venerdì 26 novembre 2021

mercoledì 24 novembre 2021

L'ORA DELLA LETTURA CON LILIANA MARANGI

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Nuova rubrica introdotta negli incontri del martedi




Liliana MARANGI

ha letto:

"Lo scocciatore" (9^ satira di Orazio Flacco)

 

"Diario del 26 e 27 dicembre" (dal Giornalino di     Gian Burrasca di Luigi Bertelli - Vamba)

 

"Gli eredi" (dal Corrierino delle famiglie di Giovanni Guareschi) 

                      
 

L'Ora della lettura

 

 






venerdì 19 novembre 2021

NOVECENTO: Una storia ancora in corso 1964 - 1970

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RELATORE: Tommaso CHISENA

Dott. Tommaso Chisena
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Relazione: Il Novecento, una storia ancora in corso: dal 1964 al 1970

 

Argomenti: primo governo di centrosinistra di Aldo Moro dicembre 1963


tentativo di golpe del generale De Lorenzo: piano solo 1964

convegno hotel parco dei principi maggio 1965

colpo di stato di Gheddafi in Libia 1°settembre 1969

strage di piazza Fontana 12 dicembre 1969

golpe Borghese 7/8 dicembre 1970

Nonostante l’immane sforzo della propaganda inglese, il PCI e la sua crescita politico-elettorale continuano a turbare Londra.

E' il novembre del 1963. Democristiani e Socialisti stanno trattando per formare il primo governo organico di centrosinistra che comprenderà la DC, il Psi, il Psdi e Pri. Il regista dell’operazione e’ Aldo Moro che sara’ per 15 anni -dal 1963 al 1978- il protagonista assoluto della politica nazionale ed estera dell’Italia in qualità di presidente del consiglio e ministro degli esteri.

Moro avrebbe voluto fare questo accordo gia’ due anni prima e c’era quasi riuscito ma i tempi non erano maturi. Infatti formo’ il governo Fanfani con l’appoggio esterno del Psi che si astenne sulla fiducia alla Camera.

Ora pero’ il momento era propizio, anche se il presidente della repubblica Segni non era assolutamente d’accordo: infatti mettera’ tantissimi bastoni tra le ruote per non far nascere questo governo.

Comunque il 3 dicembre del 1963 nasce il governo organico di centrosinistra voluto da Moro e da Nenni. Ma cominciarono da subito azioni subdole ed intimidatorie per far cadere questo governo.

Infatti nel 1964 tra queste azioni volte a fermare la politica di Moro e del suo governo si annovera il tentativo di golpe del generale De Lorenzo, comandante generale dei carabinieri, che predispose questo colpo di stato chiamato “piano solo” perche’ doveva essere effettuato solo dall’arma dei carabinieri.

Questo piano, che fu portato dal generale De Lorenzo alla visione del presidente della repubblica Segni, che dette il suo benestare, si presentava come piano di emergenza speciale a tutela dell’ordine pubblico, prevedeva il controllo delle istituzioni, l’occupazione delle sedi di partito nonche’ la detenzione degli oppositori politici -circa 773 – da trasportare in Sardegna. La motivazione di questo colpo di stato era impedire la presa del potere da parte del partito comunista italiano e dei suoi alleati.

In realta’ si tratto’ piu’ di un avvertimento che di un pericolo reale: diciamo una intimidazione a Moro e alla sua politica per evitare che si riformasse il governo caduto a giugno del 1964. Cio’ nonostante Nenni ed il suo partito mitigarono le pretese riformiste del programma e ad agosto dettero vita al secondo governo Moro di centrosinistra organico.

In quei giorni lo scontro tra Moro e Segni fu molto duro, perche’ alla richiesta di Moro che voleva accettare l’incarico di formare il governo , Segni rispose proponendo o minacciando un governo di tecnici sostenuto da militari.


Comunque il 7 agosto 1964 , all’indomani dell’insediamento del governo moro due, Segni fu colpito da un ictus cerebrale nel corso di una accesissima discussione con Moro e Saragat. La supplenza fu assunta dal presidente del senato Merzagora e perdurando l’impedimento, a dicembre del 1964, Segni si dimise e al suo posto il parlamento elesse Giuseppe Saragat.

Il piano solo fu svelato nel 1967 da una inchiesta giornalistica del settimanale l’Espresso, a cui segui’ la costituzione di una commissione parlamentare di inchiesta i cui lavori terminarono nel dicembre 1970, escludendo ogni tesi dolosa del tentato golpe, essendo il piano soltanto una bozza, il cui contenuto non era attuabile.

E' comunque singolare che questo piano ai fini organizzativi fu preso ed applicato dai colonnelli nel colpo di stato avvenuto in Grecia nel 1967 e preso a riferimento dai successivi tentati golpe italiani: di Borghese del 1970 e di Sogno del 1974 ed in parte dall’ ultimo piano di golpe del 1976, predisposto dall’intelligence britannica.

Ordunque il governo di centrosinistra varato da Moro fu per gli inglesi una sorte di ultima spiaggia: un limite oltre il quale non puo’ che esserci il baratro.

Intanto proseguiva la crescita economica dell’Italia e della sua industria che dara’ vita al miracolo italiano degli anni sessanta.

Dopo due anni di governo, nel 1966, la diplomazia britannica non sapeva come comportarsi di fronte alla richiesta – avanzata dal presidente Moro – di accogliere l’Italia nel gruppo delle quattro grandi potenze occidentali: Usa- Regno unito- Francia e Germania.

Per l’Italia sarebbe il riconoscimento definitivo del suo ruolo internazionale e del suo status di nazione finalmente affrancata dai vincoli di dipendenza imposti ( dagli inglesi) dal trattato di pace di Parigi del 1947.

Ma per la Gran Bretagna, tutto cio’ suonerebbe come una ammissione, al cospetto della comunita’ internazionale, della perdita del proprio prestigio e della propria influenza nel Mediterraneo.

