Relatrice:
Silvia Laddomada
Quest'anno ricorre il 75° anniversario della Liberazione, spesso confusa con la giornata della festa della Repubblica, che invece é il 2 giugno, quando gli italiani, nel 1946, chiamati a un referendum popolare, decisero di rinunciare alla monarchia e dar vita alla repubblica. Una ricorrenza, quella del 25 aprile, che col tempo é stata vissuta come un appuntamento con una storia passata, sempre più lontana nel tempo, da ricordare, magari, con bellissimi discorsi retorici , e conseguente contraltare.
Quest'anno l'abbiamo vissuta con più consapevolezza. Ci siamo scambiati sui social, immagini e video, in cui si inneggiava alla libertà riconquistata, 75 anni fa.
Non ci sono state manifestazioni, perché sappiamo, ormai da 50 giorni, che bisogna restare casa, perché andrà tutto bene, perché ce la faremo.
L'attenzione verso gli eventi di quegli anni, 1945, é stata generata senz'altro dalla pietà che abbiamo provato nell'apprendere che molti ultrasettantenni sono stati falcidiati dal virus, spesso, purtroppo, tra le pareti sicure di una RSA. Sono scomparsi molti testimoni di quei giorni drammatici, se n'é andata una generazione, quella che aveva visto la guerra, ne aveva sentito l'odore e vissuto le privazioni. Se ne sono andati senza una carezza, senza che nessuno stringesse loro la mano. Abbiamo visto colonne di bare partire senza un seguito, un saluto. Abbiamo visto sepolture evidenziate da una croce piantata nel terreno, un cimitero di guerra.
Erano giovani 75 anni fa, avevano degli ideali, per i quali avevano combattuto, nell'uno e nell'altro campo di battaglia.
Abbiamo sentito che "tanto, erano vecchi" e si é anche detto che dopo i 60 anni una persona non vale più niente, la sua salute è a rischio, meglio non farla uscire, meglio lasciarla a guardare la televisione in poltrona, col plaid sulle ginocchia..
Vuol dire che, nonostante tutto, conta l'efficienza nel presente, la fretta, la velocità? Chissa!?
E comunque abbiamo scoperto, nel trauma della pandemia, un eco di eventi lontani, forse perché stiamo avendo una diversa percezione della realtà, stiamo conoscendo anche noi la privazione, il terrore collettivo, la paura, l'incertezza, la rinuncia.
Abbiamo associato la liberazione dell'Italia dal nazifascismo alla liberazione dal corona virus. In realtà di fronte al virus dobbiamo parlare di resistenza, perché il nostro 25 aprile deve ancora arrivare.
Noi oggi dobbiamo resistere a un'epidemia che pensavamo fosse un fantasma dei secoli passati.
Resistere é l'imperativo che ci siamo imposti di fronte alla paura della morte, rimanendo chiusi in casa. Diceva il grande scrittore cileno Sepùlveda "Ammiro chi resiste, e dimostra senza grandi gesti che é possibile vivere, e vivere in piedi, anche nei momenti peggiori".
Una resistenza, la nostra, che non é per niente sfiorata da contrasti ideologici, é una minaccia comune.
Siamo dei reclusi, alcuni in larghi spazi, altri in spazi ristretti, ma é una reclusione uguale per tutti. L'unica piazza in cui ci incontriamo é la rete, una novità imprevista, i social ci tengono uniti e vicini.
Quando tutto sarà finito, esulteremo, festeggeremo, dimenticheremo la paura, le sofferenze, faremo la nostra sfilata per le strade, come la fecero i partigiani a Milano. La loro esultazione ebbe il sopravvento sul ricordo delle sofferenze, dei lutti e delle devastazioni morali e materiali, provocate dalla guerra. E noi cosa faremo? Una nostra amica, Anna De Marco , ha scritto " Sono convinta che impegneremo molto meglio il nostro tempo, che faremo tesoro delle opportunità che ci verranno offerte, che saremo consapevoli nello scegliere quello che più ci piace, ma soprattutto quello che ci fa stare bene insieme agli altri e che ci arricchisce".
