Il Mediterraneo, crocevia di popoli con storie e civiltà diverse fin
dal tempo delle antiche civiltà fluviali, è oggi un ponte di
transito di popolazioni del Continente africano, ma anche asiatico,
che approdano sulle coste italiane e spagnole, e sono dirette
altrove.
Arrivano a migliaia, stipati su deboli e insicure imbarcazioni di
fortuna; sono giovani, uomini, donne, a volte c’è una notevole
quantità di minorenni. Gente che ha trovato a fatica i soldi per il
viaggio ( che è più costoso, se irregolare e clandestino ) e ha il
coraggio di affrontare il mare, mettendo a rischio la propria vita.
Sono migranti (stanno lasciando volontariamente il paese per cercare
lavoro e migliori condizioni di vita), sono rifugiati (sono
perseguitati per motivi di razza, religione, politica), sono profughi
(lasciano il proprio paese a causa di guerra, catastrofi naturali).
Oggi sono circa 120 milioni le persone che vivono fuori dal proprio
paese di origine, per questo la nostra epoca è stata definita “età
delle migrazioni”.
All’inizio del 1900 gli Europei emigravano verso altri continenti,
gli italiani emigravano versi i paesi industrializzati europei o
verso il triangolo industriale italiano: Milano, Torino, Genova.
Negli ultimi 30 anni siamo stati invasi dagli immigrati. Ricordiamo
ciò che avvenne nell’agosto del 1991, quando nel porto di
Brindisi, nonostante il divieto delle autorità italiane, arrivò la
nave Vlora, carica di 10.000 albanesi che, attratti dalle immagini
televisive, si illudevano che l’Italia fosse un paese ricco e
pacifico. Da allora sono arrivati in Italia tanti migranti, dall’Est
Europa e ora in modo massiccio dall’Africa e dall’Asia.
Il loro arrivo crea tensioni, difficoltà perché spesso nelle
periferie delle grandi città, gli immigrati vivono in condizioni di
povertà, di degrado, di illegalità. E se trovano un’occupazione,
lo vediamo,
svolgono lavori poco qualificati, faticosi, precari, che vengono
rifiutati dai cittadini locali. Spesso danno vita ad attività prima
inesistenti, come l’assistenza domestica, le colf, o l’assistenza
agli anziani, le badanti.
L’accoglienza è un atto di umana solidarietà ( la convenzione SAR
del 1979 dell’Unione Europea impone sempre e comunque, il soccorso
e l’accompagnamento in luogo sicuro), ma spesso diventa difficile
l’osservanza delle norme che regolano una civile convivenza, per
cui l’integrazione è sempre più lontana.
Anna Presciutti ha fatto una ricerca di informazioni utili e
attuali.
Chi entra in Italia in modo regolare deve avere il passaporto, o un
documento di riconoscimento, il visto d’ingresso o per 3 mesi o di
durata più lunga. Il mancato rispetto di queste procedure, che
spettano al Paese in cui lo straniero è entrato, pone l’immigrato
nelle condizioni di irregolare, di clandestino e ne comporta
l’espulsione.
Con fondi europei vengono poi finanziati i progetti, di soggetti
pubblici e privati, per favorire l’integrazione degli stranieri.
Chi non ha il permesso di soggiorno, viene trattenuto in centri di
detenzione per irregolari e poi riaccompagnato al Paese d’origine,
a spese dell’Europa.
Da questi centri molti scappano via, perché non vogliono farsi
identificare o perché hanno legami con amici o parenti in altro
Paese.
Nel 2015, in Italia, 1 irregolare su 2 è stato rimpatriato ( a
carico dello Stato 5 biglietti aereo per ogni clandestino). In
previsione degli sbarchi, nel 1990, 12 paesi membri dell’Unione
Europea, hanno firmato la Convenzione di Dublino ( entrata in vigore
nel settembre del 1997), per garantire ai rifugiati un’adeguata
protezione. In base a questo trattato, i cittadini extracomunitari
possono far richiesta di asilo solo in un paese, membro dell’Unione
Europea, di solito nel primo in cui arrivano.
Qual è il limite del Trattato di
Dublino?
Negli ultimi anni i flussi migratori hanno raggiunto livelli
inaspettati e non prevedibili negli anni 90. La regola sulla quale si
è aperto il confronto - e che molti considerano anacronistica - è
quella dell’obbligo di registrarsi nel Paese di arrivo, dove il
profugo è costretto a chiedere lo status di rifugiato, senza poter
proseguire per un altro Paese membro, anche se lo desidera. Questa
regola ha finito per congestionare i centri di identificazione dei
Paesi più facili da raggiungere via mare o via terra, come l'Italia
e l'Ungheria, e per creare una situazione paradossale che vede da un
parte profughi che vorrebbero raggiungere altri Paesi, come la
Germania, il Regno Unito o la Svezia, ma non possono; dall'altra,
Paesi che non riescono ad accogliere e gestire i migranti in arrivo
ma sono costretti a trattenerli, registrarli e ospitarli.
