venerdì 26 marzo 2021

DANTEDI', OMAGGIO AL SOMMO POETA

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Relatrice Silvia Laddomada

E' il secondo anno del Dantedì.

La giornata dedicata a Dante Alighieri, istituita lo scorso anno, 25 marzo 2020, dal Ministero della pubblica istruzione e dal ministero dei beni e attività culturali.

Il mondo della cultura é oggi unito per ricordare e condividere i versi del poeta immortale. Sono tanti gli eventi che si stanno programmando fino a settembre: mostre, spettacoli, laboratori, pubblicazioni, rassegne, festival, restauri soprattutto nelle città dantesche, Firenze, Verona e Ravenna.

Questa sera alle 19,15 é prevista la lettura di un canto di Dante da parte Benigni, al Quirinale, alla presenza del presidente della Repubblica Mattarella. L'evento sarà trasmesso su RAI 1. Perché il 25 marzo?

Dante - Andrea del Castagno

Il sommo poeta, di cui quest'anno ricorrono i 750 anni dalla morte, ha intrapreso il 25 marzo del 1300 il suo viaggio nell'aldilà.             Correva il primo anno santo della Storia, indetto dal papa Bonifacio VIII. Era la settimana santa. Dante, smarrito, deluso, incompreso, inizia il suo viaggio interiore, alla ricerca della Luce, proprio nella notte tra il giovedì e il venerdì santo.

Un viaggio allegorico, un viaggio interiore, che non riguarda solo Dante, ma l'intera umanità.

La Divina Commedia ha sempre attirato e affascinato il mondo della cultura, per la ricchezza dei suoi contenuti, per la capacità del poeta di elaborare e trasmettere una visione della vita sostanziata di conoscenze teologiche, filosofiche, letterarie, antiche e contemporanee. Soprattutto Dante ha proposto una visione della vita ispirata ai valori e alle virtù cristiane. Ha conferito un ampio respiro a quel complesso e poliedrico pensiero della civiltà occidentale europea, che affonda le sue radici nel Cristianesimo.

RAI - Dantedì -25 marzo 2021

Dante é un poeta universale, immortale, attuale, proprio per questo. Egli ha indicato l'unico percorso possibile per l'uomo in crisi: rigenerarsi, aspirare a una sfera di valori capaci di conferire una superiore dignità al vivere umano.

Uscire dall'oscurità e riconquistare la luce.

Dante non é un nostro contemporaneo e quindi attuale. Dante è un uomo famoso, colto, é un singolare intellettuale del Medio Evo. Il suo volto severo, il suo profilo é cristallizzato nell'iconografia dantesca e anche su una facciata della nostra moneta da 2 euro. Ma appartiene al suo tempo. Bisogna capirlo nel suo contesto.

Il Medio Evo era un'epoca profondamente religiosa, l'uomo non era artefice del proprio destino, come si dirà nel Rinascimento, ma era strumento nella mani di Dio, è Dio l'artefice di tutto. Nonostante questo timor di Dio, regnava in quel tempo tanta corruzione, anche all'interno della Chiesa. La società tutta aveva perso la "retta via".

L'avidità di potere, l'attaccamento ai beni terreni, gli intrighi politici avevano sconvolto l'umanità del tempo.

Dante era stato vittima di questa situazione. Per gli eventi che gli sono capitati, Dante é andato in esilio. L'esilio era stato una tragedia personale. Lontano dalla sua città Firenze, che egli amava, lontano dalla famiglia, costretto a elemosinare vitto e alloggio ai signori di altri staterelli italiani. L'Italia era allora divisa in tanti Stati. Lacerato quindi da tante offese, da accuse ingiuste, da mancati riconoscimenti, che pure si aspettava dalla sua Firenze, Dante era andato in crisi, aveva messo in dubbio la sua stessa fede. Ma non era crollato. Aveva sentito il bisogno di recuperare i valori del passato, le virtù umane che erano anche le virtù cristiane. In questa azione di recupero aveva inteso di mettere in versi il suo vissuto, il suo dramma, il dramma della sua società, collocandolo in una dimensione universale.
Non era presunzione di autosufficienza; dall'abisso della disperazione Dante trovò la forza di guardare la Luce, e di tendere ad essa con tutte le sue forze. Era convinto che anche gli altri potevano fare questo percorso: occorreva cambiare vita, occorreva pentirsi, occorreva convertirsi. Ancora oggi Dante ce lo dice, oggi che pur stando nella stessa barca, terrorizzati dal virus, assistiamo a episodi di cronaca vergognosi e aberranti.

E allora Dante condannava , in maniera inflessibile, tutti coloro che avevano perso il lume della ragione e si erano lasciati travolgere dalle passioni, dai sensi, dagli istinti. Condannava, senza distinzioni, uomini di potere, uomini di Chiesa, semplici cittadini del suo tempo, ma anche, per esemplificazione, personaggi storici delle età precedenti, personaggi della mitologia, colpevoli di incontinenza, per aver sottomesso la ragione ai sensi, condannava i violenti, condannava i fraudolenti, i disonesti. Anime dannate, in cui non c'era mai stato un gesto spontaneo di ravvedimento e di riavvicinamento a Dio. Dalla dottrina cristiana Dante aveva imparato che un sincero pentimento può capovolgere il destino di un'esistenza.. Ed ecco il messaggio morale del Purgatorio: pentirsi prima della morte. A Dio basta un istante solo di pentimento sincero, basta un palpito di dolore, per fare di un peccatore un'anima eletta.

