Lo Shelf
Marketing (il
marketing dello scaffale) non è un’arte, ma il risultato di una
strategia ben congegnata per attirare l’attenzione del consumatore
e indirizzarlo verso l’acquisto con il conseguente incremento delle
vendite.
Osserviamo
la disposizione
negli scaffali dei
diversi prodotti, l’inizio e la fine di ogni corsia, gli scaffali
ad altezza
d’occhio e
gli spazi vicini alle casse riservati a generi selezionati con
particolare attenzione, così come la merce posta alla destra dei
prodotti di grande richiamo.
Questo
perché siamo abituati a leggere da sinistra a destra e i nostri
occhi tendono naturalmente a seguire questo movimento anche davanti a
uno scaffale. Oltre a queste tecniche un contributo importante alla
definizione delle strategie di vendita e disposizione dei prodotti
arriva dalla tecnologia.
L’istituto
ID Magasin, specializzato in ricerche comportamentali e di mercato,
ha messo a punto un dispositivo
per registrare ciò che il cliente guarda da
quando entra a quando esce dal punto vendita scoprendo che l’area
più osservata negli scaffali è a circa 20
centimetri al di sotto del nostro orizzonte visivo.
Quindi,
un prodotto collocato a un metro e mezzo d’altezza ha la massima
percentuale d’essere notato e, spesso, acquistato. Anche le
telecamere di sorveglianza consentono di riportare i movimenti dei
clienti e di differenziare i percorsi di chi fa la spesa per la cena,
per la giornata o per la settimana allo scopo di pianificare il
posizionamento dei prodotti e incrementare le vendite.
Partendo
da layout e format prestabiliti: frutta,
verdura sono posti all’ingresso perché
colore e profumo concorrono ad attirare l’attenzione del cliente;
i prodotti
freschi e
i surgelati,
generalmente i più ricercati e venduti, sono disposti sul lato
opposto rispetto alle casse costringendo il cliente ad attraversare
le diverse corsie con scaffali riempiti spesso di prodotti generici.
Pane,
latte, uova e beni di prima necessità sono anch’essi sempre
lontani dall’ingresso,
mentre le acque minerali, che pesano e ingombrano sono sempre alla
fine del percorso. Malgrado esistano segnaletiche poste in alto e
quindi quasi mai lette, non viene indicato dove si trovano taluni
prodotti necessari ma con modeste rotazioni.
Quello
generalmente più difficile da trovare è il sale, seguito
dallo zucchero, sistemati strategicamente in qualche angolo
seminascosto, che obbliga il consumatore a ripercorrere più volte le
varie corsie spingendolo “involontariamente” ad acquistare
qualcos’altro. Come prodotti
di profumeria confusi tra i prodotti per l’igiene
personale gravati,
inoltre, dal vincolo di un assortimento modesto ed economico onde non
contrastare le profumerie vere e proprie sistemate nelle gallerie.
Ovvio
che ciò ha per obiettivo precipuo di farci
restare all’interno del magazzino il più a lungo possibile perché
più prodotti vediamo, più ne compriamo compiendo quello che gli
osservatori chiamano “acquisti
d’impulso”.
Anche
la posizione di giocattoli,
patatine, merendine e snack vari non è casuale. Sono disposti nelle
isole centrali alla portata dello sguardo
dei bambini.
Conclusioni
In
sintesi, queste sono alcune delle strategie di vendita usate dalla
GDO per soddisfare la clientela ma soprattutto per incrementare i
propri fatturati. Niente è casuale nell’organizzazione
spaziale del supermercato, tutto è disposto e adattato
per invogliarci
a comprare.
L’ultima
parola comunque, nella maggior parte dei casi, spetta noi. Dobbiamo
essere noi consumatori a decidere. È
solo una questione di volontà e di attenzione
quando si va a fare la spesa e non farsi attrarre troppo dalle
strategie di vendita che ci inducono a troppi acquisiti, spesso
inutili sia per la nostra salute sia per il nostro portafoglio.
