Francesco venne poi, com'io fu' morto,per me; ma un de' neri cherubini li disse:
"Non portar; non mi far torto..." (Inf. XXVII, 112-114).
Relazione di Silvia Laddomada
Virgilio e Dante hanno appena lasciato Ulisse, quando si accorgono che da un'altra fiamma provengono dei lamenti di dolore.
Un' altra anima, chiusa nel fuoco, incapace di vedere e di farsi vedere, un altro consigliere fraudolento, ingannatore. Sentendo Virgilio che parlava, capisce che é italiano e chiede notizie della sua Romagna:
"Se tu pur mo in questo mondo cieco
caduto se' di quella dolce terra
latina ond'io mia colpa tutta reco,
dimmi se Romagnuoli han pace o guerra" ( versi 25-28)
(se tu sei caduto solo adesso in questo mondo cieco, senza luce, da quella dolce terra italiana dalla quale io ho portato quaggiù tutto il peso della mia colpa, dimmi se i romagnoli sono in pace o in guerra).
Risponde Dante.
"Romagna tua non è, e non fu mai,
sanza guerra ne' cuor de' suoi tiranni;
ma 'n palese nessuna or vi lasciai" (versi 37-39).
Ancora una volta un riferimento alla cronaca, l'eterna guerra tra i signori d'Italia.
Ma per il momento, dice Dante, i signori delle varie città sono impegnati a mantenere il loro potere sulla propria città.
Quindi Dante chiede all'anima di farsi riconoscere, e questa dice che lo farà, perchè tanto se lui è un dannato, non potrà tornare sulla terra e procurargli infamia.
E' Guido da Montefeltro, signore di Urbino, valido e spregiudicato condottiero, capo dei Ghibellini di Romagna. Noto per la sua astuzia.
"L'opere mie non furon leonine,
ma di volpe" (vv. 74-75).
"Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero,
credendomi, sì cinto, fare ammenda;
e certo il creder mio venìa intero,
se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!,
che mi rimise ne le prime colpe;
e come e quare, voglio che m'intenda". (vv. 67-72).
(Io fui uomo d'armi e poi vestii il saio dei francescani, credendo in questo modo di fare penitenza dei miei peccati. Il mio proposito si sarebbe attuato, se non ci fosse stato il papa Bonifacio 8° - il gran prete, il capo dei sacerdoti, che gli capiti un accidente, a farmi cadere negli antichi peccati, e voglio che tu sappia il perché e il come).
Purtroppo, racconta Guido, un anno prima della sua morte, il papa Bonifacio 8° ricorse a lui per avere un consiglio su come vincere, con inganno, la sua guerra contro i Colonna, potente famiglia nobile romana.
Guido, che si era ormai pentito delle sue colpe, e aveva vestito il saio francescano, non voleva dare più consigli fraudolenti, ma il papa lo convinse, dicendo che lui, come papa, aveva il potere di assolvere e di condannare. Pertanto lo rassicurò che lo assolveva anche in anticipo.
E quindi disse.
"Padre, da che tu mi lavi
di quel peccato ov'io mo cader deggio,
lunga promessa con l'attender corto
ti farà triunfar ne l'alto seggio". (vv. 108-111)
(Padre, siccome mi assolvi da quel peccato in cui devo cadere adesso, ecco il mio consiglio: promettere molto e mantenere poco ti darà la vittoria della tua autorità)..
Cioé: non rispettare i patti. Quindi il papa promise ai Colonna che, in caso di resa, avrebbe rispettato il loro stato e la loro dignità, ma quando vinse, non mantenne la promessa, anzi rase al suolo il castello di Palestrina, la fortezza dei Colonna.
Questo peccato, commesso da frate, ha portato Guido all'Inferno.
Infatti alla sua morte, san Francesco si presentò per accompagnarlo nel trapasso dalla terra al cielo, ma un nero cherubino, un angelo ribelle, un diavolo, pretese la sua anima. Perché? Per la colpa commessa a causa del papa, verso cui il peccatore Guido é molto duro, lo definisce "principe dei novi farisei".
"Forse tu non pensavi ch'io loico fossi", (vv: 122-123)
dice il diavolo, (che io fossi un ragionatore).
Perchè il diavolo la vince?
Non é nuova questa scena dell'angelo nero e dell'angerlo celeste, in questo caso san Francesco, che si contendono un'anima.
Simili situazioni, alla fine della vita, sono contemplate nella dottrina di s. Agostino.
Guido deve andare all'Inferno, dice il diavolo, perché secondo la dottrina agostiniana viene assolto chi si pente, e Guido l'aveva fatto, entrando nell'ordine francescano. Secondo la logica aristotelica, però, c'é stata una evidente contraddizione. L'assoluzione concessa dal papa non é stata efficace: non si può assolvere da un peccato non ancora commesso, né peccare dopo l'assoluzione, può salvarlo dalla colpa. Il papa lo aveva ingannato.
Questo demonio loico ha messo le cose a posto, seguendo la logica aristotelica e la dottrina agostiniana.
L'anima quindi si presentò a Minosse, il quale avvolse al suo dorso la coda otto volte, e poi la morse in un impeto di rabbia.
Rabbia verso Bonifacio, che è poi la rabbia di Dante per la smania di potere temporale di questo papa, ma é anche la rabbia di Guido, che si allontana, contorcendosi nella fiamma.
Dante prova pietà nei confronti di Guido, perché lo vede vittima del calcolo ragionato di Bonifacio.Un papa superbo, arrogante, assetato di potere, che inganna un frate pentito.
"LO SCAFFALE" (dis.di Anna Presciutti) |
Guido da Montefeltro é doppio nel suo fare (fu volpe, più che leone), subisce a sua volta la doppiezza del papa, che lo induce al peccato del consiglio fraudolento, con una promessa che non può mantenere: la preventiva assoluzione.
Doppiezza e contraddizione segnano il destino ultraterreno: l'anima contesa da san Francesco e dal diavolo.
Doppiezza nel finale: Guido la volpe insinua l'idea di essere stato indotto al peccato dall'oratoria del "gran prete". Riconosce la realtà del proprio peccato, ma cerca di giustificarsi, facendo ricadere la colpa sul papa. Ingannatore e poi ingannato.
Entrambi all'Inferno, ottavo cerchio, ma bolge diverse. 3'' bolgia per Bonifacio, tra i simoniaci; 8' bolgia per Guido, tra i consiglieri fraudolenti.
VIDEO: LA DIVINA COMMEDIA: INFERNO - GUIDO DA MONTEFELTRO (27° CANTO)
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