lunedì 1 novembre 2021

LA DIVINA COMMEDIA - ULISSE (canto 26°)

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Silvia Laddomada
Relazione di Silvia Laddomada

Riepilogo canti precedenti

Dante si ritrova in una selva oscura, intravvede la luce di un colle, ma tre belve gli impediscono di uscire (la lonza, il leone, la lupa).

Interviene Virgilio, la ragione, che gli propone un viaggio nell'aldilà, prima di raggiungere il colle.

Dopo qualche dubbio, Dante accetta.

Comincia il viaggio nell'Inferno .

Dante varca la porta dell'Inferno, sormontata da una scritta: "Per me si va ne la città dolente / per me si va ne l'eterno dolore, / per me si va tra la perduta gente".

Incontra le anime di peccatori che non si sono mai pentiti, quindi sono morti senza riconciliarsi con Dio.

Il primo gruppo è quello degli "Ignavi", che vissero "sanza infamia e sanza lode", che corrono dietro un'insegna anonima.

Appare poi Caronte, che traghetta le anime verso l'Inferno, dove è Minosse, che stabilisce il cerchio in cui devono andare.

Dante e Virgilio, con Caronte, attraversano l'Acheronte e giungono nel Limbo, luogo in cui si trovano, secondo la tradizione cristiana, le anime dei bambini non battezzati. Qui incontrano le anime di personaggi virtuosi, che si avvicinarono alla verità filosofica, ma non ebbero la fede, né il Battesimo, perché nati in epoca precristiana.

Nel secondo cerchio, quello dei lussuriosi, Dante incontra i due amanti, Paolo e Francesca.

Nel terzo cerchio, custodito da Cerbero, mostro a tre teste, ci sono i golosi, immersi nel fango e lacerati dal demone Cerbero.

Qui Dante incontra Ciacco, un fiorentino, che gli predice l'esilio, a causa dei conflitti tra Bianchi e Neri.

Nel quarto cerchio, custodito dal demone Pluto, Dante incontra gli avari e prodighi, che spingono col petto enormi sassi girando intorno al cerchio, e si scontrano, insultandosi con quelli che girano in senso contrario. Massa informe e bestiale, che suscita l'indignazione di Dante, ma non si individua nessun personaggio.

Il quinto cerchio è la palude Stige, dove sono immersi nel fango e avvolti da un fumo denso, gli iracondi e gli accidiosi. Il demone Flegias, carica sulla barca i due pellegrini e qui, Filippo Argenti, un fiorentino noto sulla terra, perché sempre accecato dall'ira, tenta di capovolgere la barca di Flegias, adirato contro Dante, che è stato sprezzante con lui.

Il sesto cerchio è destinato agli eretici, che giacciono in tombe scoperchiate e infuocate.

I due pellegrini, prima di entrare nel luogo, devono affrontare i diavoli affacciati e minacciosi, dall'alto delle mura infuocate della città di Dite.

Una rappresentazione teatrale.

1000 diavoli gridano stizziti contro Dante, a Virgilio, che cerca di placarli, chiudono la porta in faccia. All'improvviso appaiono le Furie, donne con serpenti al posto dei capelli, tutte insanguinate. Per intimorire Dante e Virgilio, annunciano minacciose l'arrivo di Medusa, la figura mitologica capace di pietrificare chi la guardasse.

Momenti concitati. Virgilio copre istintivamente gli occhi a Dante, questi teme che il viaggio non possa continuare, Virgilio teme che Dante non abbia più fiducia in lui, finché giunge un angelo, che mette a tacere tutti e i due entrano in una distesa vasta e deserta.

Camminando tra le tombe infuocate, Dante incontra Farinata degli Uberti, capo dei Ghibellini fiorentini, che gli profetizza l'esilio (la seconda profezia, dopo quella di Ciacco).

Nel settimo cerchio sono condannati i violenti.

Violenti contro il prossimo (tiranni, predatori, assassini), immersi in un fossato di sangue bollente, il fiume Flegetonte, controllati dai Centauri, che lanciano frecce a chi osa sollevarsi dal fiume..

