mercoledì 5 aprile 2023

LE TRADIZIONI PASQUALI A CRISPIANO di Silvia Laddomada

Print Friendly and PDF


LE TRADIZIONI PASQUALI

 22° INCONTRO

Relazione di Silvia Laddomada con interventi liberi dei presenti

Siamo in quaresima dal mercoledì delle Ceneri, rito religioso del pizzico di cenere versatoci sul capo dal sacerdote, per ricordarci che siamo polvere; per ricordarci, dopo la baldoria di carnevale, che le vanità e le frivolezze non sono valori.

E’ un periodo di penitenza, di privazioni per molti di noi, e non solo nella provincia di Taranto; è un periodo in cui ci proponiamo di rinunciare a qualche peccato di gola, facciamo a meno di un cioccolatino, della carne, soprattutto nei venerdì di Quaresima, mentre prima il non mangiare carne di venerdì era uno dei cinque precetti della Chiesa.

Di tutto questo tempo quaresimale, il periodo più intenso è quello della Settimana santa.

Si comincia dalla domenica delle Palme, in cui si partecipa alla funzione della benedizione dei rami d’ulivo, che poi scambiamo con parenti e amici dandoci gli auguri. Un tempo si credeva che più si stava vicino al sacerdote, più la benedizione fosse efficace, tant'è che si faceva a gara a chi arrivasse prima ai piedi dell’altare. Ovviamente gli auguri che ci scambiamo non sono pasquali, ma sono auguri di pace, quella pace interiore che ognuno di noi ricerca, e quella pace che ci porta a pensare alle guerre, sia quelle con le armi, sia quelle combattute con parole, gesti offensivi, con violenze, spesso anche tra le pareti di casa.

Un tempo, ed ecco la tradizione, l’abitudine consolidata, il ramoscello d'ulivo, la palma, era il simbolo oltre che della pace, anche dell’affetto, dell’amore, della fedeltà, della riconciliazione.

Veniva offerta alla fidanzata una palma finemente lavorata e, in prossimità del matrimonio, la palma veniva confezionata con l'aggiunta di un oggetto in oro, per chi se lo poteva permettere. La fidanzata ricambiava poi a Pasqua.

Veniva offerta ai genitori, ai suoceri, ai parenti e ai vicini con cui c'erano state delle incomprensioni, dei litigi, e si “faceva la pace”, si diceva. Ai ragazzi veniva insegnato che nel porgere la palma bisognava inchinarsi al genitore, e al nonno sopratutto, e baciare il dorso della mano, che loro offrivano, e poi entrambi baciavano il ramo ricevuto. Era un segno di sottomissione, di devoto rispetto per gli anziani della famiglia.

E’ tradizione anche quella di portare a casa un ramo più grande di ulivo benedetto e legarlo a qualche paletto sul tetto o terrazzo, per propiziarsi la grazia celeste, quindi come buono augurio per la famiglia. Un altro ramo veniva portato in campagna, collocandolo sul terrazzo della casetta o legandolo a qualche ceppo, per propiziarsi un buon raccolto. Altri rametti di ulivo si usa appenderli in casa, al chiodo di un quadretto religioso, al capezzale del letto, dietro la porta d'ingresso. Ramo che va a sostituire quello dell’anno precedente, che certamente nel frattempo ha perso le foglioline.

E nel ricambio, i miei genitori stavano attenti che io pronunciassi una piccola orazione ” ti brucio come ramo, ma ti bacio come palma", quindi si baciava il ramo vecchio e delicatamente lo si poneva nel secchio della spazzatura, o meglio nel fuoco che ardeva nel caminetto.

La Palma si portava, e si porta, al cimitero, con l'intento devoto e pio di augurare pace ai fedeli defunti, sollievo per le anime del purgatorio.

Poi comincia la settimana santa. Non ci sono riti o abitudini precise legate a ogni giornata, ma la tradizione vuole che questa settimana venga trascorsa in modo diverso dalle altre. Oggi l’evoluzione dei costumi, della vita sociale e lavorativa, il progresso mirano a semplificare o a trasmettere disincanto per alcune pratiche religiose, per alcune gestualità tanto sentite nel secolo scorso.

In questa settimana ( che coincide sempre con l'arrivo della luna piena di primavera, con la stagione che rappresenta il risveglio, il rinnovamento della natura) le donne si dedicavano alla massima pulizia di tutta la casa, interno ed esterno. Si incalcinavano le case, si diceva.

