Virgilio ha proposto a Dante un viaggio nell'aldilà, prima di raggiungere la cima del colle illuminato.
Sembrava che Dante avesse accettato il singolare viaggio, confidando nel sostegno del suo maestro Virgilio.
Invece é assalito dal timore e da un dubbio: come potrà lui, compiere un viaggio ultraterreno, che nel passato era stato concesso solo all'eroe troiano Enea, dal quale avrebbe avuto origine l'Impero romano e a San Paolo, che avrebbe diffuso la Fede cristiana?
Ancora una volta, Dante si pone tra la tradizione classica e quella cristiana.
Virgilio lo tranquillizza, rivelando le vere ragioni del suo viaggio. E' stata la Vergine Maria a interessarsi del destino di Dante, perso nella selva, sollecitando santa Lucia, che a sua volta si é rivolta a Beatrice e questa si é recata da Virgilio pregandolo di correre in aiuto a Dante. Un altro quadretto realistico.
Qual'é il significato allegorico?
Dante perplesso dice: "Ma io perché venirvi? o chi il concede?
Io non Enea, io non Paolo sono: me degno a ciò nè io, nè altri il crede".
Il riferimento é all'Eneide di Virgilio e alla 2^ lettera ai Corinzi di San Paolo.
Nel 4° libro dell'Eneide, Virgilio dice che Enea scese agli Inferi (campi Elisi) per incontrare l'ombra del padre Anchise, il quale profetizzò che da Enea sarebbe discesa la generazione artefice della nascita dell'Impero, Impero, per Dante, voluto da Dio per preparare la venuta di Cristo.
Per quanto riguarda San Paolo, nella lettera ai Corinzi, egli dice che, sulla strada di Damasco, quando folgorato da una luce avvenne la sua conversione, si sentì rapito fino al terzo cielo e comprese di aver ricevuto la missione di diffondere la fede cristiana tra le genti.
Ma Virgilio lo tranquillizza. Anche il suo viaggio é voluto dall'alto.
Anche lui ha una missione. Gli rivela che 3 donne benedette si sono preoccupate della sua sorte, dovuta a scelte sbagliate.
Le 3 donne rappresentano i 3 gradi della Grazia divina. Se si avverte il bisogno di uscir dalla selva occorre la grazia donata (indipendentemente dai meriti), rappresentata dalla vergine Maria, occorre poi la grazia illuminante (S.Lucia) e il mezzo con cui Dio opera nell'uomo illuminato, la grazia operante ( Beatrice). Quindi illuminato dalla grazia divina, con l'aiuto della ragione (Virgilio) Dante potrà ritornare sulla retta via.
Il messaggio é compreso e il viaggio ha inizio.
Sulla porta dell'Inferno, Dante legge delle parole oscure, sia a livello visivo che nel significato.
"Per me si va ne la città dolente / per me si va ne l'eterno dolore/ per me si va tra la perduta gente."
Questa triplice ripetizione, "per me, per me, per me" sembra martellante, lugubre.
Una scritta che Dante scolpisce anche nella mente dei lettori. E poi aggiunge "Lasciate ogni speranza voi ch'intrate".
Una scritta che provoca un'impressione di sgomento. Tutti gli uomini in una situazione penosa sperano di uscirne. Ma nell'Inferno la speranza è assente, l'Inferno è un luogo di disperazione, senza possibilità di conforto.
Virgilio però lo incoraggia. Entrano in un luogo che é proprio un inferno, come usiamo dire quanto in un luogo c'è un frastuono assordante.
"Vedrai le genti dolorose \ che han perduto il ben de l'intelletto", avverte Virgilio.
"Quivi sospiri, pianti e alti guai \ risonavan per l'aere sanza stelle \ perch'io nel cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,\ parole di dolore, accenti d'ira,\ voci alte e fioche, e suon di man con elle".
