Siamo nell'ottavo cerchio: le Malebolge, diviso in 10 fossati in cui sono condannati i traditori, i fraudolenti.
Dante ha avuto con tutti un comportamento sprezzante, ha usato un linguaggio scurrile, volgare, ha collocato diavoli con coda, corna e barba, che lacerano e inveiscono contro i dannati.
Nella bolgia dei cattivi consiglieri, o dei consiglieri fraudolenti, Dante cambia il timbro di voce, cambia il tono narrativo; non incontra diavoli, ma fiamme in cui sono avvolte le anime. Tra loro Ulisse.
Ulisse ricorda il folle volo della sua barca per correre verso l'ignoto, oltre le colonne d'Ercole, convincendo i compagni a seguirlo con quella "orazion picciola": "Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza".
La sua barca si é però inabissata.
Perché? Con le sole forze umane non si entra nel territorio dell'ignoto, i limiti imposti da Dio non si infrangono. Nel Medioevo le colonne d'Ercole, oggi stretto di Gibilterra, non si potevano oltrepassare; il divieto era chiesto da Dio.
Nasce un dubbio: ma allora l'uomo non può perfezionare le conoscenze? Dante nega il progresso?
Occorre guardare Dante nel suo tempo: il Medioevo cristiano.
Tanti studiosi commentano questo viaggio. Con il loro contributo, arricchiremo le nostre conoscenze, questa volta.
De Sanctis diceva che Ulisse appare come il grande uomo solitario delle Malebolge.
Un protagonista grandioso e affascinante, di fronte al quale Dante si rivela umile.
Nel raccontare l'incontro, Dante esorta se stesso a moderare il proprio ingegno, a non esaltarsi troppo. Egli ha avuto dalla Provvidenza grandi abilità di poeta e di letterato, bene, non deve sentirsi presuntuoso, quasi invidioso di se stesso.
De Rienzo sottolinea questo sforzo di umiltà di Dante, collegando il folle volo di Ulisse con la possibile caduta dichiarata dal poeta, quando contempla l'ottava bolgia dell'alto del ponte.
"Io stava sovra il ponte a veder surto (sporgersi) sì che s'io non avessi un ronchion preso (uno spuntone roccioso), caduto sarei qui senz'esser urto" (esser spinto da qualcuno) (Inferno 26° canto vv.43-45).
Per la prima volta Dante teme di non farcela.
Dice Momigliano che questo canto 26° é una pagina di solitudine oceanica, un oceano ignoto in cui sta navigando Ulisse. Una muta distesa in cui Ulisse si é perso. Questo canto non é più la bolgia dominata dai fuochi.
Ulisse é per tutti gli studiosi l'eroe della magnifica avventura della conoscenza. Il suo ardore a "divenir del mondo esperto/ e de li vizi umani e del valore" lo induce a mettere da parte gli affetti più cari, che non calpesta, perché parla di pietà per il vecchio padre, di amore per il figlio, per la moglie. Sente questi affetti, il suo cuore non é inaridito, ma il suo affetto più grande é quello di compiere un'altra avventura, prima della morte.
Non vuole rinunciare a una vocazione insita nella natura umana, la sete di conoscenza.
Il personaggio dantesco, dice Fubini, fa quello che ogni uomo, nella sua condizione farebbe: attuare con i suoi compagni il suo destino di uomo, che é anche il destino dei suoi compagni "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza".
Quindi Ulisse é la metafora dell'umanità, desiderosa di conoscere l'ignoto.
L'uomo ha sempre desiderato conoscere i segreti della natura, ha sempre desiderato svelare il mistero della vita e della morte.
Spinto da questa sete di sapere, l'uomo nei secoli si é avventurato nei mari ignoti, ha scalato le montagne, é sceso negli abissi oceanici, é sbarcato sulla Luna, naviga in internet.
Ancora oggi sono tanti i misteri, gli ostacoli che limitano l'audacia umana, tuttavia l'uomo non si arresta, e si spinge sempre più avanti sulla via della conoscenza.
Quindi Ulisse rimane il simbolo dell'audacia umana, dell'ingegno dell'uomo.
Non importa se l'impresa ha avuto un esito infelice, il motivo che l'ha ispirata era alto.
Infatti Ulisse parla serenamente della sua impresa, c'é un solo accenno alla vanità del suo viaggio (folle volo), ma non una parola di superbia per quanto ha osato, non una parola di rimpianto per la propria fine.
