domenica 26 gennaio 2020

ALDA MERINI: LA POETESSA DEGLI "ULTIMI" - Incontro del 21 gen. 2020

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Silvia Laddomada
Relazione della prof.ssa Silvia Laddomada




Breve cenno biografico

Alda Merini è una delle più importanti e amate voci della letteratura del Novecento.
Era nata a Milano il 21 aprile 1931, ultima di tre figli. Era una bambina malinconica, timida, solitaria. Aveva frequentato un istituto professionale, perché dopo la scuola di avviamento (oggi media inferiore), non poté accedere al liceo Manzoni perché non superò la prova di ammissione in Italiano. Si dedicò allo studio della musica, il pianoforte era lo strumento che aveva sempre amato. Voleva farsi suora. A 15 anni cominciò a scrivere versi poetici, che, tramite i suoi insegnanti, attirarono l'attenzione e l'ammirazione del poeta e romanziere Giacinto Spagnoletti. Grazie a lui Alda entrò nei salotti letterari di Milano, dove ebbe la possibilità di veder inserite le sue poesie nelle Antologie letterarie e di poter pubblicare le prime raccolte poetiche.
Godette dell'amicizia e dell'ammirazione di Montale, di Quasimodo e di Pasolini, che ebbe a dire: " Di fronte a questa precocità, a questa mostruosa intuizione letteraria, ci dichiariamo disarmati". Ebbe anche una relazione appassionata col critico letterario Giorgio Manganelli.
All'età di 16 anni, però, Alda aveva incontrato "le prime ombre della sua mente". Da quel momento le cure in ospedali psichiatrici si alternarono a momenti di ripresa e di traboccante produzione poetica. Un talento precoce in una mente inquieta. 

Sposò Ettore Carniti, da cui ebbe quattro figlie, che nei momenti critici venivano assegnate a istituti o a famiglie affidatarie.
Un periodo lungo di permanenza in ospedale psichiatrico, dal 1961 al 1971, ha inciso molto sulla personalità, sull'equilibrio e sulla sua produzione poetica. Ha sperimentato la solitudine, ha conosciuto il disagio sociale, economico, ma ha goduto anche della vicinanza di amici veri. Ha sofferto anche l'isolamento dal mondo letterario. Poi la ripresa, la fiumana di libri di poesie, nelle cui righe si intravvede e si legge il tormento di questa donna sconvolta dall'esperienza in manicomio. Una donna che si sente vicina agli ultimi, che si sente emarginata dalla società borghese col suo falso perbenismo.
In questa felice ripresa, Alda Merini avvia un'amicizia telefonica con un poeta e medico di Taranto, Michele Pierri. Un'amicizia che culmina nel matrimonio del 1984. Lei 53 anni, lui 85. Alda si trasferisce a Taranto.E' stata una relazione serena, Michele aveva un animo più vicino al suo, c'era un'emotività , una complicità che la nutriva e incoraggiava la sua fluida produzione poetica. In estate passava qualche giorno a Crispiano, dove abitava il figlio di Michele Pierri, il pittore Mario, consorte della professoressa Mimma Calabrese, nella casa in via Piave. Un idillio durato quattro anni. La malattia terminale di Michele, il ritorno a Milano, nella sua casa a Ripa di Porta Ticinese, sono un' altra prova per la fragile ma indomita Alda. Seguono altre pubblicazioni, grazie agli aiuti degli amici, arrivano i riconoscimenti a livello nazionale, le testimonianze di stima e ammirazione del mondo della cultura, fino alla fine, 1 novembre 2009.
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Alda Merini con Aldo,Giovanni e Giacomo

Alda Merini con Aldo Busi

A 10 anni dalla morte, 1 novembre 2019, tutta l'Italia si è inchinata a salutare la poetessa dei Navigli, la poetessa degli ultimi, attraverso incontri culturali, manifestazioni teatrali e musicali.


Una donna molto discussa. La sua fu una vita intensa, ma molto travagliata. Una poetessa che ha provato la vergogna e il dolore di essere chiamata "folle", ma ha anche vissuto il tempo del riscatto, dell'amore e di tanti riconoscimenti. In lei convivevano il tormento di essere diversa e l'esultanza di sentirsi tale.
Era nata il 21 aprile 1931 - "Sono nata il 21, in primavera, ma non sapevo che nascere folle potesse scatenare tempeste".