Il presidente Mattarella ci ha invitato a " fare memoria della Resistenza, della lotta di Liberazione, di quelle pagine decisive della nostra storia, dei coraggiosi che vi parteciparono. Ricordare tutto ciò significa ribadire i valori della libertà della giustizia, della coesione sociale, da cui é nata la Costituzione. L'Italia - ha detto il presidente - ha superato nel dopoguerra ostacoli che sembravano insormontabili. Le energie positive che seppero sprigionarsi in quel momento, portarono alla rinascita. Il popolo italiano riprese in mano il proprio destino. La ricostruzione cambiò il volto del nostro Paese e lo rese moderno, più giusto, conquistando rispetto e considerazione nel contesto internazionale, dotandosi di antidoti contro il rigenerarsi di quei germi di odio e follia. Ricordando le vittime della pandemia, la nostra peculiarità nel saper superare le avversità, deve accompagnarci anche oggi, nella dura prova di una malattia che ha spezzato tante vite".
La ricorrenza del 25 aprile é stata sempre divisiva, si dice. E' chiaro che in ogni guerra, nessun esercito può evitare episodi di brutalità. Il 25 aprile ha sempre diviso gli italiani, a proposito di violenza giusta e violenza ingiusta . Evidentemente ancora oggi l'Italia é troppo incerta sulla sua identità.
Ed ora un breve excursus degli avvenimenti di quel tempo, senza alcuna pretesa di presentare un trattato di Storia.
La guerra stava per finire già nel 1943.
Gli angloamericani nel gennaio '43, decisero di attaccare l'Italia. Il Paese era giunto al limite della propria possibilità di resistenza, era evidente che Mussolini aveva perso il consenso dell'opinione pubblica, e in alcuni ambienti, monarchia, esercito, lo stesso fascismo, c'era la convinzione che l'unica via di salvezza andava cercata in un immediato sganciamento dalla Germania.
Il 10 luglio 13 divisioni angloamericane sbarcarono in Sicilia, mentre le forze aeree americane bombardarono Roma e Frascati.
Sulla scia di questi eventi il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo approvò a maggioranza il ripristino dello Statuto albertino, implicitamente si intendeva la fine del regime di Mussolini. Nel pomeriggio Vitt. Emanuele III obbligò Mussolini alle dimissioni e lo fece arrestare.
Un avvenimento imprevisto, a cui l'Italia rispose con una esplosione di entusiasmo. Sembrava che la fine della dittatura fosse arrivata con inaspettata rapidità.
Gli italiani però furono richiamati alla realtà dal proclama del nuovo capo di governo, Pietro Badoglio, in cui si annunciava che la guerra continuava su tutti i fronti.
Nel frattempo (il 3 settembre) si firmava a Cassibile presso Siracusa, un armistizio con gli angloamericani, per trattare una pace separata e uscir dal conflitto. Decisione resa ufficiale l'8 settembre.
Ma nessuna indicazione su quale atteggiamento da tenere verso il tedesco.
Il risultato immediato di questa iniziativa fu quello di far precipitare l'Italia in un drammatico caos, mentre la notte del 9 settembre Badoglio e il re abbandonarono Roma e si rifugiarono a Brindisi.
Tale condotta creò un vuoto di potere, causò lo sbandamento delle istituzioni e dell'esercito italiano e facilitò ai tedeschi il compito di mantenere il controllo militare sulla parte del paese non occupata dagli alleati.
Moltissimi soldati italiani gettarono la divisa cercando di confondersi con i civili e ritornare a casa, evitando così di essere presi prigionieri dei tedeschi.
Dal canto loro i tedeschi completarono l'occupazione di Roma. Un gruppo di paracadutisti tedeschi liberò Mussolini dal carcere sul Gran Sasso e lo condusse in Germania.
Mussolini, ormai strumento nelle mani di Hitler, si affrettò a dichiarare di voler riprendere la guerra, e proclamò la Repubblica Sociale Italiana, detta di Salò dal nome della cittadina, sul lago di Garda, che diventerà la sede del nuovo Governo.
Iniziava una drammatica fase del conflitto per il nostro paese, privo di una sicura guida politica e invaso da due eserciti.
Molti italiani si trovarono divisi in due campi avversi: da una parte i repubblichini, fedeli al governo di Salò, animati spesso dalla sincera volontà di mantenere l'onore dell'Italia, vicini ai tedeschi e difensori del fascismo; dall'altra parte c'erano i partigiani, gruppi spontanei di combattenti armati, formati da antifascisti, soldati sbandati e civili ostili al nazifascismo, impegnati a far uscire l'Italia dall'alleanza con la Germania.