Pertanto non potevano accogliere una nazione considerata da Londra di secondo o terzo rango ; al massimo si possono concedere solo consultazioni bilaterali, in quanto gli italiani non godono dei diritti e delle speciali responsabilita’ della Germania occidentale (!).

Nonostante il governo di centrosinistra, per la diplomazia inglese la minaccia del partito comunista italiano era piu’ che mai aggressiva.

Questo e’ il pensiero dell’ambasciatore inglese sir Ward che cosi’ scrive nella sua relazione trasmessa a Londra il 25 gennaio 1965: "I comunisti non fanno mistero di puntare ad abbattere l’instabile governo per poter tornare cosi’ al potere dopo che 18 anni prima -nel 1947- furono buttati fuori ".

Secondo l’ambasciatore "i comunisti italiani puntano fiduciosi ad una Italia a partito unico, un obiettivo che desiderano raggiungere per vie costituzionali, non con la violenza. Ma una volta conquistato il potere il Pci non l’avrebbe piu’ abbandonato”.

Questa paura del comunismo, sotto certi aspetti giustificata alla luce dell’esperienza dei paesi dell’Est, si trasforma in ossessione ed e’ quello che vuole la propaganda britannica.

La forzata gravita’ della situazione legittimeranno le strategie di contrasto piu’ dure e radicali.

Infatti, e’ in questo clima che, tra il 3 e il 5 maggio del 1965, si tenne all’hotel parco dei Principi a Roma un convegno, i cui drammatici effetti saranno valutabili solo qualche anno piu’ tardi. A cominciare da piazza Fontana 12 dicembre 1969.

Il tema del convegno e’ la guerra rivoluzionaria dichiarata dal comunismo al mondo libero. Il sottotema che emerge da tutti gli interessati e’ la risposta teorica e pratica adeguata alla minaccia incombente.

Il convegno fu organizzato da un istituto di studi militari dello stato maggiore della difesa ma a finanziarlo fu un ufficio dei servizi italiani diretto dal colonnello Renzo Rocca. Costui fu uno dei fautori dei primi nuclei anticomunisti di stato insieme all’ambasciatore Edgardo Sogno – ex agente SOE- ed ex partigiano bianco, medaglia d’oro della resistenza, e Francesco Malfatti – diplomatico, partigiano , agente segreto italiano ed anglofilo di fama .

Tra i partecipanti al convegno troveremo personaggi come Lombardi ( deputato socialdemocratico), Renato Mieli ( giornalista, ex agente SOE), col. Merryl (ex comunista direttore dell’Unita’ ). Inoltre ci sono vecchi repubblichini e commilitoni del principe Valerio Borghese, ex comandante della 10° MAS, come il senatore Pisano’ e Pino Rauti fondatore di Ordine nuovo, movimento nazifascista.

In pratica con questo convegno si e’ ricostituito il programma -gia’ iniziato durante la seconda guerra mondiale per conto del SOE di Edgardo Sogno- ovvero quello di mettere insieme in un unico fronte anticomunista uomini della RSI e partigiani bianchi ( liberali -democristiani- repubblicani e azionisti).

Di quel convegno non si accorse nessuno, neanche l’allora ministro della difesa Giulio Andreotti, al quale, una trentina di anni dopo, il presidente della commissione parlamentare stragi e terrorismo – sen. Giovanni Pellegrino- chiese se ne fosse a conoscenza: la risposta fu che cadeva dalle nuvole.

Comunque la commissione parlamentare ha documentato ed accertato che le finalita’ di quel convegno costituivano il presupposto di quello che sarebbe accaduto in Italia dal 1969 al 1974, lo stragismo nero, a cui segui’ il successivo periodo detto del terrorismo rosso dal 1974 al 1978, accomunati dalle stesse finalita’ antidemocratiche e con implicazioni di servizi segreti stranieri, a cominciare da quelli di Londra.

In realta’ l’ossessione britannica, piu’ che dal comunismo ( un pretesto) e’ rappresentato dal petrolio e dalla politica dell’Eni. Gli inglesi credevano di aver risolto il problema con la morte per assassinio di Mattei, avvenuta a ottobre 1962.

Giova ricordare che la politica dell’Eni non solo non e’ mai cambiata, ma di sicuro e’ stata condivisa e difesa da tutti i governi italiani che si sono succeduti, da De Gasperi in poi.

Infatti, nel 1967 l’Italia, attraverso l’Eni, cerco’ di rientrare in Iraq da dove era stata espulsa nel 1935 alla vigilia della campagna di Etiopia, a causa della furbizia doppiogiochista della perfida Albione e delle velleita’ imperiali di Mussolini e del re Vittorio Emanuele III . ( vedi precedenti ing. Puppini).

Questa volta pero’, le condizioni sono piu’ favorevoli.

Infatti in Iraq , a seguito della guerra dei sei giorni ( 5/10 giugno 1967) tra Israele ed i paesi arabi di Egitto, Siria e Giordania, il potere e’ stato preso dal partito ba’th (nazionalista, panarabo, filonasseriano e secolare, detto partito socialista arabo) che ha espulso dal paese gli interessi petroliferi inglesi .

Mentre vengono spalancate le porte a quelli italiani, attraverso l’Eni.

Questo progetto allarma gli inglesi. Nel mirino di Londra finiscono Moro, presidente del consiglio e Fanfani, ministro degli esteri, pressati sul piano diplomatico anche con minacce dal Regno unito.

Le numerose minacce comunque non sortirono effetto; infatti nel 1968 le richieste dell’Eni al governo italiano, relative all’entrata in Iraq, furono accolte mandando su tutte le furie gli inglesi e le loro aziende petrolifere Bp e Schell.

Il periodo 1968/1969, per gli avvenimenti che accadranno, sara’ cruciale nei rapporti tra Roma e Londra: addirittura da incubo.

