martedì 20 novembre 2018

CENTENARIO PRIMA GUERRA MONDIALE - "Pagine di Storia..."

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  MIO NONNO (Piero Sicuro) di Carosino

      Pensiero della Nipote Piera Zaccaria (a destra il marito Cosimo Clemente)
    



Foto, Cartolina e medaglie di Piero Sicuro(Coll. Clemente)




Croce di guerra e attestato di Piero Sicuro

Regio Decreto rilasciato a Piero Sicuro

                                                                      LA RELAZIONE

La relatrice prof.ssa Silvia Laddomada

Dopo il racconto dei fatti storici, con focalizzazione sulle vicende italiane, nella seconda parte sono stati letti documenti e discorsi relativi alla posizione dell’Italia, sia di esponenti politici neutralisti che intervenisti , come Giolitti, Salandra, Papini.

“…..Io avevo la convinzione che la guerra sarebbe stata lunghissima, perché si trattava di debellare i due imperi militarmente più organizzati del mondo…. Una guerra lunga avrebbe richiesto colossali sacrifici finanziari, specialmente gravi e rovinosi per un Paese come il nostro, ancora scarso di capitali e con molti bisogni...Atteso l’enorme interesse dell’Austria di evitare la guerra con l’Italia, e la piccola parte che rappresentavano gli italiani irredenti in un impero di cinquantadue milioni di popolazione,si avevano le maggiori probabilità che trattative bene condotte finissero per portare all’accordo...” (Giovanni Giolitti)

“….La gran maggioranza della popolazione, sparsa per casolari, o aggruppata in piccoli aggregati di casa, dedita al lavoro dei campi o alla pastorizia, ha scarsissima cultura; ha una coscienza politica rudimentale; ed è ignara dei superiori interessi e dei grandi ideali della nazione. Concepisce perciò la guerra come un malanno simile alla siccità, alla carestia, alla peste… La gran massa della popolazione è quasi tutta avversa a ogni specie di guerra: la moltitudine desidera la pace...” (Antonio Salandra).

“… Noi cattolici siamo per la neutralità e crediamo sia un delitto contro la Patria quello di gonfiare la portata dei nostri interessi lesi, al solo scopo di spingere il Paese in avventure da cui non potrebbe ritrarre che sventure nuove e nuove rovine...” (Osservatore romano)

“...Compagni, non è più tempo di parlare, ma di fare. Se l’incitare alla violenza i cittadini è considerato come crimine, io mi vanterò di questo crimine. Ogni eccesso della forza è lecito, se vale a impedire che la Patria si perda...” (Gabriele D’Annunzio).

“...Dei malvagi e degli idioti non mi curo. Restino nel loro fango i primi, crepino nella loro nullità intellettuale gli ultimi. A voi, giovani d’Italia, io lancio il mio grido augurale, sicuro che avrà nelle vostre file una vasta risonanza di echi e di simpatie….. Oggi una parola paurosa e fascinatrice:guerra!...” (Benito Mussolini)

“…. Ci voleva, alfine un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto; e una rossa svinatura per la vendemmia di settembre….. Siamo troppi. La guerra… fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutare la vita… Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura: La guerra è spaventosa, e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruttrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi… (Giovanni Papini)


Ci si è poi soffermati sulla sofferenza del “fante” e sulla dura vita in trincea. Sono stati trasmessi alcuni video storici di archivio e sono stati ascoltate canzoni di guerra di orchestre e di gruppi alpini.
Il prof. Pietro Speziale
Molto significativo il contributo dell’amico Pietro Speziale, che ha letto alcune poesie sulla Guerra scritte dal Maestro Giovanni Luigi Casavola e alcune pagine del diario di guerra del concittadino Michele De Lucreziis (nato il 19 ottobre 1885, morto sul campo, colpito da una pallottola nemica, sul Monte Pasubio il 16 novembre 1917). 

