mercoledì 6 aprile 2022

LA DIVINA COMMEDIA: PURGATORIO CATONE (1° CANTO) – CASELLA (2° CANTO) di Silvia Laddomada

Print Friendly and PDF

RELAZIONE DI SILVIA LADDOMADA

Il Purgatorio, come aldilà intermedio, come terzo luogo, come permanenza provvisoria di quelle anime intermedie tra la purezza dei santi e la colpevolezza dei peccatori infernali, è stato confermato dalla Chiesa nel Concilio di Lione del 1274.

Furono i grandi padri della Chiesa, Ambrogio, Gerolamo, Agostino, Gregorio Magno ad avviare grandi dispute teologiche, che inevitabilmente cambiarono la società del tempo, tra il 1150 e il 1250.

Nelle civiltà anteriori al Cristianesimo, gli spazi relegati ai morti erano sottoterra, in cui c’erano due dimore, una per i buoni, l’altra per i cattivi. Il Cristianesimo aveva già situato in Cielo la dimora dei giusti (martiri, santi).

Ma fu dopo il Mille, che i grandi Padri cominciarono a parlare della possibilità che ci fosse un luogo nel quale alcune anime dovessero subire una prova, per purificarsi prima di raggiungere il Paradiso.

Uno stato intermedio che poteva essere abbreviato dai suffragi, dalle preghiere e dall’aiuto spirituale dei viventi.

Si tratta di collocare le anime che si sono macchiate di peccati lievi, abituali, quotidiani, definiti peccati veniali, cioè perdonabili.

Quindi il Purgatorio come luogo di purificazione dai peccati veniali.

Dante immagina il Purgatorio come un’altissima montagna che si erge verso il cielo, su un’isola in mezzo all’emisfero australe, dalla parte opposta al luogo in cui la caduta di Lucifero aveva prodotto il cono infernale. Si erge quindi nell’emisfero delle

acque, nella parte del mondo “sanza gente”.

Purgatorio

Alla base c’è una spiaggia, dove un angelo nocchiero, un angelo traghettatore conduce le anime dei defunti, dopo averli raccolti alla foce del Tevere. Defunti pentiti; defunti che hanno beneficiato della misericordia divina e sono morti in pace con Dio.

Il Purgatorio è diviso in tre sezioni: antipurgatorio, purgatorio e paradiso terrestre.

Nell’antipurgatorio si trovano le anime dei negligenti, di coloro che si pentirono solo in fin di vita. Nel Purgatorio, formato da 7 balze (o cornici), ciascuna custodita da un Angelo, si trovano le anime che devono espiare le colpe in relazione ai sette vizi capitali (superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia).

Il Paradiso terrestre si trova sulla sommità del monte.

Qui le anime si immergono prima nel fiume Letè, che fa dimenticare le colpe commesse, e poi nel fiume Eunoé, che fa ricordare solo le opere buone compiute. Sono così pronte a salire in Paradiso.

Secondo S.Tommaso d'Aquino, grande teologo e filosofo, la causa delle colpe è il disordine d’amore. L’amore, non quello naturale, ma quello determinato dall’intelligenza e dalla volontà, può essere rivolto verso il male del prossimo (superbia, invidia, ira), può essere tiepido, superficiale verso Dio (accidia), può essere indirizzato verso i beni terreni (avarizia, prodigalità, gola, lussuria).

Una particolarità del Purgatorio è che le anime non devono restare in un luogo, ma si fermano, se necessario, nelle varie  cornici, in base ai peccati commessi in vita, e poi risalgono verso il Paradiso.

La gravità dei loro peccati diminuisce man mano che salgono verso la cima, e anche la pena, ovviamente, è più lieve.

In tutto il regno l’atmosfera è serena, allietata dal canto, che è la caratteristica del luogo, le anime infatti intonano salmi penitenziali e inni di ringraziamento a Dio.

Cambia la poesia: saranno tanti i momenti del ricordo, del canto affettuoso, delle amicizie e memorie giovanili, della cortesia cavalleresca e dell’arte, ma soprattutto della misericordia, data e ricevuta, nella luce del perdono di Dio.

Dante e Virgilio sono usciti, praticamente, da sottoterra e si trovano in questa spiaggia deserta.

Dante osserva il paesaggio  

“Dolce color d’oriental zaffiro, 

a li occhi miei ricominciò diletto”. (canto 1, vv. 13, 16)

E’ l’aurora di un nuovo giorno. In questo cielo limpido egli vede una nuova costellazione, formata da 4 stelle luminose che, egli dice, nessuno ha mai visto dopo che Adamo ed Eva furono cacciati dal paradiso terrestre.