Se l'uomo é in grado di comprendere questo messaggio, ritornerà certamente a "riveder le stelle".

Un messaggio cristiano, eterno e universale. Ecco l'attualità di Dante.

                               IL  VIDEO...


Per vedere il video sul cellulare cercare su Youtube o Facebook - "Associazione Minerva Crispiano" e cliccare.

mercoledì 24 marzo 2021

MODERNE TERAPIE IN IMPLANTOLOGIA DENTALE

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PRESENTAZIONE di Silvia LADDOMADA

Sala attesa Studio Aiello Crispiano

Il Dr. Gioacchino Aiello, professionista a Crispiano e Statte, è laureato in Odontoiatria ed ha conseguito il master in Chirurgia Orale.

Si occupa nello specifico di implantologia dentale e di tutto ciò che riguarda l'estetica della bocca, ma nella sua équipe ci sono altri professionisti che completano l'offerta di cure specialistiche abbracciando tutti i campi dell'odontoiatria.

La sua formazione professionale dopo la laurea in Italia nel 2003, è proseguita a Milano, per poi essere perfezionata in vari paesi come Austria, Brasile, Stati Uniti e Svizzera.

In quest'ultimo ha vissuto e lavorato per oltre 3 anni prima di rientrare in Italia, e stabilire qui da noi il suo studio specialistico.

 

RELATORE: dr. Gioacchino AIELLO                                                                                       

 


                                                                    
 

IN  SINTESI... (Cliccare sul link sotto)

MODERNE TERAPIE IN IMPLANTOLOGIA DENTALE

                                                             


  



sabato 20 marzo 2021

160° ANNIVERSARIO UNITA' D'ITALIA tra mito e realtà

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RELATORE: TOMMASO CHISENA


Introduzione di Silvia Laddomada 

 

 

 

Silvia Laddomada

Ricorre domani il 160° anniversario dell'Unità d'Italia.


Il 17 marzo 1861 il Parlamento di Torino proclamò re d'Italia, Vittorio Emanuele II, già sovrano del regno di Sardegna, comprendente Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria, Sardegna, Nizza e Savoia.

Questo periodo si chiama Risorgimento, indica quel processo storico che porterà i patrioti di tutta l'Italia a insorgere, per ottenere unità politica e indipendenza.

Periodo che coincide con l'affermarsi del movimento culturale europeo chiamato Romanticismo, che esaltava la libertà, la fantasia, il sentimento. Ma soprattutto esaltava il sentimento nazionale, la storia, le tradizioni di ogni popolo.

Si parla per la prima volta di patrioti, perché é in questo periodo che si afferma il concetto di patria, per indicare non solo la città d'origine ma la terra dei padri, il paese comune a tutti coloro che appartengono a una stessa nazione.

E patrioti furono chiamati tutti coloro che combatterono per la libertà, l'unità e l'indipendenza. L'Italia era governata a nord dagli Austriaci, a sud dai Borboni e al centro c'era lo Stato Pontificio.

I patrioti avevano idee liberali, aspiravano cioè al diritto di esprimere liberamente le proprie convinzioni. Politicamente sostenitori di una monarchia costituzionale.

Siccome la polizia austriaca reprimeva qualsiasi manifestazione di dissenso, i patrioti si riunirono in società segrete, la più nota era la Carboneria, e nonostante il controllo austriaco, ci furono moti insurrezionali nel 1821, nel 1831, fino a quando nel 1848, si individuò in Carlo Alberto, re di Sardegna, il sovrano che avrebbe liberato l'Italia dal dominio austriaco.

I patrioti guardavano con crescente ostilità al governo austriaco.

Tre guerre contro l' Austria, chiamate guerre di indipendenza: la prima nel 1848 -49, la seconda nel 1859-1860, la terza nel 1866 per riottenere il Veneto, e la 1^ guerra mondiale chiamata anche 4^ guerra d'indipendenza, perché portò alla conquista del Trentino e Friuli.

La seconda é stata anche la guerra che ha portato alla conquista del sud, strappato al governo borbonico.

Fu determinante il sostegno dei poeti e degli artisti romantici alla lotta dei popoli per la libertà e l'indipendenza.

La musica, per esempio, era considerata l'arte per eccellenza, capace di suscitare e di esprimere sentimenti e passioni.

L'opera lirica, il melodramma, diventarono uno strumento di propaganda. Bastava poco per infiammare gli animi.

Era sufficiente che le vicende rievocate sul palcoscenico, storiche o leggendarie, esaltassero la libertà e la lotta contro l'oppressione, contenessero qualche riferimento alla situazione politica presente.

Tra gli operisti italiani, Rossini, Bellini, Donizetti, il più celebre era Verdi. La gente cantava per strada i brani più famosi, magari modificando alcune parole per poter esprimere i propri sentimenti antiaustriaci.

Uno dei cori verdiani più noti era "va pensiero sull'ali dorate", dell'opera Nabucco.

Cantato dal popolo ebreo, schiavo in Babilonia, esso conteneva parole di struggente nostalgia per la patria lontana.

Questo coro fu caricato di significati patriottici nazionali e divenne famosissimo. 

Incontro a Teano

Verdi venne identificato dagli italiani con l'idea della lotta per la libertà e l'indipendenza. Il suo stesso nome si prestava ad essere utilizzato con fini patriottici. La scritta Verdi, che cominciò a comparire sui muri di Milano, sotto gli occhi della polizia austriaca, era innocente solo all'apparenza.