I
7 ELEMENTI CHE INFLUENZANO IL COMPORTAMENTO
D’ACQUISTO
DEI CONSUMATORI
Vi
è mai capitato di chiedervi perché
avete comprato un determinato prodotto o
servizio oppure perché le persone comprano una marca piuttosto di
un’altra? La risposta non dipende solamente da bellezza, qualità,
prestazioni, etc. del prodotto o servizio, ma va ricercata anche in
altri elementi
che influenzano il comportamento di acquisto del consumatore
medio.
Analizzeremo,
quindi, quali sono questi elementi e come
mai influenzano le decisioni d’acquisto dei clienti,
riportando alcuni esempi
pratici di aziende note che
sfruttano questi fattori per rendere più appetibili i propri
prodotti.
1.
LE EMOZIONI: I PILOTI DELLE DECISIONI
D’ACQUISTO
D’ACQUISTO
nel
momento in cui si prende una decisione per il 95% è guidata dalle
emozioni.
Anche se il prodotto in questione è “peggiore” di un altro, noi
sceglieremo comunque il primo se ci ha fatto vivere delle emozioni
intense.
Non ne siete convinti? Eccovi allora un esempio pratico:
PEPSI
CONTRO COCA-COLA: UNA SFIDA DI GUSTO ED EMOZIONINel
1975 l’azienda americana Pepsi-Cola produttrice della
bibita Pepsi, per capire come mai fosse sempre un passo indietro
rispetto alla rivale Coca-Cola, ha imbastito la “Pepsi
Challenge” :ovvero una prova di assaggio in cui i partecipanti, dopo aver bevuto
un sorso delle due bibite, senza sapere quale fosse una e quale
l’altra, dovevano comunicare quale prediligevano.
E’
risultato che più della metà
dei partecipanti preferiva il gusto della Pepsi.
Nonostante questo esito positivo per la Pepsi, comunque, le vendite
della Coca-Cola erano superiori. Quindi Pepsi-Cola ha riproposto
la “Pepsi
Challenge”
nel 2003,
questa volta però dicendo preventivamente ai partecipanti il
contenuto dei bicchieri ed utilizzando delle macchine che “leggono”
il cervello. Risultato? Il
75% dei soggetti preferiva la Coca-Cola.
Dalle scansioni celebrali è emerso che ai partecipanti si
attivava l’area del cervello che controlla le emozioni durante
l’assaggio della Coca-Cola.
La parte emozionale quindi prevaleva sulla parte razionale (che
decretava effettivamente migliore il gusto della Pepsi), in quanto le
emozioni hanno sempre la meglio rispetto alla ragione. Da questo
punto di vista la Coca-Cola
era più coinvolgente perché in grado di far rivivere le emozioni
relative ai ricordi piacevoli legati
alla bibita (chi non ricorda le famose pubblicità emozionali
soprattutto legate al Natale, alle pizzate con gli amici, pranzi
e cene in famiglia, etc.).
Quindi
i brand che coinvolgono emotivamente, la spunteranno sempre,
perché le
emozioni sono il modo con cui il cervello codifica le “cose di
valore”
2.
PRODUCT PLACEMENT:
QUANDO
IL PRODOTTO E’ AL POSTO GIUSTO NEL MOMENTO GIUSTO
I
brand sono sempre più presenti anche nei programmi televisivi,
perché ne fanno da sponsor. Ma perché
alcuni sponsor vengono ricordati ed aumentano le vendite ed altri no?
Lo spieghiamo attraverso uno studio condotto in America.
“AMERICAN
IDOL:
QUANDO GLI SPONSOR FANNO PARTE DELLA TRASMISSIONE”
Nel
2002 è stato trasmesso il programma American
Idol (l’equivalente
del nostro X-Factor), i cui sponsor erano Coca-Cola, Cingular
Wireless e Ford e che partecipavano agli stacchi pubblicitari tramite
alcuni spot della durata di soli 30 secondi. I primi due
sponsor, inoltre, avevano richiesto che venissero inseriti
i loro prodotti anche all’interno del programma. Questa decisione
si è rivelata vincente, in quanto permetteva ai brand di bypassare i
muri difensivi che la mente crea per proteggerci dal bombardamento
pubblicitario.
