Breve cenno biografico
Alda Merini è una delle più
importanti e amate voci della letteratura del Novecento.
Era nata a Milano il 21 aprile 1931,
ultima di tre figli. Era una bambina malinconica, timida, solitaria.
Aveva frequentato un istituto professionale, perché dopo la scuola
di avviamento (oggi media inferiore), non poté accedere al liceo
Manzoni perché non superò la prova di ammissione in Italiano. Si
dedicò allo studio della musica, il pianoforte era lo strumento che
aveva sempre amato. Voleva farsi suora. A 15 anni cominciò a
scrivere versi poetici, che, tramite i suoi insegnanti, attirarono
l'attenzione e l'ammirazione del poeta e romanziere Giacinto
Spagnoletti. Grazie a lui Alda entrò nei salotti letterari di
Milano, dove ebbe la possibilità di veder inserite le sue poesie
nelle Antologie letterarie e di poter pubblicare le prime raccolte
poetiche.
Godette dell'amicizia e
dell'ammirazione di Montale, di Quasimodo e di Pasolini, che ebbe a
dire: " Di fronte a questa precocità, a questa mostruosa
intuizione letteraria, ci dichiariamo disarmati". Ebbe anche
una relazione appassionata col critico letterario Giorgio
Manganelli.
All'età di 16 anni, però, Alda aveva
incontrato "le prime ombre della sua mente". Da quel
momento le cure in ospedali psichiatrici si alternarono a momenti di
ripresa e di traboccante produzione poetica. Un talento precoce in
una mente inquieta.
Sposò Ettore Carniti, da cui ebbe quattro figlie, che nei momenti critici venivano assegnate a istituti o a famiglie affidatarie.
Sposò Ettore Carniti, da cui ebbe quattro figlie, che nei momenti critici venivano assegnate a istituti o a famiglie affidatarie.
Un periodo lungo di permanenza in
ospedale psichiatrico, dal 1961 al 1971, ha inciso molto sulla
personalità, sull'equilibrio e sulla sua produzione poetica. Ha
sperimentato la solitudine, ha conosciuto il disagio sociale,
economico, ma ha goduto anche della vicinanza di amici veri. Ha
sofferto anche l'isolamento dal mondo letterario. Poi la ripresa, la
fiumana di libri di poesie, nelle cui righe si intravvede e si legge
il tormento di questa donna sconvolta dall'esperienza in manicomio.
Una donna che si sente vicina agli ultimi, che si sente emarginata
dalla società borghese col suo falso perbenismo.
In questa felice ripresa, Alda Merini
avvia un'amicizia telefonica con un poeta e medico di Taranto,
Michele Pierri. Un'amicizia che culmina nel matrimonio del 1984. Lei
53 anni, lui 85. Alda si trasferisce a Taranto.E' stata una
relazione serena, Michele aveva un animo più vicino al suo, c'era
un'emotività , una complicità che la nutriva e incoraggiava la sua
fluida produzione poetica. In estate passava qualche giorno a
Crispiano, dove abitava il figlio di Michele Pierri, il pittore
Mario, consorte della professoressa Mimma Calabrese, nella casa in
via Piave. Un idillio durato quattro anni. La malattia terminale di
Michele, il ritorno a Milano, nella sua casa a Ripa di Porta
Ticinese, sono un' altra prova per la fragile ma indomita Alda.
Seguono altre pubblicazioni, grazie agli aiuti degli amici, arrivano
i riconoscimenti a livello nazionale, le testimonianze di stima e
ammirazione del mondo della cultura, fino alla fine, 1 novembre 2009.
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A 10
anni dalla morte, 1 novembre 2019, tutta l'Italia si è inchinata a
salutare la poetessa dei Navigli, la poetessa degli ultimi,
attraverso incontri culturali, manifestazioni teatrali e musicali.
Una donna molto discussa. La sua fu
una vita intensa, ma molto travagliata. Una poetessa che ha provato
la vergogna e il dolore di essere chiamata "folle", ma ha
anche vissuto il tempo del riscatto, dell'amore e di tanti
riconoscimenti. In lei convivevano il tormento di essere diversa e
l'esultanza di sentirsi tale.
Era nata il 21 aprile 1931 - "Sono
nata il 21, in primavera, ma non sapevo che nascere folle potesse
scatenare tempeste".