Tra gli interventi è stata molto gradita la lettura di una poesia, dedicata al nonno, da parte di una socia dell’Università, Piera Zaccaria, la quale ha anche fatto visionare a tutti i presenti le medaglie ed i relativi decreti di riconoscimento assegnati al nonno.
Il prof. Carmine Prisco ha letto alcuni canti di guerra, la signora Nadia Bumbi ha letto alcune pagine del romanzo “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu e il poeta Giacomo Salvemini ha letto alcune poesie di Giuseppe Ungaretti e di Andrea Zanzotto.
A conclusione tutti i presenti hanno intonato la “Leggenda del Piave” mentre su un’asta oscillava la bandiera italiana.
Il prof. Carmine Prisco
Soci dell'Università

IL FANTE E LA TRINCEA

In trincea la vita scorreva con una monotonia insopportabile, interrotta solo dal grido che tutti temevano, lanciato a giorni alterni dagli ufficiali dell’uno o dell’altro schieramento:”All’attacco!”. Questo grido era il segnale dell’assalto alla baionetta, un rito tanto inutile quanto sanguinoso, che falciava ogni giorno centinaia di vite umane…..
Lettura di Nadia Bumbi
Lettura di Giacomo Salvemini

Soci dell'Università
Soci dell'Università

La fanteria doveva arrampicarsi lungo le pareti del fossato, salire allo scoperto e gettarsi contro le protezioni di fili spinato delle trincee nemiche, sotto il fuoco di sbarramento delle mitragliatrici. Quelli che non restavano impigliati tra i fili spinati e non venivano colpiti dovevano gettarsi nei fossati nemici e colpirne i difensori con la baionetta, ingaggiando una lotta corpo a corpo. Se superavano gli avversari delle prime file, dovevano subire il contrattacco delle seconde e terze file che in genere ricacciavano i superstiti nella posizione di partenza.
Così milioni di soldati morirono giorno dopo giorni nel corso di quattro (o cinque) lunghissimi anni.
Nelle trincee i fanti vivevano in condizioni prive di igiene, senza potersi mai lavare né cambiare. Erano esposti al caldo, al freddo, alla pioggia, al vento e al bombardamento dell’artiglieria avversaria.

Rimanere feriti o ammalarsi non era una bella esperienza, anche se, verso la fine della guerra, divenne la speranza di tutti, perché era l’unico modo per essere allontanati dalla trincea. Chiunque venisse ferito, doveva aspettare la notte, per essere prelevato dai barellieri, i quali dovevano attraversare “la terra di nessuno”, col rischio che qualcuno sparasse. Molti, purtroppo, che si sarebbero potuti salvare, morirono dissanguati. Da considerare anche la frustrazione dei chirurghi: molti feriti, rimasti nel fango, contraevano il tetano, e non c’era modo di salvarli.
Un altro nemico del fante in trincea erano i pidocchi. Li avevano tutti, sebbene si rapassero i capelli, ma spesso questi insetti non si limitavano a procurare prurito, ma generavano il tifo, una malattia che a quei tempi aveva un esito quasi sempre mortale.
Infine c’era lo stato di shock, una malattia psichica sconosciuta che derivava dal panico e dall’orrore per ciò che si era visto; chi ne era colpito ( lo “scemo di guerra”) era completamente disorientato, sordo agli ordini, a volte paralizzato. Molti ufficiali lo scambiavano per vigliaccheria e si
rifiutavano di far ricoverare chi ne era colpito. In molti fanti lo stato di shock era diventato una condizione permanente; vivevano in una totale indifferenza; non reagivano agli ordini e, quando veniva lanciato l’attacco, restavano fermi nelle trincee, sebbene la pena per questo comportamento fosse la fucilazione.
Dopo anni di trincea i fanti presentavano quei sintomi che i generali usavano definire “morale basso delle truppe”. Molti tentavano la diserzione, altri ricorsero alle automutilazioni, in molti casi ci fu l’ammutinamento di interi reparti.
Comunicato del gen. Cadorna: ”….Ricordo che non vi è altro mezzo idoneo per reprimere reati collettivi che quello di fucilare immediatamente i maggiori colpevoli e, allorché l’accertamento delle identità personali dei responsabili non è possibile, rimane ai comandanti il diritto e il dovere di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte...”(provvedimento della decimazione).