Ciò è stato dimostrato da uno studio condotto su 400 soggetti
che sono stati equipaggiati con elettrodi capaci di “leggere” il
cervello, per misurare il coinvolgimento emotivo (ovvero l’interesse
per ciò che guardano) ed il ricordo.
Ai
volontari sono state mostrate alcune immagini dei loghi relativi ai
prodotti che comparivano nel programma (definiti branded)
ed altre immagini con invece i prodotti presenti nei 30 secondi di
pubblicità (chiamati non
branded).
Successivamente hanno fatto vedere ai soggetti un’edizione speciale
di American
Idol ed
i loghi (branded e non
branded)
tre volte di fila, in modo da capire se i volontari si ricordavano o
meno quali loghi avevano visto durante la trasmissione.
Questa
operazione era necessaria perché il
ricordo del prodotto è la misura per verificare l’efficacia della
pubblicità.
Dai
risultati è emerso che, dopo la visione della trasmissione, i
prodotti branded,
ovvero quelli inseriti nel programma e parte di esso, venivano
ricordati maggiormente al
punto che avevano cancellato dalla memoria degli spettatori gli altri
marchi. Questo successo è stato possibile perché
i prodotti branded erano
parte integrante nella storia mentre
gli altri marchi presenti negli spot da 30 secondi vengono catalogati
come pubblicità e quindi rimossi perché non si
creava un collegamento emotivo fra concorrenti e marchio e
quindi nemmeno fra
spettatori e marchio.
3.
NEURONI SPECCHIO E DOPAMINA: L’ACQUISTO CHE SCATTA PER IMITAZIONE
I
neuroni specchio sono dei neuroni che si attivavano quando si
compiono dei movimenti, ma anche quando si osservano le altre persone
fare determinate azioni. Questi neuroni
spiegano perché a volte si imita il comportamento di altre
persone senza
rendersene conto (per esempio il bambino replica la linguaccia quando
la vede fare dal genitore, capita di sorridere quando qualcuno è
felice o di soffrire se invece prova dolore, etc.) e vengono
considerati anche i responsabili
dell’empatia umana:
ovvero ci mettono in sintonia con i sentimenti degli altri perché
inviano un segnale alla regione del cervello che governa le emozioni.
Questi
elementi incidono
anche sul perché compriamo un determinato prodotto o servizio:
i consumatori imitano il comportamento d’acquisto delle altre
persone, per cui se, per esempio, vedono una modella bella,
slanciata, sicura di sè che porta determinati vestiti,
coscientemente o meno, verrà loro voglia di indossare gli stessi
vestiti della modella per avere il suo stesso aspetto ed
atteggiamento.
Inoltre
i neuroni specchio collaborano con la dopamina,
una sostanza complice di guidare gli acquisti perché provoca
un’ondata di benessere, piacere e ricompensa che
induce l’istinto a continuare ad acquistare soprattutto quanto i
prodotti o servizi possono contribuire a migliorare il proprio status
sociale.
Quindi
i neuroni
specchio, che aggirano il pensiero razionale e inducono
le persone ad imitare chi già possiede quel prodotto, insieme
alla dopamina
che provoca un senso di benessere e
di un’immagine di sé migliorata, hanno entrambi un peso
molto rilevante sulle scelte d’acquisto.
CASE
STUDIES:
ABERCROMBIE&FITCH
Il
legame fra neuroni specchio e dopamina si riscontra in quei brand di
moda, come per esempio Abercrombie&Fitchche attirano la clientela con immagini di modelli attraenti, i quali
a volte presiedono fuori dai negozi. Immediatamente un potenziale
cliente, per via dei neuroni
specchio,
si immedesima in questi affascinanti modelli e la dopamina inizia
a circolare creando quel senso di ricompensa e profumo di popolarità
che “sotterra”
la parte del cervello razionale e fa scattare l’acquisto.
4.