Dante esprime in crescendo la sofferenza, ma anche il fastidio che prova. Dai sospiri passa ai pianti, ai lamenti, alle orribili pronunce, alle voci di dolore, al battere delle mani.
E' buio. In tutto l'Inferno regna l'oscurità, interrotta solo dai riverberi del fuoco.
Il primo incontro Dante lo ha con le anime dannate degli ignavi, di coloro che nella vita sono stati vili, non hanno mai preso una posizione, sono le anime di coloro che sono vissuti "sanza infamia e sanza lodo", senza aver mai avuto un ideale per cui battersi. Sono collocati in un'anonima terra di nessuno, tra la porta e l'ingresso dell'Inferno, perché non avendo operato il male, non meritano la condanna dell' Inferno, ma non avendo nemmeno praticato il bene, sono esclusi dal Paradiso.
Sono stati neutrali, quindi massa anonima, non hanno alcuna speranza, nessuno scopo.
"Sono genti dolorose c'hanno perduto il ben de l'intelletto, dice Virgilio.
"Fama di loro il mondo esser non lassa; \ misericordia e giustizia li sdegna: \ non ragioniam di lor, ma guarda e passa". Virgilio lo invita a proseguire.
Ma Dante curioso guarda e riconosce tra quei vili qualcuno che non nomina, perché nessuno di loro merita di essere ricordato, ma dice "vidi e conobbi l'ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto".
Riguardo a questo "qualcuno", la maggior parte della critica identifica questo personaggio con il papa Celestino V, un eremita che dopo 5 mesi rinunciò al soglio pontificio, per inesperienza, aprendo la strada all'elezione di Bonifacio 8°, nemico di Firenze e di Dante.
Allontanato lo sguardo dagli ignavi, Dante nota una moltitudine di anime sulla riva di un fiume. Sono tutti nudi, del resto la nudità è un aspetto comune a tutte le anime dell'Inferno e del Purgatorio. Il fiume è l'Acheronte, fiume mitologico, che segnava il confine dell'Averno, l'oltretomba pagano.
Le anime sono quelle delle persone dannate, appena morte. Ed ecco arrivare Caronte, che con la sua barca li traghetterà fino alla porta dell'Inferno.
"Ed ecco verso noi venir per nave \ un vecchio bianco per antico pelo, \ gridando: Guai a voi anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo: \ i' vegno per menarvi a l'altra riva \ ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo":
Caronte é una figura mostruosa della mitologia, traghettatore di anime anche nei poemi omerici e nell'Eneide, qui trasformato in ministro infernale. Una figura riadattata al nuovo contesto dell'oltretomba cristiano. Caronte, accortosi di Dante, cerca di allontanarlo, ma Virgilio interviene, come accadrà in altre occasioni, per dire a Caronte che il viaggio di Dante é voluto dalla volontà misteriosa di Dio.
"E 'l duca lui: "Caron non ti crucciare: \Vuolsi così colà dove si puote \ ciò che si vuole, e più non dimandare' ".
E misteriosamente anche i nostri pellegrini attraversano l'Acheronte. Sono arrivati nel primo cerchio infernale: il Limbo, un luogo speciale, dove si trovano, secondo la tradizione cristiana, le anime dei bambini non battezzati, e dove si trovavano le anime di Patriarchi e Profeti, prelevati da Cristo dopo la sua morte (o discesa agli Inferi). Dante aggiunge le anime di personaggi nobili e virtuosi, della mitologia, dell'età classica, che non ebbero la fede, nè ricevettero il battesimo, conditio sine qua non per salvarsi. Essi furono sapienti, si avvicinarono alla verità filosofica, ma vissero in epoca precristiana.