Infatti , mentre in Italia le elezioni politiche del 1968 hanno visto, oltre alla affermazione solita della DC, una buona affermazione del Pci che insieme al Psiup raggiungeranno il 30%, mentre hanno anche visto una secca sconfitta del Partito socialista unitario, formato dal Psi e psdi, mettendo cosi’ in difficolta’ il centrosinistra.

Paradossalmente questa incertezza non condizionera’ nè l’Eni e nè la politica estera del governo italiano. Al contrario proprio nel 1969 giunge a compimento il disegno strategico di Mattei e della DC morotea e fanfaniana, con la benedizione dell’opposizione comunista.

L’Inghilterra e’ ormai una forza marginale in Medio Oriente, dove ha perso gran parte dei suoi possedimenti coloniali, e in Africa, dove molti paesi anglofili hanno conquistato l’indipendenza.

Sara’ espulsa anche dal Mediterraneo, dove e’ ormai fuori dall’Egitto nasseriano oltre a perdere le isole di Cipro e Malta. Le resta il controllo solo della Libia, attraverso il re filoinglese Idris.

Ed e’ proprio in questo paese, dove e’ stato trovato da pochi anni il piu’ grosso giacimento petrolifero del nord Africa, che si gioca la partita finale tra Italia e Regno unito.

Infatti nella notte tra il 31 agosto e 1 settembre 1969, con un colpo di stato militare, il re filobritannico Idris viene deposto dal colonnello Gheddafi che conquista il potere.

Il giovane colonnello filonasseriano e’ stato addestrato nelle accademie militari italiane . II golpe infatti e’ stato pianificato mesi primi in un hotel di Abano Terme, in provincia di Padova.

Gheddafi espelle dalla Libia le basi americane e inglesi, nonche’ le loro societa’ petrolifere, nazionalizzando l’estrazione del petrolio, mentre sono destinati a crescere i rapporti commerciali e militari con l’Italia.

In quel momento il nostro paese e’ in una posizione di forza in tutta l’area mediorientale e mediterranea .

Sono tali la sua influenza e il suo prestigio, che gli Stati Uniti d’America fanno buon viso a cattiva sorte.

Anzi sorvolano sulle conseguenze subite in Libia, convinti di trarne vantaggio puntando sulla presenza dell’italia, alla quale sia il presidente kennedy , qualche anno prima, che il presidente Nixon hanno riconosciuto il ruolo di potenza destinata, nell’ambito della Nato, a mediare i conflitti tra il nazionalismo arabo e l’Occidente e nel contempo, a contenere i disegni revanscisti della Gran Bretagna.

londra evidentemente non e’ d’accordo su tutto questo, dal momento che il 1969 segna il definitivo capovolgimento dell’esito della seconda guerra mondiale, dopo appena 25 anni.

il Regno Unito, tra le potenze vincitrici, ora e’ solo una importante isola del nord Europa , a cui resta solo la rocca di Gibilterra; al contrario, l’Italia, nazione sconfitta, e’ diventata potenza egemone nel Mediterraneo ed esercita una influenza crescente anche nel Medio Oriente e nell’Africa nera.

La reazione nei confronti dell’Italia si fara’ subito sentire.

Infatti, non e’ un caso che proprio in quel periodo rispuntino sulla scena, da protagonisti, due vecchi amici dei servizi inglesi, Jiunio Valerio Borghese e Edgardo Sogno assieme ad un terzo personaggio che, se pur non ha legami diretti ed accertati con l’intelligence britannica, ne’ ha sicuramente con gli ambienti anglofili : si tratta dell’editore di estrema sinistra Giangiacomo Feltrinelli.

Intorno alle loro figure, tra la fine degli anni sessanta ed i primi anni settanta si intrecceranno quasi tutti i fili dell’eversione nera, bianca e rossa.

Infatti, il 12 dicembre 1969 a Milano viene compiuta una strage a seguito dell’esplosione di una bomba collocata nella sede della Banca dell’Agricoltura, sita in piazza Fontana, che provoco’ 17 morti e quasi un centinaio di feriti.

Quell’attentato, di matrice nera, mirava a innescare, nell’opinione pubblica, una richiesta di ordine tale da provocare una dichiarazione di stato di emergenza da parte del presidente del consiglio Mariano Rumor.

Era il segnale che il principe Borghese aspettava per entrare in azione ed attuare il suo colpo di stato, progettato per la notte tra il 13 e 14 dicembre.

Solo che, per ragioni mai chiarite, Rumor si tiro’ indietro.

Borghese dovette rimandare il suo golpe l’anno dopo, nella notte tra il 7 e 8 dicembre 1970.

Recentemente, i preparativi ed i movimenti del golpe borghese, sono stati ricostruiti attraverso una serie di rapporti dettagliati redatti all’epoca dai servizi americani .

Si tratta di documenti desecretati dalla Cia nel 2005 e che dal 2010 sono confluiti nel faldone intestato al comandante della decima Mas, negli archivi americani di college Park nel Maryland.

Questi documenti attestano tutti gli incontri, avvenuti a Roma all’ambasciata americana, tra un ufficiale della marina militare italiana – ex decima Mas- ed agenti della Cia, nei quali si mette al corrente l’ambasciata circa il progetto del principe Borghese, al fine di assicurarsi un appoggio politico dopo il golpe.

Ci fu anche un incontro, il 26 gennaio 1970, tra lo stesso Borghese ed il segretario dell’ambasciata americana. Il piano prevedeva il coinvolgimento di forze militari, politiche ed economiche.

la risposta diplomatica non sbatteva la porta in faccia ma neppure garantiva appoggi. In pratica gli americani non presero in seria considerazione Borghese, come dissero qualche tempo dopo gli amici del principe.

Quindi, il colpo di stato originariamente previsto per il 13 e 14 dicembre, un giorno dopo piazza Fontana, viene rinviato da Borghese ed attuato nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970.