Segue nello stesso cerchio, un secondo strato, dove si trovano i violenti contro se stessi, i suicidi, trasformati in alberi spinosi, nodosi e contorti. Fra loro Dante incontra Pier delle , cancelliere di Federico II e poeta della Scuola Siciliana, il quale racconta di essersi suicidato perché accusato ingiustamente e tradito dai cortigiani invidiosi.

Sempre nel settimo cerchio, un terzo strato, é un sabbione rovente, in cui giacciono supini i violenti contro Dio, sui quali cadono, inesorabili, lente falde di fuoco. In questa landa deserta c'è Capaneo, che nell'assedio a Tebe fu fulminato da Giove, perché osò sfidarlo. E in questo deserto sabbioso e rovente, Capaneo si erge sprezzante e impreca contro Dio, quasi a voler ancora sfidare l'ira di Giove.

Sempre nell'area del sabbione, corrono in circolo, senza sosta, i sodomiti.

Tra loro Dante incontra Brunetto Latini, il suo maestro, tutto "abbruciato", tutto sfigurato. Imbarazzo iniziale da parte di entrambi, ma poi Dante esprime tutta la sua gratitudine e il suo affetto al maestro, che lo istruiva, lo incoraggiava e gli insegnava "come, con sapienza e virtù l'uom si eterna".

Brunetto Latini gli predice la gloria dell'immortalità poetica, ma profetizza anche il male che gli faranno i fiorentini. ( terza profezia).

Nel sabbione sono accovacciati i violenti contro l'arte, gli usurai, che preferirono il guadagno dell'usura all'arte, al lavoro onesto e dignitoso. Dante ne riconosce alcuni, essi fissano, a testa china, un sacchetto appeso al collo, su cui è disegnato lo stemma famigliare, che ora non è vanità, ma il marchio del loro degrado.

Una visione avvilente, Dante non li degna di alcuna attenzione.

Dante e Virgilio scendono poi nell'ottavo cerchio, le Malebolge, diviso in 10 fossati o bolge. Scendono sulla groppa di Gerione, un mostro dal viso umano, corpo di serpente, zampe di leone e coda di scorpione.

Sono condannati qui i fraudolenti, coloro che hanno malignamente ingannato il prossimo: seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, cattivi consiglieri, seminatori di scandali e scismi, falsari e alchimisti.

Dante esprime tutto il suo disprezzo verso peccati avvilenti e degradanti, commessi da personaggi meschini.

In questo cerchio cambia il registro linguistico. C'è un uso frequente di termini umili, popolari, volgari e scurrili. I demoni non sono più figure mitologiche, ma mostri pagani, sono i diavoli raffigurati nelle tele medievali, con coda e corna.

Tra i seduttori, frustati dai diavoli, Dante incontra dei bolognesi e Giasone, tra gli adulatori "attuffati nello sterco", incontra dei noti toscani e la meretrice Taide.

Nella bolgia dei simoniaci (i peccatori che si sono abbandonati alla compravendita di cariche ecclesiastiche e arredi sacri), Dante scorge tante buche circolari, riservate a diverse categorie di ecclesiastici (papi, vescovi, chierici). I peccatori cadono in queste buche a testa in giù e gambe e piedi in alto, che vengono bruciacchiate da fiammelle; sprofondano giù, finendo appiattiti tra le fessure della pietra, quando sopraggiunge un altro dannato. Dante è apostrofato dal papa Niccolò III, che pensa sia arrivato il papa Bonifacio VIII. Un errore architettato da Dante per denunciare l'operato del papa, che morì nel 1303, cioè dopo il viaggio di Dante.

Nella quarta bolgia Dante incontra falsari e indovini che procedono a passo lento, a ritroso, col viso girato all'indietro. Dante é preso da una crisi di pianto nel vedere la figura umana stravolta, ma Virgilio lo sgrida, invitandolo ad accettare la giustizia divina, anche quando appare crudele.

La quinta bolgia é uno stagno di nera pece bollente, densa e vischiosa, in cui sono immersi e resi irriconoscibili, i barattieri, coloro che ricoprono cariche pubbliche facendo ricorso a truffe e corruzione. Le anime di questi peccatori sono sottomesse a diavoli violenti, che feriscono con uncini chi si sporge fuori dalla pece. I protagonisti di questa bolgia in verità sono i diavoli, le Malebranche, incapaci di sorvegliare tutti i dannati, che quando possono si innalzano dallo stagno, pronti s rituffarsi per non essere uncinati.

