Relazione di Silvia LADDOMADA
Il 9 maggio scorso abbiamo visto in Tv
le immagini in bianco e nero dei Padri dell'Europa unita; abbiamo
sentito parlare di Shumann, di Monnet, che 70 anni fa decisero di far
nascere la Comunità europea.
Parleremo di questo progetto, di come
esso prese forma e sostanza.
Nessuna pretesa di tracciare l'iter di
questi 70 anni!
Questa data ci ricorda anche un evento
triste: la morte del grande statista Aldo Moro.
Una vicenda di cui non sono ancora
chiari i contorni. Possiamo, in questa sede, ricordare il contesto
storico in cui tale evento si colloca.
Ricordiamo ora quando é nata l'idea
di unificare i Paesi europei.
Nella prima metà del Novecento, le
rivalità economiche, i nazionalismi, l'odio reciproco tra le nazioni
europee avevano provocato due guerre che avevano coinvolto il mondo
intero, e avevano portato morte e distruzione in tutto il continente.
Con 60-70 milioni di morti e il
continente ridotto a un cumulo di macerie, i vinti erano in
ginocchio, ma lo erano anche i vincitori.
Nessuno stato aveva tratto vantaggi
dalla guerra, anzi tutte le ex potenze europee si trovarono in un
ruolo subordinato rispetto alle due potenze dominanti.
Cioè il guadagno che l'Europa trasse
da questi due conflitti fu il tramonto del suo predominio mondiale:
da protagonista della storia essa crollò a quasi colonia delle super
potenze mondiali, Stati Uniti e Russia, che possedendo la bomba
atomica e una forte economia, erano ormai arbitri del destino
dell'umanità.
Si parlò di guerra fredda, di
equilibrio del terrore, che nasceva dalla certezza che una guerra
nucleare avrebbe provocato la distruzione totale.
Nella primavera del 1950 l'Europa
stessa era sull'orlo del baratro.
La guerra fredda faceva temere un
imminente conflitto tra paesi occidentali e paesi dell'Est. Cioè gli
avversari di un tempo erano ben lontani dell'essersi riconciliati.
Ci si chiedeva come evitare di
rivivere gli errori del passato, come creare le condizioni per una
pace duratura tra nemici storici. Il nocciolo della questione erano
le relazioni tra Francia e Germania, bisognava stabilire un legame
tra i due paesi e ricongiungere ad essi tutti i paesi liberi
d'Europa, per costruire insieme un destino comune.
Ma da dove cominciare? E sopratutto,
come?
Jean Monnet, considerato il padre
dell'Europa, forte della sua esperienza di uomo di pace, propose al
ministro degli Esteri francese Robert Schumann e al cancellerie
tedesco Konrad Adenauer di creare un interesse comune ai due paesi,
che individuò nella gestione del mercato del carbone e dell'acciaio,
affidata al controllo di un'autorità indipendente.
Tale proposta venne solennemente
formulata dalla Francia il 9 maggio 1950 e accolta con favore da
Germania, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo.
Il trattato che istituì la prima
Comunità europea, quella del carbone e dell'acciaio (CECA), fu
firmato nell'aprile 1951 e ha segnato l'inizio delle realizzazioni
concrete dell'Europa.
Le prime iniziative di collaborazione
tra stati europei sono nate quindi, per ragioni economiche,
incoraggiate tra l'altro dagli Stati Uniti che vedevano positivamente
l'integrazione delle economie europee, anche perché un'Europa
occidentale, economicamente prospera, rappresentava un vasto mercato
per i loro prodotti.
Nello stesso tempo un'Europa unita,
appariva una forza concorrente, rispetto al mercato americano, nello
sfruttamento comune delle risorse di energia e materie prime.
Ma può sembrare che l'Europa sia nata
con ambizioni limitate, visto che si puntava su un'alleanza
economica.
In realtà per unificare l'Europa,
c'erano anche motivi ideali:
c'era il desiderio di evitare per
sempre al vecchio continente gli orrori di guerre tra paesi vicini;
era necessario salvare un patrimonio
di cultura; le radici che affondano nel mondo greco-romano e che
sono state arricchite di valori cristiani nel Medioevo. Non si poteva
accettare di essere schiacciati da due super potenze.
C'era il desiderio di un'Europa unita
nel segno della pace, della solidarietà, della democrazia.
Sono stati questi desideri ad imporsi
con vigore alla coscienza dei governanti e dei cittadini più
consapevoli. A impegnarsi nel cercare di far nascere un'amicizia tra
i popoli fu un numero esiguo di uomini politici, che riproposero in
sostanza, l'idea di un intellettuale, di un agitatore culturale che
si faceva chiamare Ulisse.