Gli americani sanno gia’ chi gli copre le spalle: ovvero i servizi inglesi. Infatti negli atti desecretati di college Park e’ stato trovato il rapporto segreto, dell’11 settembre 1970 tre mesi prima del golpe, che il colonnello James Clavio -addetto militare dell’ambasciata americana a Roma- ha inviato a Wwashington dove e’ scritto che “ Borghese ha contatti con l’intelligence britannica dalla quale e’ influenzato”.

La notte dell’Immacolata del 1970, quindi, gli uomini del principe ( tra cui 187 forestali, militari dell’esercito, nonche’ militanti neofascisti di avanguardia nazionale,ordine nuovo e del fronte nazionale di Borghese) entreranno nella sede del ministero dell’Interno, prelevando le armi, e arriveranno ad un passo dall’occupazione del Quirinale e dall’arresto del presidente della repubblica Saragat. Avranno nelle loro mani anche la sede della Rai dai cui microfoni il capo degli insorti, Borghese, dovra’ leggere un proclama e la lista dei ministri.

Ma improvvisamente -mentre era in atto il golpe- un ordine giunto dall’alto all’ultimo minuto, probabilmente dall’ambasciata americana, costringera’ Borghese ad annullare tutto, facendo rientrare i militari nelle proprie caserme.

Il principe fuggi’ in Spagna dove mori’ qualche anno dopo nel 1974 a Cadice.

Naturalmente ci furono diverse inchieste e processi . Nel 1977 in primo grado furono condannati tutti e 78 imputati, i quali nel 1984 nella sentenza di appello furono tutti assolti ed in maniera definitiva dalla Cassazione nel 1988.

Infine il golpe Borghese ha avuto diverse connessioni non solo politiche ma anche con la sparizione del giornalista Mauro De Mauro e con il delitto Pecorelli, fino alla mafia il cui intervento e’ stato confermato dal pentito Tommaso Buscetta.



https://www.youtube.com/watch?v=MOq3IPiqfR0&t=54s


Silvia Laddomada



PRESENTAZIONE DELLA SERATA E DELLE INIZIATIVE IN PROGRAMMA PER IL NATALE

giovedì 18 novembre 2021

"IL SACRIFICIO" - Relatrice: Anna Presciutti

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3° incontro: "IL SACRIFICIO" - Relatrice: Anna Presciutti Evento organizzato dall'Università del Tempo Libero e del Sapere Minerva di Crispiano (TA) Anno Accademico 2021-2022

 


 IL SACRIFICIO di Anna Presciutti

 




 

LO "SCAFFALE" DI MINERVA

(Libri da leggere ...

a disposizione di tutti)



mercoledì 10 novembre 2021

LA DIVINA COMMEDIA: INFERNO - IL "FOLLE VOLO" DI ULISSE Interpretazioni della critica letteraria

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RELATRICE: SILVIA LADDOMADA 

Siamo nell'ottavo cerchio: le Malebolge, diviso in 10 fossati in cui sono condannati i traditori, i fraudolenti.

Dante ha avuto con tutti un comportamento sprezzante, ha usato un linguaggio scurrile, volgare, ha collocato diavoli con coda, corna e barba, che lacerano e inveiscono contro i dannati.

Nella bolgia dei cattivi consiglieri, o dei consiglieri fraudolenti, Dante cambia il timbro di voce, cambia il tono narrativo; non incontra diavoli, ma fiamme in cui sono avvolte le anime. Tra loro Ulisse.

Ulisse ricorda il folle volo della sua barca per correre verso l'ignoto, oltre le colonne d'Ercole, convincendo i compagni a seguirlo con quella "orazion picciola": "Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza".

La sua barca si é però inabissata.

Perché? Con le sole forze umane non si entra nel territorio dell'ignoto, i limiti imposti da Dio non si infrangono. Nel Medioevo le colonne d'Ercole, oggi stretto di Gibilterra, non si potevano oltrepassare; il divieto era chiesto da Dio.

Nasce un dubbio: ma allora l'uomo non può perfezionare le conoscenze? Dante nega il progresso?

Occorre guardare Dante nel suo tempo: il Medioevo cristiano.

Tanti studiosi commentano questo viaggio. Con il loro contributo, arricchiremo le nostre conoscenze, questa volta.

De Sanctis diceva che Ulisse appare come il grande uomo solitario delle Malebolge.

Un protagonista grandioso e affascinante, di fronte al quale Dante si rivela umile.

Nel raccontare l'incontro, Dante esorta se stesso a moderare il proprio ingegno, a non esaltarsi troppo. Egli ha avuto dalla Provvidenza grandi abilità di poeta e di letterato, bene, non deve sentirsi presuntuoso, quasi invidioso di se stesso.

De Rienzo sottolinea questo sforzo di umiltà di Dante, collegando il folle volo di Ulisse con la possibile caduta dichiarata dal poeta, quando contempla l'ottava bolgia dell'alto del ponte.

"Io stava sovra il ponte a veder surto (sporgersi) sì che s'io non avessi un ronchion preso (uno spuntone roccioso), caduto sarei qui senz'esser urto" (esser spinto da qualcuno) (Inferno 26° canto vv.43-45).

Per la prima volta Dante teme di non farcela.

Dice Momigliano che questo canto 26° é una pagina di solitudine oceanica, un oceano ignoto in cui sta navigando Ulisse. Una muta distesa in cui Ulisse si é perso. Questo canto non é più la bolgia dominata dai fuochi.

Ulisse é per tutti gli studiosi l'eroe della magnifica avventura della conoscenza. Il suo ardore a "divenir del mondo esperto/ e de li vizi umani e del valore" lo induce a mettere da parte gli affetti più cari, che non calpesta, perché parla di pietà per il vecchio padre, di amore per il figlio, per la moglie. Sente questi affetti, il suo cuore non é inaridito, ma il suo affetto più grande é quello di compiere un'altra avventura, prima della morte.