Insieme all'ammirazione per il grande musicista essa conteneva un messaggio politico proibito: significava infatti "Vittorio Emanuele re d'Italia". Vittorio Emanuele era figlio di Carlo Alberto; su di lui si appoggiavano le speranze di molti patrioti.

Sappiamo che i protagonisti del nostro risorgimento sono stati Cavour, Mazzini e Garibaldi.

Cavour favorevole a una Italia unita nel nome dei Savoia, Mazzini convinto sostenitore di un programma repubblicano da attuare idealmente con tutto il popolo.

Garibaldi sostenitore di un governo democratico, pronto a partire per ogni guerra che fosse di liberazione, un rivoluzionario, un eroe popolare.

I 4 personaggi si scontrano e si incontrano, il popolo italiano combatte.

Il giovane Goffredo Mameli, nel 1847, scrisse le parole del futuro inno nazionale "Fratelli d'Italia". La musica é di un altro giovane, Michele Novaro.

L'Inno di Mameli divenne Inno nazionale, col nome Canto degli Italiani, nel 1946.

 

TOMMASO CHISENA 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ogni popolo cerca di darsi dei natali nobili. I quattro rotagonisti del Risorgimento erano diversi e concorrenti tra loro, e i loro singoli rapporti con il re non erano certo idilliaci. In questi ultimi 15 anni, alcuni studiosi hanno avuto accesso agli Archivi di Londra, dove hanno trovato documenti interessanti, relativi all'Unità d'Italia, che non è stata fatta interamente dagli italiani, né dal popolino, ma da aristocratici. In genere tutte le rivoluzioni liberali sono state portate avanti dall'intellighentia.

La ricerca storica non può più permettersi la visione romantica dell'unità d'Italia. Per la sua realizzazione furono indispensabili: l’appoggio piemontese, l'appoggio degli ufficiali borbonici "convertiti" alla causa dei Savoia, l’appoggio dei baroni e dei notabili latifondisti siciliani             (campieri /mafia) e soprattutto l'appoggio dell’Inghilterra.

E’ necessario partire dalla situazione geo politica degli stati italiani preunitari, in rapporto alle alleanze con gli altri stati e potenze europee.

Bisogna risalire ai tempi dell’imperatore romano d' Oriente, Giustiniano, per trovare uno stato unitario. Dopo l’invasione dei Longobardi del 568 si ruppe l’unità politica e ci furono 1300 anni di divisioni. Nel 1700 c’erano 12 stati italiani, ridotti a 9 dal congresso di Vienna del 1815 e poi a 7 nel 1859.

Nel 1859 esistevano 7 piccole patrie: il regno di Sardegna- il regno delle due Sicilie- lo stato pontificio- regno lombardo veneto- granducato di Toscana- ducato di Parma e ducato di Modena.

Vittorio Emanuele II
 Il popolo includeva nel suo concetto di "Patria" e quindi di "Nazione" il proprio stato di appartenenza; la popolazione delle due Sicilie chiamava forestieri gli altri abitanti d’Italia; i piemontesi, quando si spostavano dal loro stato, affermavano che andavano in Italia.

La frammentazione statale non é di per sé sinonimo di decadenza, basti pensare al Rinascimento che fu il punto più alto del primato culturale dell’Italia e il punto più basso delle sua rilevanza politica.

C'era un 'alleanza tra Borboni -Francia -papa. Nel 1799 i Borboni di Francesco I, padre di Ferdinando II, erano alleati degli inglesi, ai quali concessero molte agevolazioni commerciali. Ferdinando II era invece più vicino alla Francia.

C'é un'alleanza tra Inghilterra e i Savoia. Furono gli Inglesi a convincere i Savoia a prendere il regno delle due Sicilie, per la ricchezza aurea del regno, necessaria a ripagare i debiti contratti nella guerra di Crimea.

Gli interessi inglesi in Sicilia erano tanti: l'estrazione del zolfo (petrolio di oggi ) primo al mondo; le tante distillerie del liquore marsala, che gli Inglesi consumavano ed esportavano; il controllo del Mediterraneo per l'inizio dei lavori di costruzione del canale di Suez (1859- 1869).

Giuseppe Garibaldi

La Sicilia si ribellò ai Borboni nel 1812/ 1848/ 1860, in quanto i principi e i baroni mal sopportavano di essere una provincia di uno stato con Napoli capitale. Le leggi avevano tolto potere assoluto ai baroni, all’interno dei loro feudi.

C'erano quindi diversi interessi inglesi a favore della spedizione dei Mille. C'era stata una raccolta fondi, in Inghilterra, a favore della spedizione di Garibaldi.

La madre di tutte le domande é: come riuscirono i Mille e ottantanove volontari di Garibaldi a battere circa 100.000 soldati dell'esercito borbonico, inclusa la marina considerata la quarta flotta più grande del mondo?

Garibaldi partì da Quarto il 5 maggio 1860 e arrivò a Marsala l’11 maggio con due piroscafi, il Piemonte e il Lombardo, superando i controlli inglesi con le loro navi da guerra. In realtà non fu un'unica spedizione, ma dal 24 maggio al 3 settembre 1860 ci furono dai porti di Genova e di Livorno 20 navi che in 33 viaggi trasportarono circa 21.000 volontari, con navi quasi tutte inglesi e 7 di queste trasportarono materiale bellico. Gli Inglesi avevano interesse a sobillare il popolo contro i Borboni.

