RELATRICE: PROF.SSA SILVIA LADDOMADA
La belle époque fu un periodo di crescita complessiva della società europea, ma anche di grandi conflitti sociali e forti contrasti politici.
Il benessere e la gioia di vivere
riguardavano solo uno strato superficiale della società, cioè
quelle poche persone potenti che occupavano, per ricchezza e
prestigio, i gradini più alti della scala sociale.
Nelle fabbriche, gli operai lavoravano
in cambio di un salario, un salario basso, visto l'abbondanza della
manodopera; erano sfruttati, sottoposti a orari di lavoro
massacranti, fino a 16 ore al giorno, non avevano alcun diritto
all'assistenza in caso di malattia, invalidità, vecchiaia. Molti intellettuali si proposero
allora di risolvere la questione sociale, cioè il problema dei
lavoratori costretti a vivere in condizioni di terribile miseria.
Essi erano i socialisti, chiedevano una maggiore uguaglianza sociale ed economica e una distribuzione più giusta della ricchezza prodotta dall'industria. Essi facevano leva sugli operai più istruiti, necessari in una fabbrica in cui c'era da controllare il funzionamento delle macchine, l'organizzazione del lavoro. Furono questi operai più specializzati a far sviluppare una coscienza di classe, a far maturare la consapevolezza tra gli operai di unirsi per far valere i propri diritti violati.
Essi erano i socialisti, chiedevano una maggiore uguaglianza sociale ed economica e una distribuzione più giusta della ricchezza prodotta dall'industria. Essi facevano leva sugli operai più istruiti, necessari in una fabbrica in cui c'era da controllare il funzionamento delle macchine, l'organizzazione del lavoro. Furono questi operai più specializzati a far sviluppare una coscienza di classe, a far maturare la consapevolezza tra gli operai di unirsi per far valere i propri diritti violati.
Man mano che questa coscienza si
sviluppava, gli operai si rendevano conto che loro erano solo una
forza lavoro, non possedevano nulla se non la loro forza fisica, i
loro figli, la prole. Erano proletari sottomessi a borghesi
capitalisti, che possedevano i mezzi di produzione e si spartivano i
profitti conseguiti.
Erano il quarto stato, la quarta
classe sociale che si affacciava alla storia moderna, dopo nobiltà,
clero e borghesia. A questa classe si rivolgevano Carlo Marx e
Friedrich Engels, i due intellettuali tedeschi che nel 1848 avevano
pubblicato il Manifesto del partito comunista ed esposto la teoria
del marxismo, o materialismo storico.
Secondo questa teoria
nella storia c'é sempre
una lotta tra classi dominanti e classi dominate. Nell'età
dell'industrializzazione la lotta era tra la borghesia e il
proletariato. I proletari di tutto il mondo si dovrebbero unire in
una lotta rivoluzionaria, per abbattere il capitalismo e creare una
società comunista senza classi, caratterizzata dalla proprietà
collettiva dei mezzi di produzione.
Queste idee si concretizzarono in vere
e proprie formazioni partitiche, che partecipavano alla vita politica
all'interno delle istituzioni liberali.
Il primo partito socialista nacque nel 1875 in Germania (partito socialdemocratico), in Italia il partito socialista nacque nel 1892; in Francia diversi partiti socialisti si unificarono nel 1905 e in Inghilterra nel 1906 nacque il partito laburista, più moderato rispetto all'ideologia marxista. Ufficialmente i partiti socialisti riconoscevano la dottrina di Marx, ma in molti di essi prevalse la tendenza revisionista, cioè all'interno delle istituzioni liberali lottavano per ottenere delle riforme economiche a favore dei proletari; sopratutto chiedevano una riduzione a 8 ore dell'orario di lavoro.
Il primo partito socialista nacque nel 1875 in Germania (partito socialdemocratico), in Italia il partito socialista nacque nel 1892; in Francia diversi partiti socialisti si unificarono nel 1905 e in Inghilterra nel 1906 nacque il partito laburista, più moderato rispetto all'ideologia marxista. Ufficialmente i partiti socialisti riconoscevano la dottrina di Marx, ma in molti di essi prevalse la tendenza revisionista, cioè all'interno delle istituzioni liberali lottavano per ottenere delle riforme economiche a favore dei proletari; sopratutto chiedevano una riduzione a 8 ore dell'orario di lavoro.
