mercoledì 7 aprile 2021

La Divina Commedia: INFERNO (Ciacco-6° Canto/ Farinata-10° Canto)

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RELATRICE: SILVIA LADDOMADA

LA  DIVINA COMMEDIA: INFERNO                     CIACCO ( 6° canto) e FARINATA (10° canto)

Continuiamo il viaggio di Dante nell'Inferno.

Una voragine divisa in nove cerchi, custoditi da personaggi mitologici, nella veste di demoni. Un luogo buio, maleodorante, illuminato a tratti dai riverberi delle fiamme. Un luogo in cui i lamenti e le bestemmie dei dannati, le grida dei mostri infernali generano un'angoscia a volte insopportabile; un luogo in cui Dante usa un linguaggio basso, farcito di parole popolari e suoni aspri.

In ogni cerchio Dante condanna il peccato; le anime dei dannati che incontra, sono spesso trattate con pietà, con compassione, perché magari sono note per altre capacità, ma il peccato che Dante giudica in maniera inflessibile, é quello che ha condotto queste anime fuori dalla retta via.

Abbiamo visto che dopo aver ascoltato la storia di Paolo e Francesca, Dante commosso e impietosito, perde i sensi.

I due giovani amanti, nutriti di letture d'amore, erano stati condannati perché travolti dalla passione, che non avevano saputo controllare.

Nel terzo cerchio sono condannate le anime dei golosi, un vizio che diventa peccato se é dominante, se l'uomo vi si abbandona senza freni. Il peccato di gola non é uno dei più gravi, ma uno dei più animaleschi, perché riduce l'uomo a semplice sacca sensoriale. Non si solleva dalla sfera di ciò che é materiale, nega a se stesso la dimensione spirituale e intellettuale. Nega Dio e si condanna al suo inferno di fango e di puzza.

Custode del cerchio é il demone Cerbero,

Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.

Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.

il cane a 3 teste della mitologia, già custode dell' Averno.

L'ambiente é maleodorante, i dannati sono immersi nel fango tormentati da un'eterna pioggia fredda e opprimente, lacerati da Cerbero. Una descrizione realistica, violenta e crudele. Cerbero simbolo dell'ingordigia animalesca e irrazionale.

Mentre Dante e Virgilio avanzano, un dannato si alza dal fango e chiede a Dante se lo riconosce. Alla risposta negativa, si presenta: é il fiorentino Ciacco. Un fiorentino misterioso, uno che godeva di un pò di notorietà, al di là della ghiottoneria.

Per la prima volta Dante incontra un suo concittadino; tra i due c'é simpatia, c'é benevolenza verso Ciacco, nonostante la condanna morale.

E' un incontro a tema politico: si discute delle discordie interne a Firenze, causa dell'esilio.

Ciacco
Dante gli rivolge tre domande: una sull'esito dei conflitti tra Bianchi e Neri, l'altra sulla presenza di uomini giusti, un'altra sulle cause della discordia.

Ciacco prevede il momentaneo trionfo dei Bianchi e quello definitivo dei Neri. Segnala che in città ci sono 2 solo giusti, ma non vengono ascoltati. E indica come causa del conflitto la superbia, l'invidia (la rivalità tra cittadini ambiziosi), l'avarizia dei fiorentini.

 Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita;
ma dimmi, se tu sai, a che verranno

li cittadin de la città partita;
s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione
per che l’ha tanta discordia assalita».

E quelli a me: «Dopo lunga tencione
verranno al sangue, e la parte selvaggia
caccerà l’altra con molta offensione.

Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l’altra sormonti
con la forza di tal che testé piaggia.

Alte terrà lungo tempo le fronti,
tenendo l’altra sotto gravi pesi,
come che di ciò pianga o che n’aonti.

Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c'hanno i cuori accesi».

Di questi mali morali che sconvolgono la città, si parla in questo 6° canto.

Per simmetria sarà un canto politico anche il 6° canto del Purgatorio, dove si parlerà delle discordie interne all' Italia.

E sarà politico il 6° canto del Paradiso, dove si parlerà delle discordie interne all'Impero.

Discorrendo tra loro, Dante e Virgilio arrivano al 4° cerchio, luogo destinato ad avari e prodighi, cioé coloro che desiderano arricchirsi eccessivamente e coloro che sperperano le proprie ricchezze in modo irresponsabile.