Per molto tempo è stata considerata
la poetessa degli "ultimi", degli esclusi, degli
emarginati, barboni, mendicanti a cui spesso si accompagnava nei
momenti di scarsa lucidità, aggirandosi nel quartiere di Porta
Ticinese. Erano uomini e donne senza maschere, e per questo li amava.
"Noi matti parlavamo un linguaggio identico, ci aiutavamo. Fuori
non si immagina quanta umanità c'è là dentro. Eravamo un popolo di
emarginati, ma immersi nella carità cristiana".
Giacomo Salvemini legge le poesie di Merini |
Un vero e proprio manifesto poetico.
Il poeta è la voce del singolo, è la voce dell'anima,
dell'emarginato; il poeta fa emergere quello che è insito nella
coscienza umana.
Con la sua penna la Merini racconta le
condizioni più marginali dell'esistenza. Descrive il suo mondo
interiore con vocaboli dettati dalle sensazioni che lei intende
suscitare e ricreare nel lettore. Uno stile limpido, preciso,
incisivo, versi spontanei, ingenui, immagini visionarie, accostamenti
di realtà contrastanti, che rendono bene "il male di vivere"
di cui parla Montale. Alda Merini ha cantato follie e dolori,
spiritualità e carnalità, amore e morte. Era sorretta da una fede
religiosa, sempre più ferma col passare degli anni. Una fede che ha
influenzato il suo percorso di vita e l'intera produzione poetica.
Alda Marini ha fatto della sua poesia un'arma, l'unica possibile con
cui difendere la propria dignità e la propria sensibilità,
conservare la propria umanità, sopravvivere. L'unica arma con cui
far risplendere la propria esistenza. E' difficile e dolorosa
l'esistenza, ma anche il dolore contribuisce a renderla degna di
essere vissuta. Il dolore come riscatto, il dolore che fa apprezzare
di più la gioia. il dolore, che riesce a renderci migliori, che
riesce a farci apprezzare le piccole e impercettibili gioie
quotidiane.
Un messaggio di speranza e di
fiducia, un esempio di come si possa sopravvivere al dolore
dell'anima.
Alda Merini amava definirsi poetessa
della gioia, perché nonostante le angosce che si portava dietro,
trovava tesori di felicità dentro di sé. Conosceva gli estremi
della vita.
"Io la vita l'ho goduta, perché
mi piace anche l'inferno della vita, e la vita è spesso un inferno.
Per me la vita è stata bella, perché l'ho pagata cara". Cos'è
davvero importante nella vita?, "La mia felicità",
rispose, con quella sua sigaretta sempre accesa.
"Più bella della poesia è stata
la mia vita, e la mia vita è stata un inferno dei sensi".
Anna Presciutti legge le poesie di Merini |
Era provocatoria, ironica,
irriverente. I suoi grandi occhi verdi erano attraversati ora dal
guizzo crudele di chi disprezza gli adulatori, ora dalla tenerezza di
chi implora di essere amata o almeno lusingata.
Il cardinale Ravasi diceva che nei
suoi versi è deposta l'anima della poetessa che abbraccia il Cristo
Crocifisso come la Maddalena di certe raffigurazioni del Calvario,
aggrappata al Legno della Croce. "Parole troppo belle, ma io
sono una peccatrice. Però anche Maddalena lo era, e Gesù l'ha
sempre amata", diceva.
"Gesù dentro di me è una torcia
umana che illumina, ma anche brucia. Mi ha fatto fiorire e morire una
infinità di volte".
Pochi giorni prima di morire inviò
una lettera al Papa Benedetto XVI, in cui si legge "io sono un
guado pieno di errori che ho fatto, e di cui mi pento".
Non aveva paura della morte "O
morte che tutti credono ributtante e infelice, tu sei una vergine
leggiadra che mi scioglierà da questo letame, la donna che
consegnerà il mio Calvario al Signore".
Sul sito "Minerva News" (libro aperto) l'articolo di Franco Presicci": In via Magolfa, sul Naviglio Grande"
Giudizio di Franco Presicci, giornalista residente a Milano, collaboratore di Minerva News
La 'lectio magistralis' di Silvia mi è piaciuta molto, anche perché esauriente, ricco di particolari, interessantissima. Silvia ha ripercorso sapientemente la vita e le opere della poetessa dei navigli, le sue disavventure, i suoi contatti, sicuramente tenendo desta l'attenzione del pubblico. Mi complimento con la professoressa e giornalista, attenta, curiosa e intelligente. Ho conservato la copia della sua relazione, come un documento da rileggere. Grande Silvia".