giovedì 19 novembre 2020

LA NOTTE DI TARANTO RACCONTATA DA NICOLA GRECO E SILVIA LADDOMADA

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Presentazione di Silvia Laddomada


La notte di Taranto,    una triste pagina di Storia.

L’Italia era entrata in guerra il 10 giugno 1940 accanto alla Germania, contro Francia e Inghilterra.

Fino alla data dell’attacco alla flotta tarantina, non c’era stato nessuno scontro tra le formazioni avverse.

L’obiettivo principale di una guerra navale nel Mediterraneo era quello di dare battaglia ai convogli. Sia gli Inglesi che gli Italiani dovevano evitare che giungessero rifornimenti e rinforzi nei rispettivi territori d’interesse: Africa, Albania ed Egeo per l’Italia, Malta, Alessandria e Grecia per l’Inghilterra.

La città di Taranto era una sede strategica per la Marina Italiana, quindi un chiaro obiettivo per le forze atlantiche.

L’ammiraglio inglese Cunningham conosceva    l’efficienza della flotta italiana, e l’ammiraglio italiano Campioni era consapevole delle capacità e delle risorse inglesi.    Ognuno riteneva che il modo migliore    per ridurre la potenzialità dell’avversario fosse quello di agire di sorpresa.

E così avvenne.

Le navi italiane si trovavano nel porto di Taranto da alcuni giorni, per una visita effettuata da Mussolini alle Forze navali. Erano ormeggiate con sufficiente perizia nel mar Grande: le corazzate Littorio, Giulio Cesare, Cavour, Vittorio Veneto, Doria e Duilio.

I continui rilievi    fotografici, effettuati da ricognitori inglesi fecero dire a Cunninghan che “ i fagiani erano tutti nei loro nidi”.

Fu prima simulato un bombardamento sulle coste sarde e a Cagliari, ma in realtà molte unità aeree si erano dirette verso lo Ionio. Quando erano distanti 300 km da Taranto, alcune formazioni proseguirono verso il Canale d’Otranto, simulando un diverso obiettivo. In realtà fu attaccato un convoglio di 4 mercantili italiani. Le altre formazioni decollarono precipitosamente su Taranto.

La prima incursione alla base navale avvenne alle ore 23, e durò circa 20 minuti. Nella città il sinistro stridulo delle sirene d’allarme fece uscire tutti dalle case, verso i rifugi sotterranei. I razzi degli aerosiluranti inglesi squarciarono il buio della notte. Taranto era illuminata a giorno. Le sagome delle navi erano ben visibili. Fu un susseguirsi di sibili, di scoppi di mitraglia contraeree. Gli aerei inglesi erano comparsi all’improvviso. Poi, alle 23,50 una seconda incursione.

Un triste bilancio: 85 vittime, di cui 35 civili. 581 invece i feriti.

Cessato l’allarme, la gente si riversò sul Lungomare, per cercare i propri cari, molti dei quali imbarcati nelle navi colpite. Molti si prodigarono per aiutare ufficiali e marinai che avevano perso tutto.

Un brutto momento.

Le gloriose navi, ripiegate su un lato, bruciavano tra fiamme altissime. Il 50% della flotta italiana era fuori uso. Solo la prontezza , la perizia, l'abnegazione dei militari a bordo salvarono le navi dall'affondamento.

Furono poi avviati i lavori di recupero, grazie    all'efficienza dell'Arsenale di Taranto. Così le navi    ripresero il mare, con una maggiore audacia, riconosciuta dagli stessi inglesi.

Molte furono le case e gli edifici distrutti dalle bombe.

Dopo quella notte, numerosi tarantini si riversarono nei paesi vicini.

A Crispiano, fin dalle prime del mattino, una processione di tarantini sfollati, profughi, arrivò in paese da via Taranto.

Nel Comune si formò un ufficio adatto per    accogliere questa gente, per istruire le    pratiche e reperire    immobili disabitati, oppure locali delle    case dei crispianesi, per ospitare queste famiglie.

 

Ora Nicola Greco racconterà l'incontro della sua famiglia con

alcuni sfollati.

 

Nicola Greco-Maestro del Lavoro
La guerra era iniziata da poco e l’Arsenale Militare di Taranto divenne uno dei porti più importanti d’Italia adibito a base navale per le navi da guerra, e questo fece sì che divenisse un obiettivo per i bombardamenti inglesi, e infatti, quel tragico 11 novembre del 1940, conosciuto ormai come “La notte di Taranto”, l’Arsenale e il Porto, e tutta la città, subirono un violento bombardamento, con l’affondamento di molte navi della Marina italiana. I tarantini, per paura, iniziarono un massiccio sfollamento, andando via dalla città, naturalmente chi poteva, riversandosi nei paesi limitrofi a Taranto, chi da parenti, e chi da amici. Anche Crispiano ospitò un bel po' di famiglie. E questa è la storia singolare che coinvolse la mia famiglia, mio padre in primis. All’epoca mio padre Michele Greco, detto “A’ Battuglija” lavorava al rinomato “Mulino di Tommaso Cervo e figli”; c’era già la guerra e i tempi non erano dei migliori, ma chi aveva la fortuna di lavorarci, quantomeno, oltre all’esigua paga settimanale, poteva mangiare un pezzo di pane, a quei tempi, divenuto pregiato. Una sera di inizio dicembre, verso le ore 18-19, come sempre mio padre si avviò al Mulino per iniziare a preparare l’impasto per il pane del giorno dopo, salendo via Regina Elena, all’altezza dell’Asilo delle Suore di S. Anna, incontra un gruppo di persone, di cui quattro adulti tra marito e moglie, con cinque bambini, tra piccoli e adolescenti. Erano una parte della famiglia del pescatore Basile, di Taranto vecchia, scappati dalla città per paura del bombardamento. Foto corazzata Cavour Faceva freddo, arrivava la notte, avevano fame, e chiesero a mio padre, se conosceva una dimora per poter trascorrere la notte, e mio padre dispiaciuto da quella situazione precaria, non conoscendo nessuna casa libera, ebbe un’idea, li portò tutti a casa, sempre in via Regina Elena, 41, li ristorò alla meno peggio per quel poco che vi era in casa; da premettere che mia madre Moretti Margherita aveva da pochi giorni partorito mio fratello Peppino. Bene, finito di mangiare qualcosa, ora serviva trovare un posto dove trascorrere la notte. A mio padre venne un’altra idea: adiacente all’ingresso di casa c’era, e c’è tuttora, la scala per andare sul terrazzo, con una ventina di gradini, e propose alla famiglia Basile se accettavano di trascorrere la notte seduti sui gradini. Soluzione che accettarono senza battere ciglio, anche perché al momento non avevano alternative. Pulirono alla meglio i gradini e dopo aver messo per terra della roba, si sistemarono due per ogni gradino, con delle coperte addosso, e lì trascorsero la notte.
Il giorno dopo, verso le 12, mio padre tornato dal lavoro, portò della farina, la quota che gli spettava settimanalmente, la impastò, e fece un tipo di “Pizzicaridd”. Nel frattempo mia madre cucinò dei ceci, e siccome l’olio era poco, prelevò anche quel poco che c’era nella “lampa” di fronte alle foto dei suoi genitori morti, e quindi, cucinato il tutto mangiarono tutti insieme una minestra calda, e da una notte che dovevano stare, non trovando altra sistemazione, rimasero per altri quattro giorni in quella situazione precaria, soprattutto per il dormire e il lavarsi. Comunque, alla fine riuscirono a trovare una casa grotta, in via degli Aranci, vicino al ponte e al cinema-teatro, da pochissimo terminato di costruire. E fu così che questa famiglia iniziò a vivere a Crispiano. Per lavarsi prelevavano con i secchi l’acqua dalla fontana, per mangiare, andavano a comprare qualcosa a contrabbando e qualcosa con la tessera, e quando poteva, mio padre, gli portava del pane o della focaccia, privandosene sempre dalla sua quota parte. Addirittura, con la farina gli faceva anche delle orecchiette, a quei tempi, quel tipo di cibo era raro e prezioso, e se lo potevano permettere in pochi. E così trascorsero quattro-cinque anni. A fine guerra, dei fratelli Basile ne rimase a Crispiano uno solo, con tre figli, due maschi e una femmina, Nino, Benito detto “Muffone” e la donna, di cui non ricordo il nome. E così, pian piano si inserirono nella società di Crispiano, Nino e Benito facevano i pendolari, andando a Taranto a lavorare, sempre nell’ambito del pesce, e la madre e la sorella, a Crispiano, fecero per un periodo la servitù alle signorine Greco di via Roma. Intorno agli anni ‘60, dopo la morte del capo famiglia, la figlia si sposò, Nino rimase a Taranto intraprendendo, con successo, il ruolo di battitore all’asta del pesce, al rientro dei pescherecci a Taranto vecchia; Benito e la madre, con l’aiuto di Nino, aprirono una pescheria a Crispiano, nei pressi della piazza Madonna della Neve. Negli anni a seguire, il rapporto che si creò tra la famiglia Basile e la nostra, andò molto oltre l’amicizia, tra il rispetto e la gratitudine, meglio di parenti stretti. Rapporto che continuò negli anni, con Nino, ultimo della famiglia rimasto in vita, prima che morisse alla fine degli anni ‘90. E tutt’oggi, dei tre figli di Nino, solo uno continua la tradizione della famiglia nell’ambito del pesce, e ha una magnifica pescheria a Taranto vecchia, girando a destra del ponte di pietra, di fronte al ristorante “Il Gambero”. La cosa bella è che ancora oggi tra me e lui quel rapporto di amicizia e di rispetto vero è rimasto immutato.                                         N. G.

                                                  “u’ zij, u’ zij”

Silvia Laddomada racconta: “Un mio prozio, Vitantonio Tagliente, la sera dell’11 novembre, tornava dai mercati ortofrutticoli di Taranto, col biroccio. Colto di sorpresa dai bombardamenti, riuscì miracolosamente a salvarsi; ricordando quella serata, raccontava con brividi, che durante il ritorno di corsa a Crispiano, schivando le bombe, che cadevano fortunatamente, dietro di lui, era inseguito da gente terrorizzata che chiedeva, urlando “u’ zij, u’ zij”, di salvarsi salendo sul biroccio. Pur dispiaciuto, prevaleva l’istinto di sopravvivenza e il bisogno di controllare il cavallo imbizzarrito. La mattina dopo, una moltitudine di gente, una “processione”, si riversò su Crispiano, passando proprio davanti al cancello di casa sua, alla masseria Alezza. Moltissimi tarantini furono accolti da famiglie crispianesi, che mettevano a disposizione, per ordine del Podestà, locali o case sfitte nel paese. I miei nonni, Giuseppe Greco e Addolorata Tagliente, abitavano nella casa colonica in via Taranto, sempre in contrada Alezza, e nei periodi più pericolosi si trasferivano nella loro abitazione di via De Lucrezis, in paese. Anch’essi ospitarono una famiglia di Taranto, in alcune stanze di questa abitazione. Col tempo sono diventati amici e la figlia Esterina è poi rimasta a Crispiano, sposando un crispianese”.

I miei nonni raccontavano anche che nel Villino Pavone, di fronte alla masseria Alezza era presente una guarnigione inglese, le cui tracce sono ancora oggi visibili nelle foto delle cantine del Villino, scattate nell’ambito del progetto “Le cento masserie”. La loro presenza era una sicurezza, soprattutto dalle incursioni di soldati sbandati che si aggiravano nelle campagne. I loro Comandanti spesso chiacchieravano, in inglese-italiano sgangherato, con i nonni e offrivano qualche volta delle saponette o cioccolato, ricevendo in cambio prodotti alimentari nostrani. Una cordialità reciproca che alleggeriva il triste periodo.  

                                                                                                                 S. L.


 









 

 

 

 

L'argomento di questa sera aveva il suo fascino anche per chi non era ancora nato
Suggestivo Il racconto di vita vissuta fatto da Nicola Greco 👏
Tant'è che mi ha riportato alla mente il racconto che faceva mio nonno di un episodio di quella notte...
Sempre dovuto al bombardamento di Taranto,  uno dei palloni frenati,  si staccò dal porto e spinto via dal vento approdò esattamente nell'aia della Masseria dove si trovava mio nonno e la sua famiglia.
Ebbene,  finché è vissuto il nonno, ha continuato a raccontare che, dalla seta interna di quel pallone,  furono confezionati, successivamente,  ben due meravigliosi abiti da sposa...
La memoria di alcuni episodi va sempre custodita gelosamente😉
Grazie e buona serata a voi tutti🙋‍♀️ LILIANA MARANGI

Durante la guerra, in vico Pontano, dove abitavano mia nonna Carmela Locorotondo e i suoi fratelli furono ospitati degli sfollati, mi sembra una famiglia numerosa. Vivevano in una stanza della casa di uno zio. Le abitazioni avevano in quell'epoca al massimo due stanze ed un cucinino esterno. Ho ricordi frammentari dei  racconti  di mia nonna ma di sicuro  si stabilì un legame forte fra loro ed una vita di condivisione. Mia madre ragazzina teneva spesso i loro bambini in braccio, lo raccontava perché contrasse la scabbia. Non si sono più rincontrati una volta che gli sfollati sono rientrati a Taranto. Nel 2002, negli ultimi giorni in cui la nonna novantenne ha abitato da sola nella sua casa perché ormai quasi cieca, ha ricevuto una visita. Una donna anziana  le ha chiesto: sai chi sono?  Dopo circa sessant'anni ha riconosciuto la voce, il modo di parlare di una delle persone sfollate.  Ha risposto  "Rosa!" attribuendo però la voce per sbaglio a quella della sorella più anziana che era deceduta. Mia nonna nel vico Pontano era l'unica  ancora in vita che la donna ha potuto incontrare fra i fratelli. Un momento di grande emozione che mi sembrava giusto condividere. 

                                                                                    Francesca DE LUCREZIS

 Vi voglio scrivere una storia che mi raccontavano i miei nonni. In quel tempo, quando gli sfollati tarantini cercavano rifugio a Crispiano, i miei nonni  ospitarono una famiglia. Lui era il capo officina di mio nonno che lavorava all'arsenale di Taranto. Avendo la casa due piani, vennero sistemati nelle stanze del piano superiore, diedero loro la stanza da letto, li fecero dormire sui materassi di crine (i miei nonni si arrangiarono alla meglio nel sottano) e condividevano i pasti: i legumi, le fave bianche...i cibi che venivano consumati in quei tempi e forse la gente di paese se la passava meglio di quella che abitava in città.
Passato un po' di tempo, ritornarono a Taranto.
Mia nonna ripulì la casa da cima a fondo ma...si accorse che gli ospiti avevano lasciato degli ospiti fastidiosi. Le dissero di accendere lo zolfo vicino ai materassi così sarebbero morte le cimici. Così fece e andò nel giardino a raccogliere il caffè selvatico.
Ma mia nonna mise il tegamino di alluminio troppo vicino ai materassi e questo si incendiò. Difronte alla casa alloggiavano i soldati che si accorsero del fumo che fuoriusciva dalle porte che davano sul balcone del primo piano. Gridarono al fuoco, con un salto attraversarono il vallone e, miracolosamente spensero il fuoco ma i mobili della camera da letto si bruciarono insieme con i materassi e le cimici!
Mia nonna aveva 38 anni e da allora iniziarono per lei i problemi di salute! 

                                                                                                Anna LEO

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