sabato 10 novembre 2018

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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LA GRANDE GUERRA                                                                              700 MILA MORTI ITALIANI DAI 20 AI 40 ANNI
RELAZIONE DELLA                       PROF.SSA SILVIA LADDOMADA





 
La grande guerra è stata un’inutile strage come la definì il Papa Benedetto XV fin dal 1914, il papa sconosciuto che rimase inascoltato ma che tanto si adoperò per i prigionieri e le loro famiglie. Anche se non abbiamo vissuto quegli eventi, ne siamo figli, sia per storia famigliare che collettiva. Quella guerra ha segnato drammaticamente l’immaginario, la cultura, la politica e la storia del nostro Paese. Centinaia di migliaia di vittime, mutilati, feriti, invalidi; ancora più terribile la sorte dei prigionieri che non ebbero dal Governo nessun sostegno materiale, perché considerati vili disertori. Consideriamo anche la sorte dei soldati impazziti al fronte, gli scemi di guerra. Uomini tornati dal fronte con gravi disturbi mentali.
Per molto tempo si è attribuita la causa del disagio non alla guerra, ma a devianze, a degenerazioni in individui già predisposti; si pensava che i comportamenti isterici fossero frutto di simulazioni, messe in atto per non combattere ed essere congedati, curati con ipnosi, scosse elettriche, che li facevano sprofondare ancora di più nella pazzia. Quella dei traumi psichici conseguenti alla guerra fu una pagina presto chiusa e rimossa. Si calcola però che circa 40.000 uomini con disturbi mentali finirono in manicomi statali, molto più alto è il numero di chi fece ritorno a casa e in quelle condizioni venne accolto. 

Per questo per prendere le distanze dal carico emotivo di quegli sguardi assenti e per poter ricominciare a vivere dopo il trauma collettivo dell’esperienza bellica, la gente cominciò a chiamare quei giovani con un termine feroce e ingiusto: “scemi di guerra”. Sì, la grande guerra significò anche questo: una devastazione intima che cambiò il paesaggio della mente."Il cervello sciaguattava nella scatola cranica, come l'acqua agitata in una bottiglia". La guerra ha colpito chi l'ha combattuta, ma ha colpito anche le famiglie a cui queste persone sono state sottratte per essere restituite cadaveri, o non essere restituite affatto, o restituite con devastazioni fisiche e psicologiche inimmaginabili. Non si conosce con precisione il numero delle vittime, e questo dà il segno della brutalità, della violenza della guerra. Una guerra che registrò 17 milioni di morti, tra caduti in battaglia e dispersi.
Oltre 10 milioni i feriti e gli invalidi mutilati, sia militari che civili, morti in seguito ad attacchi bellici, per cattiva nutrizione,, per malattie dovute alle penose condizioni di vita, negli anni di guerra. I morti italiani furono circa 700 mila, una generazione di giovani dai 20 ai 40 anni. Fu una guerra di massa, ma anche una morte di massa. Fu la più terribile esperienza dei soldati sul campo di battaglia.
Gli eserciti mobilitarono decine di milioni di uomini, per la maggior parte contadini, che sapevano parlare solo il dialetto. Il proletariato urbano non veniva mandato al fronte, perchè doveva lavorare nelle fabbriche militari... Contadini che per la prima volta venivano a contatto con luoghi, persone e idee nuove... Contadini che non avevano nessun orgoglio, nessuna sicurezza e che "muti" passarono il Piave, come dice la celebre canzone... Contadini che si sentivano "non italiani", che conoscevano la Patria sotto forma di uno Stato lontano e vessatorio (solo tasse)...Questi poveri fanti spesso non avevano un'idea precisa sui motivi per cui si combatteva e si moriva. La guerra appariva loro come una dura necessità, qualcosa a cui non era possibile opporsi. La paura si impossessava di loro. 

