Il poeta dell'Infinito di Silvia LADDOMADA
ll 21 marzo si è celebrata la giornata mondiale della poesia. In questa giornata, l'Italia ha scelto come "capitale" Recanati, dando il via alle celebrazioni per i duecento anni dell'"INFINITO" (1819-2019) di Giacomo Leopardi. Il poeta è nato nel 1798 a Recanati, un borgo in provincia di Macerata, che allora faceva parte dello Stato Pontificio. Era il primo di cinque figli di una illustre famiglia della nobiltà marchigiana. Una crisi economica della famiglia, una madre severa condizionano la sua adolescenza: vive un’esistenza appartata, priva di rapporti con i coetanei, priva di esperienze sentimentali. Giacomo si rifugia nella Biblioteca paterna, dove trascorre “sette anni di studio matto e disperatissimo” che gli garantiscono un’enorme cultura (inglese, francese, spagnolo, latino, greco). Nel 1819, ridotto alla quasi completa cecità, impossibilitato allo studio e al pensiero, attanagliato da una disperazione profonda, progetta una clamorosa fuga da Recanati, ma viene scoperto dal padre prima di poterla mettere in atto. Una sofferenza, un tumulto emotivo, ma proprio da questo stato d’animo nasce l’”Infinito”, un canto che rappresenta uno dei vertici assoluti della poesia moderna. Nel 1822 gli viene concesso di uscire da quella “tomba dei vivi” (Recanati) per recarsi a Roma da uno zio materno. Una delusione: Leopardi trova insulsa e mediocre la mondanità dei salotti e disapprova l’austerità dell’ambiente pontificio. Non gli rimane che tornare a Recanati, convinto sempre più che il senso di malessere esistenziale, che lui prova, non dipende dal “natìo borgo selvaggio”, ma è una condizione universale ineliminabile, propria di tutti gli uomini e di ogni tempo. Egli sente crollare tutte le illusioni della prima giovinezza. Fino al 1828 non scrive più testi poetici ma testi filosofici, si impone di riflettere sul significato dell’esistenza. Dopo alcuni soggiorni a Milano, Bologna, Firenze, Pisa, Leopardi ritorna nuovamente a Recanati. Oppresso dalle sofferenze fisiche (é debole di costituzione, la vista si è ridotta, si è curvato), ma oppresso anche dalle sofferenze morali, per la sua visione della realtà, egli dice di aver trascorso “sedici mesi di notte orribile”. Ma proprio questo è il periodo in cui compone i suoi Canti più belli e più noti. Tra il 1828 e il 1830, Leopardi scrive “A Silvia”, “La quiete dopo la tempesta”, “Il sabato del villaggio”, “Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia”. Nel 1830 si trasferisce a Firenze, una città ricca di stimoli culturali. Leopardi è ormai una presenza viva e ben nota nella scena culturale italiana. A Firenze sperimenta l’unica reale passione amorosa della sua vita, si innamora di Fanny Targioni Tozzetti. Ma è un amore non ricambiato, che gli procura una forte delusione. Lo consola l’amicizia di un giovane intellettuale napoletano, Antonio Ranieri. Con lui si trasferisce a Napoli, dove rimane fino alla morte nel 1837 (39 anni). I suoi componimenti poetici sono Canti struggenti del suo animo, sono l’espressione di sensazioni, di stati d’animo dell’io poetico. Leopardi accusa la Natura di aver dato agli uomini la capacità di immaginare, di sognare, di coltivare delle illusioni, di desiderare la felicità, ma… uscito dall’adolescenza, l’uomo scopre di essere stato ingannato: le speranze svaniscono, il piacere assoluto è irraggiungibile. Si presenta a tutti “l’arido vero” e l’uomo comincia ad essere infelice. Quando proverà piacere, felicità? Il piacere è di breve durata, secondo Leopardi. Esso è un effimero sollievo che si prova dopo il superamento di un dolore (la quiete dopo la tempesta-il ritorno del sereno dopo un temporale-nucleo concettuale del testo) o la vana attesa di una felicità futura (il sabato del villaggio-l’attesa del giorno festivo). E’ una piccola tregua tra un dolore da cui si è scampati e un dolore che seguirà, la domenica "tristezza e noia porteran l'ore". Un pessimismo che però non porta alla disperazione; è vero, l’uomo scopre la propria fragilità di fronte alle forze distruttrici della natura, Leopardi però rivolge all’uomo un alto insegnamento morale: accettare il destino di sofferenza, confrontarsi con esso con fermezza, senza sterili vittimismi, sfidare la Natura come i Titani sfidarono l’Olimpo, come Prometeo.
«Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quïete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.»
L'INFINITO
E' una delle poesie più amate della letteratura italiana, studiata a scuola, amata sui banchi di scuola, impressa nella memoria di tutti. Il modo migliore per arrivare al cuore di Leopardi è leggerlo e rileggerlo. Ci sono passi che non si dimenticano mai. Leopardi parla con semplicità di ciò che riguarda tutti noi: il senso dell'esistere, il posto dell'uomo nell'universo, il piacere, il dolore, l'amore, partendo da eventi o immagini del suo paese. Diceva Salvatore Quasimodo " La poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede sia personale e interiore, ma che il lettore riconosce come proprio".
Parafrasi
Immaginiamo il poeta che saliva spesso sul monte Tabor, un'altura del territorio, per cercare, seduto, dei momenti di pausa e di riflessione. "Ho sempre amato questo colle solitario e questa siepe, che sottrae alla vista gran parte dell'estremo orizzonte. Ma... nonostante ciò (la siepe), stando seduto e guardando in modo assorto, immagino al di là di essa degli spazi sterminati, infiniti e dei silenzi che superano la capacità di percezione umana, e immagino anche una profonda sensazione di pace, fino a sentire il cuore tremante di paura, spaventato. Ma non appena sento il fruscìo del vento che accarezza le piante, io paragono quel silenzio infinito a questa voce, e improvvisamente mi viene in mente l'eternità, tutte le età trascorse, e l'età attuale, viva , con i suoi rumori.. Così il mio pensiero, sommerso in questa immensità, si smarrisce, si annulla, ma mi fa piacere naufragare, sprofondare, in questo mare infinito". L'Infinito è un componimento che celebra la capacità del pensiero di trascendere il reale e i limiti concreti della vita, fino a valicare campi, monti, e a naufragare nello spazio indeterminato e infinito. Come uomini siamo limitati, ma per nostra natura abbiamo anche l'ambizione di tentare di superare i limiti esterni che ci vengono imposti, guardiamo all'immensità. L'Infinito racconta la storia dell'io moderno attraverso un viaggio del pensiero e dell'immaginazione oltre i limiti del reale, quei limiti che gli antichi non oltrepassavano mai (Ulisse dantesco). L'esito del viaggio è un naufragio, che nell'Infinito è "dolce". Dalla posizione ristretta in cui si trova, il poeta sente dentro di sé un sentimento nuovo. La sua mente si agita, è inquieta, è turbata, confusa, "il cor si spaura". Ma questa sconfitta conoscitiva, invece di rattristarlo, lo fa star bene. Il piacere, scaturito dal mancato controllo della realtà, vale più della pretesa di dominarla. Siamo nell'età romantica. l'Illuminismo é superato.
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