Nel 1890 il 1° maggio ci fu una
manifestazione di lavoratori a Roma, a sostegno dei loro diritti, con
l'impegno di istituire annualmente la festa dei lavoratori ( a
ricordo della dura repressione di uno sciopero attuata dalla polizia
di Chicago il primo maggio 1886).
Solo in Russia prevalse la tendenza
rivoluzionaria che sfociò nella rivoluzione d'ottobre.
Anche la Chiesa mostrò sensibilità
alle problematiche della classe operaia. Nel 1870 Pio IX, non
riconoscendo lo Stato dei Savoia, vietò ai cattolici di impegnarsi
in politica (non expedit), ma nel 1891 Leone XIII
emanò l'enciclica Rerum Novarum, con cui ricordava agli operai i doveri di: laboriosità, moderazione e rispetto per le autorità e agli imprenditori ricordava il dovere di dare all'operaio la giusta mercede (cioè un salario adeguato) e di rispettare la dignità umana. Sopratutto, il papa invitava i cattolici all'impegno politico, a promuovere una politica di collaborazione e solidarietà tra le classi sociali, a costituire associazioni di mutuo soccorso, movimenti di Azione Cattolica, a formare sindacati cattolici che sostenessero un programma interclassista.
emanò l'enciclica Rerum Novarum, con cui ricordava agli operai i doveri di: laboriosità, moderazione e rispetto per le autorità e agli imprenditori ricordava il dovere di dare all'operaio la giusta mercede (cioè un salario adeguato) e di rispettare la dignità umana. Sopratutto, il papa invitava i cattolici all'impegno politico, a promuovere una politica di collaborazione e solidarietà tra le classi sociali, a costituire associazioni di mutuo soccorso, movimenti di Azione Cattolica, a formare sindacati cattolici che sostenessero un programma interclassista.
All'inizio del '900 il sistema di
produzione più diffuso nell'industria seguiva la teoria
dell'ingegnere americano Frederik Taylor; una divisione del lavoro
pianificato e parcellizzato, la catena di montaggio, basata
sull'idea di far muovere i pezzi da lavorare e di tener fermi i
lavoratori, così non c'era spreco di tempo e il ritmo era imposto
dalla velocità della catena. L'operaio adattava i propri movimenti
alle esigenze della macchina, ripeteva all'infinito le stesse
semplici operazioni. L'operaio scopriva di essere una parte minima e
anonima del processo produttivo, viveva con alienazione la sua
giornata lavorativa, diveniva estraneo al suo stesso lavoro.
Di conseguenza aumentarono le
proteste,
gli scioperi. Solo più
tardi si capì che il cattivo impiego delle risorse umane non
migliorava la qualità, né aumentava la redditività, si rese
necessario riqualificare le mansioni e curare le relazioni umane,
solo così si ottenevano superiori livelli di efficienza.
Restringendo la nostra analisi della
questione sociale all'Italia, dobbiamo ritornare al 1860-1870 quando
l'Italia divenne il regno di Savoia con Roma capitale.
I piemontesi notarono subito la forte
differenza tra nord e sud, i governi della Destra introdussero leggi
che il Sud non accettò, la leva obbligatoria, il pagamento delle
tasse, per cui si ebbe il triste fenomeno del brigantaggio (questione
meridionale) che il governo represse con violenza.
Nel sud non c'erano industrie, non
c'erano fabbriche, non c'erano conflitti tra capitalisti e operai, ma
c'erano i conflitti tra contadini poveri e analfabeti e ricchi
proprietari terrieri, per cui alle manifestazioni di protesta, agli
scioperi degli operai del Nord (le industrie risiedevano nel
triangolo Torino-Milano-Genova, come Breda, Pirelli, Fiat), si
univano
le proteste dei
contadini. La Destra aveva il problema di combattere il brigantaggio
e reprimere le rivolte popolari, riportare il bilancio statale in
pareggio, per cui introdusse una tassa impopolare, quella sul
macinato (imposta indiretta uguale per tutti, perché si applica ai
beni di consumo: farina, sale, carbone). La tassa sul macinato fece
aumentare il prezzo del pane e della polenta, alimenti di grande
consumo popolare, quindi colpiva i più poveri.