Spingono col petto enormi sassi e girano intorno al cerchio, scontrandosi con chi gira in senso opposto e si insultano a vicenda.  Custode del cerchio é il demonio Pluto (dio greco simbolo della brama di ricchezza).    Alla vista di Dante e Virgilio il demone urla parole incomprensibili (papè satàn, papè satàn aleppe).  Virgilio lo mette a tacere. Le sue parole di sapore greco, ebraico, sono l'immagine della confusione di babele che regna in questo cerchio.  Parole senza senso, che Momigliano definisce "segno di imbecillità a cui riduce l'avidità di ricchezze".

Dante giudica questo peccato in maniera polemica e sprezzante. Tra coloro che si sono affaticati inutilmente ad accumulare o a sperperare il denaro, senza saperlo usare con misura, ci sono religiosi, papa, cardinali, ma sono irriconoscibili, perché la loro vita fu priva dell'intelletto necessario a riconoscere lo scopo dell'esistenza.  Dante non traccia un profilo, non fa un nome.   In coloro che ripongono nel denaro il loro unico ideale, c'é assenza e  dissoluzione dell'umanità. Non si crea tra Dante e i personaggi nessuna comunicazione di sentimenti forti.

I peccatori sono massa informe e imbestialita. Sono vittime dell'avidità mondana, verso cui Dante esprime la sua indignazione morale. Essi non meritano nè un'attenzione, nè un ricordo. Dante si sente al di sopra del tumulto delle brame terrene. Preferisce proseguire e parlare d'altro. Infatti i due pellegrini si abbandonano a una disquisizione sulla Fortuna.

Virgilio gli dice che la Fortuna non é la dea bendata e imprevedibile degli autori classici, ma é "ministra" del volere divino, che toglie e dona agli uomini secondo un disegno imperscrutabile.

Filippo Argenti
Così, chiacchierando, i due poeti proseguono il cammino e arrivano nel 5° cerchio.    Questo é costituito da una grande palude (formata dalle acque del fiume infernale Stige), in cui sono immersi nel fango e avvolti da un fumo denso, gli iracondi e gli accidiosi (coloro che non hanno voglia di fare qualcosa di buono).

A fargli fare il giro della palude Stigia ci pensa un altro demone, Flegiàs, un nocchiero violento, che irrompe all'improvviso e dopo aver rimproverato Dante, li carica sulla barca, una barca che procede lentamente nelle acque fangose.

Improvvisamente un'anima, coperta di fango puzzolente, irriconoscibile, emerge dalla massa e si rivolge a Dante.

Dante lo riconosce, é il fiorentino Filippo Argenti, un uomo sempre accecato dall'ira e pieno di orgoglio. Dante lo tratta con durezza.

Mentre noi corravam la morta gora,

dinanzi mi si fece un pien di fango,

e disse: «Chi se' tu che vieni anzi ora?».

 

E io a lui: «S'i' vegno, non rimango;

ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?».

Rispuose: «Vedi che son un che piango».

 

E io a lui: «Con piangere e con lutto,

spirito maladetto, ti rimani;

ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto».

 

Il dannato, adirato, si avvicina alla barca e tenta di capovolgerla senza riuscirci.

Virgilio loda Dante per il suo sdegno contro il dannato, che non ha lasciato cosa degna di memoria che lo onori, e per questo l'ombra é furiosa, e lancia un invettiva contro i prepotenti che si considerano re e lasciano tra gli uomini solo la memoria di misfatti spregevoli. intanto altri dannati si scagliano furiosi contro di lui, percuotendolo. E la pena continua.

Completamente immersi nella palude fangosa gli accidiosi, che vissero in maniera triste e inattiva.

Attraversata la palude, Dante e Virgilio scorgono un'alta torre e si fermano davanti alle mura infuocate della città di Dite.

Segue una scena concitata, quasi una rappresentazione teatrale.

1000 diavoli si affacciano dalle mura, gridano stizziti contro Dante, impedendogli di entrare, Virgilio cerca di placarli, ma quelli gli chiudono la porta in faccia.

All'improvviso appaiono le tre Furie, o Erinni, donne con i serpenti al posto dei capelli, tutte imbrattate di sangue (nella mitologia erano le dee della vendetta).

Per intimorire i due viaggiatori annunciano minacciose l'arrivo di Medusa, altra figura mitologica capace di pietrificare chi la guardasse.

Virgilio é in difficoltà, istintivamente copre gli occhi di Dante e gli chiede di voltarsi.

Dante teme che il viaggio si interrompa, Virgilio teme che Dante perda la fiducia in lui; momenti concitati, finchè sopraggiunge un angelo. I demoni fuggono, e l'angelo tocca con "una verghetta" la porta che si apre, rimprovera i diavoli e si allontana. Un messo venuto dal Cielo?