Anche il volo di Icaro verso il Sole fu fallimentare, era nato dal desiderio di sollevarsi sempre di più, ma Icaro precipitò nell'Oceano, perché le sue ali di cera si sciolsero. Una punizione per la trasgressione. (Nella religione cristiana, il desiderio di Eva di diventare come Dio, insinua il serpente, la spinge a mangiare il frutto proibito. Ma Dio li caccia dal paradiso terrestre)
Per la studiosa Maria Corti, nella figura di Ulisse si rispecchia l'idea filosofica che la conoscenza scientifica non ha limiti. Ulisse non ha peccato, non ha sfidato Dio.
Nel mondo pagano Ulisse ha disobbedito agli ordini di un altro uomo, Ercole, che avvertiva che lì, alle colonne, finiva la terra abitata. Quindi più coraggioso di Ercole, e desideroso di conoscenza, Ulisse giunto ai confini della terra abitata, ha voluto andare verso il mondo senza gente.
Come poeta, Dante ammira Ulisse, espressione di quella umanità pagana, che ha un'eccessiva fiducia nelle proprie capacità.
Renato Guttuso, Ulisse(1970) |
Come teologo, come credente, però, Dante deve condannare Ulisse. Per Dante, uomo cristiano del Medioevo, la conoscenza scientifica, fondata sull'esperienza e sulla ragione, non é separata dall'etica e dalla religione. L'avvento di Cristo nella storia, l'avvento della grazia nell'animo individuale, cambia la visione della realtà.
Nel Medioevo cristiano l'idea dominante é che la ragione umana ha dei limiti che non possono essere varcati, perché superarli é pura follia.
Ulisse é una parte di Dante, é il personaggio di singolare rilievo, in cui il poeta si compiace di riconoscersi. In Ulisse Dante vede se stesso, per l'ardore di conoscere, di sapere, segno distintivo della nobiltà dell'uomo.
Nel suo incontro con Ulisse, Dante però lo distacca da sè, lo giudica.
L'uomo non può raggiungere con le sue forze (la barca, i remi), la realtà di Dio, solo la grazia, concessa da Dio può saziare la sete d'infinito.
Se Ulisse avesse accettato i limiti della ragione umana, la sua sarebbe stata un'inappagata aspirazione di conoscenza e quindi Dante lo avrebbe collocato nel Limbo, con Platone e Aristotele e con lo stesso Virgilio, che nel salire la montagna del Purgatorio, dirà "State contenti umana gente al quia, che se possuto aveste saper tutto, mestier non era parturir Maria" (Purgatorio, 3° canto vv. 37-39). Se foste perfetti, non ci sarebbe stato bisogno della redenzione.
Dante quindi colloca Ulisse nell'Inferno; la sua astuzia, la sua presunzione, la sua superbia intellettuale coinvolgono una alta facoltà dell'uomo, la mente, "che é quella piccola parte dell'anima che é di natura divina" dice Dante nel Convivio.
Il naufragio é la conseguenza della temeraria infrazione ai divieti divini. Sulla montagna del Purgatorio, che Ulisse ha intravisto, Dante salirà e arriverà in Paradiso. Dante però é sostenuto dalle virtù terrene e cristiane (tre donne hanno avuto compassione di lui, Beatrice, santa Lucia e la Madonna, e poi Virgilio , anch' egli inviato da Dio.)
Le colonne d'Ercole sono state varcate solo dall'angelo che ha trasportato ai piedi della montagna le anime destinate alla purificazione, ma l'angelo si é servito delle ali, non dei remi di cui si é servito Ulisse.
Le ali sono il simbolo dell'intelletto angelico, che é presente nell'uomo e gli permette di elevarsi al di sopra degli animali.
Anche Dante, per andare in Paradiso dovrà spiccare un volo, il suo corpo diventerà leggero. "Trasumanar per verba non si porìa" (oltrepassare la condizione umana, non si può esprimere con le parole) dirà Dante quando salirà in Paradiso,(Paradiso, 1°canto vv. 70-71). Solo la grazia divina concede l'esperienza di questa condizione.
Concludiamo con il pensiero di un altro studioso, Manfredi Porena.
"Tutto il racconto dantesco é pervaso da così tenace simpatia per Ulisse. Perfino la sua morte, che è in un certo senso, la punizione inflitta dalla filosofia di Dante all'assurdità del tentativo, diviene nel sentimento del poeta un nuovo tratto di grandezza. Ulisse muore, condannato dal filosofo, ma il poeta gli compone una sepoltura quale nessun uomo forse ebbe mai. Perché il suo cimitero é l'infinito oceano. Vegliando su di esso, quasi fosse una immensa piramide mortuaria, si erge l'eccelsa montagna del purgatorio; e la mano che sopra vi incide l'epigrafe é la mano del poeta Dante: la più divina che abbia mai tracciato caratteri umani".
LA DIVINA COMMEDIA - INFERNO: IL FOLLE VOLO DI ULISSE
Il "Folle volo di Ulisse"
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