Dal "Diario di Guerra" di Michele De Lucreziis (cittadino crispianese a cui è stata intitolata una via).

"29.8.1917 - Il Primo battaglione del 157 Fanteria, mantiene quel tratto di linea che va dal Dente al Corno del Pasubio, la 3a compagnia ha il cosiddetto Cappello del Carabiniere, un cucuzzolo con due vallette laterali, nella Val Caprara, una facile via d'accesso pel nemico che tentasse di venire in forze, per cui è posizione da difendere fino all'ultimo uomo e vi sono i reticolati da gettare nei camminamenti perchè nessuno esca dalla trincea, ed il servizio vi è rigoroso specie di notte. Non mi pareva vero di trovarmi così vicino al nemico il quale nella notte si sentiva lavorare sul suo Dente e da esso rotolava giù detriti e ciottoli tolti a qualche galleria che andava scavando nell'interno. E mi davano un senso di misteriosa stranezza quelle vedette riparate dietro un mucchio di sassi e incappucciate, con l'occhio a scrutare nel buio o nella nebbia dinanzi e con l'orecchio teso a tutti i rumori; la parola d'ordine da esse richiesta al passaggio di chiunque, e poi nella galleria del corpo di guardia quei visi di soldati insonniti rischiarati da una lucerna fioca, alcuni sonnecchiavano seduti, altri fumavano, qualcuno chiacchierava con stanchezza, mentre dei minatori nel fondo della caverna facevano sentire i colpi monotoni e cadenzati del piccone. Veniva poi il giorno, si usciva all'imbocco della caverna a vedere il cielo e godere un po'
 di sole; verso mezzogiorno portavano da mangiare in una cesta per me e per l'altro aspirante con cui ero in servizio, e si pranzava in fondo alla galleria dove i minatori avevano smesso di lavorare in una specie di nicchia di circa un metro cubo seduti su delle casse vuote di bombe e rischiarati da una lucerna fatta con una bomba Sipe vuota. Eravamo dunque ritornati all'età della pietra, fra i trogloditi! Ma perchè ci si trovava in quella caverna? E, come mai si era balzati d'un tratto tanti secoli indietro? Tutto mi pareva stranezza e mistero, e avevo delle sensazioni nuove come se fossi rinato ad un'altra vita, in altra epoca remotissima, fra una generazione ancora molto primitiva".


*Da "Giovanni Casavola e la sua Poesia" di Pietro Speziale 


Riscossa

Sorgi, o Italia, ai tumulti cruenti

    che il tuo fato novello t'impose,

    fra le gare di libere genti,

    coronata dall'Alpi nevose,

    sorgi e salpa coll'anima altera

    sul tuo mar che fremente ti serra:

    nel fragor de la vindice guerra

    la tua Stella a brillare tornò!

 ......



Vittoria

 ......

Fummo divisi e deboli,

    l'amor ci unì più saldi:

    dal Piave i fanti balzano

    col cor di Garibaldi...



Fuor dall'Italia, o barbari!

    sul sacro suol risuona,

    la baionetta luccica,

    oltre il Danubio sprona.


......


* Giovanni Casavola, padre di "don Manlio", fu Maestro, Segretario comunale, Esperto in materia giuridica, economica ed amministrativa. Morì il 27 marzo del 1932, all'età di 72 anni.


SU "NOTIZIE, EVENTI ASSOCIAZIONE " (sito Minerva): "Indimenticabile Gianni Brera"
 

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