mercoledì 21 aprile 2021

LA QUESTIONE MERIDIONALE DOPO L'UNITA' D'ITALIA

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RELATORE: 

Tommaso CHISENA

 

 

  

     

Introduzione di Silvia LADDOMADA

Nei primi tempi dopo l'unificazione, l'Italia era ancora un paese in prevalenza agricolo; quasi l' 80% era analfabeta.

I motivi di questo stato di cose risalivano alla noncuranza dei governi preunitari nei confronti dell'istruzione popolare, che era stata ostacolata. Nel Sud i sovrani borbonici avevano lasciato deliberatamente la popolazione nell'ignoranza, convinti che tale decisione fosse più adatta a mantenere il popolo in obbedienza.

Incominciò a delinearsi in Italia fin dai primi anni di storia unitaria, il contrasto economico tra nord e sud, determinato dalla localizzazione delle industrie nelle regioni settentrionali e dal persistente carattere agricolo delle regioni meridionali.

Uno stato di cose, definito questione meridionale, un problema che pesò sullo sviluppo complessivo del paese e che perdura anche nei nostri tempi. Uno dei nodi più complessi della vita economica e politica italiana.

Il siciliano Francesco Crispi, divenuto poi capo di governo nel 1888 e grande statista dell'Italia umbertina, così scriveva a Garibaldi per spiegargli che cosa stava accadendo in Sicilia e i gravissimi rischi che la situazione comportava a livello nazionale.

"Mio generale credo mio dovere dirvi qualche cosa della povera isola che voi chiamaste a libertà e che i vostri successori ricacciarono in una servitù peggiore della prima. Dal nuovo regime quella popolazione nulla ha ottenuto di che possa essere lieta. Nissuna giustizia, nissuna sicurezza personale, l'ipocrisia della libertà sotto un governo, il quale non ha d'italiano che appena il nome (......)

La popolazione in massa detesta il governo d'Italia, che al paragone trova più triste del borbonico. Grande fortuna che non siamo travolti in quell'odio noi, che fummo causa del meritato regime! Essa ritiene voi martire, noi tutti vittime della tirannide (....) Se i consiglieri della Corona non mutano regime, la Sicilia andrà incontro a una catastrofe.

E' difficile misurarne le conseguenze, ma esse potrebbero essere fatali alla patria nostra".

Relazione di Tommaso CHISENA

La "questione meridionale" nasce con l’unita’ d’italia nel 1861 ed e’ rappresentata dalle condizioni di arretratezza economica e sociale che via via si determinarono nell’ex regno delle due Sicilie rispetto al nuovo regno d’Italia a seguito della invasione dei piemontesi.

I sabaudi instaurarono da subito un sistema statale e burocratico simile a quello piemontese, con la eliminazione dei decreti dittatoriali ,ovvero le promesse di Garibaldi, a cominciare dalla distribuzione delle terre demaniali ed ecclesiastiche ai contadini, quindi la eliminazione delle terre comuni e degli usi civici ( semina, pascolo e legnatico) una tassazione sulla popolazione 4 volte maggiore ( da 12 tasse che esistevano nel regno borbonico a 26 tasse sabaude), la leva obbligatoria e l’occupazione militare. Tutto questo creò un malcontento che unito a quello degli ex soldati borbonici, dette vita ad una vera e propria guerra civile, che i piemontesi, anche attraverso i loro giornali, definirono "brigantaggio", visto che nel sud fu vietata la libertà di stampa sino al 1865.

Episodio della campagna contro il brigantaggio



 

La lotta di resistenza durò circa 6 anni, dal 1860 al 1866, con sentenze di condanna a morte applicate sino al 1870. Per reprimere questi patrioti, il governo invasore creò - su richiesta del famoso generale Cialdini un vero e proprio criminale di guerra- la legge Pica del 1863, denominata “ repressione al brigantaggio”, che permetteva alle truppe piemontesi di fucilare sul posto chiunque fosse trovato con un’arma. Inoltre furono inviati nel sud circa 120.000 soldati -la metà di tutto l’esercito-.

Questa guerra civile procurò più di 15.000 morti , 30.000 feriti e 100.000 prigionieri. Fu una guerra senza nome, perchè sui libri di storia italiana non c’é. Infatti sui libri di storia e’ definita lotta al brigantaggio- operazione di polizia contro criminali.

I sabaudi si affrettarono ad applicare le leggi vigenti nel regno di Sardegna, così come la costituzione rappresentata dallo Statuto Albertino, nonché la parificazione fiscale.