I Borboni cercarono di arrestare i garibaldini a Calatafimi, ma questi li misero in fuga aprendosi la strada verso Palermo.

Garibaldi giunse a Salemi il 2 giugno. Nel dichiararsi dittatore, in nome del re di Savoia, emanò i primi decreti dittatoriali: amnistia e indulto per tutti i carcerati, divisione delle terre demaniali ed ecclesiastiche ai contadini e, tra le altre cose, abolì il baciamano e il titolo di eccellenza ai cappelli ( nobili e notabili potevano portare i cappelli mentre i contadini la coppola).

Quindi Garibaldi arrivò a Palermo aiutato dai picciotti, dai campieri ( guardie armate che amministravano i territori ma ostili ai Borboni, che avevano limitato i loro privilegi), convinti dai baroni, dai contadini e dagli ex carcerati grazie alla defezione dei generali borbonici.

La città capitolò dopo tre giorni, nonostante i 15.000 soldati borbonici del generale Lanza, il quale firmò l'armistizio su una nave inglese, ferma con altre, nel porto di Palermo.

Solo Messina resistette fino a marzo 1861.

Prova del legame tra gli inglesi e Garibaldi: i fatti di Bronte, che faceva parte del ducato di Nelson, in cui si verificò una rivolta incontrollata dei contadini, a cui erano state promesse le terre demaniali. Il console generale inglese della sede di Palermo fece intervenire il suo braccio destro, Nino Bixio. Seguì un processo farsa contro i contadini, che furono condannati. Una pagina brutta, tenuta in sordina. Solo nel 2010 il sindaco di Bronte ha cancellato l'intestazione di una strada a Nino Bixio , sostituendola con via della Libertà.

Garibaldi, lasciando il governo della Sicilia al suo braccio destro Francesco Crispi, attraversò lo stretto, raggiunse la Calabria, senza trovare resistenza, ed arrivò a Napoli il 7 settembre 1860. Anche qui, grazie a un traditore, il capo della polizia Liborio Romano, che convinse il re di Napoli a rifugiarsi a Gaeta e che arruolò tutti i camorristi di Napoli per controllare il popolo ed evitare insurrezioni contro Garibaldi, l'entrata a Napoli fu senza problemi. Ippolito Nievo aveva seguito l'impresa di Garibaldi come militare, aveva anche il compito di direttore amministrativo, soprattutto per la gestione del denaro prelevato dal banco di Napoli e della Sicilia, per finanziare la campagna di Garibaldi. A marzo 1861 Ippolito Nievo fu chiamato a Torino; partì con un piroscafo, ma a Capri il piroscafo affondò. Nievo trovò la morte e con lui scomparvero anche i documenti bancari, che probabilmente non si voleva che si conoscessero, perché attestavano i finanziamenti inglesi alla spedizione di Garibaldi.

Si ebbero quindi i plebisciti truffa il 21 ottobre 1860, con l’aiuto della mafia e della camorra. (Trattativa stato-mafia iniziata da allora, quindi, ripetuta dagli americani nello sbarco in Sicilia il 10 luglio 1943 e continuata dopo).

Giuseppe Mazzini

Il plebiscito fu uno strumento maldestro, utilizzato per legittimare una vera e propria annessione al regno dei Savoia. In questa aberrante messinscena votò solo l’1,9 % della popolazione ( poteva votare per censo circa il 20% ). La mafia, che voleva gestire il territorio, presiedeva i seggi elettorali nei plebisciti farsa. Questo il quesito: "Il popolo vuole l’Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele re costituzionale e i suoi legittimi discendenti a norma del decreto dittatoriale dell’8 agosto 1860". Sarebbe stato fatale inserire la scheda nell'urna NO !

Incontro a Teano (Caserta) il 26 ottobre 1860. Vittorio Emanuele si precipitò per fermare Garibaldi, intenzionato a liberare lo Stato pontificio e Roma, che erano sotto il controllo di Napoleone III di Francia.

Liquidato il suo esercito, Garibaldi uscì di scena. La delusione fu grande, perché i decreti garibaldini non furono seguiti. Le terre demaniali non furono concesse i contadini; i soldati di Garibaldi non passarono nell'esercito piemontese. A sud venne introdotta la coscrizione obbligatoria, che costringeva i contadini, fra i 25 e i 50 anni al servizio militare per 5-7 anni. Molti contadini che non volevano lasciare la famiglia si dettero alla macchia.

Il re intanto, entrò a Napoli il 7 novembre ed il suo esercito sostituì quello garibaldino, tant’è che il famoso generale Cialdini ( oggi sarebbe processato per crimini di guerra) dopo l’incontro di Teano emanò da Isernia un manifesto che fece affiggere in tutti i Comuni con questa dicitura : "fucilo tutti i paesani armati che piglio, oggi ho gia’ cominciato".

Iniziò così la storia del cosiddetto brigantaggio e del più grande massacro del sud.

Una guerra di oltre 10 anni con 15.000 morti e oltre 30.000 feriti con 100.000 prigionieri, quindi con 145.000 combattenti su una popolazione di 6 milioni e mezzo di abitanti. 24.000 prigionieri furono deportati al forte di Fenestrelle, vicino Torino, a 1000 metri di altitudine. Dopo un anno quasi tutti morti di freddo e stenti.