Non vuole rinunciare a una vocazione insita nella natura umana, la sete di conoscenza.

Il personaggio dantesco, dice Fubini, fa quello che ogni uomo, nella sua condizione farebbe: attuare con i suoi compagni il suo destino di uomo, che é anche il destino dei suoi compagni "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza".

Quindi Ulisse é la metafora dell'umanità, desiderosa di conoscere l'ignoto.

L'uomo ha sempre desiderato conoscere i segreti della natura, ha sempre desiderato svelare il mistero della vita e della morte.

Spinto da questa sete di sapere, l'uomo nei secoli si é avventurato nei mari ignoti, ha scalato le montagne, é sceso negli abissi oceanici, é sbarcato sulla Luna, naviga in internet.

Ancora oggi sono tanti i misteri, gli ostacoli che limitano l'audacia umana, tuttavia l'uomo non si arresta, e si spinge sempre più avanti sulla via della conoscenza.

Quindi Ulisse rimane il simbolo dell'audacia umana, dell'ingegno dell'uomo.

Non importa se l'impresa ha avuto un esito infelice, il motivo che l'ha ispirata era alto.

Infatti Ulisse parla serenamente della sua impresa, c'é un solo accenno alla vanità del suo viaggio (folle volo), ma non una parola di superbia per quanto ha osato, non una parola di rimpianto per la propria fine.

Anche il volo di Icaro verso il Sole fu fallimentare, era nato dal desiderio di sollevarsi sempre di più, ma Icaro precipitò nell'Oceano, perché le sue ali di cera si sciolsero. Una punizione per la trasgressione. (Nella religione cristiana, il desiderio di Eva di diventare come Dio, insinua il serpente, la spinge a mangiare il frutto proibito. Ma Dio li caccia dal paradiso terrestre)

Per la studiosa Maria Corti, nella figura di Ulisse si rispecchia l'idea filosofica che la conoscenza scientifica non ha limiti. Ulisse non ha peccato, non ha sfidato Dio.

Nel mondo pagano Ulisse ha disobbedito agli ordini di un altro uomo, Ercole, che avvertiva che lì, alle colonne, finiva la terra abitata. Quindi più coraggioso di Ercole, e desideroso di conoscenza, Ulisse giunto ai confini della terra abitata, ha voluto andare verso il mondo senza gente.

Come poeta, Dante ammira Ulisse, espressione di quella umanità pagana, che ha un'eccessiva fiducia nelle proprie capacità.

Renato Guttuso, Ulisse(1970)

Come teologo, come credente, però, Dante deve condannare Ulisse. Per Dante, uomo cristiano del Medioevo, la conoscenza scientifica, fondata sull'esperienza e sulla ragione, non é separata dall'etica e dalla religione. L'avvento di Cristo nella storia, l'avvento della grazia nell'animo individuale, cambia la visione della realtà.

Nel Medioevo cristiano l'idea dominante é che la ragione umana ha dei limiti che non possono essere varcati, perché superarli é pura follia.

Ulisse é una parte di Dante, é il personaggio di singolare rilievo, in cui il poeta si compiace di riconoscersi. In Ulisse Dante vede se stesso, per l'ardore di conoscere, di sapere, segno distintivo della nobiltà dell'uomo.

Nel suo incontro con Ulisse, Dante però lo distacca da sè, lo giudica.

L'uomo non può raggiungere con le sue forze (la barca, i remi), la realtà di Dio, solo la grazia, concessa da Dio può saziare la sete d'infinito.

Se Ulisse avesse accettato i limiti della ragione umana, la sua sarebbe stata un'inappagata aspirazione di conoscenza e quindi Dante lo avrebbe collocato nel Limbo, con Platone e Aristotele e con lo stesso Virgilio, che nel salire la montagna del Purgatorio, dirà "State contenti umana gente al quia, che se possuto aveste saper tutto, mestier non era parturir Maria" (Purgatorio, 3° canto vv. 37-39). Se foste perfetti, non ci sarebbe stato bisogno della redenzione.

Dante quindi colloca Ulisse nell'Inferno; la sua astuzia, la sua presunzione, la sua superbia intellettuale coinvolgono una alta facoltà dell'uomo, la mente, "che é quella piccola parte dell'anima che é di natura divina" dice Dante nel Convivio.

Il naufragio é la conseguenza della temeraria infrazione ai divieti divini. Sulla montagna del Purgatorio, che Ulisse ha intravisto, Dante salirà e arriverà in Paradiso. Dante però é sostenuto dalle virtù terrene e cristiane (tre donne hanno avuto compassione di lui, Beatrice, santa Lucia e la Madonna, e poi Virgilio , anch' egli inviato da Dio.)

Le colonne d'Ercole sono state varcate solo dall'angelo che ha trasportato ai piedi della montagna le anime destinate alla purificazione, ma l'angelo si é servito delle ali, non dei remi di cui si é servito Ulisse.

Le ali sono il simbolo dell'intelletto angelico, che é presente nell'uomo e gli permette di elevarsi al di sopra degli animali.

Anche Dante, per andare in Paradiso dovrà spiccare un volo, il suo corpo diventerà leggero. "Trasumanar per verba non si porìa" (oltrepassare la condizione umana, non si può esprimere con le parole) dirà Dante quando salirà in Paradiso,(Paradiso, 1°canto vv. 70-71). Solo la grazia divina concede l'esperienza di questa condizione.

Concludiamo con il pensiero di un altro studioso, Manfredi Porena.

"Tutto il racconto dantesco é pervaso da così tenace simpatia per Ulisse. Perfino la sua morte, che è in un certo senso, la punizione inflitta dalla filosofia di Dante all'assurdità del tentativo, diviene nel sentimento del poeta un nuovo tratto di grandezza. Ulisse muore, condannato dal filosofo, ma il poeta gli compone una sepoltura quale nessun uomo forse ebbe mai. Perché il suo cimitero é l'infinito oceano. Vegliando su di esso, quasi fosse una immensa piramide mortuaria, si erge l'eccelsa montagna del purgatorio; e la mano che sopra vi incide l'epigrafe é la mano del poeta Dante: la più divina che abbia mai tracciato caratteri umani".

