta lottando. Abbiamo visto le forme delle mascherine sul viso degli operatori sanitari. Anch'io la porto nei miei interventi, ma dopo 5-6 ore la tolgo, i pochi segni lasciati scompaiono.
Quelli manterranno quei segni per parecchio tempo. E' importante capire che dobbiamo stare in casa, perché aiutiamo quel medico.
Nel mio piccolo ci sono anch'io. Quando un paziente muore, per un medico é un fallimento.
Nella mia opera di chirurgo, ho visto con altri colleghi, tante patologie, ma non abbiamo mai avuto paura, perché avevano le armi per poter cambiare e guarire quel paziente.
Ora non abbiamo le armi, l'unica arma é quella che chiediamo a tutti: rimanete a casa, seguendo queste piccole norme.
Certo stiamo male, però siamo vivi. Consolatevi, sapendo che c'é un inizio ma c'é anche una fine.
Un grandissimo medico di malattie infettive ha detto poco fa una cosa intelligente, ci sarà la fine e arriveremo alla fine, non so quanti di noi arriveranno.
Facciamo in modo che tutti noi dobbiamo arrivarci, stiamo sentendo tutti che stiamo raggiungendo traguardi con farmaci, con vaccini. Ma non illudiamoci.
Vi chiedo di seguire trasmissioni di carattere scientifico; la gente di spettacolo faccia spettacolo, lasciamo che siano gli esperti a dare notizie.
Noi del nord, loro del sud, come dicono persone dello spettacolo. Cambiate canale; almeno si giustificassero o chiedessero scusa. Siamo italiani, dobbiamo lottare. Oggi hanno bisogno le regioni del nord, domani potrebbero avere bisogno quelle del sud.
Lasciamo perdere, andiamo avanti. Siamo orgogliosi di essere meridionali, nel mio piccolo sono meridionale, faccio il mio lavoro, non mi interessa. Le competizioni e le distinzioni lasciamole ai
campi di calcetto. Diamoci tutti un aiuto.
Anche il Vaticano dia un aiuto concreto, lasciamo perdere se il Governo fa bene o male, se il Parlamento si riunisce o meno. Non ci interessa.
Stiamo ottenendo qualcosa? Continuiamo su questa strada. Domani, fra un giorno, fra un mese saremo ben felici, servirà a farci capire i medici. Io lavoro con tutti voi, sono un chirurgo come medico, ho imposto a tutti di stare a casa, si deve sconfiggere quel nemico. Basta con o trucchi o trucchetti, fare la spesa, portare il cane, fare quello e poi questo. Non é dignitoso che un vigile, un poliziotto debba dirci di stare a casa, siamo adulti e lo dobbiamo capire da soli, non sono loro a doverci fare la morale, non siamo bimbi, abbiamo la nostra dignità, finora siamo stati liberi, ora dobbiamo riprendercela la nostra libertà.
I nostri padri hanno fatto la guerra, noi siamo in guerra, dobbiamo vincerla non piangendo o rimpiangendo, vedremo dopo cosa non ha funzionato. Non é rabbia, voglio solo dire che, come un giardiniere vede la pianta che sta male e sta male anche lui, anche i medici stanno male quando gli si chiede aiuto. Si stanno facendo sperimentazioni, ci vuole tempo. I vaccini, i farmaci, la gente ora chiede. Quando mai ci siamo interessati di come va la ricerca? Ora ci preoccupiamo? Oggi i i medici stanno facendo miracoli per darci un farmaco.
Purtroppo ci sono i passaggi da fare, bisogna essere sicuri che alcuni farmaci possono farci guarire dal virus, ma potrebbero comportare effetti collaterali e altro. Bisogna essere sicuri dell'effetto reale. E' difficile arrivare a conclusione, dobbiamo solo alleggerire il lavoro di chi vuole farci uscire dalla gabbia.
Invece di andare a fare la visita al vicino, usiamo i messaggi telefonici, si chiacchiera anche così.
Prima o poi torneremo alle nostre attività, vi prego non fate i furbi.
Rilassatevi cercando vecchi film, non guardiamo sempre i dati, seguiamo qualche trasmissione scientifica, basta un solo telegiornale, é inutile seguire su tutti i canali.
La Chiesa si deve interessare di chi sta male, ammiro i cappuccini che al cimitero assistono quelle famiglie che non possono salutare i cari che sono morti. Non dobbiamo più vedere carri militari pieni di bare. Restiamo a casa.