giovedì 21 febbraio 2019

FRANZ KAFKA - Pagine scelte - Lettura attiva

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INTRODUZIONE DI SILVIA LADDOMADA

Kafka è nato a Praga nel 1883 ed è morto, appena quarantenne, nel 1924. E’ vissuto nella splendida belle époque; non nella mitica Parigi, ma nella straordinaria Vienna, nella Mitteleuropa (l’Europa di mezzo), che allora coincideva con il territorio dell’Impero degli Asburgo. Un mondo vivacissimo, nutrito di intensi scambi culturali e commerciali. Oggi se pensiamo alla Mitteleuropa ci si presenta davanti una particolare atmosfera culturale, fatta di caffè eleganti, di salotti culturali, di concerti musicali, di edifici maestosi, una leggenda. Una leggenda incarnata da Vienna, capitale di un millenario impero multietnico e da un treno, l’Orient Express, che partiva da Venezia e arrivava a Instambul, seguendo il corso del Danubio, attraversando proprio le città della Mitteleuropa, Zagabria, Praga, Budapest. Tanti intellettuali avevano in Vienna un centro ideale, propizio alla nascita di decisive e originali espressioni culturali, non solo letterarie, ma anche musicali, artistiche, scientifiche, filosofiche. Sul piano politico questo Impero vivo e vitale, era travagliato da scontri interni, Moravia, Ungheria, Serbia. Un Impero destinato a sparire dopo la Prima Guerra.
Una fine che proprio gli intellettuali anticiparono nelle pagine dei romanzi, nei ritratti degli artisti, nelle note dei musicisti. Fu un crollo preannunciato, quindi, che si caricò di un valore simbolico. La previsione di questo crollo provocò quella inquietante rivoluzione esistenziale, di fronte a cui l’individuo perde ogni certezza, finisce nell’angoscia, si sente schiacciato da una realtà senza senso, una realtà da incubo, in cui si aggirano i personaggi di Kafka.
Il disagio e il senso di alienazione dell’uomo del Novecento trovano espressione proprio nelle opere del boemo Kafka. Un uomo smarrito, insicuro, ridotto a “cosa”, privato della sua personalità che avverte l’assurdità dell’esistenza; un uomo che si sente in balia di un mondo regolato da leggi senza senso, di cui cerca invano di capirne il significato, leggi che lo rendono preda della paura, in una solitudine impotente. Tutte le opere si basano sull’ ”allegoria vuota”, ossia sono dei racconti inverosimili, assurdi che rimandano a un significato inafferrabile, come la realtà stessa. Ciò che sorprende in lui è la tecnica narrativa: Kafka usa uno stile piano, pacato, sa descrivere situazioni assurde come se fossero normali. Ed è proprio questo urto tra assurdo e normale, che accentua nel lettore il senso di angoscia.