RITUALI E SUPERSTIZIONI: RENDERE I PRODOTTI PIU’ COINVOLGENTI
EMOTIVAMENTE
Per
capire il collegamento fra rituali, superstizioni ed acquisti bisogna
prima spiegare cosa sono e perché esistono i rituali e le
superstizioni.
Entrambi
i due fattori possono essere descritti come delle convinzioni non del
tutto razionali che si possa in qualche modo manipolare il futuro
mediante determinati comportamenti, nonostante non esista alcuna
relazione fra tali comportamenti e relativi esiti. Derivano
dall’incertezza che ha portato la velocità del cambiamento del
mondo, per cui più diventa imprevedibile il mondo tanto più si
cerca un senso di controllo e stabilità.
Per questo motivo abbiamo bisogno di schemi solidi e coerenti, di
conforto in prodotti familiari ed i rituali legati ai brand ci danno
un’illusione di comfort e appartenenza. Di conseguenza rituali
e superstizioni possono esercitare un’influenza potente su cosa
acquistiamo,.
I
rituali ci aiutano a stabilire dei collegamenti emotivi con i brand e
rendono memorabili gli acquisti che facciamo. Soprattutto è emerso
che i
prodotti e marchi a cui sono associati rituali sono molto più
adesivi rispetto agli altri che
non hanno questo tipo di associazioni, tant’è che a
volte acquistare
un prodotto è un comportamento più ritualizzato che
una decisione cosciente.
5.
QUANDO I BRAND FIDELIZZANO I CLIENTI
IL
branding
si basa su
SENSO
DI APPARTENENZA:
nel caso dei brand, sarà successo anche a voi di sorridere al vicino
che corre con la vostra stessa marca di scarpe o guida il vostro
stesso modello di macchina.
-
VISIONE CHIARA: cioè una missione forte e priva di ambiguità, denominatore comune sia per la religione che per le grandi aziende.
-
POTERE SOPRA AGLI AVVERSARI: la cosiddetta mentalità del “noi contro loro” è una delle forze più unificatrici perché attrae i fan, sollecita alla controversia e crea fedeltà. Per questi motivi viene usata anche nel mondo del consumo: Coca-Cola contro Pepsi o Mastercard contro Visa per esempio.
-
FASCINO SENSORIALE: quando si entra in una chiesa i nostri sensi sono colpiti dalla sua bellezza, dall’odore di incenso e dal suono delle campane. La stessa cosa accade anche con determinati prodotti che evocano sensazioni ed associazioni in base al loro aspetto, tatto e profumo.
-
STORYTELLING: le religioni e i brand si basano su storie e rituali radicati sulle narrazioni.
-
SENSO DI GRANDEZZA:chiese, moschee e tempi sono maestosi, ricchi e variopinti. Così come lo sono alcuni showroom di grandi marche come, per esempio Louis Vuitton a Parigi, Prada a Tokyo o Apple a New York.
-
EVANGELIZZAZIONE ovvero la ricerca di adepti. Un ottimo esempio lo fornisce Google che quando ha lanciato Gmail l’ha reso accessibile solo per invito. Proprio per l’esclusività dell’invito riservato a pochi si può dire che il servizio sia diventato una religione virtuale.
-
SIMBOLOGIE ED ICONE: le religioni e le marche hanno le loro icone e i loro simboli che si affermano, evocano associazioni molto forti e creano un linguaggio istantaneo globale.
-
MISTERO: l’ignoto nella religione è potente quanto il noto. Lo stesso vale per i brand, basti pensare alla ricetta della Coca-Cola.
Per
dimostrare che brand e religione esercitano lo stesso coinvolgimento
emotivo è stato condotto uno studio su 65 partecipanti, dotati di
“scanner cerebrali”, i quali dovevano osservare delle immagini di
brand “forti”, ovvero coinvolgenti emotivamente, come Ferrari,
Guinness ed Apple e di marchi più “deboli” come Microsoft e
British Telecom che non coinvolgono ed in alcuni casi provocano
emozioni negative.
E’
stato appurato che le immagini
religiose e dei brand forti provocavano un’attività intensa nelle
aree del cervello deputate alla memoria, alle emozioni ed
ai processi decisionali mentre
con i brand deboli si attivavano parti del cervello diverse che non
influenzano le scelte.