 

LA DIVINA COMMEDIA - INFERNO: IL FOLLE VOLO DI ULISSE

 

Il "Folle volo di Ulisse"

giovedì 4 novembre 2021

UNA DEA MISCONOSCIUTA, MEFITE

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2° incontro: "UNA DEA MISCONOSCIUTA, MEFITE" - Relatrice: Anna Presciutti Evento organizzato dall'Università del Tempo Libero e del Sapere Minerva di Crispiano (TA) Anno Accademico 2021-2022

RELATRICE. ANNA PRESCIUTTI
 

Dea Mefite
 

                                Mefite di Anna Presciutti

lunedì 1 novembre 2021

LA DIVINA COMMEDIA - ULISSE (canto 26°)

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Silvia Laddomada
Relazione di Silvia Laddomada

Riepilogo canti precedenti

Dante si ritrova in una selva oscura, intravvede la luce di un colle, ma tre belve gli impediscono di uscire (la lonza, il leone, la lupa).

Interviene Virgilio, la ragione, che gli propone un viaggio nell'aldilà, prima di raggiungere il colle.

Dopo qualche dubbio, Dante accetta.

Comincia il viaggio nell'Inferno .

Dante varca la porta dell'Inferno, sormontata da una scritta: "Per me si va ne la città dolente / per me si va ne l'eterno dolore, / per me si va tra la perduta gente".

Incontra le anime di peccatori che non si sono mai pentiti, quindi sono morti senza riconciliarsi con Dio.

Il primo gruppo è quello degli "Ignavi", che vissero "sanza infamia e sanza lode", che corrono dietro un'insegna anonima.

Appare poi Caronte, che traghetta le anime verso l'Inferno, dove è Minosse, che stabilisce il cerchio in cui devono andare.

Dante e Virgilio, con Caronte, attraversano l'Acheronte e giungono nel Limbo, luogo in cui si trovano, secondo la tradizione cristiana, le anime dei bambini non battezzati. Qui incontrano le anime di personaggi virtuosi, che si avvicinarono alla verità filosofica, ma non ebbero la fede, né il Battesimo, perché nati in epoca precristiana.

Nel secondo cerchio, quello dei lussuriosi, Dante incontra i due amanti, Paolo e Francesca.

Nel terzo cerchio, custodito da Cerbero, mostro a tre teste, ci sono i golosi, immersi nel fango e lacerati dal demone Cerbero.

Qui Dante incontra Ciacco, un fiorentino, che gli predice l'esilio, a causa dei conflitti tra Bianchi e Neri.

Nel quarto cerchio, custodito dal demone Pluto, Dante incontra gli avari e prodighi, che spingono col petto enormi sassi girando intorno al cerchio, e si scontrano, insultandosi con quelli che girano in senso contrario. Massa informe e bestiale, che suscita l'indignazione di Dante, ma non si individua nessun personaggio.

Il quinto cerchio è la palude Stige, dove sono immersi nel fango e avvolti da un fumo denso, gli iracondi e gli accidiosi. Il demone Flegias, carica sulla barca i due pellegrini e qui, Filippo Argenti, un fiorentino noto sulla terra, perché sempre accecato dall'ira, tenta di capovolgere la barca di Flegias, adirato contro Dante, che è stato sprezzante con lui.

Il sesto cerchio è destinato agli eretici, che giacciono in tombe scoperchiate e infuocate.

I due pellegrini, prima di entrare nel luogo, devono affrontare i diavoli affacciati e minacciosi, dall'alto delle mura infuocate della città di Dite.

Una rappresentazione teatrale.

1000 diavoli gridano stizziti contro Dante, a Virgilio, che cerca di placarli, chiudono la porta in faccia. All'improvviso appaiono le Furie, donne con serpenti al posto dei capelli, tutte insanguinate. Per intimorire Dante e Virgilio, annunciano minacciose l'arrivo di Medusa, la figura mitologica capace di pietrificare chi la guardasse.

Momenti concitati. Virgilio copre istintivamente gli occhi a Dante, questi teme che il viaggio non possa continuare, Virgilio teme che Dante non abbia più fiducia in lui, finché giunge un angelo, che mette a tacere tutti e i due entrano in una distesa vasta e deserta.

Camminando tra le tombe infuocate, Dante incontra Farinata degli Uberti, capo dei Ghibellini fiorentini, che gli profetizza l'esilio (la seconda profezia, dopo quella di Ciacco).

Nel settimo cerchio sono condannati i violenti.

Violenti contro il prossimo (tiranni, predatori, assassini), immersi in un fossato di sangue bollente, il fiume Flegetonte, controllati dai Centauri, che lanciano frecce a chi osa sollevarsi dal fiume..

Segue nello stesso cerchio, un secondo strato, dove si trovano i violenti contro se stessi, i suicidi, trasformati in alberi spinosi, nodosi e contorti. Fra loro Dante incontra Pier delle , cancelliere di Federico II e poeta della Scuola Siciliana, il quale racconta di essersi suicidato perché accusato ingiustamente e tradito dai cortigiani invidiosi.

Sempre nel settimo cerchio, un terzo strato, é un sabbione rovente, in cui giacciono supini i violenti contro Dio, sui quali cadono, inesorabili, lente falde di fuoco. In questa landa deserta c'è Capaneo, che nell'assedio a Tebe fu fulminato da Giove, perché osò sfidarlo. E in questo deserto sabbioso e rovente, Capaneo si erge sprezzante e impreca contro Dio, quasi a voler ancora sfidare l'ira di Giove.

Sempre nell'area del sabbione, corrono in circolo, senza sosta, i sodomiti.

