Relazione di Silvia Laddomada
L’emigrazione è un fenomeno sociale, antico quanto l’uomo. Già
nella preistoria, quando si viveva nelle caverne ( 2 milioni di anni
fa ), gli esseri umani non ebbero sedi fisse. Vivendo di caccia, di
pesca e di raccolta di frutti selvatici, essi si spostavano
continuamente per procurarsi il cibo. Nelle zone in cui si diffuse
l’agricoltura, la vita e le abitudini di uomini e donne cambiarono,
costruirono case stabili, di pietra o argilla, divennero sedentari,
molti si stabilirono lungo i fiumi, utili per l’irrigazione dei
terreni e seppero organizzarsi in classi sociali, prima nei villaggi,
poi nelle città. Ricordiamo le grandi civiltà fluviali sviluppatesi
in Egitto (Nilo) e in Mesopotamia (Tigri, Eufrate) oggi
corrispondente all’Iraq, a partire dal 3000 a.C.
Ma ci furono popoli di pastori e allevatori che spostandosi verso le
steppe rimasero nomadi, questi vivevano nelle tende, avevano un
bagaglio scarso di oggetti personali, non conoscevano la scrittura.
Da parte dei sedentari, il nomade era il “diverso”, l’incivile,
spesso disprezzato e odiato, sentimenti che i nomadi probabilmente
ricambiavano.
Nel 2000 a.C. questi pastori nomadi diedero vita a serie di ondate
migratorie, la più massiccia fu quella dei popoli dell’Asia
Centrale e della Persia Meridionale, i quali cominciarono a spingersi
a raggiera verso ovest e verso sud in gruppi numerosi. Al termine
delle loro migrazioni essi occupavano un territorio vasto, esteso
dall’India fino all’Europa.
Da loro deriva il nome di indoeuropee, dato sia alle popolazioni sia
alle lingue da loro parlate, tutte discendenti da una stessa antica
lingua, a noi sconosciuta.
Le migrazioni indoeuropee furono un avvenimento di grande importanza,
che produsse scontri tra i popoli, ma anche mescolanze e fusioni, e
favorì lo scambio fra culture diverse.
Nel 1200 a.C. parte un’altra ondata migratoria dall’Oriente, i
semiti (famosi gli Ebrei, i Fenici).
Tra i popoli indoeuropei un posto di prestigio spetterà ai Micenei (
o Achei, come li chiamerà Omero, cantando le loro imprese nei suoi
poemi, Iliade e Odissea) da cui discenderà l’interessante civiltà
greca. Ovunque giunsero, i Micenei (greci) lasciarono l’impronta
della loro civiltà.
Nel 1100 a.C. un’ondata migratoria di Dori invase la Grecia. Cosa potevano
fare i Greci? Cercando salvezza dagli invasori, cercando terre meno
povere da coltivare, emigrarono verso le isole del Mare Egeo, o sulle
coste dell’Asia Minore, come profughi, ripopolando alcune loro
città o fondando nuove piccole città.
Fra l’8° e 6° secolo, un’ondata migratoria si abbatte
sull’Italia meridionale, arrivano contadini poveri, minacciati
dalla fame e dalla servitù per debiti, mercanti in cerca di fortuna,
qualche potente sconfitto nelle lotte frequenti e costretto alla
fuga. Si emigrava anche perché all’aumento della popolazione non
corrispondeva, diciamo, un benessere individuale.
I territori dell’Italia meridionale in cui sorgono le città-colonie
greche prendono il nome di Magna Grecia, qui le comunità di
emigranti mantengono intatte le usanze della madrepatria: le
strutture delle città, i templi, l’arte, la religione, la forma di
governo. Se ci sono state difficoltà con gli indigeni, cioè gli
abitanti del posto, si è giunti poi ad una serena e reciproca
convivenza e integrazione. ( Ci sono degli studi a questo proposito
fatti dal prof. Gert-Jan
Burges relativi al territorio della
nostra Amastuola).
Nella città greca di Atene e nelle colonie dell’Italia meridionale
hanno origine conoscenze, modi di pensare, comportamenti sociali e
politici che sono alla radice di alcuni aspetti della nostra vita di
oggi.
Nel 4°-3° secolo i Celti, presenti al nord Europa si espandono
verso l’Italia, ( i Galli per i Romani).
In Italia verso il 1000 a.C. abbiamo numerosi popoli, poi sottomessi
da Roma che poi sconfisse Cartagine e creò la prima provincia
romana d’Africa. Poi Roma crea un vasto Impero, dalla Spagna
all’Asia Minore. La mescolanza dei popoli trasformò lo stato
romano, cambiarono usanze e mentalità; soprattutto l’influenza
della cultura greca fu notevole, anche se molti la disapprovavano,
perché contraria ai virtuosi costumi degli antichi Romani.
Ma grazie ai valori della democrazia greca, si giunge a Roma alla
parità dei diritti tra patrizi e plebei, agli ordinamenti
repubblicani, messi in crisi dalla guerre civili e degenerati
nell’assolutismo
di Giulio Cesare fino alla formazione dell’Impero, che portò
all’imposizione della lingua, cultura e politica sui popoli
sottomessi.