In
conclusione i
prodotti di maggior successo sono quelli che hanno più elementi in
comune con la religione.
Prendiamo come esempio di riferimento Appledurante la Apple Macromedia Conference Steve Jobs ha annunciato la
fine del PC Newton, lanciandolo nel cestino. I 10.000 fan riuniti
sono “impazziti”, alcuni piangevano, altri lanciavano a terra i
propri dispositivi.
6.
MARCATORI SOMATICI: LE SCORCIATOIE MENTALI PER PRENDERE UNA DECISIONE
IN POCHI SECONDI
Solitamente
accade che quando si compra un prodotto non sappiamo dare una
motivazione a quell’acquisto, soprattutto se è di routine. Quello
che sfugge, perché avviene a livello inconscio è che nel
momento di decidere cosa comprare si creano delle associazioni
infatti il cervello passa in rassegna tantissimi ricordi, emozioni,
episodi, fino a giungere ad una risposta rapidissima che condiziona
l’acquisto.
Tale
risposta viene raggiunta nel giro di pochi
secondi tramite
una scorciatoia che si chiama marcatore
somatico.
Questi marcatori servono a collegare
esperienze di ricompense, punizioni ed emozioni passate ad
una reazione specifica necessaria, in modo da ridurre
istantaneamente il campo delle possibilità aperte, permettendoci di
prendere una decisione che
dovrebbe dare l’esito migliore e facilitando le scelte quotidiane.
Lo
stesso concetto si può applicare per le decisioni
d’acquisto, che vengono inconsapevolmente influenzate da diverse
considerazioni (prezzo,
ricordi d’infanzia, forma del contenitore, etc.). I marcatori
somatici, non sono solo legati all’infanzia/adolescenza, ma ne
vengono generati di nuovi ogni giorno.
CASE
STUDIES: MICHELIN
Un
esempio molto valido a tal proposito lo fornisce Michelin, nota
azienda produttrice di pneumatici: infatti molti clienti, acquistano
le gomme Michelin perché probabilmente hanno visto le pubblicità
con il bambino che gattona dentro e fuori dai copertoni o con l’uomo
Michelin paffuto, simile al rivestimento della gomma.
Questi “segnali”
che apparentemente non sembrano legati fra loro, in realtà formano
delle associazioni positive con il prodottosicurezza per i bambini, resistenza, affidabilità, durata ed
esperienza di alta qualità.
Il
fattore decisivo per l’acquisto non è tanto il ricordo delle
pubblicità, ma i sentimenti
intuitivi relativi alle marche per cui risulta che una è migliore di
un’altra.
7.
SENSORY BRANDING:
IL RUOLO IMPORTANTE DEI SENSI
Il
segreto per
migliorare le strategie di vendita tramite i sensi è associare alla
marca il potere sensoriale capace
di risvegliare nella memoria dei clienti emozioni ed
associazioni infantili.
I sensi che permettono di ottenere questo risultato sono soprattutto
vista, udito, olfatto e tatto.
La
vista ha perso un po’ di efficacia nel generare interesse e
spingere i clienti ad acquistare, in quanto visivamente
sono iperstimolati ed è difficile catturare la loro attenzione.
L’ESPERIMENTO
Tuttavia
la vista conta ancora, come dimostrato da un esperimento che
consisteva nel porre un gruppo di donne davanti a due confezioni di
maionese. Le partecipanti dovevano semplicemente scegliere quale
maionese preferissero a colpo d’occhio: una confezione era larga in
basso e in alto e stretta in centro, mentre l’altra aveva una forma
come un bulbo, rigonfiato nella parte inferiore. La scelta delle
donne è ricaduta sulla prima confezione perché l’associavano alle
forme femminili.