La leva obbligatoria fu applicata dal generale Cialdini già a gennaio del 1861 nell’ex regno delle due Sicilie, dove non esisteva, in quanto l’esercito era formato da soli professionisti, così come é oggi in Italia.

La parificazione fiscale, con una maggiore tassazione su di un popolo abituato a pagare solo 12 tasse rispetto alle 24 nuove tasse, e la famosa tassa sul macinato, mise in pericolo l’economia del sud .

Inoltre, la vendita dei beni demaniali ed ecclesiastici, che tolse la fonte di sostentamento a centinaia di migliaia di persone, rappresentò la prima rapina dei sabaudi ai danni del sud.

Nel regno delle sue Sicilie vi erano enormi estensioni di terre demaniali di proprietà pubblica, costituita da boschi e pascoli, usati gratuitamente da tutti i cittadini. Altrettanto erano le proprietà dei conventi, dei monasteri e degli istituti di beneficienza, date in fitto ai contadini.

Il nuovo governo nazionale, oberato da tantissimi debiti, per la massima parte da debiti del Piemonte( indebitato per piu’ di 4 volte il suo pil), non potendovi far fronte si appropriò dei beni ecclesiastici e demaniali e li vendette ai privati per far cassa.

Ordunque , la rivolta - che diventerà una guerra civile - non scoppiò per le tasse o per la terra, che di certo furono concause, ma perché il popolo si sentì tradito dalle promesse fatte da Garibaldi e da Vittorio Emanuele II, a cui avevano dato fiducia.

Come conducevano la guerra i piemontesi

Le notizie sono frammentarie, perché’ occultate da chi gestiva l’informazione sabauda, per motivi politici, sia allora sia dopo: dal ventennio alla repubblica italiana.

Ad esempio, presso il paese di Pontelandolfo (Benevento) una banda di briganti attaccò una compagnia di soldati piemontesi e ne uccise alcuni. Pochi giorni dopo, il 14 agosto 1860, circa 500 soldati savoiardi di notte circondarono il paese e lo rasero al suolo, facendo strage di donne vecchi e bambini. Qualche giorno dopo stessa sorte toccò agli abitanti di Casaldini. Anche a Scursola, vicino ad Avezzano (L’aquila), avevano trovato rifugio gli uomini di una banda di un certo Giorgio, detto piccione. Questi aveva fatto ospitare i feriti presso la locale caserma e fatto distribuire gli uomini nel paese. Avvisati da qualche spia locale, arrivarono i piemontesi, che ammazzarono prima tutti i feriti poi radunarono gli uomini presso il cimitero e, dopo averli seviziati, ne ammazzarono 167.

Due brigantesse famose

Anche nei confronti dei civili fecero cose atroci : bastava un semplice sospetto, bastava che chi si portassero dei viveri fuori paese, donne o bambini che fossero, per essere immediatamente fucilati.

Un altro esempio del disagio provocato dalla situazione economica e sociale e dalla contrarietà alla leva obbligatoria fu la “ rivolta del sette e mezzo”. Questo tumulto scoppiato a Palermo nel 1866, e così chiamato perché durò sette giorni e mezzo, fu represso nel sangue dal generale Raffaele Cadorna, padre di Luigi.

La stroncatura nel sangue delle rivolte nel meridione creò il clima adatto per l’affermazione delle mafie in Sicilia e nelle altre regioni del sud.

La questione meridionale non troverà mai una sua soluzione, neanche nei vari cambiamenti di regime. Qualche passo in avanti si ebbe solamente nel secondo dopoguerra con la riforma agraria e la nascita dello svimez, e poi della cassa del Mezzogiorno.

L’economia nell’ ex regno delle due Sicilie.

Il Sud aveva più denaro e pagò i debiti del nord. Parliamo del banco di Napoli, o meglio della guerra intentata dallo stato unitario, e quindi dalla Banca Nazionale ( creata dalla fusione della banca nazionale del regno di Sardegna con la banca nazionale di Toscana e la Banca di credito toscana) contro il banco di Napoli. Al momento dell’unita’ vi erano 5 istituti di emissione ( stampa di carta moneta in ragione di 1/3 di valore in oro depositato) : banca nazionale sarda, banca nazionale di Toscana, il Banco toscano di credito, il Banco di Sicilia e il Banco di napoli. Chiunque presentava carta moneta all’istituto di emissione aveva in oro il cambio.