Kafka è autore di un lungo racconto “La Metamorfosi”; di altri racconti, di tre romanzi, America, Il Processo, Il Castello (incompiuto), pubblicati postumi dall’amico Max Brod.
Nella Metamorfosi (1915) il protagonista è un commesso viaggiatore, Gregor Samsa che vive una situazione inverosimile, presentata con lucido realismo. Un mattino qualunque, al risveglio, si trova trasformato in un enorme scarafaggio. Dopo un primo disorientamento non prova né eccessiva sorpresa, né orrore, ma accetta la sua nuova condizione con tranquillità, si adatta, si autodifende chiudendosi nella sua stanza. Questa incongruenza ci trasporta in una situazione onirica, tipica del sogno e dell’incubo, in cui anche gli eventi anormali appaiono reali, probabili. Gregor si preoccupa non tanto della sua nuova natura, quanto del fatto che essa rende impossibile recarsi al lavoro, col quale aiutava la famiglia, che ora avrà difficoltà. Un personaggio debole, passivo, incapace di inserirsi nella vita sociale, ma anche incapace di ribellarsi ad essa. E’ un essere inutile, un inetto, un diverso. Sentirsi uno scarafaggio significa provare un senso di colpa, é sentire di essere stato punito perché incapace di rispondere alle richieste della società, della famiglia e soprattutto del padre.
Il rimanere nella stanza, la reclusione, è prima volontaria, poi forzata, perché la famiglia, per la quale Gregor è una vergogna, un mostro da nascondere, lo costringerà a rimanere chiuso nella stanza, ad essere trattato come un animale e cibato con gli avanzi, con i rifiuti. Un isolamento allegorico: il desiderio di comunicare, il tormento psichico e fisico, il rifiuto della famiglia, la sua passività (accetta la situazione senza scomporsi), fanno sì che la scelta dell’isolamento diventi alla fine la sua condanna. Una volta Gregor esce dalla stanza, per avvicinarsi alla madre, ma ha uno scontro violento col padre, che gli scaglia un mela, ferendolo gravemente. Dopo un secondo tentativo di uscire , per ascoltare l’esecuzione al pianoforte della sorella, egli scatena una reazione violenta da parte di tutti (soprattutto degli inquilini di una stanza della casa), che lo cacciano nella sua tana, dove egli si lascia morire di fame, dopo una lunga agonia, di cui nessuno si preoccupa. Il suo corpo viene gettato nella spazzatura, e la famiglia può riprendere la sua “normale” esistenza borghese. IL PROCESSO (pubblicato postumo, nel 1926). Un procuratore di Banca, Joseph K. (cognome abbreviato, che sottolinea l’affinità autobiografica), nel giorno del suo trentesimo compleanno, al risveglio, trova nella sua stanza due inviati di un misterioso tribunale, giunti per arrestarlo.
Essi gli comunicano l’esistenza di un processo a suo carico, per aver violato la legge. Non si sa il perché. Il signor K viene accompagnato al posto di lavoro, la vita scorre normalmente, ma l’arresto ha sconvolto la sua esistenza, per un po' egli spera che si tratti di uno scherzo dei colleghi, ma intuisce nel suo animo che c’è qualcosa di più serio. Cerca di conoscere i motivi del suo arresto, ma le sue domande infastidiscono le guardie. Sicuro della propria innocenza, contatta alcuni personaggi per tentare una difesa, ma tutti lo convincono che l’unica salvezza consiste nell’accettare l’autorità di questo tribunale. Paradossalmente entra nei panni del colpevole, che cerca di scagionarsi da un’accusa non ben definita. Dopo un anno, egli viene prelevato da due sconosciuti che, senza spiegazione, lo conducono fuori città e lo uccidono “come un cane”, con una coltellata al cuore.

Anche questa una situazione assurda, ritratta con un realismo tale, da farla diventare una specie di allucinazione. Un’altra testimonianza della difficoltà a comunicare, dell’inutile ricerca di senso della vita.
Kafka è convinto che dietro i fatti quotidiani, si nasconda sempre qualcosa di insolito, di misterioso. Nei racconti fantastici la stranezza dipendeva da cause soprannaturali, qui non si sa, e questo rende ancora più inquieta la narrazione. La vita è indecifrabile per Kafka, l’uomo è angosciato, disorientato, non riesce a capire le ragioni e il senso della propria esistenza. Il disagio, l’alienazione, il senso di colpa, che caratterizzano i personaggi e lo stesso Kafka, sono da ricondurre, per alcuni critici, al difficile rapporto col padre, alla condizione di esclusione legata alle sue origini ebraiche, all’insofferenza verso la società borghese, o verso l’opprimente burocrazia del potere austroungarico, in cui gli ordini sono autoritari.
Alla legge si obbedisce, anche se incomprensibile, anche se inaccessibile; una legge che incombe come un’entità disumana che sconfigge l’uomo, che lo esclude, lo emargina. Una situazione da incubo, in cui l’individuo si sente schiacciato da un meccanismo perverso, spietato. Un contenuto attuale, moderno. Quanti individui oggi sono vittime della burocrazia, o delle persecuzioni che queste Istituzioni mettono in atto contro i cittadini. Pensiamo anche ad alcune vicende giudiziarie realmente accadute, dove persone innocenti sono state ingiustamente accusate e condannate (per crimini non commessi).




Lettura dell’inizio delle Metamorfosi (1912)

 


L'ARRESTO DI K.

l processo,  capitolo I


 



 
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