L’olfatto
è il senso più diretto in
quanto punta immediatamente al sistema cerebrale che controlla
emozioni, ricordi e senso di benessere, creando associazioni innate
che sono uguali anche se le preferenze per gli odori variano a
seconda della cultura e generazione. Per dimostrare che l’olfatto è
in grado di influenzare
una decisioneè stato condotto uno studio nel 2005 su alcune persone che sono
state divise in 2 gruppi e fatte entrare in due stanze diverse, in
una delle quali c’era un lieve profumo di sapone da bucato. E’
risultato che il 36% dei soggetti nella stanza profumata, alla
domanda relativa alle attività che avrebbero svolto quel giorno, ha
risposto con un’azione legata alla pulizia, contro l’11% dei
soggetti nella stanza senza profumo.
Il
tatto non è da meno degli altri sensiLo dimostra un esperimento condotto su 100 consumatori a cui sono
stati dati due telecomandi uguali e della stessa marca, uno più
pesante e l’altro più leggero. Tutti erano concordi nel dire che
il più leggero fosse rotto e comunque di qualità minore, anche dopo
la dimostrazione del suo funzionamento.
L’udito
gioca un ruolo molto importante nelle decisioni d’acquisto
tant’è che alcune aziende note come Kellogg’s e Pringles hanno
dedicato molte risorse nella ricerca del “crunch” unico per i
cerali nel primo caso e del suono caratteristico del tappo quando si
apre nel secondo caso, proprio per far associare il prodotto al
brand.
Ma a
volte il suono tipico, può rivelarsi controproducente,
come nel caso di Nokia.
CASE
STUDIES: NOKIA, IL TRATTO DISTINTIVO CHE NON E’ UN PUNTO DI FORZA
La
suoneria dei cellulari Nokia rappresenta un po’ il loro tratto
distintivo, in quanto è riconducibile al brand. Questo fattore
dovrebbe essere un vantaggio per l’azienda, ma uno studio ha
dimostrato che invece è proprio il contrario! Durante questo test i
soggetti dovevano vedere delle immagini, sentire dei suoni e vedere
le stesse immagini mentre sentivano i suoni. In linea di massima
la combinazione
di immagini e suoni veniva percepita in modo più favorevole.
Ma sentire la suoneria Nokia trasformava la vista del cellulare in un
marcatore somatico negativo, in quanto la
persone erano irritate dalla suoneria, considerata il suono
dell’intrusione ed interruzione.
Ti
sei ricordato di comprare il latte? E la pasta? Perché hai scelto
quelle marche? Hai letto e confrontato tutte le informazioni e i
prodotti sullo scaffale in maniera ponderata o hai deciso in pochi
secondi mentre passavi davanti alla corsia del supermercato?
Normalmente decidiamo velocemente sulla base di pochissime
informazioni che a volte non sappiamo nemmeno di avere ma che hanno
una grande influenza su di noi.
Se
adesso vi chiedessi di giustificare il vostro acquisto sicuramente
potreste darmi un’ottima risposta. Se guardassimo con una lente
d’ingrandimento nel vostro (e nel mio) cervello cosa scatena una
domanda del genere (e con la dovuta dose di fantasia) la prima cosa
che vedremmo è il panico della mente razionale che deve giustificare una scelta che non
ha fatto perché impegnata in altro. Io
mi immagino questo signore in giacca e cravatta (Mr. Corteccia
Prefrontale) che sbianca e inizia a correre alla ricerca di
informazioni che diano una spiegazione sul perché abbia comprato la
pasta x: nessuno vuole apparire irrazionale o sciocco, è una cosa
inaccettabile, le nostre azioni devono essere logiche e ponderate.
Questo
manager in pochissimo tempo riesce a mettere insieme un report (con
alcuni grafici piuttosto accattivanti) che illustrano come quella
pasta x in passato abbia dimostrato un ottimo rapporto qualità
prezzo, di come il gusto sia migliore di altri, del fatto che le
altre fossero molto in realtà più costose e altre dati a supporto.
In realtà però luinon
sa perché abbiamo preso quel prodotto o se è stata la scelta
migliore: nel
suo report non c’è un’analisi di mercato completa con tutte le
informazioni su tutte le altre paste presenti quel giorno nello
scaffale. In quel momento sta solo giustificando una scelta fatta
mentre lui era impegnato a pensare alla mail da scrivere per il
progetto da consegnare la mattina dopo.