Lo stesso Dante invita il lettore a capire l'allegoria dell'episodio. Dalla città di Dite, Virgilio e Dante avranno accesso alla parte più profonda dell'Inferno, dove sono puniti i peccati più gravi. Le Furie e Medusa, rappresentano gli ostacoli che l'anima incontra nel liberarsi dal peccato, la mancanza di rimorsi e l'indifferenza davanti al male fatto. Per liberarsi non basta la ragione, occorre la grazia divina.

Spalancate le porte i due entrano e si trovano davanti una pianura vasta e deserta, cosparsa di tombe scoperchiate e infuocate.

All'interno ci sono gli eretici che "l'anima col corpo morta fanno", cioé gli epicurei, che non credono nell'immortalità dell'anima, ma anche gli atei o esponenti di altre sette ereticali, molto diffuse a Firenze nell'epoca di Dante, che non credevano nell'immortalità dell'anima.

Mentre percorrono la pianura uno spirito sorge dalla tomba e apostrofa Dante. E' il capo dei ghibellini Farinata degli Uberti, che profetizza a Dante il suo esilio. Dante é intimorito, ma Virgilio lo incoraggia.

 "O Tosco che per la città del foco

vivo ten vai così parlando onesto,

piacciati di restare in questo loco. 

 

La tua loquela ti fa manifesto

di quella nobil patria natio

a la qual forse fui troppo molesto".

 

Subitamente questo suono uscìo

d'una de l'arche; però m'accostai,

temendo, un poco più al duca mio.

 

Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai?

Vedi là Farinata che s'è dritto:

da la cintola in sù tutto 'l vedrai".

 

Io avea già il mio viso nel suo fitto;

ed el s'ergea col petto e con la fronte

com'avesse l'inferno a gran dispitto.

 

E l'animose man del duca e pronte

mi pinser tra le sepulture a lui,

dicendo: "Le parole tue sien conte".

 

Com'io al piè de la sua tomba fui,

guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,

mi dimandò: "Chi fuor li maggior tui?".

 

Io ch'era d'ubidir disideroso,

non gliel celai, ma tutto gliel'apersi;

ond'ei levò le ciglia un poco in suso;

 

poi disse: "Fieramente furo avversi

a me e a miei primi e a mia parte,

sì che per due fiate li dispersi".

 

"S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte",

rispuos'io lui, "l'una e l'altra fiata;

ma i vostri non appreser ben quell'arte".

 

Farinata é un personaggio di alta statura morale, si erge in mezzo alla tomba come se non tenesse in nessun conto l'Inferno, o le pene assegnategli per l'eternità. Di lui Dante aveva chiesto a Ciacco, nel cerchio dei golosi, mostrando di ammirare il suo valore e il suo impegno a operare per il bene comune.

Farinata degli Uberti

Nonostante la differente appartenenza politica, Dante presenta Farinata come una figura orgogliosa, nobile e fiera. Nel loro colloquio c'é tensione, asprezza, tuttavia Dante riconosce i meriti dell'avversario ricordando il suo ruolo nella difesa di Firenze, quando i capi ghibellini avevano deciso di distruggere la città, dopo la sconfitta dei Guelfi a Montaperti.

Farinata svela che ciò che lo tormenta più della pena infernale, é il fatto che i ghibellini non siano più rientrati a Firenze, dopo la sua morte. Ma ammonisce Dante, anch'egli sarà ugualmente tormentato. E qui profetizza il suo esilio.


 e sé continitando al primo detto,
«S'elli han quell’arte», disse, «male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto.

Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell’arte pesa"


 Non passeranno 50 mesi (50 lune) dal momento del loro colloquio, prima che anche Dante si renderà conto di quanto sia duro l'esilio. Dall'aprile 1300 a giugno 1304, quando i Bianchi fuoriusciti furono sconfitti e Dante, ormai in esilio, perse per sempre la speranza di ritornare a Firenze.

Dopo aver abbandonato le tombe degli epicurei, Dante e Virgilio attraverso un cammino franoso, discendono verso il fondo dell'Inferno, dove sono puniti coloro che si sono macchiati del peccato della violenza e dell'inganno.

Colpe peggiori, perché questi dannati non solo sono stati incapaci di controllare le loro passioni, ma hanno consapevolmente violato le leggi divine.

 Ciacco

Per vedere il video cliccare QUI La Divina Commedia(CIACCO e FARINATA)
                                    

                                                                                               

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