Allegoricamente le 4 stelle simboleggiano le 4 virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, rappresentano la perfezione, che va riconquistata con l’espiazione delle colpe.

Improvvisamente si concretizza al loro fianco un’ombra: Catone, guardiano del Purgatorio, un personaggio che incute rispetto, riverenza, tanto che Virgilio invita Dante a piegare il capo e inginocchiarsi.

Catone
Lunga la barba e di pel bianco mista

 portava, ai suoi capelli somigliante,

 de' quai cadeva al petto doppia lista”    
       

Li raggi de le quattro luci sante,

 fregiavan sì la sua faccia di lume

 ch’ i ‘l vedea come il sol fosse davanti”. 

(canto 1, vv. 34-39)

Catone era illuminato dalla luce delle quattro stelle, virtù presenti in lui.

Catone, preoccupato e agitato chiede loro se sono dannati che hanno infranto le leggi infernali o se un nuovo decreto del cielo consente ad alcuni dannati di arrivare in Purgatorio.

Virgilio spiega a Catone che Dante è vivo, che il viaggio sotto la sua guida è voluto da una donna del Cielo e lo invita a lasciarli passare, pronunciando quei versi famosi:

Or ti piaccia gradir la sua venuta:

 libertà va cercando, ch’è sì cara,

 come sa chi per lei vita rifiuta.

Tu ‘l sai, chè non ti fu per lei amara

 in Utica la morte, ove lasciasti

 la vesta ch’ al gran dì sarà si chiara” ( canto 1,  vv. 70-75).

              
Per essere più convincente, Virgilio supplica Catone di consentire loro il viaggio, in nome dell’amore per sua moglie Marzia, che si trova nel Limbo, dove Virgilio ritornerà e riferirà la grazia ricevuta.

Catone gli risponde che non occorrono lusinghe, se il viaggio è voluto da una donna celeste, è in nome di lei che deve chiedere.

Quindi invita Virgilio a lavare il volto di Dante e a recingere i suoi fianchi con un ramo tenero di giunco. E subito scompare.

Virgilio cerca un luogo in cui l’erba è bagnata dalla rugiada e, bagnate le mani, lava il volto di Dante sporco di caligine infernale, e recinge i fianchi con un ramo di giunco, che ricresce subito da dove era stato spezzato.

Un gesto che ha un valore simbolico, è un rito di purificazione.

Cancellare la caligine infernale dal viso, vuol dire cancellare la sofferenza che Dante si porta dietro dopo il viaggio nell’Inferno, e il giunco è il simbolo dell’umiltà, necessaria per aspirare al Paradiso.

Ma chi è Catone, che Dante sceglie come custode del Purgatorio?

E’ un personaggio realmente esistito e molto noto. Catone l’Uticense, nato a Utica (Africa), fu uno dei protagonisti della storia romana nell’età di Cesare, era famoso per la sua austerità e il rigore morale.

Fu un sostenitore delle istituzioni repubblicane e si schierò apertamente contro Cesare.

Quando, nella guerra civile tra Cesare e Pompeo, vinse Cesare, Catone si suicidò per non sottomettersi alla tirannia di Cesare, al suo potere corrotto.

Un suicidio giudicato da Dante, ma anche dai letterati latini, non un gesto egoistico, finalizzato ad affermare se stesso, ma l’espressione della virtù del “saper morire” in nome di un ideale più alto della vita, la libertà morale, che è padronanza di sé, libero arbitrio. (senza il quale non ci sarebbero colpe, né meriti).

Catone come modello esemplare di virtù, di giustizia, di pietà, di amore per la libertà.

Quella libertà morale che Dante va cercando attraverso questo viaggio nei tre regni dell’aldilà, viaggio che, sappiamo, è un viaggio interiore.

Nella scelta di Catone, Dante vede riflessa anche la sua scelta etica e politica. Per non rinunciare alla libertà, anch’egli scelse la via dell’esilio.

Dopo il rito di purificazione, i due pellegrini cercano di trovare un sentiero poco ripido per salire.

Ma mentre stanno sulla riva del mare, “come gente che pensa a suo cammino”, appare all’orizzonte qualcosa di luminoso, che velocemente si avvicina.. E’ un angelo, che con le sue ali aperte fa avanzare una navicella leggera, che sfiora appena l’acqua del mare.

Da questa navicella scende un centinaio di anime, che cantano tutte insieme un salmo biblico, un salmo in cui si celebra la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù del Faraone. Un canto spirituale, quindi, che esprime la gioia delle anime, libere ormai dalla schiavitù del peccato. L’angelo riparte veloce, dopo aver benedetto col segno di croce le anime appena arrivate.

E’ l’angelo traghettatore, ben diverso da Caronte, il demone infernale, traghettatore della livida palude.