Mentre
dal suo completo blu pensava a cosa scrivere, un gruppo di
cavernicoli decidevano in pochi secondi che quella scatola blu a
1.99€ era un ottimo affare e il sapore buono, che no, il bambino
che urlava non era un pericolo, che la maionese era troppo cara e non
era quella che mangiavi da piccolo, che la corsia di sinistra aveva
delle cose interessanti, che andavano attivati una serie di gruppi
muscolari per deambulare verso la cassa mantenendo l’equilibrio.
Anche
se non esistono gli omini del cervello questo, grossomodo, è quello
che avviene quando facciamo un acquisto: la componente razionale è
impegnata in alcuni (pochi) task e la parte emotiva/istintiva di
occupa del resto. Gran
parte delle nostre decisioni non sono il frutto di un’analisi
approfondita delle informazioni disponibili ma semplici reazioni a
determinati marcatori somatici.
Una delle definizioni di essere umano che preferisco è quella di
Damasio:
siamo
macchine emotive che pensano
Ma
quali sono gli elementi che influiscono sui processi decisionali che
portano a comprare qualcosa? Le
informazioni che determinano l’acquisto provengono da varie fonti e
contribuiscono tutte, seppur in diversa misura: Marca, Design,
Prezzo, Pubblicità, Contestualizzazione del prodotto, Posizionamento
del prodotto, Esperienza di consumo personale, Esperienza di consumo
degli altri sono tutti
fattori che entrano in gioco.
Vediamo
però di approfondire alcuni elementi che influiscono in maniera
diretta sui processi di decisione: dato che gli elementi sono molti
(e in alcuni casi richiedono una trattazione approfondita) ho deciso
di inserire solo degli accenni e approfondire alcuni aspetti in
futuro (magari a seconda di richieste specifiche sul tema che desta
maggior interesse).
Comprare
per istintoIn generale durante l’acquisto di un bene abbiamo principalmente l’attivazione di due aree cerebrali: da un lato il nucleus accumbens (che anticipa il piacere del consumo) e dall’altra l’insula (che anticipa il dolore del pagamento). Questa tiro alla fune neuronale tra desiderio e dolore è spesso sufficiente a decidere se compreremo o meno ma a volte è possibile che intervenga la corteccia prefrontale e questo avviene soprattutto quando si tratta di acquistare un bene che non conosciamo o particolarmente costoso. In alcuni casi oltretutto se le persone devono motivare le proprie scelte (quindi razionalizzare un istinto) diventano meno soddisfatte del proprio acquisto
Il
ruolo della marca
Anche
se molti dei nostri acquisti sono istintivi, non sempre è la parte
emotiva a guidare le nostre scelte: in alcuni casi infatti la parte
razionale si attiva e decide di verificare se il prodotto al quale
siamo fedeli è veramente il migliore. Il cambio di marca,
l’infedeltà, è un meccanismo di validazione delle proprie scelte:
se la nuova esperienza conferma le scelte emotive la fedeltà alla
marca ne esce rinforzata, se le aspettative contraddicono quello che
sapevamo inizia ad insinuarsi il dubbio o in alcuni casi cessa
completamente la relazione tra la persona e la marca. Un altro ruolo
della marca è quello di semplificare e rassicurare le persone quando
hanno poco tempo. Se siamo di corsa, magari in ritardo per qualcosa,
la mente si chiude e si affida a quello che conosce meglio (il
fenomeno si chiama mental choking: sotto stress si perde la capacità
di ragionare e il campo di analisi si stringe) I
consigli degli amici
Quando
vediamo qualcuno che compie un’azione in noi si attivano i neuroni
a specchio. Questi non si eccitano in funzione di un particolare
stimolo, ma si attivano quando siamo in grado di capire cosa fanno
gli altri indipendentemente dal canale con il quale percepiamo la
loro azione.