Approfondiremo l'argomento in un' altra giornata, dedicata al brigantaggio.

Solo una breve considerazione: nel 1799 contro l’invasione napoleonica i ribelli di Napoli che in due giornate di lotta persero 3.000 partigiani, furono definiti "lazzaroni", così come altri partigiani che difendevano la loro patria dall’invasione dei Savoia furono chiamati briganti. Questo perché purtroppo la storia viene sempre scritta solo dai vincitori.

Intanto il re procedette con altri plebisciti: nel 1866, con la terza guerra d'lndipendenza furono annessi il Veneto e la città di Mantova.

Nel 1871 furono annessi Roma e il Lazio. Questo dopo l'apertura della breccia a Porta Pia , con l'arrivo dei bersaglieri. Lo Stato della Chiesa era protetto dalla Francia, ma nel 1870 Napoleone III fu impegnato nella guerra franco-prussiana e venne sconfitto a Sédan. Fu l'occasione per conquistare Roma, indifesa.

Con la prima guerra mondiale, 1918, fu annesso il Trentino Alto Adige.

Così Roma divenne capitale d’Italia. La prima capitale era stata Torino (1861-1865), poi Firenze (1865-1871), per tenere tranquillo Napoleone, il quale sapeva che Cavour anelava a Roma. Infine Roma, dal 1871.

Camillo Cavour

I rapporti tra Cavour e Vittorio Emanuele peggiorarono. Per Cavour il re era gretto e capace solo di combattere, a sua volta il re non sopportava questo personaggio ferreo, lungimirante, autonomo nelle decisioni. Cavour morì ufficialmente per malaria. Ma le ricerche fatte negli ultimi decenni hanno dimostrato che c'era interesse a farlo fuori, sia da parte del re che degli Inglesi. Con lui, gli Inglesi non avrebbero avuto libertà di manovra nel Mediterraneo. Una sera Cavour andò a trovare la sua amica, Bianca Ronzani, già amante del re, relazione forse voluta proprio dal re, per poter carpire segreti di Stato, che Cavour conservava. Bevve una tisana, ma ebbe subito dei crampi allo stomaco. Fu subito curato da un dottore, non il suo, ma quello personale del re. Dai documenti dell'ambasciatore inglese a Torino, risulta che "era stato salassato come un vitello" e rilassato con tisane al lauro ceraso, da cui, si sa, viene ricavato il cianuro. Nel giro di 5 giorni, Cavour, a 50 anni, forte e lucido uomo di Stato fu fatto fuori.

Un'altra notizia, ricavata dai documenti, riguarda il re. I Savoia avevano ingenti debiti nei confronti delle Banche inglesi. Forse per questo gli Inglesi convinsero Vittorio Emanuele ad appoggiare l'impresa di Garibaldi. In cambio il re, oltre ad estendere il suo territorio, avrebbe avuto a disposizione le riserve auree del Banco di Napoli, così avrebbe saldato i debiti con gli Inglesi e avrebbe potuto disporre liberamente delle entrate delle attività economiche del Sud.

E' una questione ancora dibattuta. I ribelli del sud sono briganti o patrioti che non accettavano la sottomissione alle leggi piemontesi? Il re continuò a chiamarsi Vittorio Emanuele II, così come era conosciuto quale sovrano dello Stato di Sardegna.



domenica 14 marzo 2021

UN MISTERO DI NOME PONZIO PILATO - RELAZIONE DI GIANPAOLO ANNESE

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Introduzione di Silvia LADDOMADA 

Abbiamo parlato del governatore della Giudea, Ponzio Pilato, che aveva esattamente funzione di prefetto, con incarichi militari.

 

Questa figura ci ha interessato soprattutto per il ruolo avuto nel processo a Gesù. E' stata per noi un'occasione per guardare in modo diverso quest'uomo, e anche per capire, forse, quanto gli sia costato quel lavarsi le mani, che era un rito ebreo.

 

Voleva dire che preferiva stare fuori da quella storia e forse questo poteva essere per gli Ebrei, un'occasione per riflettere. Se Pilato se ne lavava le mani, forse dovevano pensare che stavano imboccando una strada sbagliata?

 

Per noi é stata un' utile occasione per ampliare le nostre conoscenze.

Abbiamo avuto una visione diversa da quella ufficiale. Una prospettiva, un punto di vista diverso. Un arricchimento culturale, perché la cultura procede sul dubbio: più dubitiamo, più approfondiamo. Più approfondiamo, più l'orizzonte si allarga, perché saliamo come nani sulle spalle dei giganti, che sono il nostro bagaglio culturale.

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GLI INTERROGATIVI  DI GIANPAOLO ANNESE

E’ un incontro tra religione e storia, una riflessione sulla base di libri e documenti pubblicati negli ultimi anni in materia. Un interesse che nasce, chiedo scusa per la parentesi personale, quando da piccolo assistevo alle Passio Christi organizzate dalla parrocchia san francesco e quando in chiesa durante il triduo pasquale c’era il momento della lettura della Passio: mi ha sempre colpito l’attenzione, la sensibilità che i Vangeli mostrano nei confronti di Pilato. I Vangeli sono solitamente molto duri nei confronti dei nemici di Gesù, i farisei vengono chiamati sepolcri imbiancati, i mercanti del tempio scacciati con la frusta, Giuda che finisce impiccato. A Pilato invece viene riservata una cauta prudenza, quasi un rispetto, eppure dovrebbe essere il maggiore responsabile.