La moltitudine delle anime guardava in giro, inesperta; vedendo i due pellegrini subito corsero per avere informazioni sulla strada da percorrere. Ma anche Virgilio dovette confessare la loro inesperienza. Le anime si accorgono che Dante respira, quindi è vivo, curiose e meravigliate guardano tutte verso di lui, dimenticando per un momento che il loro compito è quello di cominciare il viaggio della purificazione. Hanno appena lasciato la terra, e quindi non si sono liberate del tutto dai sentimenti e affetti terreni.

Angelo traghettatore e Casella
Anzi, una di loro avanza verso Dante per abbracciarlo. E’ Casella, l’amico musico del poeta. (vv. 76-87). 

"Io vidi una di lor trarresi avante 
per abbracciarmi con sì grande affetto, 
che mosse me a far lo somigliante.

                      
Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto! 
tre volte dietro a lei le mani avvinsi, 
e tante mi tornai con esse al petto.

                               
Di maraviglia, credo, mi dipinsi; 
per che l’ombra sorrise e si ritrasse, 
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.

                               
Soavemente disse ch’io posasse; 
allor conobbi chi era, e pregai 
che, per parlarmi, un poco s’arrestasse".
(canto 2, vv. 76-87)      

Vidi una di queste anime farsi avanti per abbracciarmi con un tale affetto che anche io feci lo stesso gesto. Ma le anime sono incorporee, percepibili solo attraverso lo sguardo. Per tre volte tentai di stringere quell’ombra tra le mie braccia, e altrettante volte tornai con le braccia vuote al mio petto, per cui ella sorrise e si tirò indietro, mentre io seguendolo, mi feci avanti. Dolcemente mi chiese di fermarmi, allora lo riconobbi pregandolo di rimanere a parlare.

 Dante chiede a Casella se può consolarlo con un canto, come avveniva quando era sulla terra. Allora Casella cominciò a intonare la canzone “Amor che ne la mente mi ragiona”, con una dolcezza tale che tutti rimasero fissi e attenti, conquistati da quella melodia,  come se non ci fosse più niente a cui pensare.

Ma quest’estasi viene bruscamente infranta da Catone, che compare all’improvviso,

 “gridando: Che è ciò, spiriti lenti?

Qual negligenza, quale stare è questo?

Correte al monte a spogliarvi lo scoglio

Ch’essere non lascia a voi Dio manifesto”. ( canto 2, vv.120-123).  

(Che significa questo, spiriti pigri? Correte alla montagna, per liberarvi di quella corteccia che impedisce che Dio vi si manifesti).

Come colombi che beccano tranquilli i loro chicchi, si allontanano in fretta, se qualcosa li spaventa all’improvviso, così le anime si allontanarono in fretta, e corsero confuse e in disordine, verso la parete della montagna. Anzi, Dante nota che Virgilio è turbato, per aver ceduto alla dolcezza del canto di Casella, che gli ha fatto dimenticare la sua funzione di guida.

Casella! Un musicista. E’ il primo degli amici che Dante incontra nel Purgatorio, simbolo di quella Firenze familiare, così presente in questa Cantica.

Casella probabilmente traduceva in canto i versi poetici di Dante, con la sua bellissima voce incantava gli ascoltatori. Qui egli intona in modo soave “Amor che ne la mente mi ragiona”, un canto stilnovistico, presente nel Convivio di Dante . E’ un canto filosofico, è la canzone del rapimento d’amore, che confonde l’intelletto, l’amore che impedisce di esprimere a parole ciò che l’anima sente. Un canto rivolto non a una donna, ma alla filosofia, la più nobile delle virtù umane. Un canto profano, che si contrappone al coro sacro delle anime al loro arrivo (uscita dall'Egitto) , un canto che riflette la nostalgia per il periodo stilnovistico della gioventù, per quell’ambiente di raffinate amicizie, riflette la nostalgia della terra e delle dolci cose perdute, dei giorni cari e lontani. Dante si sente travolgere dal dolce fascino dell’arte e della musica, ci appare qui un personaggio ben diverso dalla figura decisa che abbiamo conosciuto nell’Inferno. Ma il viaggio serve a conquistare la libertà morale della coscienza. Era quindi necessario che Catone intervenisse a rimproverare le anime per la loro negligenza. La piena dolcezza non sta nel canto terreno di Casella, ma nel raggiungimento della salvezza, attraverso il viaggio di purificazione.


 

SOSTIENI L'ASSOCIAZIONE CON IL TUO 5 X 1000 - GRAZIE

 

 

 

VIDEO: LA DIVINA COMMEDIA: PURGATORIO-CATONE/CASELLA



Nessun commento:

Posta un commento