Qualcuno non si presentava alla chiamata alle armi, oppure non tornava più al fronte dopo una licenza a casa, o addirittura si ricorreva all'autolesionismo: ci si infliggeva, cioè, delle ferite o delle mutilazioni, per essere dispensati dal servizio in prima linea. Bastarono pochi mesi di guerra nelle trincee per far svanire anche l'entusiasmo con cui molti giovani "interventisti" avevano affrontato il conflitto .
Le trincee, simbolo macabro della grande guerra: lunghi corridoi scavati nel terreno, disposti in più linee, protetti da filo spinato e da mitragliatrici nascoste in postazioni mimetizzate. Ben presto nelle stesse trincee si moltiplicavano i casi di diserzione, di ammutinamento, nonostante disertori e ribelli venissero condannati a morte per fucilazione. Di fronte alla disperazione delle truppe, i comandi infatti rispondevano con durezza e arroganza: negavano le licenze a chi ne aveva diritto, punivano il soldato che aveva perso il cappello in battaglia, si assegnavano a vicenda le medaglie, senza mai essere andati in prima linea.

Vigeva il sistema delle decimazioni: si individuavano i non coraggiosi e si fucilava un soldato su dieci, estraendo a sorte il nome. In molti tratti del fronte, le due trincee nemiche della prima linea distavano poche decine di metri; le sentinelle italiane potevano guardare negli occhi quelle austriache e sentire le loro voci. Come si combatteva: un lungo bombardamento preparatorio con i cannoni (che colpivano a Km di distanza) era il segnale che l'attacco stava per avvenire. Quando l'artiglieria puntava sulle retrovie nemiche, iniziava l'assalto della fanteria. I fanti, imbevuti di alcool, grappa o cocaina, scattavano fuori dalle trincee e correvano verso quelle nemiche, cercando di oltrepassare i reticolati sotto il fuoco delle mitragliatrici e dei cannoni, ed entravano nella "terra di nessuno", un'area piena di fango e pozzanghere, di crateri provocati dalle granate, di alberi spezzati e frantumati, di cadaveri abbandonati. Sapevano benissimo di andare al massacro. Arrivati a contatto col nemico, dovevano combattere corpo a corpo alla baionetta. E così ogni assalto era davvero un massacro.

Il fronte italiano


I fatti storici

Attentato a Sarajevo
All’inizio del Novecento l’Europa appare sempre più illuminata dal progresso, vive la sua belle époque. Durò poco questa effervescenza, le rivalità tra gli Stati, la produzione di armi facevano intendere che le questioni si sarebbero risolte non più diplomaticamente ma con la forza. Del resto gli artisti d’avanguardia avevano parlato di angosce esistenziali, di crisi d’identità, anticipando quelle lacerazioni interiori che avrebbero travolto milioni di uomini sparsi nel mondo. Gli Stati europei si erano divisi in due blocchi: triplice alleanza nel 1882 (Germania, Austria e Italia) e triplice Intesa nel 1907( Francia, Inghilterra e Russia). I trattati impegnavano gli Stati all’aiuto reciproco in caso di attacco. Si aspettava l’occasione. E l’occasione si presentò il 28 giugno 1914, allorché l’arciduca austriaco Francesco Ferdinando, erede al trono di Austria, si recò in Bosnia per conoscere le terre da poco annesse.
Qui a Saraievo fu assassinato da un giovane nazionalista serbo Gavrilo Princip. L’Austria dichiarò guerra alla Serbia il 14 luglio,perché si sapeva che la Serbia voleva fare della penisola balcanica un grande stato indipendente dall’Austria.
Si attivò subito il sistema delle alleanze: a favore della Serbia l’Intesa e a favore dell’Austria la Triplice Alleanza.
L’Italia rimase neutrale, perché riteneva che l’esercito italiano non fosse preparato, si era appena usciti dalla guerra in Libia, in cui si diceva, avevamo conquistato “uno scatolone di sabbia”. Molti ritenevano che la questione riguardasse l’Austria, altri pensavano di ricorrere alla diplomazia. Ben presto però l’opinione pubblica fu influenzata da accese manifestazioni di piazza, animate da D’Annunzio, da Marinetti, con discorsi patriottici e nazionalistici. Si chiedeva di entrare in guerra contro l’Austria, per liberare dal suo dominio il Trentino, la Venezia Giulia, l’Istria e la Dalmazia, completando così le guerre del Risorgimento. 