La Convenzione sulla accoglienza firmata a Dublino, nel tempo è
stata criticata, per avere regole eccessivamente larghe e vaghe e per
essere fondamentalmente ingiusta verso i paesi “di frontiera”,
per via dell’obbligo dei rifugiati di identificarsi e rimanere nel
primo paese dell’Unione in cui mettono piede. Le norme di Dublino
sono “vecchie”, sono state concepite immaginando flussi regolari
di rifugiati e una sostanziale complicità tra i paesi dell’Unione;
in questo modo i rifugiati che avevano legami familiari sarebbero
stati trasferiti nei paesi competenti e quelli senza particolari
legami sarebbero stati “spontaneamente” accolti nei vari paesi
europei di frontiera.
Nel tempo, e oggi in misura maggiore, moltissimi rifugiati entrano
nell’Unione Europea illegalmente, senza documenti e cercando di non
farsi identificare nel primo paese in cui sbarcano, perché in genere
è meno ricco dei paesi dell’Europa centrale e settentrionale, dove
spesso gli stranieri sono diretti e dove vogliono chiedere asilo.
Per migliorare il funzionamento delle norme di Dublino, Juncker ha
chiesto di distribuire in vari paesi dell’Unione, che dovranno
ospitarli e gestire le loro richieste, i 120 mila richiedenti asilo,
che oggi si trovano nei paesi di frontiera: Grecia, Italia, Ungheria.
Il Viminale ha lanciato un nuovo piano per accogliere i migranti:
coinvolgere le Regioni, creando tavoli di coordinamento tra i vari
sindaci e cercando di dividere in modo migliore i rifugiati in tutti
i Comuni. Secondo l’accordo Viminale-Anci nei Comuni fino a 2000
abitanti dovrebbero essere ospitati 6 migranti; nei Comuni che hanno
più di 2000 abitanti dovrebbero essere ospitati 4 migranti per ogni
mille abitanti. Attualmente sono quasi 2900 i Comuni che hanno deciso
di aprire le porte dell’accoglienza, su oltre 8000 totali.
Come si gestisce la prima emergenza?
Nei Centri di primo soccorso, i migranti ricevono le prime cure
mediche necessarie, vengono fotosegnalati, possono chiedere la
protezione internazionale. Se sono stranieri giunti in modo
irregolare, sono trattenuti nei centri di identificazione ed
espulsione. Sulle nostre coste arrivano migranti eritrei, nigeriani,
somali, sudanesi e siriani. La maggioranza di loro è presente in
Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Veneto. Sono impiegati nel settore
dei servizi alla persona, degli alberghi e ristoranti, delle
costruzioni, dell’agricoltura, dell’industria e del trasporto.
Acquisita la cittadinanza, i migranti non sono un peso per l’Italia,
poiché il bilancio tra tasse pagate dagli immigranti e spesa
pubblica per l’immigrazione è in attivo di quasi 4 miliardi di
euro. Ci sono poi dei pregiudizi da sfatare: “gli immigrati ci
rubano il lavoro”; no, forse sono una risorsa, in un’Europa che
invecchia, l’aumento di immigrati compensa la riduzione della
popolazione in età lavorativa. Gli stranieri, inoltre, non riducono
l’occupazione degli italiani, ma occupano progressivamente le
posizioni meno qualificate abbandonate dagli autoctoni, soprattutto
nei settori in cui il lavoro è prevalentemente manuale, più
pesante, con remunerazione modesta e con contratti non stabili.
"Li ospitiamo negli alberghi e gli diamo 35 euro al giorno?”
I Centri di accoglienza straordinaria sono strutture temporanee; già
a partire dal 2014, in considerazione dell’aumento del flusso
migratorio, le prefetture, le Regioni, gli Enti locali cercano
ulteriori posti di accoglienza nei singoli territori regionali, e
quando non li trovano si rivolgono anche a strutture alberghiere. Il
costo medio per l’accoglienza di un richiedente asilo o rifugiato è
di 35 euro al giorno, che non finiscono in tasca ai migranti, ma
vengono erogati agli Enti gestori dei centri e servono a coprire le
spese di gestione e manutenzione, ma anche a pagare lo stipendio
degli operatori che ci lavorano. Della somma complessiva solo 2,5
euro in media, il cosiddetto “pocket money” è la cifra che viene
data ai migranti per le piccole spese quotidiane ( dalle ricariche
telefoniche alle sigarette). Questi euro non sono soldi gestiti dal
governo italiano, sono soldi di un Fondo speciale europeo( ogni
europeo devolve, tramite le tasse, 2 euro all’anno a questo Fondo),
che l’Europa stanzia, giornalmente, per accogliere i richiedenti
asilo, ripartendoli tra i Paesi membri. L’Italia è al secondo
posto in termini di remunerazione.
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