30
ANNI DALLA CADUTA DEL MURO DI BERLINO (1989-2019)
Relatrice: Silvia Laddomada
Contesto storico
Nel
febbraio 1945, a Yalta, in Crimea, si incontrarono i capi politici
dei tre principali paesi alleati: Roosevelt per gli Stati Uniti,
Churchill per il Regno Unito, Stalin per la Russia.
In
questa Conferenza essi presero delle decisioni politico-diplomatiche
che segnarono l’inizio della guerra fredda e della divisione
dell’Europa in blocchi contrapposti. Questo incontro fu l’ultimo
momento di reale collaborazione tra le tre grandi potenze vincitrici
della seconda guerra mondiale.
Nella
successiva Conferenza di Potsdam, nell’agosto 45, tra i trepaesi non
c’era più un buon rapporto, per gli Stati Uniti c’era Truman,
per il Regno Unito Attlee, per la Russia Stalin.
Tra
le tante decisioni prese, ci soffermiamo sulla spartizione
dell’Europa tra le due super potenze: Stati Uniti e Russia.
Immaginiamo
una linea che parte da Stettino sul Baltico e arriva a Trieste
sull’Adriatico.
A
est i paesi socialisti, sotto il controllo di Mosca, a ovest i paesi
capitalisti, legati agli Stati Uniti.
Gli
Stati Uniti predisposero un piano di aiuti economici che puntava a
ricostruire gli Stati distrutti dalla guerra. Il piano Marshall.
Piano che Stalin non accettò per i paesi dell’Est.
Inoltre
le nazioni del blocco occidentale furono unite in un’alleanza
armata, il Patto Atlantico, che si concretizzò nella fondazione
della Nato, un’organizzazione militare che impegnava le potenze
dell’Ovest a combattere con gli Stati Uniti, in caso di conflitti
europei.
Nel
1955 la Russia rispose con il Patto di Varsavia, che prevedeva
l’intervento dei paesi dell’Est al fianco della Russia, in caso
di conflitti.
“Una
cortina di ferro è calata sul continente”, disse Churchill.
Così
nell’Europa occidentale si diffondeva l’ideologia americana, che
si basava sul principio di libertà, democrazia, libera iniziativa in
campo economico.
Nell’Europa
orientale si affermava l’ideologia sovietica, che si basava
sull’idea di uguaglianza, ma si concretizzava su un livello
di vita tra i più bassi d’Europa, sul controllo statale
dell’economia, sul partito unico al governo.
I
paesi dell’Est non entrarono nell’Unione Sovietica, ma passarono
alle sue dipendenze, divennero “Stati satelliti” dell’Unione
sovietica, soggetti in molti casi al controllo diretto di Mosca.
Nel
1949 un altro evento incrinò i rapporti tra gli Stati Uniti e
Russia. I sovietici avevano realizzato una bomba atomica, fatta
esplodere in Kazakistan, Asia Centrale, a est del mar Caspio.
Ora
entrambe le due potenze del mondo possedevano la bomba atomica,
(gli Stati Uniti l’avevano sganciata su Hiroscima e Nagasaki, per
piegare la resistenza giapponese, alla fine del secondo conflitto).
Un’arma
di sterminio che può distruggere l’umanità.
La
contrapposizione tra i due blocchi si trasformò in guerra fredda, si
rischiava la terza guerra mondiale, ma con effetti devastanti. Una
guerra che non esplose, solo grazie all’ “equilibrio del
terrore”. Esplosero guerre lontane, altre nelle terre
colonizzate, ma le due potenze, quando stavano sull’orlo
dell’abisso, si ritiravano.
Dopo
la morte di Stalin (1953) si avviò in Russia un processo di
distensione, il disgelo, si parlò di possibile coesistenza pacifica
tra le due super potenze. Era l’epoca di Krusciov. Processo di
distensione a cui contribuì il papa Giovanni 23° (noto il suo
intervento nella crisi di Cuba, che allontanò il pericolo della 3°
guerra mondiale e nucleare).
Il
governo dei Kennedy, in America, mirò a consolidare la coesistenza
pacifica con la Russia, a far crollare la frontiera del terrore,
mirarono…tentarono… Ma i Kennedy furono assassinati, e non da un semplice balordo.
