mercoledì 13 maggio 2020

09 MAGGIO.....DATA DA RICORDARE!

Print Friendly and PDF
Relazione di Silvia LADDOMADA

Il 9 maggio scorso abbiamo visto in Tv le immagini in bianco e nero dei Padri dell'Europa unita; abbiamo sentito parlare di Shumann, di Monnet, che 70 anni fa decisero di far nascere la Comunità europea.
Parleremo di questo progetto, di come esso prese forma e sostanza.
Nessuna pretesa di tracciare l'iter di questi 70 anni!

Questa data ci ricorda anche un evento triste: la morte del grande statista Aldo Moro.
Una vicenda di cui non sono ancora chiari i contorni. Possiamo, in questa sede, ricordare il contesto storico in cui tale evento si colloca.

Ricordiamo ora quando é nata l'idea di unificare i Paesi europei.
Nella prima metà del Novecento, le rivalità economiche, i nazionalismi, l'odio reciproco tra le nazioni europee avevano provocato due guerre che avevano coinvolto il mondo intero, e avevano portato morte e distruzione in tutto il continente.
Con 60-70 milioni di morti e il continente ridotto a un cumulo di macerie, i vinti erano in ginocchio, ma lo erano anche i vincitori.
Nessuno stato aveva tratto vantaggi dalla guerra, anzi tutte le ex potenze europee si trovarono in un ruolo subordinato rispetto alle due potenze dominanti.
Cioè il guadagno che l'Europa trasse da questi due conflitti fu il tramonto del suo predominio mondiale: da protagonista della storia essa crollò a quasi colonia delle super potenze mondiali, Stati Uniti e Russia, che possedendo la bomba atomica e una forte economia, erano ormai arbitri del destino dell'umanità.
Si parlò di guerra fredda, di equilibrio del terrore, che nasceva dalla certezza che una guerra nucleare avrebbe provocato la distruzione totale.
Nella primavera del 1950 l'Europa stessa era sull'orlo del baratro.
La guerra fredda faceva temere un imminente conflitto tra paesi occidentali e paesi dell'Est. Cioè gli avversari di un tempo erano ben lontani dell'essersi riconciliati.
Ci si chiedeva come evitare di rivivere gli errori del passato, come creare le condizioni per una pace duratura tra nemici storici. Il nocciolo della questione erano le relazioni tra Francia e Germania, bisognava stabilire un legame tra i due paesi e ricongiungere ad essi tutti i paesi liberi d'Europa, per costruire insieme un destino comune.
Ma da dove cominciare? E sopratutto, come?
Jean Monnet, considerato il padre dell'Europa, forte della sua esperienza di uomo di pace, propose al ministro degli Esteri francese Robert Schumann e al cancellerie tedesco Konrad Adenauer di creare un interesse comune ai due paesi, che individuò nella gestione del mercato del carbone e dell'acciaio, affidata al controllo di un'autorità indipendente.
Tale proposta venne solennemente formulata dalla Francia il 9 maggio 1950 e accolta con favore da Germania, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo.

Il trattato che istituì la prima Comunità europea, quella del carbone e dell'acciaio (CECA), fu firmato nell'aprile 1951 e ha segnato l'inizio delle realizzazioni concrete dell'Europa.
Le prime iniziative di collaborazione tra stati europei sono nate quindi, per ragioni economiche, incoraggiate tra l'altro dagli Stati Uniti che vedevano positivamente l'integrazione delle economie europee, anche perché un'Europa occidentale, economicamente prospera, rappresentava un vasto mercato per i loro prodotti.
Nello stesso tempo un'Europa unita, appariva una forza concorrente, rispetto al mercato americano, nello sfruttamento comune delle risorse di energia e materie prime.
Ma può sembrare che l'Europa sia nata con ambizioni limitate, visto che si puntava su un'alleanza economica.
In realtà per unificare l'Europa, c'erano anche motivi ideali:
c'era il desiderio di evitare per sempre al vecchio continente gli orrori di guerre tra paesi vicini;
era necessario salvare un patrimonio di cultura; le radici che affondano nel mondo greco-romano e che sono state arricchite di valori cristiani nel Medioevo. Non si poteva accettare di essere schiacciati da due super potenze.
C'era il desiderio di un'Europa unita nel segno della pace, della solidarietà, della democrazia.
Sono stati questi desideri ad imporsi con vigore alla coscienza dei governanti e dei cittadini più consapevoli. A impegnarsi nel cercare di far nascere un'amicizia tra i popoli fu un numero esiguo di uomini politici, che riproposero in sostanza, l'idea di un intellettuale, di un agitatore culturale che si faceva chiamare Ulisse.
Parliamo di Altiero Spinelli, un antifascista confinato a Ventotene, nel braccio di mare davanti alla città di Latina.
Nel 1941, mentre su tutti i fronti infuriava la guerra, prevedendo la catastrofe finale, intuì che l'Europa avrebbe potuto risollevarsi se avesse creato una nuova forza politica, magari una federazione come gli Stati Uniti.
Da questa idea egli sviluppò il manifesto di Ventotene, insieme ad altri due compagni di confine, Ernesto Rossi ed Eugenio Colormi.
"La via da percorrere non é facile, nè sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà", così scriveva Spinelli nel suo manifesto, considerato oggi una pietra miliare del progetto di unificazione europea, un documento base del federalismo europeo.
L'Europa dei 6, col tempo si é ampliata, é diventata l'Europa dei 27 paesi, con un'apertura anche agli ex Paesi dell'Est.