Organizzati in piccoli gruppi, con basi nelle zone collinari e sulle montagne, collegati, ovviamente, ai partiti democratici e antifascisti, riorganizzatisi nei 45 gg. (25 luglio - 8 settembre). Questi gruppi di partigiani avevano dato vita ad un Comitato di Liberazione nazionale, con lo scopo di condurre la guerra di liberazione con gli angloamericani e alla fine, rifondare lo Stato su basi democratiche.
Sappiamo che Badoglio dichiarò guerra alla Germania, che l'esercito alleato, dalla Sicilia risaliva verso il nord e che Napoli, dopo 4 giorni di lotta, costringeva le truppe tedesche a abbandonare la città, il 1 ottobre 1943.
Così Napoli fu la prima città europea a insorgere contro i tedeschi.
Mentre procedeva l'avanzata degli alleati e i grandi della terra Roosvelt, Churcill e Stalin decidevano le sorti della Germania, il teatro d'azione della Resistenza italiana si localizzò nell'Italia Centro settentrionale al di là della linea gotica, cioè la linea difensiva preparata dai tedeschi fra il Tirreno e l'Adriatico, essa partiva dalla provincia di Massa Carrara e raggiungeva Pesaro, correndo sui crinali delle Alpi Apuane e dell' Appennino tosco-emiliano.
Nelle regioni settentrionali, oltre alla fame, al freddo e ai continui bombardamenti, la popolazione civile dovette patire prepotenze e violenze di ogni genere.
Inizialmente la Resistenza si limitò ad attività di spionaggio e sabotaggio, ma di fronte alla violenza nazista, si rafforzò la coscienza di combattere per la salvezza della civiltà e non solo per gli interessi nazionali.
Questo dava alla popolazione, una grande energia morale e una singolare fermezza di propositi. In 22 mesi nel centro-nord si svolse una conflitto senza esclusione di colpi, caratterizzato da una barbarie che non aveva visto eguali nella storia italiana.
I combattenti della Resistenza si prodigavano in una lotta senza quartiere per liberare il territorio nazionale dalle truppe nazifasciste e per intralciare lo sviluppo delle loro operazioni belliche.
La risposta dei nazisti, alle azioni dei partigiani, fu estremamente dura, si ricorreva a rappresaglie (cioè si compivano atti di violenza contro i civili come vendetta per i danni subiti dai propri militari) e si ricorreva a rastrellamenti di civili; venivano prelevati ostaggi, distrutti interi paesi, ordinate esecuzioni di massa di innocenti.
Tra i casi più tristemente noti ci sono quelli delle Fosse Ardeatine, presso Roma, dove il 23-24 marzo 1944, 335 persone furono fucilate, come rappresaglia, in seguito alla morte di 32 militari tedeschi, avvenuta nel corso di un attentato partigiano di via Rasella.
L'esecuzione avvenne alle Fosse Ardeatine, dove si trovavano delle cave, ed era perciò il luogo ideale per occultare i cadaveri.
Un'altra strage di innocenti fu quella avvenuta a Marzabotto, un paese dell' Appennino bolognese, i cui abitanti offrivano aiuto alla brigata partigiana "Stella Rossa".
Il 29 settembre 1944 una colonna di SS fece irruzione in paese, uccidendo barbaramente 1836 persone, sopratutto donne, vecchi, bambini.
Intanto nella primavera 1945 la guerra volgeva al termine.
Gli angloamericani passarono il Reno e marciarono verso il cuore della Germania, dopo aver sottoposto le città tedesche a tremendi bombardamenti, e a loro volta i sovietici dopo aver liberato la Polonia, occuparono la Prussia orientale e superarono l'Oder.
Il 25 aprile le avanguardie americane e sovietiche si incontrarono sul fiume Elba e così la guerra antinazista si chiuse.
Contemporaneamente in Italia gli angloamericani superarono la linea gotica ed entrarono nella pianura padana.
Fu questo il momento scelto per l'insurrezione generale.
Nelle maggiori città del Nord, prima dell'arrivo degli alleati, i partigiani liberarono Torino, Genova e Milano, insediando governi locali, espressi dai vari Comitati di Liberazione nazionale.
Era il 25 aprile.
La fine della Resistenza, e finalmente la Liberazione.
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