A questi diavoli Virgilio si rivolge per raggiungere la sesta bolgia, visto che il ponte è rotto.

Barbariccia , con una scoreggia, dà il segnale di partenza, e così il drappello dei diavoli guida i pellegrini, continuando a litigare, perchè i dannati ne approfittano per uscire dalla pece. Nel litigio alcuni diavoli cadono nella pece e così Dante e Virgilio ne approfittano per scivolare da soli nella sesta bolgia, dopo aver notato che i diavoli si sono scambiati segni di intesa, per ingannarli.

Precipitando nella sesta bolgia, con i diavoli subito arrivati che minacciavano di uncinarli, Dante vede avanzare lentamente della gente "dipinta". Indossano cappe con cappuccio che scende sull'occhio, dei mantelli dorati in superficie e di piombo all'interno. Sono gli ipocriti.

Visto l'abito, è chiaro che qui Dante condanna l'ipocrisia degli ecclesiastici. Con lui si ferma un frate gaudente bolognese, dicendo che avevano il compito, insieme a un altro frate, di mettere pace nelle famiglie, nelle città e di difendere gli oppressi Chiamati a Firenze, corrotti con denaro dai Guelfi svolsero il loro operato non in fin di bene, ma in modo sbagliato, tanto che l'odio politico tra i due gruppi fu accentuato dallo scontro violento che portò al definitivo esilio i Ghibellini, episodio ricordato a malincuore da Farinata degli Uberti, discendente della famiglia.

Altre anime sono crocifisse a terra, con dei pali al posto dei chiodi, calpestati dalla schiera dei frati ipocriti che camminano lentamente per l'eternità.

Si tratta di Caifa e dei membri del Sinedrio, che condannarono a morte Gesù.

Lasciati gli ipocriti, Dante e Virgilio si arrampicano alle pareti e giungono alla settima bolgia. All'interno una massa di serpenti di varie forme, dimensioni e colori, tra cui corrono nude e spaventate, le anime dei ladri, con le mani legate dietro la schiena mediante serpenti che si annodano davanti e li mordono.

Osservandoli dall'alto del ponte, Dante assiste a una mostruosa metamorfosi: un dannato morso che si trasforma in cenere per ritornare normale. E qui c'è Vanni Fucci, un ladro di arredi sacri, un furto ingiustamente attribuito ad altri.

Questo fiorentino adirato per essere stato riconosciuto da Dante, gli profetizza la vittoria dei Neri e l'esilio dei Bianchi tra cui ovviamente c'è Dante (4^ profezia).

Vanni Fucci inveisce male contro Dio, facendo un gesto blasfemo, paragonabile al nostro dito medio, dicendo "A te lo rivolgo".

Ma un Centauro sopraggiunge, sorreggendo un drago, che sputa sul peccatore fuoco e una massa di serpenti.

Poi assiste ad altre metamorfosi: un dannato morso da un serpente diventa serpente e il serpente diventa uomo; un altro dannato, morso dal serpente, diventa tutt'uno col serpente, dando vita a una creatura metà uomo e metà serpente. Pene a cui si Dante sottopone i tanti fiorentini, che incontro in questa bolgia. Disgustato il poeta maledice Firenze, il cui nome è tanto diffuso nell'Inferno.

Attraverso un sentiero, i due poeti giungono sul ponte che sovrasta l'ottava bolgia.

ULISSE

Dante si affaccia sull'ottava bolgia e vede il fondo rischiarato da tante fiammelle, che lui paragona alle lucciole che brillano al crepuscolo..

E' la bolgia dei consiglieri fraudolenti, cioè di coloro che hanno spinto gli altri ad azioni temerarie, ingannandoli con i loro consigli.

Le anime sono immerse completamente in una lingua di fuoco.

Dante nota che una lingua ha due punte e subito Virgilio gli dice che in quella fiamma sono avvolte le anime di Ulisse e dell'amico Diomede, stesso peccato, stessa pena. Sempre insieme, anche nell'aldilà.

Conosciamo Ulisse dalle opere di Omero, l'Iliade e l'Odissea, la prima racconta i dieci anni della guerra di Troia, la seconda i dieci anni della peregrinazione di Ulisse, prima di far ritorno a Itaca.