Ma al momento della massima espansione, le frontiere sembravano poco
sicure, bisognava rinforzare i confini contro il pericolo di attacchi
e aggressioni. Per Roma costituivano una minaccia i popoli nomadi o
seminomadi che vivevano verso il Danubio. I Romani li chiamavano
barbari, che in greco significa stranieri o inferiori. Per i Romani
erano barbari quei popoli che vivevano oltre i confini, considerati
non solo stranieri, ma anche rozzi e incivili, in quanto estranei
alla civiltà romana. Questi popoli verso il 400 d.C. cominciarono a
spostarsi in massa, lunghe file di carri con donne, vecchi e bambini
avanzarono verso i confini di Roma che non poté respingerli, così
ebbero inizio le invasioni barbariche. Cosa spingeva questi popoli a
emigrare?
La fame, la miseria, le guerre interne, arrivarono gli Unni ( Attila), i Visigoti, i Vandali, gli Ostrogoti. Essi invasero l’Impero quando ormai era in decadenza. Non erano incivili, erano utili, erano una soluzione, si formarono regni romano-barbari e si arrivò allo scontro, ma anche all’integrazione, come con i Longobardi e poi con i Franchi di Carlo Magno nell’800, che aprì le scuole per diffondere l’istruzione e dette origine alla vita nei castelli feudali. E poi arrivarono i Bizantini, gli Arabi con la religione islamica. Sono emigranti, forse conquistatori, comunque pericolosi pirati. La civiltà però si evolve, gli Arabi appresero le tradizioni culturali del Mediterraneo, vi aggiunsero il loro contributo e le diffusero nel mondo (noto è il sistema di numerazione, 1,2,3 che gli Arabi appresero dall’India). E poi Vichinghi, provenienti dal nord Europa, chiamati notoriamente i Normanni, che
La fame, la miseria, le guerre interne, arrivarono gli Unni ( Attila), i Visigoti, i Vandali, gli Ostrogoti. Essi invasero l’Impero quando ormai era in decadenza. Non erano incivili, erano utili, erano una soluzione, si formarono regni romano-barbari e si arrivò allo scontro, ma anche all’integrazione, come con i Longobardi e poi con i Franchi di Carlo Magno nell’800, che aprì le scuole per diffondere l’istruzione e dette origine alla vita nei castelli feudali. E poi arrivarono i Bizantini, gli Arabi con la religione islamica. Sono emigranti, forse conquistatori, comunque pericolosi pirati. La civiltà però si evolve, gli Arabi appresero le tradizioni culturali del Mediterraneo, vi aggiunsero il loro contributo e le diffusero nel mondo (noto è il sistema di numerazione, 1,2,3 che gli Arabi appresero dall’India). E poi Vichinghi, provenienti dal nord Europa, chiamati notoriamente i Normanni, che
fondarono in Sicilia un nuovo regno, mostrandosi tolleranti e
rispettosi verso Arabi, Bizantini, Longobardi.
Dopo i Normanni gli Svevi (matrimonio tra Costanza, normanna, e
Enrico VI svevo) che portarono con Federico II alla formazione del
regno di Sicilia e Italia meridionale, e culturalmente alla Scuola
Siciliana, che promosse tante culture e civiltà. E poi i francesi
Angioini, “barbari” chiamati dal papa, e poi gli Aragonesi
spagnoli, imparentati con gli Svevi.
E poi il dominio spagnolo nel 1600, con la crisi economica e dei
costumi che ne conseguì, ( Promessi Sposi), quello di Napoleone
alla fine del 1700, allorché gli italiani erano sostenitori delle
idee della rivoluzione francese e formarono le Repubbliche Giacobine,
si adottò il tricolore verde, bianco, rosso. I nostri patrioti
pagarono questo entusiasmo spesso con la morte. Il Tricolore che fu
anche la bandiera dei patrioti italiani durante il Risorgimento. Il
poeta milanese Giovanni Berchet scrisse: “il verde la speme
tant’anni pasciuta, il rosso la gioia di averla compiuta, il bianco
la fede fraterna d’amor”. Napoleone Imperatore ci ha lasciato il
Codice, una raccolta di leggi che servì da modello a tutti i codici
successivi, anche in altri paesi del mondo; la riforma scolastica,
con introduzione del Liceo, dell’Università, del Politecnico,
della Scuola Militare.
Dopo il Congresso di Vienna ( 1815 ) l’Italia passa sotto l’Austria
a Nord e sotto i Borboni di Spagna a Sud. L’Italia con le guerre
di indipendenza raggiunge l’unità.
Ma alla fine del 1800 e inizio 1900 anche gli italiani furono
costretti ad emigrare. La grande depressione economica che investì
l’Europa portò 21 milioni di europei al di là dell’Oceano,
verso gli Stati Uniti, il Canada, l’America latina, l’ Australia.
Un flusso ininterrotto di povera gente che si imbarcava mossa dalla
speranza di trovare altrove condizioni di vita migliore che in
Patria, con grandi difficoltà ma con tanta voglia di lavorare ed
integrarsi.