Perché?                                        

Si dirà che i Vangeli sono stati scritti da evangelisti che avevano l’obiettivo di attribuire all’intero popolo ebraico la morte di Gesù e quindi scagionare i romani, ma come vedremo potrebbe esserci anche altro. Alcuni interrogativi:

1)Perché Pilato sembra non voler condannare Gesù e poi cede?

2) Davvero un governatore romano ha paura della reazione del popolo?

3) E perché il popolo di Gerusalemme doveva rivoltarsi contro Gesù dopo averlo accolto con le palme solo qualche giorno prima?

4) Pilato fu un complice, un despota, un codardo?

5) Perché Pilato viene ricordato nel Simbolo niceno, nel Credo che si recita in chiesa? “...Fu crocifisso sotto Ponzio Pilato morì e fu sepolto…”

I primi Cristiani volevano tramandare un’informazione che non doveva essere troppo esplicita e nello stesso tempo non si poteva rimuovere?

Fonti storiche

Pilato viene considerato un personaggio marginale dei Vangeli, ma è stato colui che ha detto l’ultima parola sulla morte di Gesù di Nazareth, la cui sorte decide in mezza giornata. Di Pilato abbiamo poche tracce. A parlare di lui tra gli altri sono Flavio Giuseppe, Filone di Alessandria, Tertulliano, Tacito

che definisce il cristianesimo “esecrabile superstizione, orribile e vergognosa”. Fino ad autori contemporanei come lo storico Millar con le sue riflessioni sul processo a Gesù, Aldo Schiavone autore di ‘Ponzio Pilato’ (opera pilota di questa relazione), Mario Brelich con l’Opera del tradimento, Prima dei Vangeli di Erhman, Il Regno di Emmanuele Carrere, lo scrittore russo Mikhail Bulgakov con il suo capolavoro Il Maestro e Margherita, Corrado Augias, Josè Saramago.

 Gerusalemme

Siamo nel mese di Nisan, i calcoli rimandano a un giovedì 6 aprile, manca qualche giorno alla Pasqua ebraica. Pilato è nel suo palazzo, la fortezza costruita da Erode il Grande, che sovrasta l’altipiano. Gerusalemme conta 40mila abitanti. Pilato governatore della Giudea dal 26, andava a prendere il posto di tale Valerio Grato. La Giudea era una regione abbastanza piccola, ma dal profilo religioso molto particolare: si trattava di una società teocratica, con un legame diretto tra Dio e il popolo eletto, solo Dio poteva governare il popolo di Israele. La distinzione fra un predicatore e un fuorilegge quindi era sottile.

Fino a quando vi rimane Pilato

Pilato, probabilmente di origine sannita, vi rimarrà fino al 36, fino a una sanguinosa repressione a Samaria (ne prenderà il posto tale Marcello su indicazione del legato di Siria Vitellio), quindi sei anni dopo la morte di Cristo (sull’anno ci sono dei dubbi). Non sappiamo dove fosse prima, non ci sono tracce. Era solitamente di stanza a Cesarea, ma nelle festività si spostava a Gerusalemme.

Regione occupata dai Romani

Consideriamo che si tratta di Regioni occupate dai Romani, ma l’occupazione non era per nulla accettata come altrove, il popolo d’Israele aveva stretto un patto con Dio e quindi poteva essere governata solo dalla Legge divina non umana. Non ci sono precedenti nel Mediterraneo. Questo determina un clima costantemente insurrezionale con rivolte frequenti.

Giovanni, capitolo 18, vs 1-14

Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c'era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli. Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?». Allora il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno. Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: «E' meglio che un uomo solo muoia per il popolo».

Gesù arrestato

Probabilmente i sommi sacerdoti erano riusciti a convincere le autorità romane che Gesù non era solo un problema di carattere religioso, ma la sua predicazione si era trasformata in sobillazione politica che quindi andava fermata anche per mantenere l’ordine pubblico ed evitare una sanguinosa repressione da parte dei romani. “Conviene che un solo uomo muoia per la salvezza di tutto il popolo”, dice Caifa nel Vangelo di Giovanni.

Sul monte degli Ulivi, nell’orto del Getsemani, va in scena l’arresto vero e proprio. Quando la polizia del Tempio si presenta, una spada, forse quella di Pietro, ferisce una delle guardie, Giovanni dice che si tratta del servo del sommo sacerdote. Gesù lo ferma: “Rimetti la spada nel fodero. Non devo forse io bere il calice che il Padre mi ha dato?”. Gesù è certo e convinto che nulla potrà più fermare il suo destino.


A casa di Caifa

L’arresto viene concluso, Gesù viene portato da Anna, nella casa del sommo sacerdote Caifa. È plausibile che in quella sede, in una sede non ufficiale, si sia pensato di individuare un’accusa da fare a Gesù, non ancora formale, perché erano stati i Romani a chiederlo.

Gv, capitolo 18, vs 28-32

Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest'uomo?». Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire.

Gesù in catene davanti a Pilato

L’unica accusa che poteva reggere al giudizio romano era quello di Lesa maestà, e cioè Gesù con la su predicazione e il suo comportamento intendeva, secondo l’accusa, mettersi a capo di una rivoluzione per guidare la Giudea, contro Roma. Un’accusa che a Roma viene punita secondo le regole della lex Iulia maiestatis: Gesù muore non perché si proclama figlio di Dio. Se avessero seguito questa strada non sarebbe morto perché ai Romani non interessava questa accusa, Gesù muore per lesa maestà, perché si proclama re.