Esistono ancora delle divergenze tra i Paesi, l'asse Francia-Germania é dominante. Manca una collaborazione realistica e vantaggiosa.
E questo rallenta il cammino verso l'Unità e accresce il numero degli euroscettici.
E' stato utile ricordare che parliamo di Unione Europea, ma forse dobbiamo ancora fare tanta strada per arrivare a una Europa federale, con un governo sovranazionale e con una base comune di ideali etici, civili e giuridici, secondo un autentico spirito costituente.

Un altro momento storico da non dimenticare é il ritrovamento del cadavere di Moro, nascosto nel portabagagli di un'automobile. Era il 9 maggio 1978.
Questa é una delle pagine più oscure e drammatiche della vita della repubblica italiana, dopo 30 anni di vita.
Dopo 40 anni, non abbiamo ancora un'unica versione dei fatti. Possiamo però riportare alla memoria i famosi "anni di piombo", nei quali maturò questo delitto.
La crescita economica, il cosiddetto boom, che negli anni '50-'60 del Novecento, trasformò l'Italia da paese agricolo a paese industriale, modificò la struttura sociale del paese, trasformando le abitudini, la mentalità degli italiani.
Nasceva la società di massa, la civiltà dei consumi.
Nel mondo giovanile, la più larga diffusione degli studi superiori e universitari aveva accresciuto il numero degli studenti, che sembravano una nuova categoria sociale, con una notevole capacità di riflessione critica.
Moro - Andreotti
La contestazione studentesca, nata negli Stati Uniti, raggiunse il suo apice nel '67-'68: gli studenti contestavano i metodi tradizionali dell'insegnamento, chiedevano una maggiore democratizzazione della vita scolastica e universitaria.
La protesta acquistò ben presto un carattere politico, avanzò esigenze di radicali riforme sociali ed economiche.
Maturò una diffusa sfiducia verso il sistema parlamentare in genere, ma sopratutto verso i partiti di sinistra, compreso quello comunista, accusato di aver abbandonato l'idea della rivoluzione.
I giovani della nuova sinistra, rifiutavano le regole della democrazia occidentale e si dicevano sostenitori di un'azione diretta delle masse popolari, le uniche capaci di attuare la rivoluzione proletaria contro il sistema.
Si chiedeva una trasformazione rivoluzionaria del sistema, si contestava il capitalismo e il consumismo.
Anche da parte del mondo operaio e sindacale, emergeva una forte domanda di rinnovamento sociale e politico, nonchè una serie di rivendicazioni economiche.
Per la prima volta nel dopoguerra, scesero in piazza masse di giovani e di operai; scioperi che spesso culminarono in occupazioni a catena di scuole, di Università e in scontri con le forze di polizia.
Nonostante le importanti conquiste politiche e civili, concretizzate in leggi approvate dai governi di centro sinistra, si assistette alla deriva dei "programmi rivoluzionari" e all'emergere di una novità destinata a sconvolgere la vita del paese: la violenza come arma politica.
Sorsero dei gruppi armati, come Potere operaio, Lotta continua, che si definivano extra parlamentari e anticostituzionali, cioè lontani dalla Sinistra parlamentare e in aperto contrasto con i tradizionali partiti di sinistra, sopratutto col Partito Comunista, accusato di aver smarrito la sua carica rivoluzionaria .
Questi gruppi prospettavano un sovvertimento radicale del sistema, da attuare anche con l'uso della violenza.
Lo sviluppo della contestazione suscitò allarmi e timori nella parte più conservatrice del paese.
Alcune forze eversive di estrema destra, alcuni settori deviati dei servizi segreti, alcune associazioni segrete (Loggia massonica), misero in atto un progetto di stampo neofascista volto a destabilizzare la vita del Paese, per favorire una svolta reazionaria.
Stragi indiscriminate tra la folla tentarono di gettare il paese nel caos, di far credere che lo Stato democratico fosse impotente a mantenere l'ordine e a proteggere i cittadini e che, pertanto, fosse necessario instaurare un nuovo regime, forte e autoritario.