Così il governo e il Re, all’insaputa del Parlamento, strinsero un patto segreto con l’Intesa, il patto di Londra, che impegnava l’Italia ad entrare in guerra contro l’Austria. Il 24 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra, destinazione delle truppe il nord est, concentramento al Piave. La guerra travolse tutti gli Stati europei ed extraeuropei, su cui si estendeva il dominio coloniale delle potenze in guerra. Si pensava che tutto si sarebbe risolto in pochi mesi, “ a Natale tutti a casa”, si diceva. La guerra invece durò quattro anni, e si combatté nelle trincee, profondi camminamenti scavati nel terreno, per una lunghezza di centinaia di Km.
Gli italiani combatterono sull’altopiano del Carso e lungo l’Isonzo, al confine col Trentino fino alle Alpi Carniche. Ben 11 battaglie, sanguinose, rese ancora più atroci da massicci attacchi austriaci, che organizzarono una spedizione punitiva nei confronti dell’Italia, traditrice. Fu conquistata Gorizia, ma nel 1917 ci fu la grave sconfitta a Caporetto (dodicesima battaglia dell'Isonzo), che riportò gli italiani sulle posizioni di partenza del Piave. Il generale Cadorna attribuì la colpa alla vigliaccheria dei fanti, ma in realtà non c’era un razionale coordinamento tra gli apparati militari. Per cui Cadorna si dimise e Armando Diaz lo sostituì, riuscendo a riaccendere l’amor di patria nell’animo ormai distrutto dei soldati. Dal Piave ripartì la riscossa: "resistere" divenne l'imperativo di tutta la nazione.
Ritirata di Caporetto
Cambiò l'immagine della guerra: i soldati non erano più impegnati a inseguire l'avversario in territorio straniero, ma difendevano il proprio territorio dall'invasione. Il 1917 fu un anno particolare. La Russia uscì dal conflitto, perché impegnata nella rivoluzione comunista al suo interno. Gli Stati Uniti entrarono in guerra, accanto all’Intesa. La causa? la guerra sottomarina della Germania contro l’Inghilterra, una guerra che impediva i rifornimenti all’Inghilterra, provenienti dall’America e indeboliva l’Intesa. In realtà una sconfitta dell’Intesa avrebbe annullato i crediti degli americani impegnati a dare prestiti e rifornimenti agli Alleati. E così si giunse alla fine: 1918. Gli Alleati (Francesi, Inglesi e Americani) sconfissero la Germania.

Altare della Patria, dove riposano le spoglie del milite ignoto
L’Italia fu protagonista di un gesto di particolare significato ideale e propagandistico: il volo su Vienna, compiuto da una squadriglia guidata da D'Annunzio il 9 agosto '18. Dagli aerei fece cadere sulla città dei messaggi che preannunciavano il crollo dell'Austria e l'imminente vittoria italiana. Così recitava l'inizio di uno di quei volantini: "Viennesi! Imparate a conoscere gli Italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i colori della libertà". Il 24 ottobre l'Italia vinse la battaglia decisiva a Vittorio Veneto, sfondò le difese austriache e il 3 novembre 1918 gli eserciti italiani entrarono a Trento, mentre le flotte sbarcavano a Trieste; il 4 novembre, a Villa Giusti, una villa veneta vicino Padova, fu firmata la resa dell’Austria. Quindi l’Italia, la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti sono i vincitori della 1^ Guerra. Ci furono accordi di pace. L’Italia ottenne il Trentino, il Sud Tirolo (Alto Adige) fino al Brennero, Trieste, l’Istria e la città di Zara in Dalmazia. Non ottenne Fiume, né il protettorato su Valona, in Albania. Non avendo potuto dare un nome a tutte le migliaia di corpi dei Caduti, le autorità italiane decisero di scegliere un soldato sconosciuto e di onorarlo con una sepoltura nell'Altare della Patria del Vittoriano a Roma. Nel 1921 fu istituita una commissione che si recò sui luoghi delle Battaglie e raccolse i corpi di 11 soldati sconosciuti. Fu poi chiamata la madre di un Caduto, Maria Bergamas, che indicò una bara tra tutte, e quella fu reasportata, con un treno speciale a Roma per esservi sepolta.
E' seguito un interessante dibattito con qualificati interventi di approfondimenti.


SU "MINERVANEWS" LA CONFERENZA DI CRISTELLA

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