Dopo 10 anni di guerra tra Troiani e Greci, furono Ulisse e Diomede a escogitare l'inganno del cavallo, per poter distruggere la città. Dichiarando di rinunciare alla guerra, Ulisse comunicò ai Troiani che abbandonavano il terreno, lasciando all'interno della città un grande cavallo di legno, in dono alla dea Atena, protettrice di Troia. Ma nel ventre del cavallo c'erano i migliori guerrieri greci, e quindi la città fu distrutta.

Finita la guerra, Omero racconta le straordinarie avventure di Ulisse, che peregrinò per altri 10 anni, ingannando Polifemo, le Sirene, la maga Circe, e alla fine raggiunse Itaca, dove lo attendevano il padre Laerte, il figlio Telemaco e la paziente moglie Penelope.

Dante traccia una nuova identità del personaggio. L'Ulisse dantesco diventa il simbolo della curiosità e della sete di conoscenza dell'uomo, disposto a misurarsi con i propri limiti, per scoprire il nuovo.

E' Virgilio che parla. Egli chiede a Ulisse cosa sia accaduto a Gaeta, dopo aver lasciato la maga Circe.
Ulisse racconta di aver rivolto ai pochi compagni rimasti con lui "un'orazion picciola", un breve discorso, non privo di astuzia. facendo leva sull'orgoglio di quei fidati compagni che avevano come lui indirizzato al vita al sapere e alla scoperta, conquista il loro appoggio e li sprona a un'avventura che nessun uomo aveva mai tentato: quella di forzare i limiti della conoscenza e spingersi alla scoperta dell'ignoto.
 

 

                          ......disse: Quando

mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse,

né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,

vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;

ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.

Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi
acciò che l’uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.

"O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza
".

Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;

e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.

Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.

Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo
,

quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,

infin che ’l mar fu sovra noi richiuso".

Considerate la vostra origine, egli dice, siete stati creati per segnalarvi nel valore, per arricchirvi di cognizioni, e non per vegetare come bestie, come bruti. Non vogliate negare al poco tempo della vita che ci resta, la possibilità di conoscere il mondo disabitato.

E così da Gaeta, Ulisse supera le colonne d'Ercole. Ma un turbine improvviso fa inabissare la nave.

Il volo intrapreso è stato folle, dice ora Ulisse. Sembra che egli comprenda il senso della punizione divina per la sua presunzione.

Di fronte a questa solitudine oceanica in cui naviga Ulisse, quasi dimentichiamo che è invece avvolto in una fiamma infernale. Ha infranto i divieti divini. E questa trasgressione dante, uomo del medioevo cristiano non l'accetta. Anche se nobile nella sua origine, il desiderio di conoscenza può trasformarsi in superbo orgoglio, in un eccesso di fiducia nelle capacità umane.

Le colonne rocciose dei due promontori, quello marocchino e quello spagnolo, ai lati dello stretto di Gibilterra nell'antichità erano attribuite a Ercole, il quale aveva anche scritto "non plus ultra", non più oltre, per scoraggiare chi avesse voluto avventurarsi nelle correnti del'Oceano. Anche per Dante oltre le colonne c'era il territorio del soprannaturale, dove si colloca la montagna del Purgatorio. Dante non disprezza Ulisse, anzi lo ammira, perchè anch'egli è animato da sete di conoscenza, ma Ulisse, simbolo dell 'umanità curiosa, presume di dare risposte alle sue ansie facendo a meno di Dio, Dante va alla ricerca della Verità affidandosi alla ragione e alla grazia.

Da un lato il leggendario viaggio di Ulisse celebra l'ingegno umano, dall'altro il viaggio si rivela un folle volo, perchè l'orgoglio ha accecato l'umana intelligenza, il desiderio di conoscenza non è stato sorretto dall'aiuto della grazia.

Prima di raccontare l'incontro con Ulisse, Dante dice di aver appreso qualcosa che ancora lo rattrista, e si sforza di frenare il suo ingegno, affinchè esso non corra senza la guida della virtù, perchè se la Provvidenza gli ha dato una grande intelligenza, egli non diventi superbo e orgoglioso per questo. 

Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi,
e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio,

perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
m’ ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi. 

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