Gv, capitolo 18, vs 33 - 40

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?». Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa. Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

Sei tu il re dei giudei?”, chiede Pilato. “Dici questo da te o altri te lo hanno detto?”. Ora, solitamente come nei film di polizia, l’interrogante potrebbe infuriarsi e dire: “Qui le domande le faccio io, stai al tuo posto”, e magari farlo anche frustare subito tanto per far capire chi comanda, avrebbe potuto farlo. E invece, incredibilmente, Pilato non affonda il colpo, è incuriosito, quasi, lo diciamo con assoluta prudenza introducendo l’argomento centrale di questa serata, affascinato dalla figura che ha di fronte. L’interrogatorio si trasforma dunque in dialogo. “Sei tu il re dei giudei?”. Gesù risponde: “Il mio Regno non è di questo mondo. Se lo fosse i miei sottoposti si sarebbero battuti per me, ma il mio Regno non è di qui”. Pilato a questo punto si tranquillizza, capisce che Gesù non sta mettendo in discussione l’occupazione romana. Pilato sembra davvero incuriosito da questo mondo, le parti quasi si invertono. Matteo e Marco, fa notare lo storico Schiavone, usano un termine ‘Thaumazein’ che in greco vuol dire stupirsi, ammirare sgomento, soprattutto è stupito dal fatto che si aspettava un esagitato e invece ha di fronte una persona completamente diversa.

Pilato a quel punto convoca i vertici giudei che erano davanti al palazzo e dice “Io non trovo in lui nessuna colpa”. Per uscire dall’impasse Pilato propone uno scambio di prigionieri, propone di liberare Barabba, convinto che le autorità giudaiche non avrebbero mai chiesto la liberazione di un prigioniero così inviso a Roma, una che voleva sovvertire l’ordine costituito, nemico giurato anche del potere locale. Barabba, nota l’autore di ‘Ponzio Pilato’, lo aveva trovato apposta per salvare Gesù e permettere ai sommi sacerdoti di non perdere la faccia. Da come si vede è molto improbabile che ci sia una folla a scegliere, semplicemente Pilato propone di liberare Barabba o Gesù. La folla servirà per includere nella scelta un intero popolo. Ma in Giovanni non si parla di folla, si parla solo genericamente di giudei, che comprendono probabilmente gli uomini del sinedrio e al massimo i loro servi. Parliamo quindi di una scelta avvenuta in una cerchia ristretta, non certo il coinvolgimento dell’intero popolo di Gerusalemme.

MATTEO, 27, vs 24-26

Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

Pilato si lava le mani?

Pilato chiede per tre volte: “Che cosa ha fatto dunque di male?”. Ed è a questo punto, lo racconta solo Matteo, che Pilato si lava le mani: “Io sono innocente di questo sangue, vedetevela voi”. E la folla risponde “Il suo sangue ricada su noi e i nostri figli”. Passaggio delicato, secondo molti studiosi questo gesto non è mai avvenuto, e tra l’altro è alla base dell’antisemitismo cristiano, perché con questo gesto il popolo giudeo si assume tutta la colpa dell’uccisione di Gesù, popolo deicida (perfidi giudei).

Perché non ci sarebbe mai stato questo gesto? Perché è un gesto che fa parte della tradizione ebraica (vecchio testamento, Deuteronomio, capitolo 21, versetti 1-9), mentre e la formula il suo sangue ricada su di noi…(Libro dell’Esodo, 24 vs 8) ed è difficile che un procuratore romano possa averlo fatto e che tra l’altro per la tradizione biblica si compie dopo l’uccisione della vittima non prima. Il motivo è da ricondurre al tentativo delle comunità proto-cristiane di prendere le distanze definitivamente dalla religione ebraica.

Giovanni – CAPITOLO 19, VS 1- 11

Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!». Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: «Di dove sei?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Rispose Gesù: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande».

 Pilato allora fa fustigare Gesù, pensando di infliggergli una punizione che possa essere sufficiente per i sommi sacerdoti. Ma loro rispondono: “Crocifiggilo, crocifiggilo, dice di essere il figlio di Dio, per noi deve morire”. Qui il sinedrio chiede quasi un favore ai Romani, voi che rispettate il nostro culto, dovete rispettare anche la nostra regola secondo cui chi bestemmia deve essere messo a morte. 

Si è fatto figlio di Dio, è un’espressione che turba anche Pilato. I vangeli usano un termine greco Mallon Efobethe, che vuol dire spaventatissimo. Un senso di inquietudine, la consapevolezza che stia succedendo qualcosa di grosso afferra Pilato. Rientra nel pretorio. “Di dove sei?” chiede a Gesù. Pilato sa tutto di lui, la provenienza, la sua attività. E’ chiaro che vuole sapere altro: “Da dove vengono i tuoi pensieri? Perché i tuoi nemici ti odiano?”. Cioè Pilato non parla più dei crimini commessi o delle accuse formulate, vuole sapere di Gesù. Gesù non risponde. Il prefetto incalza: “Non mi parli? Non sai che ho il poter di farti rilasciare o di crocifiggerti?”. E Gesù risponde: “Tu non avresti nessun poter se non ti fosse stato conferito dall’alto”. Qui Gesù non sta tanto minimizzando il potere di Pilato, non è una prova di forza, ma sta dicendo chiaramente che tutto quello che sta accadendo in quel momento, anche il potere di Pilato, rientra in un preciso disegno divino, del Padre che Gesù sta scegliendo liberamente di assecondare. E qui torna la frase dell’orto degli Ulivi: “Non dovrei forse bere la coppa che il padre mi ha dato?”, viene ribadita la volontà di andare fino in fondo.