Tra loro Dante incontra Brunetto Latini, il suo maestro, tutto "abbruciato", tutto sfigurato. Imbarazzo iniziale da parte di entrambi, ma poi Dante esprime tutta la sua gratitudine e il suo affetto al maestro, che lo istruiva, lo incoraggiava e gli insegnava "come, con sapienza e virtù l'uom si eterna".

Brunetto Latini gli predice la gloria dell'immortalità poetica, ma profetizza anche il male che gli faranno i fiorentini. ( terza profezia).

Nel sabbione sono accovacciati i violenti contro l'arte, gli usurai, che preferirono il guadagno dell'usura all'arte, al lavoro onesto e dignitoso. Dante ne riconosce alcuni, essi fissano, a testa china, un sacchetto appeso al collo, su cui è disegnato lo stemma famigliare, che ora non è vanità, ma il marchio del loro degrado.

Una visione avvilente, Dante non li degna di alcuna attenzione.

Dante e Virgilio scendono poi nell'ottavo cerchio, le Malebolge, diviso in 10 fossati o bolge. Scendono sulla groppa di Gerione, un mostro dal viso umano, corpo di serpente, zampe di leone e coda di scorpione.

Sono condannati qui i fraudolenti, coloro che hanno malignamente ingannato il prossimo: seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, cattivi consiglieri, seminatori di scandali e scismi, falsari e alchimisti.

Dante esprime tutto il suo disprezzo verso peccati avvilenti e degradanti, commessi da personaggi meschini.

In questo cerchio cambia il registro linguistico. C'è un uso frequente di termini umili, popolari, volgari e scurrili. I demoni non sono più figure mitologiche, ma mostri pagani, sono i diavoli raffigurati nelle tele medievali, con coda e corna.

Tra i seduttori, frustati dai diavoli, Dante incontra dei bolognesi e Giasone, tra gli adulatori "attuffati nello sterco", incontra dei noti toscani e la meretrice Taide.

Nella bolgia dei simoniaci (i peccatori che si sono abbandonati alla compravendita di cariche ecclesiastiche e arredi sacri), Dante scorge tante buche circolari, riservate a diverse categorie di ecclesiastici (papi, vescovi, chierici). I peccatori cadono in queste buche a testa in giù e gambe e piedi in alto, che vengono bruciacchiate da fiammelle; sprofondano giù, finendo appiattiti tra le fessure della pietra, quando sopraggiunge un altro dannato. Dante è apostrofato dal papa Niccolò III, che pensa sia arrivato il papa Bonifacio VIII. Un errore architettato da Dante per denunciare l'operato del papa, che morì nel 1303, cioè dopo il viaggio di Dante.

Nella quarta bolgia Dante incontra falsari e indovini che procedono a passo lento, a ritroso, col viso girato all'indietro. Dante é preso da una crisi di pianto nel vedere la figura umana stravolta, ma Virgilio lo sgrida, invitandolo ad accettare la giustizia divina, anche quando appare crudele.

La quinta bolgia é uno stagno di nera pece bollente, densa e vischiosa, in cui sono immersi e resi irriconoscibili, i barattieri, coloro che ricoprono cariche pubbliche facendo ricorso a truffe e corruzione. Le anime di questi peccatori sono sottomesse a diavoli violenti, che feriscono con uncini chi si sporge fuori dalla pece. I protagonisti di questa bolgia in verità sono i diavoli, le Malebranche, incapaci di sorvegliare tutti i dannati, che quando possono si innalzano dallo stagno, pronti s rituffarsi per non essere uncinati.

A questi diavoli Virgilio si rivolge per raggiungere la sesta bolgia, visto che il ponte è rotto.

Barbariccia , con una scoreggia, dà il segnale di partenza, e così il drappello dei diavoli guida i pellegrini, continuando a litigare, perchè i dannati ne approfittano per uscire dalla pece. Nel litigio alcuni diavoli cadono nella pece e così Dante e Virgilio ne approfittano per scivolare da soli nella sesta bolgia, dopo aver notato che i diavoli si sono scambiati segni di intesa, per ingannarli.

Precipitando nella sesta bolgia, con i diavoli subito arrivati che minacciavano di uncinarli, Dante vede avanzare lentamente della gente "dipinta". Indossano cappe con cappuccio che scende sull'occhio, dei mantelli dorati in superficie e di piombo all'interno. Sono gli ipocriti.

Visto l'abito, è chiaro che qui Dante condanna l'ipocrisia degli ecclesiastici. Con lui si ferma un frate gaudente bolognese, dicendo che avevano il compito, insieme a un altro frate, di mettere pace nelle famiglie, nelle città e di difendere gli oppressi Chiamati a Firenze, corrotti con denaro dai Guelfi svolsero il loro operato non in fin di bene, ma in modo sbagliato, tanto che l'odio politico tra i due gruppi fu accentuato dallo scontro violento che portò al definitivo esilio i Ghibellini, episodio ricordato a malincuore da Farinata degli Uberti, discendente della famiglia.

Altre anime sono crocifisse a terra, con dei pali al posto dei chiodi, calpestati dalla schiera dei frati ipocriti che camminano lentamente per l'eternità.

Si tratta di Caifa e dei membri del Sinedrio, che condannarono a morte Gesù.

Lasciati gli ipocriti, Dante e Virgilio si arrampicano alle pareti e giungono alla settima bolgia. All'interno una massa di serpenti di varie forme, dimensioni e colori, tra cui corrono nude e spaventate, le anime dei ladri, con le mani legate dietro la schiena mediante serpenti che si annodano davanti e li mordono.

Osservandoli dall'alto del ponte, Dante assiste a una mostruosa metamorfosi: un dannato morso che si trasforma in cenere per ritornare normale. E qui c'è Vanni Fucci, un ladro di arredi sacri, un furto ingiustamente attribuito ad altri.

Questo fiorentino adirato per essere stato riconosciuto da Dante, gli profetizza la vittoria dei Neri e l'esilio dei Bianchi tra cui ovviamente c'è Dante (4^ profezia).