La banca nazionale aveva risorse auree in lire, pari a 26.000, il Banco di Napoli pari a 48.000.

Per avere una idea di moneta circolante, nel sud circolava il 66% della moneta italiana sul 37% della popolazione italiana: quindi ogni meridionale aveva il quadruplo della moneta a disposizione, rispetto alla media degli italiani.

La lotta contro il Banco di Napoli e’ iniziata con l’apertura delle filiali al sud del Banco nazionale e di contro con il divieto al Banco di Napoli di apertura di filiali al nord.

La Banca nazionale quindi vendeva titoli al Sud, che aveva in cambio carta moneta emessa dal Banco di Napoli, che a sua volta cambiava in oro alla Banca nazionale, la quale emetteva altra carta moneta per il triplo del valore. In poco tempo ci fu per il Banco di Napoli una consistente emorragia di oro, che non poteva più comprare dal mercato, a causa del divieto imposto dal governo, al contrario della Banca nazionale a cui era permesso l’acquisto sul mercato. Risultato: il Banco di Napoli aveva sempre meno oro e la banca nazionale sempre più liquidità. Quindi il Banco di Napoli subì un drastico taglio ai prestiti e ai finanziamenti al commercio, all’industria e all’economia del sud, mentre la Banca nazionale al contrario elargì prestiti e finanziamenti al nord per le attività industriali, commerciali e agricole, tali da trasformare la palude padana in pianura padana.

Dopo qualche anno le riserve auree del Banco di Napoli si ridussero da 48 a 42 milioni, mentre quelle della Banca nazionale passarono da 26 a 157 milioni. 

Fine della lotta

Un gruppo di briganti

Il banco di Napoli si alleò con la Banca nazionale ed aprì le sue filiali al nord, con la beffa oltre che al danno, di finanziare le imprese del nord. Morale: sud e nord finanziavano solo il nord. Le industrie del sud chiudevano, quelle del nord ingrassavano. Nonostante ciò, parecchie banche del nord improvvide furono salvate dal banco di Napoli, dal fallimento.

Ma quando nel 1887 il banco di Napoli rifiutò il salvataggio della banca di sconto torinese, il governo intervenne disponendo il commissariamento con lo scioglimento del suo Cda.

Nel 1898 nacque la banca d’Italia con la sottoscrizione di 300.000 azioni dalle altre banche italiane. Bene, su 300.000 azioni, al Banco di Napoli ne dettero solo 20.000, mentre alla sola Liguria ne dettero 120.000. Iniziava il triangolo industriale di Torino-Genova -Milano.

Istruzione pubblica

A sud, nel 1860, vi era una sola università, quella di Napoli. Inoltre vi erano gli studi dell’Aquila ,di Bari, di Salerno e di Catanzaro, che per serietà di studi valevano quanto delle universita’. Nel 1899 ( meno di quarantanni dopo l’unita’), la situazione é la seguente: su 17 universita’, nel meridione é rimasta solo quella di Napoli e inoltre sono stati soppressi gli studi di Bari, Salerno, Catanzaro e l’Aquila. Al nord, università che valevano meno, furono trasformate prima in università secondarie e poi in primarie come: Macerata, Sassari, Siena, Modena , Parma e Pavia. In tutto il meridione, niente.

Il contributo dello Stato per l’universita’ di Napoli, che contava 5.200 iscritti, era molto inferiore a quello dato all’universita’ di Roma, che contava 1.700 iscritti.

Pur pagando le stesse tasse, molte scuole al nord, poche scuole al sud, e mal distribuite. Questo fece aumentare di molto il problema dell’analfabetismo.

pertanto il divario scuola, dovuto alla differenza di trattamento a favore del nord, si aggiungeva agli altri svantaggi che il sud accumulava.

Addetti all’industria.

La superiorità del sud nel 1861 era presente in tutti i settori. Gli addetti all’industria erano notevolmente superiori a quelli del nord, che era privo di industrie e con una agricoltura poco sviluppata. Infatti rispetto alle numerose attività industriali del sud, che nel giro di poche decenni arrivarono alla chiusura o fallimento, l’agricoltura tenne bene per circa 20 anni, in quanto i prodotti erano da sempre esportati all’estero, sino a quando nel 1887 il governo emanò una legge sul protezionismo, per tutelare i prodotti del nord, impedendo a quelli, soprattutto francesi, di invadere il commercio del nord.

Ciò portò ad un impoverimento dell' agricoltura del sud – in aggiunta agli altri settori - non potendo più contare sulla esportazione dei propri prodotti.