In Italia ci furono proteste e
disordini e alle elezioni del 1876 la Destra perse la maggioranza. Il
re Umberto I affidò il governo a un rappresentante della Sinistra
moderata, Agostino Depretis, con cui apparvero in Italia le prime
leggi sociali a protezione e tutela dei lavoratori. Ma il malcontento
aumentava, perché il governo introdusse il protezionismo, cioè il
pagamento di un dazio su prodotti importati dall'estero. Si ebbero
scioperi e manifestazioni in varie regioni italiane.
I fatti più gravi avvennero però nel
1898 a Milano, quando la popolazione
insorse per protesta
contro l'aumento del prezzo del pane.
Il governo intervenne prendendo
a cannonate i manifestanti e, ancora peggio, il re Umberto I decorò
il generale Bava Beccaris che aveva sparato sulla folla e riportato
l'ordine in paese. La triste risposta a questa decisione fu
l'uccisione a luglio 1900 del re Umberto I da parte di un anarchico,
Gaetano Bresci, che voleva vendicare i morti innocenti di Milano.
Gli successe Vittorio Emanuele III,
che chiamò al governo un liberale, Giovanni Giolitti, il quale
resterà al potere fino al 1914.
Con Giolitti la questione sociale non
fu risolta. Anch'egli difendeva gli interessi dell'industria del
nord, per cui a sud cominciò l'emigrazione delle famiglie più
povere verso l'America, partirono circa 80 milioni di italiani.
In campo politico, bisogna dire che
dietro le immagini brillanti lasciate dalla belle èpoque, si
celavano quelle rigide ed austere all'interno dei palazzi di governo
dei diversi stati europei, tra i quali c'erano vecchi rancori, si
stringevano nuove alleanze, si progrediva nel riarmo delle nazioni.
Tra i vecchi rancori, i più profondi
erano quelli che dividevano i francesi dagli inglesi, nemici mortali
nei 20 anni di guerre napoleoniche; quelli dei francesi contro i
tedeschi, sconfitti (i francesi) nella guerra franco-prussiana;
quelli tra Austriaci e Ungheresi, questi ultimi liberatisi dai Turchi
erano stati assorbiti nell'Impero austriaco, divenuto poi
austro-ungarico, mentre il sogno degli ungheresi era quello di
divenire uno stato indipendente; quelli tra Italia e Austria, perché
il Trentino e la Venezia Giulia erano ancora sotto il dominio
austriaco. Un'altra rivalità c'era tra Austria e Russia, perché la
Russia sperava in uno sbocco verso il Mediterraneo, quindi
appoggiava i gruppi della penisola balcanica, ribelli all'Austria.
Fino al 1890 tutte queste tensioni
erano state tenute a bada dalla politica del Cancelliere tedesco
Otto Von Bismark che, impegnato nella crescita industriale della
Germania, si adoperava per mantenere in Europa la pace. Fu proprio
lui ad organizzare la conferenza di Berlino (1884-85) con cui favorì
un accordo tra gli stati europei per la spartizione dell'Africa,
dirottando quindi sul continente africano le mire espansionistiche
delle grandi potenze europee.
Perché in Africa?
Perché in Africa?
Alla base di questa espansione ci fu
certamente la necessità di procurarsi le materie prime e di
assicurarsi nuovi mercati per la sovrapproduzione. Ma si inserisce
un'altra ideologia, il nazionalismo, che avrà tristi conseguenze nei
decenni futuri. Questa ideologia si fonda sul pregiudizio della
superiorità della società e della cultura europea sulle altre
culture. Questo dava diritto agli europei, ritenuti più civili e più
progrediti, di sottomettere e dominare altri popoli. Tale concezione
servì a giustificare le conquiste coloniali, cioè la conquista di
territori abitati da popolazioni ritenute di razza inferiore, che
bisognava civilizzare. Si affaccia un'altra pericolosa teoria: il
razzismo, le razze superiori contro le razze inferiori. Ciò produsse
una corsa sfrenata alla conquista di terre incontaminate, ogni
nazione europea doveva avere il suo impero coloniale. Quindi altre
rivalità; tutti gli Stati miravano attraverso scontri, trattative
non certo cordiali, di spartirsi il continente africano.