E poi ogni casa si trasformava in un'industria dolciaria, chi aveva il forno a legna lo metteva a disposizione delle vicine, il profumo dei dolci e dei taralli appena sfornati si diffondeva per le strade, le dispense si riempivano di taralli, col pepe, col finocchietto, con le uova ricoperti di glassa bianca, che ricordano secondo un’antica simbologia la corona di spine di Gesù, cosi come i biscotti intrecciati ricordano le funi che lo percossero. Dolci che non si dovevano toccare fino al giorno di Pasqua.

Per le figlie si preparava un dolce a forma di colomba con un uovo sulla pancia (per i ragazzi un cavallo con due uova, per i parenti un cestino con un uovo), da mangiare nella scampagnata di Pasquetta dove di solito, all'aperto, si finiva di consumare gli avanzi del pranzo pasquale.

Questo dolce ha una forte simbologia, la colomba è l’augurio che le ragazze possano volare lungo le vie della vita, serbandosi pure, ricche di fede e oneste in ogni loro azione. L'uovo è un augurio di fertilità, rimanda a riti antichissimi, come la venerazione per la dea Cerere, o per le grandi madri della religiosità mediterranea, statuette femminili con pance spropositate.

Accanto a questi momenti gustativi, molta attenzione si riservava al trascorrere delle altre ore delle giornate. In casa non si ascoltava più la radio, che spesso trasmetteva solo musica sacra; le donne pulivano bene le grattugie, perché fino a Pasqua non si doveva fare uso di formaggio. Si respirava un'aria di mesto raccoglimento.

Il giorno più solenne, dal punto di vista religioso, è il giovedì santo, in cui alla funzione religiosa e alla lavanda dei piedi segue la reposizione del santissîmo Sacramento nell' urna sull'altare.

Fino a qualche decennio fa, si parlava di Sepolcro, luci soffuse, preghiere silenziose, un’atmosfera di dolore, di morte. Le campane venivano legate, perchè non suonassero più, non si rideva, non si cantava. C’era una partecipazione più corale, più sentita, al dolore della Chiesa.

Oggi si parla di altare della reposizione, perché in effetti il Santissimo viene adorato, l'altare è ornato di fiori, luci, in consonanza con la festività liturgica dell’Eucarestia, istituita come sacramento nell' Ultima Cena.

C'è un particolare nell' allestimento dell' altare, oggi uguale a ieri. Accanto aIl' urna che contiene l'Ostia consacrata si sistemano sempre dei vasi da cui si affacciano esili steli verde chiaro, sono i semi di avena, orzo, lenticchie, legumi insomma, tenuti a germogliare al buio, chiusi in ovatta umida, curati con attenzione devota, fino a quando non si sviluppa un tappeto di erba chiara (per assenza di clorofilla).

Questi germogli ricordano la parabola del seme di grano, che deve marcire per dare frutto, che deve morire per far sorgere una nuova vita. E' il simbolico messaggio che la Resurrezione non può avvenire senza la morte, e che l'uomo deve prima morire ai suoi peccati, alle sue debolezze, per potersi riscattare e riprendere il cammino. Le statue allora venivano coperte da panni viola, perché da questo momento, lo sguardo, il pensiero fossero rivolti solo al grande sacrificio che stava per compiersi.

La tradizione e la devozione parlano poi della sosta, in preghiera, al tabernacolo delle altre Chiese.

Si doveva pregare in sette Chiese, o si girava da una Chiesa all'altra, fino a sette soste, se in paese non c'erano sette Chiese. Sette, un numero simbolico e perfetto (i sacramenti, le opere di misericordia, i vizi capitali, i doni dello Spirito santo, i giorni della settimana della creazione ) ma soprattutto le sette spade del dolore dell' Addolorata.

Il Venerdi santo è il giorno più doloroso. La Chiesa è spoglia: non un fiore, non un cero, non un canto; il rito é essenziale, la “messa sc'rrète”, si dice, perché vengono omesse alcune parti della Messa. In serata ha luogo la processione, con i simulacri che ricordano i momenti della via Crucis; le bande eseguono musiche funebri.

