giovedì 27 febbraio 2020

Carnevale, tra cultura e allegria

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Relatrice Silvia Laddomada

Perché dal 17 gennaio fino al giorno delle Ceneri, si festeggia, ci si maschera, si fa baldoria, si lanciano coriandoli, stelle filanti? Cosa si festeggia?





Fin dall'antichità si celebrano questi riti, si festeggia il ritorno della primavera, la ripresa della navigazione, si auspica un buon raccolto.



Furono gli Egiziani, (2000 a.C.) a dare origine a questa festa popolare. Il Nilo ritornava ad essere navigabile. La gente si mascherava, faceva sfilare i buoi e li accompagnava cantando.
Presso i Greci vi erano le Dionisie, in onore di Dioniso, dio del vino (Bacco per i Romani), durante le quali era consentito abbandonarsi ad ogni forma di ebbrezza; in nome del Caos non si rispettava nessuna regola sociale o morale.
I Romani festeggiavano il ritorno alla fertilità della terra, dopo il torpore invernale.
Queste feste romane erano chiamate Saturnali, dal nome del dio Saturno, nota divinità dell'Olimpo, che aveva garantito agli uomini l'età dell'oro, il benessere. Si facevano sfilare per le strade carri festosi, tirati da animali bardati in modo bizzarro. 


Le persone si vestivano in modo buffo, si coprivano il volto con maschere orribili, si rincorrevano, si colpivano. Tutta questa baldoria serviva a cacciare gli spiriti maligni, che, si pensava, vagassero sulla terra in inverno. Essi dovevano ritornare nell'aldilà, così veniva favorito il raccolto.
E forse la parola Carnevale deriva proprio da questa festa dei saturnali, deriva da "carrum navalis", con riferimento al carro allegorico, a forma di barca, con cui i Romani inauguravano i Saturnali.
Un altro rito era quello dei Lupercali, dei lupacchiotti, giovani coperti da pelli di lupo, che tagliavano a strisce le pelli delle capre, le arrotolavano e poi, correndo, le srotolavano per strada.
Queste strisce sono presenti nella nostra tradizione, sono le bellissime stelle filanti, tanto amate dai bambini.
Accanto alle stelle filanti noi usiamo anche i coriandoli, piccoli dischetti multicolori di carta leggera, che danno allegria alla festa. Perché si chiamano così?



Perchè nel 1500, al passaggio dei Trionfi, (carri riccamente addobbati, circondati da gente in costume che intonava canti carnascialeschi, a volte irriverenti), si lanciavano i semi del coriandolo, glassati con lo zucchero (prezzemolo cinese).
Un altro simbolo è il manganello, a volte riempito con sassolini. Anche questo rito é antico: ricorda il bastone e le pietre con cui nel Medioevo si colpivano i passanti, per scherzo.
Il tutto giustificato dalla frase " A Carnevale ogni scherzo vale"; per dire che, almeno una volta all'anno, è concessa a tutti  una moderata follia. Il Carnevale è poi accompagnato da dolci fritti, che variano, nel nome, da città a città: ciambelle, frittole, chiacchiere, castagnole. Fritti, perchè era più veloce la cottura e poi perchè le famiglie disponevano di abbondanti quantità di grasso animale, di strutto, derivante dal fatto che a gennaio o febbraio era prevista la macellazione dei suini.
Nella tradizione cristiana, la parola Carnevale significa "carnem levare". Il riferimento, di origine medievale, é alle Ceneri, il mercoledì successivo all'ultimo giorno di festa , il martedì grasso. Con le Ceneri inizia la quaresima, i 40 giorni che precedono la Pasqua (escluse le domeniche).
Il martedì era definito"grasso", era il giorno in cui erano consentite grandi tavolate, grandi abbuffati. Il giorno dopo, la Chiesa richiama all'astinenza e al digiuno, richiama alla riflessione, ricorda all'uomo che é polvere, e che deve rimettere al centro della propria vita Dio, non Bacco.
Un'ultima nota da ricordare, relativa al Carnevale, é il mascheramento, il travestimento. Ogni regione la le sue maschere; ogni maschera ha un costume e un carattere che lo distingue.
La parola deriva dall'arabo "mascharat", che significa burla, buffonata. Nel teatro greco e latino, l'attore usava la maschera per sottolineare il carattere del personaggio messo in scena. Le maschere per eccellenza sono nate con la Commedia dell'Arte, nel 1600.
Erano spettacoli teatrali improvvisati, destinati a un pubblico che si divertiva in modo sguaiato,  per i contenuti sconci e il linguaggio scurrile degli attori. La presenza delle donne sul palcoscenico era un elemento dirompente, rivoluzionario. Gli attori improvvisavano i dialoghi, basandosi su un canovaccio; col tempo il personaggio che interpretavano diventava sempre più preciso, più fisso, fino al punto che il nome dell'attore diventava quello della maschera che portava sul palcoscenico.
Nasceva il personaggio del servo sciocco, furbo e bugiardo, come Arlecchino; il dottore e l'avvocato inconcludente, come Balanzone; il chiacchierone nullafacente, oggetto di bastonate spassose, come Pulcinella; il mercante avaro e brontolone come Pantalone; la cameriera pettegola e civettuola, come Colombina, eterna fidanzata di Arlecchino.
E così sono nate 50 maschere italiane ufficiali, sparse nelle regioni. Incarnano vizi e virtù del popolo, impersonano aspetti eterni e immutabili dell'animo umano.
Maschere,che sono entrate nella memoria collettiva.
Quante volte incontriamo o siamo, nella vita quotidiana, un Pulcinella, un Arlecchino, una Colombina, un Pantalone?
La vita è una recitazione, é un teatro, diceva Pirandello!




















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