Intanto
nel 1968, con la grande contestazione globale, aumentarono le rivolte
dei paesi al di là delle cortina di ferro.
Ricordiamo
l’insurrezione della Polonia del 1980, col sindacato cattolico
democratico di Solidarnosc, con Lech Walesa, sostenuto dalla Chiesa
polacca e dal papa Giovanni Paolo II.
In
Russia l’avvento di Korbaciov, con la sua “perestroica“ , che avviò
il processo di democratizzazione e determinò il crollo dei regimi
comunisti in tutti i paesi dell’Est, fino a quando nel 1991 il Partito Comunista si sciolse e l’Unione Sovietica si trasformò in
Repubblica russa.
Ma
cosa avvenne in Germania dopo la guerra?
Nella
Conferenza di Yalta (1945), quella linea che aveva diviso l’Europa
in due blocchi, divideva in due la Germania, volutamente. Ancora
peggio la Germania venne divisa in quattro zone, controllate dai
quattro eserciti alleati: Russia, Stati Uniti, Gran Bretagna e
Francia. Come se non bastasse, anche la capitale Berlino, che nella
separazione si ritrovava nel cuore dell’Europa dell’Est, venne
divisa in quattro settori, sempre sotto l’influenza delle quattro
potenze.
Nel
giro di pochi anni, nel 1948, le tre zone occupate dagli occidentali
furono unificate; si ricostituì uno stato tedesco con capitale Bonn.
Nel
1949 la divisione della Germania venne formalizzata; Repubblica Federale Tedesca, governata dal cristiano-democratico Konrad
Adenauer e Repubblica Democratica Tedesca, presieduta dallo
stalinista Walter Ulbrich.
Stessa
sorte ebbe Berlino. Anch’essa divisa in due zone: quella
occidentale controllata dagli Stati Uniti, quella orientale
controllata dalla Russia.
Berlino
ovest serviva agli Usa per provocare l’austera Berlino est. Ne
avevano fatto una vetrina del mondo capitalista, nel cuore di uno
stato socialista, per affascinare i non comunisti e per infastidire
coloro che invece nel comunismo credevano.
Passare
da Berlino Est a Berlino Ovest era relativamente facile, tanto che in
15 anni 3 milioni di cittadini avevano attraversato la frontiera tra
i due blocchi, semplicemente “ prendendo la metropolitana”,
lamentava Krusciov. Nel 1958 Krusciov pretese il ritiro degli Stati
Uniti dal settore Ovest.
Non
avendo ottenuto nulla, il 12 agosto 1961 ordinò di costruire un muro
di divisione tra le due parti della città.
Cosa
avvenne la notte tra il 12 e il 13 agosto?
In
una sola notte fu realizzata una barriera di oltre 40 Km di filo
spinato, lungo la linea di confine delle due porzioni della città.
I
berlinesi dell’Ovest se ne accorsero al risveglio; stentarono a
credere ai loro occhi. Ognuno di loro aveva qualche parente
dall’altra parte. Immaginiamo questa città.
Nella
zona A negozi pieni di ogni genere di beni di consumo, vetrine
scintillanti di luci, stampa senza censura, radio libere.
Nella
zona B illuminazione scarsa, negozi vuoti, chi esprime un parere
rischia di essere arrestato.
Una
barriera che tagliava in due una comunità, talvolta spezzando vite e
quartieri.
Nei
giorni seguenti, il filo spinato fu sostituito da lastre di cemento
armato con piani arrotondati, così nessuno poteva scalarlo. Fu
realizzato un muro alto 3 metri e 60 e lungo 155 Km. Se lungo il
confine sorgeva una casa, vennero murate le finestre che si
affacciavano su Berlino ovest, pazienza per chi abitava.
Nel
1962 fu poi costruito un secondo giro di muro, creando un’ampia
striscia all’interno della frontiera, rafforzata da uno sbarramento
di filo spinato elettrificato e collegato agli allarmi. Fra i due
muri, un terreno chiodato, la terra di nessuno, più facile da
controllare. Furono inviati 25.000 poliziotti a sorvegliare giorno e
notte il muro, con cani da guardia, pronti a sparare a vista a
chiunque cercasse di oltrepassarlo.
Lo
chiamarono il “muro della vergogna”. Un muro che suscitò lo
sdegno dell’opinione pubblica; esso divenne il simbolo della
divisione dell’Europa e del mondo in due blocchi contrapposti. Il
simbolo anche del clima di oppressione che si respirava nei paesi del
blocco orientale.