Vanni Fucci inveisce male contro Dio, facendo un gesto blasfemo, paragonabile al nostro dito medio, dicendo "A te lo rivolgo".

Ma un Centauro sopraggiunge, sorreggendo un drago, che sputa sul peccatore fuoco e una massa di serpenti.

Poi assiste ad altre metamorfosi: un dannato morso da un serpente diventa serpente e il serpente diventa uomo; un altro dannato, morso dal serpente, diventa tutt'uno col serpente, dando vita a una creatura metà uomo e metà serpente. Pene a cui si Dante sottopone i tanti fiorentini, che incontro in questa bolgia. Disgustato il poeta maledice Firenze, il cui nome è tanto diffuso nell'Inferno.

Attraverso un sentiero, i due poeti giungono sul ponte che sovrasta l'ottava bolgia.

ULISSE

Dante si affaccia sull'ottava bolgia e vede il fondo rischiarato da tante fiammelle, che lui paragona alle lucciole che brillano al crepuscolo..

E' la bolgia dei consiglieri fraudolenti, cioè di coloro che hanno spinto gli altri ad azioni temerarie, ingannandoli con i loro consigli.

Le anime sono immerse completamente in una lingua di fuoco.

Dante nota che una lingua ha due punte e subito Virgilio gli dice che in quella fiamma sono avvolte le anime di Ulisse e dell'amico Diomede, stesso peccato, stessa pena. Sempre insieme, anche nell'aldilà.

Conosciamo Ulisse dalle opere di Omero, l'Iliade e l'Odissea, la prima racconta i dieci anni della guerra di Troia, la seconda i dieci anni della peregrinazione di Ulisse, prima di far ritorno a Itaca.

Dopo 10 anni di guerra tra Troiani e Greci, furono Ulisse e Diomede a escogitare l'inganno del cavallo, per poter distruggere la città. Dichiarando di rinunciare alla guerra, Ulisse comunicò ai Troiani che abbandonavano il terreno, lasciando all'interno della città un grande cavallo di legno, in dono alla dea Atena, protettrice di Troia. Ma nel ventre del cavallo c'erano i migliori guerrieri greci, e quindi la città fu distrutta.

Finita la guerra, Omero racconta le straordinarie avventure di Ulisse, che peregrinò per altri 10 anni, ingannando Polifemo, le Sirene, la maga Circe, e alla fine raggiunse Itaca, dove lo attendevano il padre Laerte, il figlio Telemaco e la paziente moglie Penelope.

Dante traccia una nuova identità del personaggio. L'Ulisse dantesco diventa il simbolo della curiosità e della sete di conoscenza dell'uomo, disposto a misurarsi con i propri limiti, per scoprire il nuovo.

E' Virgilio che parla. Egli chiede a Ulisse cosa sia accaduto a Gaeta, dopo aver lasciato la maga Circe.
Ulisse racconta di aver rivolto ai pochi compagni rimasti con lui "un'orazion picciola", un breve discorso, non privo di astuzia. facendo leva sull'orgoglio di quei fidati compagni che avevano come lui indirizzato al vita al sapere e alla scoperta, conquista il loro appoggio e li sprona a un'avventura che nessun uomo aveva mai tentato: quella di forzare i limiti della conoscenza e spingersi alla scoperta dell'ignoto.
 

 

                          ......disse: Quando

mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse,

né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,

vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;

ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.

Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi
acciò che l’uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.

"O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza
".

Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;

e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.

Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.

Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo
,

quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,

infin che ’l mar fu sovra noi richiuso".

Considerate la vostra origine, egli dice, siete stati creati per segnalarvi nel valore, per arricchirvi di cognizioni, e non per vegetare come bestie, come bruti. Non vogliate negare al poco tempo della vita che ci resta, la possibilità di conoscere il mondo disabitato.

E così da Gaeta, Ulisse supera le colonne d'Ercole. Ma un turbine improvviso fa inabissare la nave.

Il volo intrapreso è stato folle, dice ora Ulisse. Sembra che egli comprenda il senso della punizione divina per la sua presunzione.

Di fronte a questa solitudine oceanica in cui naviga Ulisse, quasi dimentichiamo che è invece avvolto in una fiamma infernale. Ha infranto i divieti divini. E questa trasgressione dante, uomo del medioevo cristiano non l'accetta. Anche se nobile nella sua origine, il desiderio di conoscenza può trasformarsi in superbo orgoglio, in un eccesso di fiducia nelle capacità umane.

Le colonne rocciose dei due promontori, quello marocchino e quello spagnolo, ai lati dello stretto di Gibilterra nell'antichità erano attribuite a Ercole, il quale aveva anche scritto "non plus ultra", non più oltre, per scoraggiare chi avesse voluto avventurarsi nelle correnti del'Oceano. Anche per Dante oltre le colonne c'era il territorio del soprannaturale, dove si colloca la montagna del Purgatorio. Dante non disprezza Ulisse, anzi lo ammira, perchè anch'egli è animato da sete di conoscenza, ma Ulisse, simbolo dell 'umanità curiosa, presume di dare risposte alle sue ansie facendo a meno di Dio, Dante va alla ricerca della Verità affidandosi alla ragione e alla grazia.

Da un lato il leggendario viaggio di Ulisse celebra l'ingegno umano, dall'altro il viaggio si rivela un folle volo, perchè l'orgoglio ha accecato l'umana intelligenza, il desiderio di conoscenza non è stato sorretto dall'aiuto della grazia.

Prima di raccontare l'incontro con Ulisse, Dante dice di aver appreso qualcosa che ancora lo rattrista, e si sforza di frenare il suo ingegno, affinchè esso non corra senza la guida della virtù, perchè se la Provvidenza gli ha dato una grande intelligenza, egli non diventi superbo e orgoglioso per questo. 

Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi,
e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio,

perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
m’ ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi.