Madame Bovary si colloca in un momento particolare della cultura del 1800.
Il romanzo viene pubblicato nel 1857 (stesso anno della pubblicazione dei “Fiori del Male” di Baudelaire). La cultura romantica era in crisi, erano in crisi gli ideali, le virtù, i valori assoluti.
Stava nascendo un nuovo movimento: il Positivismo, che nella narrativa (Naturalismo e Verismo italiano) si proponeva la descrizione realistica di un ambiente e l’oggettività scientifica dell’indagine psicologica dei personaggi.
La scienza era il motore del progresso della società e il metodo scientifico doveva essere esteso a tutti i campi del sapere, anche all’arte e alla narrativa.
Quindi il romanzo di Flaubert rivelò subito il suo carattere innovativo e antiromantico. L’ambiente decritto minuziosamente, la realtà quotidiana fatta di particolari, di oggetti, di gesti.
Da questa realtà emerge la psicologia dei personaggi, in particolare i sogni e le fantasie della protagonista, Emma Bovary.
Attraverso la descrizione del reale, l’autore fa emergere lo spazio interiore dei personaggi.
La pubblicazione di “Madame Bovary” costò allo scrittore un processo per “offese alla morale pubblica e religiosa”, da cui però fu assolto.
Era il primo caso di censura di un’opera letteraria da parte dell’autorità; sotto accusa era l’adulterio della protagonista e soprattutto l’atteggiamento del narratore, che non interveniva con opportuni giudizi di condanna. Al contrario, sembrava giustificare la condotta del personaggio.
La vicenda, che occupò anche le pagine dei giornali, contribuì alla popolarità dell’autore; la critica letteraria si divise nel giudizio sull’opera, ma ben presto arrivarono i riconoscimenti.
L’opera apriva la strada a quasi tutte le esperienze narrative di fine Ottocento.
In realtà siamo difronte ad un modo oggettivo di raccontare, e questa è la novità. Personaggi, situazioni non sono presentati, interpretati e commentati dall’autore. Egli non lascia trasparire la sua visione del mondo e della vita. Le vicende vivono “da sole”, grazie alla precisione, all’efficacia del linguaggio. La scelta di un narratore che non interviene, che si limita a registrare con fedeltà quanto accade, è un aspetto decisivo del realismo di Flaubert che egli stesso ha teorizzato, indicandolo come atteggiamento di “impersonalità del narratore”. I fatti vengono raccontati attraverso i sentimenti, gli occhi, le sensazioni della protagonista.
“L’artista nella sua creazione deve essere come Dio nella creazione, sì che ovunque lo si senta, ma non lo si veda. E’ tempo di dare all’arte la precisione delle scienze fisiche”, dice Flaubert.
L’opera è un’analisi fredda della vanità e della dissoluzione della vita borghese, colta da Flaubert nei suoi aspetti più desolanti e meschini, e descritta come una condizione immodificabile, da cui è impossibile uscire.
La critica alla società borghese, la denuncia delle sue convenzioni, della sua ipocrisia, sono condotte con assoluta assenza di partecipazione alla vicenda, che sottolineano ancora di più l’interesse di denuncia feroce.
La protagonista è una signora di provincia che mal sopporta il succedersi regolare della vita quotidiana e ne sogna l’evasione, ma non è capace di andare al di là del sogno, dell’immaginazione.
Si scontrano la realtà degradata e volgare del mondo borghese e l’aspirazione a un mondo superiore che, per Flaubert, non è un valore autentico, ma al contrario, è il desiderio sempre frustrato di qualche altra cosa, destinato a non soddisfarsi mai.
Agli occhi della protagonista, questo scontro con la realtà sempre più insignificante e volgare è la causa di una sofferenza, di una insoddisfazione lacerante, quella che la porta alle fantasticherie, alle letture solitarie, infine all’adulterio, da cui spera la liberazione dalla noia del matrimonio e della provincia, al suicidio finale di fronte al fallimento di quello che aveva creduto il vero scopo della sua vita.
Col successo del romanzo, si diffuse anche un neologismo (una parola nuova): il bovarismo, la malattia di Emma, ovvero il conflitto insanabile tra una vita ideale, costruita sui libri e sui sogni, e la grigia verità del quotidiano, che approda alla scoperta della noia e del vuoto dell’esistenza. Il bovarismo è, in pratica, l’eterno conflitto tra la banalità della vita quotidiana e i sogni e le ambizioni di ciascuno di noi.
..." Alle tre, cominciò il
ballo figurato con sorprese.9 Emma non sapeva ballare il valzer:10
tutti lo ballavano, anche la signorina d’Andervilliers e la
Marchesa; erano rimasti soltanto gli ospiti del castello, circa una
dozzina di persone. Uno dei ballerini, tuttavia, che tutti chiamavano
familiarmente Visconte,
con un panciotto molto aperto che sembrava modellato sul petto, andò
una seconda volta a invitare la signora Bovary, assicurandola che
l’avrebbe guidata e che se la sarebbe cavata bene.