Parliamo di Altiero Spinelli, un
antifascista confinato a Ventotene, nel braccio di mare davanti alla
città di Latina.
Nel 1941, mentre su tutti i fronti
infuriava la guerra, prevedendo la catastrofe finale, intuì che
l'Europa avrebbe potuto risollevarsi se avesse creato una nuova forza
politica, magari una federazione come gli Stati Uniti.
Da questa idea egli sviluppò il
manifesto di Ventotene, insieme ad altri due compagni di confine,
Ernesto Rossi ed Eugenio Colormi.
"La via da percorrere non é
facile, nè sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà", così
scriveva Spinelli nel suo manifesto, considerato oggi una pietra
miliare del progetto di unificazione europea, un documento base del
federalismo europeo.
L'Europa dei 6, col tempo si é
ampliata, é diventata l'Europa dei 27 paesi, con un'apertura anche
agli ex Paesi dell'Est.
Esistono ancora delle divergenze tra i
Paesi, l'asse Francia-Germania é dominante. Manca una
collaborazione realistica e vantaggiosa.
E questo rallenta il cammino verso
l'Unità e accresce il numero degli euroscettici.
E' stato utile ricordare che parliamo
di Unione Europea, ma forse dobbiamo ancora fare tanta strada per
arrivare a una Europa federale, con un governo sovranazionale e con
una base comune di ideali etici, civili e giuridici, secondo un
autentico spirito costituente.
Un altro momento storico da non
dimenticare é il ritrovamento del cadavere di Moro, nascosto nel
portabagagli di un'automobile. Era il 9 maggio 1978.
Questa é una delle pagine più oscure
e drammatiche della vita della repubblica italiana, dopo 30 anni di
vita.
Dopo 40 anni, non abbiamo ancora
un'unica versione dei fatti. Possiamo però riportare alla memoria i
famosi "anni di piombo", nei quali maturò questo delitto.
La crescita economica, il cosiddetto
boom, che negli anni '50-'60 del Novecento, trasformò l'Italia da
paese agricolo a paese industriale, modificò la struttura sociale
del paese, trasformando le abitudini, la mentalità degli italiani.
Nasceva la società di massa, la
civiltà dei consumi.
Nel mondo giovanile, la più larga
diffusione degli studi superiori e universitari aveva accresciuto il
numero degli studenti, che sembravano una nuova categoria sociale,
con una notevole capacità di riflessione critica.
Moro - Andreotti |
La contestazione studentesca, nata
negli Stati Uniti, raggiunse il suo apice nel '67-'68: gli studenti
contestavano i metodi tradizionali dell'insegnamento, chiedevano una
maggiore democratizzazione della vita scolastica e universitaria.
La protesta acquistò ben presto un
carattere politico, avanzò esigenze di radicali riforme sociali ed
economiche.
Maturò una diffusa sfiducia verso il
sistema parlamentare in genere, ma sopratutto verso i partiti di
sinistra, compreso quello comunista, accusato di aver abbandonato
l'idea della rivoluzione.
I giovani della nuova sinistra,
rifiutavano le regole della democrazia occidentale e si dicevano
sostenitori di un'azione diretta delle masse popolari, le uniche
capaci di attuare la rivoluzione proletaria contro il sistema.
Si chiedeva una trasformazione
rivoluzionaria del sistema, si contestava il capitalismo e il
consumismo.
Anche da parte del mondo operaio e
sindacale, emergeva una forte domanda di rinnovamento sociale e
politico, nonchè una serie di rivendicazioni economiche.
Per la prima volta nel dopoguerra,
scesero in piazza masse di giovani e di operai; scioperi che spesso
culminarono in occupazioni a catena di scuole, di Università e in
scontri con le forze di polizia.
Nonostante le importanti conquiste
politiche e civili, concretizzate in leggi approvate dai governi di
centro sinistra, si assistette alla deriva dei "programmi
rivoluzionari" e all'emergere di una novità destinata a
sconvolgere la vita del paese: la violenza come arma politica.
Sorsero dei gruppi armati, come Potere
operaio, Lotta continua, che si definivano extra parlamentari e
anticostituzionali, cioè lontani dalla Sinistra parlamentare e in
aperto contrasto con i tradizionali partiti di sinistra, sopratutto
col Partito Comunista, accusato di aver smarrito la sua carica
rivoluzionaria .
Questi gruppi prospettavano un
sovvertimento radicale del sistema, da attuare anche con l'uso della
violenza.
Lo sviluppo della contestazione
suscitò allarmi e timori nella parte più conservatrice del paese.