Dante colloca qui queste anime, per salvaguardarle, per meriti e sapienza, dalla sofferenza della dannazione. Anch'essi soffrono, sospirano, desiderano vedere Dio, ma non potranno mai realizzare questo desiderio. In questo luogo luminoso Dante colloca Virgilio, il quale viene subito riverito da Omero, Orazio, Lucano, Ovidio, personalità del mondo classico (storicamente esistiti) e poi Virgilio introduce Dante nel gruppo e insieme conversano di cose "che 'l tacere é bello". Dante è dentro la schiera dei grandi poeti, "sì ch'io fui sesto di cotanto senno". Dante idealmente collegato ai 5 scrittori maggiori, quale erede dell'antica sapienza tramandata dai poeti. Non solo sente di avere una missione politica e morale di riformatore della Chiesa, ora sente anche di essere stato riconosciuto poeta. Un onore ai suoi meriti.
Successivamente tutti si recano all'interno di un castello, che rappresenta la filosofia, e si soffermano in un giardino fiorito, dove da un'altura Dante ha modo di vedere gli "spiriti magni", eroi del mito, ma anche matrone romane, filosofi greci e romani, scienziati, sapienti di varie religioni, tutti nominati individualmente.
Quando la compagnia si scioglie, Dante e Virgilio riprendono il cammino ed entrano nel 2° cerchio.
Qui incontrano Minosse, mitico eroe di Creta, qui trasformato in un giudice infernale, che giudica le anime che hanno attraversato l'Acheronte e stabilisce le punizioni avvolgendosi il corpo con la coda un numero di volte pari al cerchio a cui l'anima é destinata.
Anche Minosse respinge Dante ma Virgilio lo placa.
"Non impedir lo suo fatal andare\ vuolsi colà dove si puote\ ciò che si vuole, e più non dimanadare".
Ora, dice Dante, "incomincian le dolenti note \ a farmisi sentire. Ora son venuto \ là dove molto pianto mi percuote".
Sono arrivati in un luogo buio, sconvolto da una furiosa tempesta. Qui sono puniti coloro che in vita si fecero dominare dalla passione dei sensi: i lussuriosi, "i peccator carnali, che la ragione sommettono al talento", cioé che la ragione sottomettono alla passione.
La tempesta fa sbattere le anime (che percepiscono la sofferenza come se avessero un corpo fisico) contro le pareti della voragine, facendole lamentare, imprecare, bestemmiare. Virgilio indica a Dante alcune anime, Achille, Paride, Tristano, Didone, Elena, Cleopatra, morti per amore. Ma Dante scorge nel folto gruppo di anime, due che vanno insieme, stretti, nemmeno la bufera li separa. Dante ottiene da Virgilio il permesso di parlare con loro, li chiama e loro corrono insieme, come due colombi innamorati che tornano al nido.
Sono Paolo e Francesca.Parla Francesca, Paolo tace, ma piange.
Francesca é una donna viva, vera, una fanciulla immortale. Spesso tra i dannati, condannati per le gravità dei loro peccati, ce ne sono alcuni che, per la loro statura morale o per l'umana compassione con cui il poeta rilegge la loro storia, vengono riabilitati, diventano ritratti immortali.
Nella storia del tempo, Francesca era figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna, che aveva sposato nel 1275 Gianciotto Malatesta, signore di Rimini, un uomo di valore, ma zoppo e deforme.
Le cronache parlarono di un inganno, perché alla cerimonia Gianciotto fece intervenire il fratello minore Paolo, con cui Francesca pensò di essersi sposata.
Questo inganno accese l'amore tra i due cognati, che però furono uccisi nel 1285 dal geloso Gianciotto, forse nel castello di Gradara.
Probabilmente Dante aveva anche conosciuto personalmente Paolo, che nel 1282 era capitano del popolo a Firenze, cioè ricopriva una carica di prestigio nel governo della città.
Il nipote di Francesca, cioè Novello da Polenta, fu poi colui che ospitò Dante a Ravenna, negli ultimi anni della sua vita.
Ritorniamo al canto.
Francesca nel suo colloquio con Dante, cerca di giustificarsi.