Il primo atto di questa "strategia della tensione", come fu chiamata, si ebbe a dicembre 1969 con l'esplosione della bomba a piazza Fontana, a Milano, nel salone della banca nazionale dell'Agricoltura.
Altre bombe scoppiarono nel 1973 alla questura di Milano, nel 1974 in piazza della Loggia a Brescia, durante un comizio sindacale, sempre nel 1974 sul treno Italicus, sulla linea Bologna-Firenze.
Una lunga serie di stragi e violenze si intrecciò con manovre preparatorie di azioni golpiste. Non dimentichiamo l'attentato nella sala di aspetto della stazione di Bologna, avvenuto molto dopo (2 agosto 1980), eseguito da un piccolo gruppo di estremisti neofascisti.
La politica delle stragi accentuò nei gruppi di estrema sinistra la convinzione che era giunto il momento decisivo: o governo reazionario o vittoria del proletariato.
Quindi al "terrorismo nero", si contrappose il "terrorismo rosso", praticato da organizzazioni clandestine che si proclamavano comuniste, Nuclei armati proletari, Prima Linea e sopratutto le Brigate Rosse.
Se i terroristi neri si muovevano tra stragi e aspirazioni golpiste, gli estremisti rossi colpivano, con attentati individuali, bersagli scelti per il loro significato simbolico: magistrati, poliziotti, giornalisti, dirigenti di azienda.
In entrambi i casi si voleva destabilizzare la società italiana a far precipitare il paese verso uno scontro frontale e una violenza diffusa.
In questi anni di piombo, come furono chiamati, la democrazia italiana si dimostrò più salda di quanto si pensasse.
Le forze politiche si unirono per fronteggiare il pericolo con la massima efficacia. Nel 1976 si formò un governo di solidarietà nazionale, guidato dalla Democrazia Cristiana, (capo di governo Andreotti), e sostenuto da tutti i principali partiti con l'appoggio esterno del partito comunista, di cui era segretario Enrico Berlinguer.
Sembrava che si stesse realizzando l'incontro tra forze popolari, comuniste e cattoliche, quello che Berlinguer aveva chiamato "compromesso storico".
Compromesso storico (Berlinguer con Moro)
Paradossalmente, la politica delle stragi e il terrorismo finirono per favorire l'ingresso del PCI nell'area di governo, dopo 30 anni di opposizione.
Il dialogo si fece sempre più stretto sopratutto con Aldo Moro, l'esponente democristiano più favorevole a un accordo con Partito Comunista.
Mentre il progetto di compromesso storico sembrava che stesse realizzandosi, il 16 marzo 1978, il giorno in cui il Governo del compromesso storico si presentava al Parlamento per ricevere la fiducia, un commando delle Brigate Rosse sequestrò Aldo Moro in via Fani, uccidendo 5 uomini della scorta.
Dopo 55 giorni Moro fu ucciso e il suo cadavere venne ritrovato in un'auto abbandonata, parcheggiata in via Caetani a Roma, esattamente a metà strada tra la sede nazionale della DC e quella del PCI.
La simbologia del messaggio non poteva essere più chiara.
Le Brigate rosse avevano colpito il "cuore dello Stato".
Un evento di estrema gravità, destinato ad avere ripercussioni sulla politica e sulla storia dell'Italia.
Con la morte di Moro, era scomparso il teorizzatore di una linea di avvicinamento al Pci, che avrebbe potuto garantire la partecipazione dei Comunisti al Governo.
Ora si chiudevano gli spiragli di un possibile dialogo con l'opposizione. Le elezioni amministrative del 1978 impedirono al PCI di continuare a seguire la linea dell'appoggio esterno.
Con le dimissioni di Andreotti (gennaio 1979) era finita l'esperienza di solidarietà nazionale.
Si avviava un dialogo preferenziale con il PSI, e si dava inizio alla formula del Pentapartito: DC, Psi, Pri, Psdi e Pli, già alleato della Dc nella fase del centrismo.
Formula che si protrasse fino alla fine della prima Repubblica, nei primi anni '90.

Nessun commento:

Posta un commento