Per molto tempo è stata considerata la poetessa degli "ultimi", degli esclusi, degli emarginati, barboni, mendicanti a cui spesso si accompagnava nei momenti di scarsa lucidità, aggirandosi nel quartiere di Porta Ticinese. Erano uomini e donne senza maschere, e per questo li amava. "Noi matti parlavamo un linguaggio identico, ci aiutavamo. Fuori non si immagina quanta umanità c'è là dentro. Eravamo un popolo di emarginati, ma immersi nella carità cristiana".
Giacomo Salvemini legge le  poesie di Merini
La Merini trasforma il suo disagio in fonte di ispirazione, trasforma la croce del suo percorso psichiatrico in delizia. "Quella Croce senza giustizia che è stato il mio manicomio, non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita". Affida alla poesia i propri tormenti di donna, la follia vissuta, il continuo cammino di rinascita, che fa emergere ancora di più la sua immensa umanità.
"I poeti nel loro silenzio fanno più rumore di una dorata cupola di stelle".
Un vero e proprio manifesto poetico. Il poeta è la voce del singolo, è la voce dell'anima, dell'emarginato; il poeta fa emergere quello che è insito nella coscienza umana.
Con la sua penna la Merini racconta le condizioni più marginali dell'esistenza. Descrive il suo mondo interiore con vocaboli dettati dalle sensazioni che lei intende suscitare e ricreare nel lettore. Uno stile limpido, preciso, incisivo, versi spontanei, ingenui, immagini visionarie, accostamenti di realtà contrastanti, che rendono bene "il male di vivere" di cui parla Montale. Alda Merini ha cantato follie e dolori, spiritualità e carnalità, amore e morte. Era sorretta da una fede religiosa, sempre più ferma col passare degli anni. Una fede che ha influenzato il suo percorso di vita e l'intera produzione poetica. Alda Marini ha fatto della sua poesia un'arma, l'unica possibile con cui difendere la propria dignità e la propria sensibilità, conservare la propria umanità, sopravvivere. L'unica arma con cui far risplendere la propria esistenza. E' difficile e dolorosa l'esistenza, ma anche il dolore contribuisce a renderla degna di essere vissuta. Il dolore come riscatto, il dolore che fa apprezzare di più la gioia. il dolore, che riesce a renderci migliori, che riesce a farci apprezzare le piccole e impercettibili gioie quotidiane.
Un messaggio di speranza e di fiducia, un esempio di come si possa sopravvivere al dolore dell'anima.
Alda Merini amava definirsi poetessa della gioia, perché nonostante le angosce che si portava dietro, trovava tesori di felicità dentro di sé. Conosceva gli estremi della vita.
"Io la vita l'ho goduta, perché mi piace anche l'inferno della vita, e la vita è spesso un inferno. Per me la vita è stata bella, perché l'ho pagata cara". Cos'è davvero importante nella vita?, "La mia felicità", rispose, con quella sua sigaretta sempre accesa.
"Più bella della poesia è stata la mia vita, e la mia vita è stata un inferno dei sensi".
Anna Presciutti legge le poesie di Merini
Nell'ultimo periodo Alda Merini rinunciò a scrivere poesie, scriveva aforismi, pochi versi, che dettava, anche per telefono. un novello aedo. Un ritorno alla tradizione orale che conduceva a versi brevi, fino all'aforisma, quindi. Un fenomeno unico nell'universo della poesia contemporanea, bene apprezzato e riconosciuto. Aveva pochi amici, che voleva in esclusiva. Il prescelto di turno doveva essere a disposizione per fermare i versi sulla carta, prima che si perdessero per sempre. In quei momenti la sua voce creava poesia pura, come se venisse da un altrove, gli occhi persi in un lontano che vedeva solo lei.
Era provocatoria, ironica, irriverente. I suoi grandi occhi verdi erano attraversati ora dal guizzo crudele di chi disprezza gli adulatori, ora dalla tenerezza di chi implora di essere amata o almeno lusingata.
Il cardinale Ravasi diceva che nei suoi versi è deposta l'anima della poetessa che abbraccia il Cristo Crocifisso come la Maddalena di certe raffigurazioni del Calvario, aggrappata al Legno della Croce. "Parole troppo belle, ma io sono una peccatrice. Però anche Maddalena lo era, e Gesù l'ha sempre amata", diceva.
"Gesù dentro di me è una torcia umana che illumina, ma anche brucia. Mi ha fatto fiorire e morire una infinità di volte".

Pochi giorni prima di morire inviò una lettera al Papa Benedetto XVI, in cui si legge "io sono un guado pieno di errori che ho fatto, e di cui mi pento".
Non aveva paura della morte "O morte che tutti credono ributtante e infelice, tu sei una vergine leggiadra che mi scioglierà da questo letame, la donna che consegnerà il mio Calvario al Signore".    

Sul sito "Minerva News" (libro aperto) l'articolo di Franco Presicci": In via Magolfa, sul Naviglio Grande"

Giudizio di Franco Presicci, giornalista residente a Milano, collaboratore di Minerva News
La 'lectio magistralis' di Silvia mi è piaciuta molto, anche perché esauriente, ricco di particolari, interessantissima. Silvia ha ripercorso sapientemente la vita e le opere della poetessa dei navigli, le sue disavventure, i suoi contatti, sicuramente tenendo desta l'attenzione del pubblico. Mi complimento con la professoressa e giornalista, attenta, curiosa e intelligente. Ho conservato la copia della sua relazione, come un documento da rileggere. Grande Silvia". 

2 commenti:

  1. Bellissimo. Silvia scandaglia l'anima della poetessa suscitando emozioni. Ho letto e riletto l'articolo, con commozione. Lo rileggerò, francopresicci.

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  2. Bellissimo. Articolo completo ed esemplare. Silvia scandaglia l'anima della poetessa suscitando emozioni. Ho letto e riletto questo scritto, che è da antologia.francopresicci

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