Altro enorme divario si ebbe nel campo delle opere pubbliche.

Ad esempio quelle idrauliche. Dopo l’unita’ d’Italia furono spesi 480 milioni al nord e solo 2 milioni al sud.

Le ferrovie. Nel 1860 vi erano in tutta l'Italia 2000 km. di ferrovie. In soli 5 anni al nord furono costruite altri 3000 km. Lo Stato spese per i primi 4 decenni al nord 2.732 milioni, al sud solo 856 milioni. Questo divario e’ sempre stato costante, e lo troviamo persino nel 1945, allorché l’America ci regalò il surplus dei suoi materiali, che lo Stato distribuì al 73% al nord, al 17% al sud e al 10% alle isole. La stessa cosa avvenne per la distribuzione degli aiuti del piano Marshall.

Lo Stato nel decennio del 1890 spendeva per ogni 100 lire di tasse incassate 90 al nord e 60 al sud.

E' questa la questione meridionale.

Il sud dopo l’unità d’Italia e’ stato trattato come una colonia, funzionale allo sviluppo e ricchezza del nord. Infatti il sud deve fornire il capitale attraverso l’uso dei suoi risparmi e deve fornire lavoro quando richiesto.

L’emigrazione

Storicamente le emigrazioni sono il risultato delle diverse velocità di sviluppo economico tra paese o tra regioni.

Fino all'unità d’Italia, nel regno delle due Sicilie le emigrazioni furono scarse e temporanee. Il fenomeno più grosso era quello degli abruzzesi che stagionalmente, in numero non inferiore a 30.000 unità, si recavano nel casertano o nella campagna laziale.

Nel sud a seguito della invasione piemontese il fenomeno della emigrazione iniziò dopo il 1865 circa, con la fine della guerra di resistenza dei meridionali contro i militari sabaudi.

Squadriglia di Carabinieri

La prima reazione e’ stata emotiva e fu determinata da cause politiche e militari; infatti la prova é data dal fatto che i primi emigranti si diressero nel nord Africa e nel sud America, in Argentina. Questi non erano paesi di sviluppo economico, ma molti contadini erano attirati dalla terra da coltivare. Poi proseguì in costante aumento per la grave crisi economica, soprattutto dal 1876, anche in altri Paesi, come gli Stati Uniti, dove a cavallo del '900 emigrarono dal sud e dal nord circa 6 milioni di italiani, attratti da un paese in forte espansione industriale. Si calcola che fra il 1876, anno in cui si cominciarono a rilevare ufficialmente, e il 1985, circa 26.5 milioni di italiani lasciarono il territorio nazionale. Poi al sud l’emigrazione continuò, mentre al nord mano a mano decrebbe. Nel ventennio 1920/1940 per ragioni politiche si ridusse a zero. Ma ci fu quella indotta, nelle colonie italiane in nord Africa.

Nel dopoguerra, dal 1950 al 1970, riprese una fortissima emigrazione dal sud verso il nord, bisognoso di manodopera a basso costo, e verso paesi europei come la Germania, il Belgio, la Francia e la Svizzera.

Ciò a dimostrazione che l’emigrazione fu una delle pesanti conseguenze della mancata risoluzione, da parte dei governi italiani, della questione meridionale.

Governi dall’unita’ d’Italia a Giolitti

1861/ 1876 : destra storica liberale di Cavour. Nel 1876 il ministro alle finanze Quintino Sella raggiunse, per la prima ed unica volta, il pareggio di bilancio. ( oggi abbiamo da 18 anni, unico paese in Europa, un avanzo primario, ovvero che le entrate superano le spese. Ma dovendo aggiungere gli interessi sui debiti, ecco che il nostro bilancio non é più a pareggio, bensì in disavanzo).

1876/ 1900: governo della sinistra con Depretis ( si attuò il trasformismo) e poi Crispi ( braccio destro di Garibaldi, anzi la mente), che governò dal 1887/1891 e dal 1893/1896, distinguendosi per tendenze autoritarie e repressioni sanguinose, come quella dei moti di Milano del 1898, contro il caro vita, in cui i manifestanti furono addirittura cannoneggiati dal generale Bava Beccaris.

Considerazione finale:

Se l’unità d’Italia non si fosse realizzata con la conquista militare, ma ad esempio con il consenso di tutti gli stati dell’epoca, in una federazione iniziale, forse la storia d'Italia sarebbe stata diversa.

LA QUESTIONE MERIDIONALE(Video)

 

 

 

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