La condanna a morte

Gv, 19, vs 12 -16

Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Da quel momento

Giovanni a un certo punto dice: “Da quel momento Pilato cercava di rilasciarlo”. “Se rilasci costui non sei amico di Cesare, crocifiggilo”. Posto che una denuncia delle autorità giudaiche a Roma non avrebbe avuto molti effetti, questo passaggio è strano perché era in realtà un po’ che Pilato cercava di rilasciare Gesù.

E allora qui si aprono due strade a cui ciascuno di noi è libero di credere perché purtroppo non sapremo mai la verità. La prima strada è quella più lineare. E cioè c’è un braccio di ferro in corso tra autorità romana e autorità giudaica, Pilato non vuole cedere ai capricci dei sommi sacerdoti ma neanche inimicarseli del tutto e creare turbamento dell’ordine pubblico. Il braccio di ferro continuerà anche dopo la morte di Gesù, sulla croce verrà scritto Inri, il re dei giudei, ma i sommi sacerdoti contesteranno: “Lui dice di essere il re dei giudei”, e Pilato risponde: “Quello che ho scritto, ho scritto”. Oppure il governatore autorizzò la deposizione dalla croce da subito, mentre i sommi sacerdoti avevano chiesto dopo il Sabato. Un Pilato quindi che gestisce in maniera politico-diplomatica un caso spinoso.

La seconda strada

E poi c’è una seconda strada. Fino ad oggi poco battuta. Eppure altrettanto fondata se si esaminano alla lettera i testi evangelici. Secondo lo storico Schiavone in questo passaggio di Giovanni manca un pezzo, qualcosa di profondo. Qualcosa che è stato volutamente nascosto, ma che ai primi cristiani doveva essere chiaro perché nel testo evangelico non sfuggono alcuni riferimenti.

Gesù non ha mai fatto niente nel corso dei giorni della sua passione per ribaltare l’esito a suo favore, sin dall’arresto e la sua comparsa davanti ai sommi sacerdoti. Bene secondo questa tesi a un certo punto, “da quel momento” dice Giovanni, Pilato collega tutti gli elementi, valutando l’atteggiamento del prigioniero, è attratto da questa personalità. Capisce che Gesù voleva morire. Pilato cioè decide di assecondare il misterioso disegno, decide di accompagnare Gesù verso il suo obiettivo. Schiavone arriva a parlare quasi di un patto tra i due che l’evangelista intuisce, ma non se la sente di esplicitare.

Resta appunto questo alone di non detto intorno alla figura di Pilato. Come se la prima comunità cristiana fosse stata custode di un segreto su Pilato che non si poteva esplicitare, ma nemmeno rimuovere. Su che base, per esempio, uno scrittore autorevolissimo come Tertulliano definisce Pilato ‘Cristiano nel cuore”, pro sua conscientia cristianus? Sapeva qualcosa che noi non sappiamo? Probabilmente, ci aiuta a capire lo storico, si trattava di una figura che si arrende alla profezia di Gesù su sé stesso, l’inevitabilità della morte del prigioniero. Come il centurione davanti alla croce. Parlare di conversione è esagerato, si può dire però che Pilato possa essere stato toccato da Pilato. La chiesa etiope ortodossa sostiene che Pilato si convertì al Cristianesimo e morì da Martire, ne celebra la ricorrenza il 25 giugno. Bulgakov lo immagina su un raggio di luna che dopo la sua morte passeggia al fianco di Gesù.

Questa riflessione da parte degli evangelisti non poteva essere fatta per due ragioni:

  1. Avrebbe compromesso il discorso molto importante in quel momento di individuare i responsabili della morte di Gesù: vale a dire i vertici del potere giudaico, addirittura l’intero popolo giudaico.

  2. Perché avrebbe potuto rompere, fa notare Schiavone, quel delicato equilibrio tra libero arbitrio e predestinazione: Gesù aveva deciso una morte in piena libertà, Pilato aveva deciso di condannare Gesù in piena libertà, non c’era un copione prestabilito, un disegno ineluttabile. L’uomo non è una marionetta in mano a a Dio. Non ci dovevano essere ambiguità su questo. “Per non sminuire la portata di un evento senza precedenti: cioè la morte del figlio di Dio fattosi uomo per salvare l’umanità”.

Quella traccia è rimasta per esempio nella riformulazione costantinopolitana del Simbolo niceno nel IV secolo: “Credo in un solo Dio padre onnipotente, creatore del cielo e della terra di tutte le cose visibili e invisibili”. Fu aggiunto “fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato”. Un modo per collocare storicamente l’evento della crocifissione? Sarebbe stato sufficiente citare a quel punto l’imperatore Tiberio. E invece si stabilisce Pilato. “Perché - e concludo con le parole di Aldo Schiavone - in quella scelta c’era l’eco, ormai lontana, di un ricordo, di un conto da chiudere, di una verità da non perdere del tutto. Quei nomi – Gesù e Ponzio Pilato – dovevano stare insieme come in quella mattina in cui si consumò l’indicibile. Per sempre”.