Oggi è sempre più diffusa la via Crucis vivente, in cui il fascino della sacra rappresentazione si mescola con la pietà popolare e la fede. Fin dal Medio Evo sul sagrato delle Chiese si organizzavano queste drammatizzazioni religiose, incentrate sulla Passione di Cristo, che allora, come oggi, coinvolgevano il popolo in un devoto e intenso raccoglimento. E' la riproposta alla memoria collettiva e individuale di un fatto avvenuto e storicamente incarnato nella storia di ogni uomo.

Secondo la tradizione, il momento della Resurrezione non si commemorava con la messa di mezzanotte, ma con le campane che squillavano a festa a mezzogiorno del sabato. Nelle fabbriche veniva azionato il suono delle sirene; le donne in casa battevano, con un bastone o un fuscello, ogni angolo di casa, per cacciare il diavolo, si diceva, accompagnati dai ragazzini che approfittavano per fare baccano autorizzato, suonando campanelli e sbattendo coperchi di pentole.

In campagna, i contadini esprimevano la gioia per la Resurrezione, battendo con una paletta metallica la loro zappa, per provocare un rumore e propiziarsi l'aiuto del Salvatore.

La sera del sabato si organizzava il “Canto delle uova”. Gruppi di giovani giravano per masserie, cantando delle serenate con strumenti musicali improvvisati, e chiedevano delle uova o altre cose da mangiare. Era un modo schietto e spontaneo per trascorrere delle ore in felice compagnia, e magari conoscere qualche ragazza da marito “iove, iove..”.

La domenica si andava a messa, sfoggiando un bel vestito nuovo. A casa con i parenti si pranzava riccamente, e si gustavano finalmente i dolci chiusi in dispensa e la “pezza dolce", la torta con pandispagna e crema. Un tempo solo a Pasqua si mangiavano i dolci e la torta.

Oggi i dolci non sono più una novità, ma resta pasquale solo una cosa: l'uovo di cioccolato.

L'uovo di Pasqua è un dono augurale, grande o piccolo che sia.

Ci siamo mai chiesti quale sia il suo significato simbolico e l'origine di questa tradizione?

Fin dal primo periodo del Cristianesimo l’uovo era il cibo principale consumato dai seguaci della nuova religione, nelle agapi.

Spesso nelle catacombe vennero trovati gusci dipinti o uova di marmo, simili per forma e grandezza a quelli delle galline. Quindi fin dalle origini i cristiani videro nell'uovo, che racchiude e genera una nuova vita, il simbolo della rigenerazione e della Resurrezione; perciò l’uomo doveva ricordare il suo significato soprattutto nella celebrazione della Pasqua, festa della Resurrezione.

Da laici ricordiamo che c'è un' antica credenza che l’uovo porti fortuna e prosperità.

Gli antichi Egizi cospargevano le rive del Nilo con uova di struzzo, affinché il limo rendesse più fertili le terre. Ma anche tra gli Assiri e i Babilonesi, gli Etruschi, i Romani l’uovo, o di struzzo, o di gallina, o di cicogna, era un amuleto, un oggetto efficace contro il male. Nelle religioni antiche l’uovo era il simbolo del rinnovamento della natura.

Oggi in molti paesi europei e asiatici si desidera che la cicogna nidifichi sul tetto della propria casa, perchè ogni uovo è segno di buon presagio.

In Cina, in India, in Giappone, i gusci delle uova venivano decorati in modo fantasioso ed elaborato e venduti in città come portafortuna. In Russia lo scambio era festoso, il popolo vedeva nell'uovo il simbolo dell'immutabilità dell'amore, e in festa la gente si recava, la notte precedente la domenica di Pasqua, ai cimiteri, per deporre uova fresche e dipinte presso le tombe dei loro defunti. (Durante la seconda guerra mondiale, mio padre che ha combattuto lungo il fiume Don, raccontava che per sopravvivere i soldati si recarono ai cimiteri per cibarsi di queste uova. Un gesto infame per la gente che la mattina dopo, recandosi al cimitero, scoprì con tristezza il furto).

In Italia fin dal Medioevo i ragazzi andavano alla questua delle uova, che dovevano servire per scambio doni, con parenti e amici, la mattina di Pasqua. Già allora questo dono pasquale era decorato con fantasia e confezionato da pasticcieri con fiori di zucchero sul guscio.

Oggi noi continuiamo questa tradizione, regalandoci uova rigorosamente di cioccolato, delizia agli occhi e al palato, insieme alla "colomba", della stessa pasta del panettone natalizio.



Video: Le tradizioni pasquali di Silvia Laddomada

























 


Nessun commento:

Posta un commento