In
nome della coesistenza pacifica, il presidente americano Kennedy
condannò moralmente l’iniziativa, ma si evitò, ancora una volta,
una terza guerra mondiale.
Nei
decenni successivi, abbiamo detto che, come un effetto domino,
cominciarono a cadere, nei paesi satelliti, i regimi comunisti.
Nella
Germania la svolta si ebbe nel 1989.
A
partire dall’autunno, in Germania orientale iniziarono le prime
proteste popolari contro il governo comunista. All’inizio questa
protesta si espresse con un esodo di massa. Decine di migliaia di
tedeschi avevano scelto, come si disse allora “di votare con i
piedi”, fuggendo in Germania ovest attraverso l’Ungheria. Così
si arrivò al 9 novembre 1989.
Il
muro fu preso d’assalto e abbattuto in più punti da un’enorme
folla in festa, sotto lo sguardo impotente dei Vopos, la polizia
della Germania est.
I
berlinesi dell’Est prima e dell’Ovest dopo, si accalcarono ai due
lati del muro, con mazze e picconi i cittadini iniziarono ad aprire
dei varchi in quella barriera ormai inutile e innocua. I cittadini
finalmente poterono transitare e incontrarsi senza controlli. Fu una
grande festa popolare.
In
pochi giorni del simbolo di 40 anni di guerra fredda non restarono
che macerie.
Anche
grandi artisti furono colpiti da un evento così epocale, e accorsero
per celebrarlo. Motislav Rostropovich, uno dei più grandi
violoncellisti della Storia della musica, improvvisò un concerto, a
ridosso del muro, proprio nei giorni della sua demolizione.
Nel
1990 fu iniziato il processo di riunificazione delle due Germanie e a
Capodanno del 2000 Berlino tornò ad essere la capitale della
Germania.
Fu
compito, poi, dell’Unione Europea programmare gli aiuti per
risollevare l’economia dei paesi satelliti.
Nel
1991, in Russia, un gruppo di dirigenti del partito tentò di
effettuare un colpo di stato, ma Boris Eltsin salvò la situazione
con l’aiuto dell’esercito, poi destituì Gorbaciov e mise al
bando il Partito Comunista.
L’unificazione
di Berlino non è stata facile, ci sono stati anni di povertà
visibile, con una forte percentuale di disoccupazione; per molto
tempo il reddito medio di Berlino è stato molto più basso di quello
del resto della Germania. Sono stati fatti passi da gigante per
coprire le distanze. Ormai da un decennio Berlino è entrata nel
circuito dei grandi flussi turistici, quasi in competizione con
Londra e Parigi. E’ una super metropoli. La cicatrice non c’è
più, la crisi è alle spalle.
Sull’unico
pezzo di muro rimasto in piedi, i migliori graffitari d’Europa
lasciano le loro creazioni, fino a farne un museo a cielo aperto. La
landa desolata al confine tra i due mondi è stata sostituita dai
grattacieli vetro acciaio, che portano la firma di Renzo Piano. Il
rimescolamento della gente è totale, ma per molti il tempo non è
passato.
C’è
un muro che nessuno dimentica, ed è il “Muro nella testa”, la
cesura, spesso psicologica, che separa gli ex tedeschi orientali e i
cittadini dell’Ovest.
Un
giornalista brillante dell’ex repubblica democratica, Alexander
Osang, così ha spiegato : “Il mio disagio ha più a che fare con
quello che è successo dopo la caduta del Muro, che non la mia vita
nell’Est. Mi sento come se fossi da 30 anni in un programma di
rieducazione”.
Film,
canzoni, libri, hanno raccontato incubi e speranze. Diceva Totò:
“Meglio andare in galera all’Ovest che farsi fucilare all’Est”.
Molti
i commenti a distanza di decenni. Chi ha buttato giù il muro? La
gente nelle strade, non i politici.
Cadde
perché il sistema che lo aveva alzato, era contro la natura umana, e
non poteva prevalere.
Com’era
vivere in Germania est?
Era
un paese chiuso, dove le persone erano controllate dalla culla alla
bara.
Se
il muro è crollato, è perché era crollata, già prima, l’ideologia
che lo aveva eretto.