La
giornata del ricordo delle foibe.
Tutti gli italiani sono
invitati a ricordare, a non dimenticare questa tragica pagina di
storia. Nella cerimonia di commemorazione, il presidente Mattarella
ha detto: "Oggi il peggiore nemico da abbattere è
l'insensibilità, l'indifferenza, che si nutrono della mancanza di
conoscenza della storia".
Per oltre 50 anni si è fatto
silenzio, dal 1945 al 2004, allorché il Parlamento italiano istituì
per il 10 febbraio una giornata per conservare e rinnovare la memoria
delle vittime delle foibe e dell'esodo dai territori occupati nel
1945 dalle truppe di Tito, capo della Iugoslavia. Parliamo dei
territori dell'Istria, di Fiume, della Dalmazia, parliamo degli
italiani che vi abitavano, istriani, fiumani, dalmati, costretti a
dare un corso diverso alla loro storia.
Alla fine della 2°guerra
mondiale, si firmarono a Parigi gli accordi di pace, il 10 febbraio
1947. Tra i tanti provvedimenti presi, l'Italia dovette cedere
l'Istria, la Dalmazia e la città di Fiume alla Iugoslavia, diretta
dal comunista Tito.
Per vendicare le vittime di
efferati oltraggi compiuti da fascisti e nazisti, che avevano
occupato quelle terre, Tito ricorse a crudeli e spietate azioni di
massacro della popolazione residente, gente civile, mite, colta, che
aveva una sola colpa: essere italiani e essere identificati come
fascisti. Morirono migliaia di civili, complessivamente 300 mila
persone.
Torturati, fucilati, affogati
in mare, gettati nelle foibe, anche vivi, spariti nel nulla, senza
una tomba. Le foibe sono delle cavità carsiche, molto profonde,
nelle quali furono gettate le vittime uccise e le vittime vive,
legate con un filo di ferro alla vittima fucilata. Dalla profondità
di queste terribili gole, era difficile risalire, si moriva di
dolore, di fame, di sete, intossicati dai miasmi dei corpi
putrefatti.
La finalità di Tito era
quella di una pulizia etnica, eliminando con la morte e poi con
l'esilio forzato ogni presenza sgradita: i comunisti titini erano
decisi a spazzare via la secolare presenza italiana.
Molto famiglie, per sfuggire
alla morte, accettarono di abbandonare le loro terre, i loro beni
erano stati confiscati, le loro case occupate. Ammassarono su carri,
trascinati da cavalli, le poche masserizie che potevano portare con
sè, e partirono. Non furono mai risarciti dal governo italiano. La
stragrande maggioranza degli esuli emigrò in varie parti del mondo,
in cerca di una patria.
Tanti si fermarono in altre
regioni d'Italia, dove però molti ministri del governo italiano,
vicini politicamente alla Iugoslavia minimizzarono la portata di
questa diaspora.
Questi fatti tragici si
svolsero tra il 1943, dopo l'armistizio dell'8 settembre, e il 1947.
Quattro anni di vendette per le angherie fasciste subite.
Nel 1989, al crollo del muro
di Berlino e alla caduta del comunismo sovietico, si aprì una crepa
nel muro del silenzio. Nel 1991 il presidente della Repubblica
Cossiga si recò in pellegrinaggio al luogo delle foibe, nel 1993 si
recò anche Scalfaro. La coltre di silenzio diveniva sempre più
sottile e così abbiamo cominciato a conoscere la sofferenza di
questi popoli. Si è arrivati al 2004, quando è stata ufficialmente
proclamata la solennità nazionale.
Oggi però sono sempre più
numerosi gli episodi che tendono ad oltraggiare la memoria di questi
eventi, come le scenette satiriche riportate dai giornali. Si spera,
invece, che questa giornata sia un'occasione non di rancore
vendicativo, ma di studio di un momento doloroso della storia
d'Italia.
La giornata della memoria
La ricorrenza viene celebrata
il 27 gennaio, ricordando il giorno in cui l'esercito russo entrò
nel lager di Auschwitz, liberando i superstiti.
Lo scrittore Primo Levi ha
ricordato nella sua opera 'Se
questo è un uomo' :
"i vagoni merci chiusi dall' esterno. E dentro uomini, donne,
bambini, compressi senza pietà, come merce, in viaggio verso il
nulla". Sappiamo chi erano e dove andassero.
Sempre Primo Levi dice: "se
comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che
è può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e
oscurate: anche le nostre".