Le conquiste della Libia nell’età coloniale fece sperare che
questa terra potesse accogliere migliaia di contadini, costretti ad
emigrare in America.
Poi sono giunte le guerre mondiali, e sulle macerie delle guerre si é
incominciata la ricostruzione. In Italia la base delle entrate era
un’economia agricola, le grandi città industriali erano poche e
concentrate al nord: l’antico triangolo industriale Milano, Torino,
Genova.
Poi prese il via uno sviluppo industriale che fece balzare l’Italia al 2° posto in Europa, il famoso boom economico che si verificò tra il 1953 e il 1973. Molto influì la creazione della Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio). Ma alla crescita del Centro Nord, industrializzato fece da contraltare il crollo del Sud contadino, a causa di una errata programmazione dello Stato. Così i contadini meridionali emigrarono verso le industrie del Nord, 9 milioni di italiani si spostarono tra il 1955 e il 1963. Torino divenne la 3^ città meridionale dopo Napoli e Salerno. Nelle città del Nord, poco disposte ad accogliere i nuovi arrivati, i giovani immigrati vissero un disagio mai provato, anche la gestualità
Poi prese il via uno sviluppo industriale che fece balzare l’Italia al 2° posto in Europa, il famoso boom economico che si verificò tra il 1953 e il 1973. Molto influì la creazione della Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio). Ma alla crescita del Centro Nord, industrializzato fece da contraltare il crollo del Sud contadino, a causa di una errata programmazione dello Stato. Così i contadini meridionali emigrarono verso le industrie del Nord, 9 milioni di italiani si spostarono tra il 1955 e il 1963. Torino divenne la 3^ città meridionale dopo Napoli e Salerno. Nelle città del Nord, poco disposte ad accogliere i nuovi arrivati, i giovani immigrati vissero un disagio mai provato, anche la gestualità
del comportamento distingueva un contadino da un operaio. Molti
dialetti veloci e taglienti, erano incomprensibili.
Le città erano impreparate ad accoglierli, mancavano alloggi a buon mercato, i residenti erano ostili verso i nuovi venuti e si rifiutavano di affittare le loro case. A Torino la gente del Meridione alloggiava negli scantinati e negli edifici bombardati dieci anni prima e destinati alla demolizione. A Milano sorsero “le coree”, gruppi di case edificate di notte dagli immigrati, senza permessi urbanistici, in terreni comprati con i loro risparmi. Solo nella metà degli anni 60 si costruiranno i palazzoni delle periferie, quartieri privi di servizi essenziali, ma più decorosi rispetto a prima. Gli immigrati fecero la fortuna degli speculatori edilizi, i palazzinari, che operavano selvaggiamente senza una legge urbanistica. Le periferie divennero giungle di cemento. Questo boom edilizio favorì la crescita della corruzione, cominciarono a girare le bustarelle o mazzette, che i palazzinari distribuivano a funzionari di Stato o di Comuni o di Banche ( prestiti bancari illeciti ). I senza tetto pur di avere un alloggio si legavano a politici locali, diventando il loro serbatoio di voti; un traffico su cui prosperò la mafia.
Le città erano impreparate ad accoglierli, mancavano alloggi a buon mercato, i residenti erano ostili verso i nuovi venuti e si rifiutavano di affittare le loro case. A Torino la gente del Meridione alloggiava negli scantinati e negli edifici bombardati dieci anni prima e destinati alla demolizione. A Milano sorsero “le coree”, gruppi di case edificate di notte dagli immigrati, senza permessi urbanistici, in terreni comprati con i loro risparmi. Solo nella metà degli anni 60 si costruiranno i palazzoni delle periferie, quartieri privi di servizi essenziali, ma più decorosi rispetto a prima. Gli immigrati fecero la fortuna degli speculatori edilizi, i palazzinari, che operavano selvaggiamente senza una legge urbanistica. Le periferie divennero giungle di cemento. Questo boom edilizio favorì la crescita della corruzione, cominciarono a girare le bustarelle o mazzette, che i palazzinari distribuivano a funzionari di Stato o di Comuni o di Banche ( prestiti bancari illeciti ). I senza tetto pur di avere un alloggio si legavano a politici locali, diventando il loro serbatoio di voti; un traffico su cui prosperò la mafia.
Eppure i giovani impararono a non chinare la testa, andarono a
lavorare in fabbrica, nei negozi, nelle sartorie; guadagnavano e
diventavano, le ragazze soprattutto, più autonome. I genitori
capivano l’importanza delle scuole, facevano frequentare le scuole
a volte con un’assiduità superiore a quella dei ragazzi del
posto. Alla fine vinsero la sfida, e la loro seconda generazione si
trovò completamente integrata nel nuovo ambiente.
ASPETTANDO I BARBARI DI K. KAVAFIS
REGISTRATA DA VITTORIO GASSMAN
ASPETTANDO I BARBARI DI K. KAVAFIS
REGISTRATA DA VITTORIO GASSMAN
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