"Amor, ch' al cor gentil ratto s'apprende, \ prese costui de la bella persona; \ che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende \
Amor ch' a nullo amato amar perdona \ mi prese del costui piacer sì forte \ che, come vedi, ancor non mi abbandona. \ Amor condusse noi ad una morte.\ Caina attende chi a vita ci spense."
In questi versi Francesca espone, in forma sintetica, la concezione dell'amore cortese di Andrea Cappellano e di Guido Guinizelli, a cui si ispiravano i poeti nel Medioevo.
Ossia: - l'amore é possibile solo in un cuore gentile, cioè in un animo cortese, nobile, virtuoso.
- l'amore é un sentimento reciproco, chi si sente amato non può non ricambiare, perché l'amore contagia i cuori, infiammandoli;
- l'amore, quindi, questo amore, nato fuori dal vincolo matrimoniale, come del resto tutti gli amori cortesi, é stato causa della loro morte violenta, ma anche spirituale.
"Caina attende chi a vita si spense", dice tristemente Francesca.
Francesca é vendicativa: il marito, si augura, finirà nel cerchio di Caina, dove sono condannati i traditori dei parenti.
Dante é turbato, sconvolto, smarrito, lui, che da giovane era stato affascinato dall'ideale amoroso del "cor gentile", adesso china il capo, di fronte a chi gli parla di passione e di amore.
Con la Vita Nova anche Dante aveva sostenuto che l'amore non si può frenare, che l'amore richiede una risposta, non importa se lecita o illecita.
Quindi chiede a Francesca come é nata quella passione, desidera che la donna ricordi il momento emozionante in cui l'innamorato ha svelato i suoi sentimenti.
Nel racconto dolente del suo idillio, Francesca sembra tremare di commozione e angoscia. Paolo non interviene, ma piange, approva e sostiene la parola dell'amata, ne condivide le emozioni, il punto di vista.
La risposta di Francesca é terribile per Dante: tutto é nato leggendo insieme, un libro che parlava d'amore, un romanzo in lingua francese, Il "Lancelot", al cui centro c'é la vicenda d'amore tra Lancillotto, cavaliere della Tavola rotonda, e di Ginevra, moglie di re Artù.
"Noi leggiavamo un giorno per diletto \ di Lancialotto come amor lo strinse; \ soli eravamo e sanza alcun sospetto. \ eravamo. \ Per più fiate gli occhi ci sospinse \ quella lettura, e scolorocci il viso; \ ma solo un punto fu quel che ci vinse.\ Quando leggemmo il disiato riso \ esser basciato da cotanto amante, \ questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi baciò tutto tremante. \ Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: \ quel giorno più non vi leggemmo avante".
Durante la lettura i due amanti si immedesimano nei protagonisti, e pian piano quel sentimento inconfessato e segreto, si rivela, diventa cosciente.
Ma si persero. "Quel giorno più non vi leggemmo avante".
"Galeotto fu il libro e chi lo scrisse", conclude Francesca, Galeotto era il ruffiano tra il cavaliere e la regina, nel caso di Francesca il ruffiano é stato il libro, l'autore e quindi tutta la letteratura amorosa, bretone e provenzale.
Francesca non si é pentita, cerca di giustificarsi.
Il libro ha fatto da esca, é stata l'occasione per frugare nel fondo del loro cuore. Forse senza la lettura di quel libro, il sentimento non si sarebbe rivelato e la tragedia non sarebbe avvenuta.
Dante é così turbato che sviene. "E caddi come corpo morto cade", dice.
Dante sa di aver contribuito ad alimentare quella produzione letteraria, ma dopo, ha rielaborato la dottrina dell'amore, inteso come sentimento che porta alla verità, amore per la filosofia, e poi amore verso Dio, non più verso una donna.
Ma le lacrime, la compassione non bastano per Dante. Francesca avrebbe dovuto respingere la tentazione, perché le passioni devono essere dominate, quindi il loro peccato é stato una scelta libera, e quindi é giusto che scontino la pena nell'Inferno.
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