Cominciarono pian piano, poi
andarono più in fretta. Giravano: tutto girava attorno a loro, le
lampade, i mobili, le pareti e il pavimento, come un disco su un
perno. Nel passare vicino alle porte, la gonna d’ Emma s’avvolgeva
ai calzoni di lui; le gambe entravano le une nelle altre; egli
abbassava lo sguardo verso di lei, ella lo alzava verso di lui; si
sentiva presa da un torpore, e si fermò. Ripresero, e, con un
movimento più rapido, il Visconte, trascinandola, disparve con lei
sino in fondo alla galleria, dove, ansimante, ella fu lì lì per
cadere, tanto che, per un attimo, gli appoggiò la testa sul petto.
Poi, girando sempre, ma più lentamente, egli la ricondusse a sedere;
ella si arrovesciò contro la parete, parandosi gli occhi con la
mano.
Quando li riaprì, una dama,
seduta su uno sgabello in mezzo al salone, aveva dinanzi tre
ballerini inginocchiati: scelse il Visconte e il violino riprese.
Tutti li guardavano: passavano e
ripassavano, ella con il corpo immobile e il mento abbassato, ed egli
sempre nella stessa posa, il corpo eretto, il gomito arrotondato, la
bocca sporgente. Quella sì che sapeva ballare il valzer!
Continuarono a lungo, e stancarono tutti gli altri.
Si chiacchierò ancora per
qualche minuto, e, dopo gli addii o, piuttosto, il buon giorno, gli
ospiti del castello andarono a coricarsi.
Charles saliva, aggrappandosi
alla ringhiera, con le ginocchia che
gli s’insaccavano nel corpo.
Era stato, per cinque ore di seguito, in piedi davanti alle tavole da
gioco, guardando giocare a whist,
senza capirci nulla. Quando pertanto poté levarsi le scarpe, emise
un gran sospiro di soddisfazione.
Emma si buttò uno scialletto
sulle spalle, aprì la finestra e s’affacciò….
9.
ballo
figurato con sorprese:
danza con la quale si concludeva spesso il ballo e che consisteva in
una danza figura inframmezzata da scene mimate.10.
valzer:
era, all’epoca, considerato più audace delle altre danze, in
quanto il cavaliere sorregge la dama cingendole la vita. Emma, più
provinciale della sua ospite, non lo sa ancora ballare.
...
La signora Bovary, con la schiena voltata, teneva il viso appoggiato
contro un vetro; Léon aveva il berretto in mano, e se lo batteva
leggermente contro la coscia. «Sta per piovere,» disse Emma. «Ho
il mantello,» rispose lui. «Ah!» Ella si voltò, col mento
abbassato e la fronte in avanti. La luce vi scivolava come su un
marmo, fino alla curva delle sopracciglia, senza che si potesse
arguire che cosa Emma guardasse all’orizzonte, né che cosa
pensasse entro di sé. «Allora, addio!» sospirò Léon. Ella rialzò
il capo con un movimento brusco: «Sì, addio... andatevene!» Si
avvicinarono l’uno all’altra: egli tese la mano, lei esitò.
«All’inglese, dunque» disse ella, abbandonandogli la propria e
sforzandosi di ridere. Léon la sentì tra le dita, e la sostanza
stessa di tutto il proprio essere gli
parve discendesse in quel palmo umido. ' Poi aprì la mano: gli occhi
s’incontrarono, ed egli scomparve. …
....
Rodolphe non si voltava. Ella lo rincorse, e, chinandosi sulla
sponda, tra i cespugli: «A domani!» esclamò. Egli era già di là
dal fiume, e camminava rapido per la prateria. Dopo alcuni minuti,
Rodolphe si fermò, e, quando la vide nell’abito bianco svanire a
poco a poco nell’ombra come un fantasma, ebbe una tale palpitazione
di cuore, che si appoggiò a un albero per non cadere. «Che
imbecille sono!» esclamò, spaventosamente bestemmiando. «Non
conta: era un’amante squisita!»
E,
subito, la bellezza d’Emma, con tutti i piaceri di quell’amore,
gli riapparvero. Dapprima s’intenerì, poi si ribellò contro di
lei. «Ma certo! È proprio così!» esclamava gesticolando;
«espatriare, caricarmi di una bambina, non posso di sicuro, io!»
Si diceva queste cose per farsi più forza. » «E le complicazioni,
poi, la spesa... Ah! no? no, mille volte no! sarebbe una bestialità
madornale.»
Su "Minerva News" (icona con libro aperto) "Un
fotografo avido di luce"
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