Le testimonianze dei
superstiti, i filmati autentici, i documenti storici, le pagine dei
giornali, tutto contribuisce a collocare queste vicende nel tempo e
nello spazio, raccontando, ha detto il presidente Mattarella "una
lezione terribile che invita ad essere sempre vigili di fronte ai
focolai d'odio, d'intolleranza, di razzismo presenti nella nostra
società e in tante parti del mondo". Mattarella ha aggiunto:
"oggi c'è un deprecabile e militante negazionismo". In
effetti l'Europa si è incattivita, è diventata diffidente: 16
italiani su 100 dicono che la Shoah, cioè la persecuzione degli
Ebrei, non è stata così terribile come si racconta; il 15% la
considera un'invenzione. Si sono moltiplicati i gesti di
intolleranza, svastiche disegnate sulle case di ex ebrei. Una deriva
particolare: l'odio, si sa dove comincia ma non dove finisce.
Dopo 75 anni noi continuiamo a
ricordare perché vogliamo che non succeda più, non solo agli Ebrei,
ma a nessun'altro. Per questo esiste da venti anni la giornata della
memoria, per non dimenticarla. Non stiamo parlando di storie
inventate. Ci sono persone che sono sopravvissute e hanno raccontato,
decine di migliaia di documenti, i resti dei campi con
le camere a gas, che i nazisti sconfitti non hanno fatto in tempo a
distruggere. Eppure esiste ancora chi dice che questo non è mai
successo, che sono invenzioni. Si chiamano i negazionisti. Essi
dicono che le prove non contano niente, che chi racconta mente. Come
ci sentiamo se fra 70 anni qualcuno dicesse che non siamo mai
esistiti, che qualcuno ci ha inventato, che qualcuno ha avuto
interesse a raccontare la nostra vita come se fosse vera, mentre era
tutto una menzogna?
In realtà i negazionisti
proseguono l'opera di quei nazisti, che volevano nascondere i loro
delitti, negandoli. Vogliono esaltare la memoria di Hitler e
Mussolini e continuarne l'opera, vorrebbero ricostruire i campi di
sterminio e usarli di nuovo.
Non parleremo dei lager, ma
delle origini di questa triste vicenda.
Il 9 novembre 1936 viene
considerato l'alba dell' Olocausto. 200 persone uccise, 30 mila
deportate, 267 sinagoghe distrutte , 7500 negozi devastati. "La
notte dei cristalli". La prima carneficina programmata contro
gli Ebrei.
Il pretesto per le spedizioni
punitive fu un maldestro attentato del giovane Herschel Grynszpen, un
rifugiato ebreo polacco che uccise a Parigi il segretario
dell'Ambasciata del Reich in Francia, per vendicare l'arresto del
padre deportato in Polonia su un vagone piombato. Impressionante il
bilancio, compiuto in tempo di pace, in un paese di grande tradizione
civile, sotto gli occhi del mondo intero. Ironicamente viene
ricordato il giorno per l'entità dei vetri rotti, ma poca cosa
rispetto all'iniquità che si stava scatenando su quel popolo.
L'antisemitismo in Germania aveva radici antiche, ed era stato
esasperato dalla riforma di Lutero, che aveva alimentato l'odio
contro "questi vermi velenosi", di cui Lutero auspicava "la
distruzione con il fuoco delle sinagoghe".
Il nazismo aveva ereditato
questa concezione, sostenendo eccentriche teorie di superiorità
razziale e ignobili vergogne, dicendo che gli ebrei avevano pugnalato
alle spalle la Germania, nel 1918, provocandone la disfatta.
Quando Hitler nel 33 andò al potere, iniziarono le discriminazioni,
culminate con le leggi razziali del 35, che privarono gli ebrei di
tutti i diritti civili. Ma dal 9 novembre 1938 la persecuzione fisica
divenne una regola e procedette in modo pianificato, con una
organizzazione efficiente. Non più l'emigrazione forzata, o la
deportazione in Madagascar, si prospettò la "soluzione finale",
resa ufficiale nel 1942. Ma le persecuzioni cominciarono già dopo
l'invasione della Polonia nel settembre 1939, e trovò la sua
definitiva organizzazione logistica nei campi di Treblinka,
Auschwitz, Birkenaue, vere e proprie catene di montaggio per la
raccolta, da selezionare, l'esecuzione e la cremazione di oltre sei
milioni di ebrei. Oggi la rievocazione di questo processo di
sterminio, subisce un andamento altalenante. Viene ricordato nel
giorno della memoria, a volte distrattamente, con insofferenza per
molti, senza cedere all'emotività e alle polemiche che rischiano
paradossalmente di attenuare l'immensa responsabilità morale che
grava su quelli che hanno agito e su quelli che hanno taciuto.
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