Anche l'Italia sottomise con forza e
violenza i popoli del Corno d'Africa, mirando all'Etiopia, non ci
riuscì, e si accontentò dell'Eritrea e della Somalia nel 1890 e
della Libia nel 1911.
Intanto in Germania, nel 1890, al
Bismark era successo il nuovo kaiser Guglielmo II. Questi volle
imprimere alla sua politica un nuovo corso, per cui divenne
aggressivo e bisognoso di alleanze. Una tendenza presto condivisa da
altri governi, lo Stato doveva essere autoritario, doveva negare i
diritti dell'opposizione , doveva imporre la sua volontà con la
forza, doveva combattere i socialisti, ritenuti responsabili degli
scontri sociali. (influenza di Nietzesche).
Questo bisogno di alleanze avvicinò
Guglielmo II all'Impero austro-ungarico, suo ex nemico. Ciò
preoccupò sia la Russia che la Francia, che si coalizzarono.
Guglielmo II ricorse a un'altra provocazione: annunciò la
costruzione di una grande flotta, per assicurarsi il dominio del mare
del nord. A questo punto l'Inghilterra, dimenticando le antiche
rivalità, si alleò con la Francia. Si costituì la Triplice Intesa
(Francia, Inghilterra, Russia) nel 1907 contrapponendosi alla
Triplice Alleanza, stipulata dalla Germania con l'Impero
austro-ungarico, e con l'Italia, già nel 1882. L'accordo impegnava
ciascun stato ad intervenire in difesa dell'altro, se fosse stato
attaccato. L'Italia accettò l'alleanza per uscire dall'isolamento,
visto che non tutti gli stati europei avevano condiviso la presa di
Roma. Ma questo suscitò un forte sdegno tra i patrioti italiani, che
si chiamavano irredentisti, i quali volevano togliere all'Austria il
Trentino e la Venezia Giulia, per completare il Risorgimento, per
completare l'unità d'Italia. Per protesta un patriota, Guglielmo
Oberdan, progettò un attentato contro l'imperatore d'Austria, ma fu
scoperto e condannato a morte.
Nella Triplice Intesa troviamo la Russia, e sappiamo che in quel periodo c'era la monarchia assoluta dello zar, c'era un'arretratezza economica che rendeva difficile una politica imperialistica, come dimostra la sconfitta della Russia nel conflitto col Giappone del 1905. Fu proprio a causa di questo insuccesso che il governo russo si alleò con Francia e Inghilterra. Col loro aiuto sperava di affrontare l'avversario austro-ungarico.
Nella Triplice Intesa troviamo la Russia, e sappiamo che in quel periodo c'era la monarchia assoluta dello zar, c'era un'arretratezza economica che rendeva difficile una politica imperialistica, come dimostra la sconfitta della Russia nel conflitto col Giappone del 1905. Fu proprio a causa di questo insuccesso che il governo russo si alleò con Francia e Inghilterra. Col loro aiuto sperava di affrontare l'avversario austro-ungarico.
Le nazioni europee più forti si
dividono e fondono alleanze militari: la pace comincia ad essere in
pericolo.
Ma un altro grave problema era la
cosiddetta questione balcanica. Territori appartenenti all'Impero
Turco, che avevano lottato per liberarsi, ma poi erano stati
assorbiti nell'impero austriaco. Tra questi stati emergeva la Serbia,
un paese slavo che odiava l'Austria, era legato alla Russia e con il
suo aiuto mirava a unificare sotto di sé tutti i paesi balcanici,
per cui dava luogo ad attività terroristiche che tenevano nel
terrore molte teste coronate. La monarchia austroungarica sembrava la
malata d'Europa e i Balcani erano la sua polveriera.
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