Alcune forze eversive di estrema
destra, alcuni settori deviati dei servizi segreti, alcune
associazioni segrete (Loggia massonica), misero in atto un progetto
di stampo neofascista volto a destabilizzare la vita del Paese, per
favorire una svolta reazionaria.
Stragi indiscriminate tra la folla
tentarono di gettare il paese nel caos, di far credere che lo Stato
democratico fosse impotente a mantenere l'ordine e a proteggere i
cittadini e che, pertanto, fosse necessario instaurare un nuovo
regime, forte e autoritario.
Il primo atto di questa "strategia
della tensione", come fu chiamata, si ebbe a dicembre 1969 con
l'esplosione della bomba a piazza Fontana, a Milano, nel salone della
banca nazionale dell'Agricoltura.
Altre bombe scoppiarono nel 1973 alla
questura di Milano, nel 1974 in piazza della Loggia a Brescia,
durante un comizio sindacale, sempre nel 1974 sul treno Italicus,
sulla linea Bologna-Firenze.
Una lunga serie di stragi e violenze
si intrecciò con manovre preparatorie di azioni golpiste. Non
dimentichiamo l'attentato nella sala di aspetto della stazione di
Bologna, avvenuto molto dopo (2 agosto 1980), eseguito da un piccolo
gruppo di estremisti neofascisti.
La politica delle stragi accentuò nei
gruppi di estrema sinistra la convinzione che era giunto il momento
decisivo: o governo reazionario o vittoria del proletariato.
Quindi al "terrorismo nero",
si contrappose il "terrorismo rosso", praticato da
organizzazioni clandestine che si proclamavano comuniste, Nuclei
armati proletari, Prima Linea e sopratutto le Brigate Rosse.
Se i terroristi neri si muovevano tra
stragi e aspirazioni golpiste, gli estremisti rossi colpivano, con
attentati individuali, bersagli scelti per il loro significato
simbolico: magistrati, poliziotti, giornalisti, dirigenti di azienda.
In entrambi i casi si voleva
destabilizzare la società italiana a far precipitare il paese verso
uno scontro frontale e una violenza diffusa.
In questi anni di piombo, come furono
chiamati, la democrazia italiana si dimostrò più salda di quanto si
pensasse.
Le forze politiche si unirono per
fronteggiare il pericolo con la massima efficacia. Nel 1976 si formò
un governo di solidarietà nazionale, guidato dalla Democrazia
Cristiana, (capo di governo Andreotti), e sostenuto da tutti i
principali partiti con l'appoggio esterno del partito comunista, di
cui era segretario Enrico Berlinguer.
Sembrava che si stesse realizzando
l'incontro tra forze popolari, comuniste e cattoliche, quello che
Berlinguer aveva chiamato "compromesso storico".
Compromesso storico (Berlinguer con Moro) |
Paradossalmente, la politica delle
stragi e il terrorismo finirono per favorire l'ingresso del PCI
nell'area di governo, dopo 30 anni di opposizione.
Il dialogo si fece sempre più stretto
sopratutto con Aldo Moro, l'esponente democristiano più favorevole a
un accordo con Partito Comunista.
Mentre il progetto di compromesso
storico sembrava che stesse realizzandosi, il 16 marzo 1978, il
giorno in cui il Governo del compromesso storico si presentava al
Parlamento per ricevere la fiducia, un commando delle Brigate Rosse
sequestrò Aldo Moro in via Fani, uccidendo 5 uomini della scorta.
Dopo 55 giorni Moro fu ucciso e il suo
cadavere venne ritrovato in un'auto abbandonata, parcheggiata in via
Caetani a Roma, esattamente a metà strada tra la sede nazionale
della DC e quella del PCI.
La simbologia del messaggio non poteva
essere più chiara.
Le Brigate rosse avevano colpito il
"cuore dello Stato".
Un evento di estrema gravità,
destinato ad avere ripercussioni sulla politica e sulla storia
dell'Italia.
Con la morte di Moro, era scomparso il
teorizzatore di una linea di avvicinamento al Pci, che avrebbe potuto
garantire la partecipazione dei Comunisti al Governo.
Ora si chiudevano gli spiragli di un
possibile dialogo con l'opposizione. Le elezioni amministrative del
1978 impedirono al PCI di continuare a seguire la linea dell'appoggio
esterno.
Con le dimissioni di Andreotti
(gennaio 1979) era finita l'esperienza di solidarietà nazionale.
Si avviava un dialogo preferenziale
con il PSI, e si dava inizio alla formula del Pentapartito: DC, Psi,
Pri, Psdi e Pli, già alleato della Dc nella fase del centrismo.
Formula che si protrasse fino alla
fine della prima Repubblica, nei primi anni '90.
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