Quando
riceviamo consigli da parte di amici e parenti possiamo parlare di
attivazione dei neuroni a specchio: attraverso l’effetto di
trasposizione, ci dicono quello che farebbero al nostro posto. Chi
offre un consiglio si immagina e vive in prima persona il beneficio
che godrebbe il soggetto destinatario del consiglio. Va da sé che
capire cosa fanno gli altri online è molto più difficile rispetto
al mondo fisico: se una persona scrive che si è fatta male
probabilmente proviamo un minimo di empatia, se vediamo un video di
un ginocchio che si rompe, le ossa che si torcono e il sangue tra le
urla probabilmente gireremo la testa dall’altra parte con una
smorfia di dolore dipinta sul volto (se notate con una descrizione
precisa avete riconosciuto lo stimolo e avete empatizzato molto di
più).
Inoltre le
persone sono programmate per prestare una particolare attenzione gli
amici e ai parenti: quando interagiamo con loro si attiva la
corteccia prefrontale mediale,
la parte del cervello che regola il comportamento sociale e ne
percepisce il valore. Informazioni
credibili
Alcuni elementi possono influiscono più di altre nella determinazione della scelta. Ad esempio le informazioni di parte non sono considerate nel processo decisionale al pari delle informazioni oggettive rappresentate dai prezzi e dall’esperienza: da qui emerge che la pubblicità non è influente come si vorrebbe (teniamo presente che prezzi ed esperienza sono elementi propri dell’adulto, quindi lo stesso messaggio esposto a soggetti appartenenti a diverse fasce d’età potrebbe avere esiti molto differenti). Un tweet che ci appare poco sincero, un post sponsorizzato quanto peso avranno nel nostro processo decisionale? Date queste premesse potete già intuire la risposta. Oltretutto, dato che non possiamo conoscere tutto, per riuscire a scegliere in alcuni casi deleghiamo a persone esterne di cui ci fidiamo. Quindi io posso essere influenzato nella scelta su un argomento che non conosco da una persona di cui mi fido e della quale conosco l’esperienza in quel determinato segmento.
L’importanza
della vista
La
vista è il senso più sollecitato per catturare la nostra attenzione
ed è ormai anche quello meno efficace perché la saturazione genera
rendimenti decrescenti. In generale, l’effetto saturazione è
qualcosa che conosciamo benissimo: è ad esempio quello che ci
succede quando entriamo in una stanza con un profumo molto forte.
Dopo alcuni minuti non lo sentiamo più: il profumo non è scomparso,
il nostro cervello (avendo risorse limitate) ha deciso che essendo
quello stimolo costante non rappresentava un elemento a cui prestare
attenzione e ha deciso di ignorarlo (se vi interessa si chiama
plasticità del cervello).
Le
persone decidono molto rapidamente se quello che hanno davanti
(persona o oggetto) è affidabile e lo fanno basandosi sulla
vista. All’interno di un sito, fattori come colore, carattere,
layout e navigazione sono gli elementi che vengono usati per capire
se il sito è degno di fiducia: se supera il primo impatto a quel
punto la valutazione si sposta sui contenuti (avendo però di base un
atteggiamento positivo.
Posizione
degli oggetti
Facciamo
un esempio pratico: in un negozio tutto quello che è a sinistra
viene percepito in maniera più rapida ed accurata perché l’emisfero
destro è specializzato nell’elaborazione degli stimoli non verbali
(gli stimoli nell’emicampo visivo sinistro si riflettono
nell’emisfero destro). Provate a vedere quanti oggetti avete
comprato dallo scaffale di sinistra l’ultima volta che siete andati
a fare la spesa: da domani sono sicuro che tutti farete caso a questo
strano fenomeno (vale anche per i mancini). Un ulteriore elemento è
la posizione all’interno della corsia. Abbiamo detto più volte che
abbiamo risorse limitate: per resistere alle tentazioni (il Nucleus
Accumbens che si accende) dobbiamo usare la forza di volontà, una
risorsa estremamente limitata. Se ci sono prodotti molto costosi e
desiderati all’inizio, esaurirò subito tutto il mio autocontrollo
e tenderò a comprare anche oggetti non propriamente utili. Sul tema
della resistenza sono molto interessanti gli studi sul fumo e sulla
memoria:
-
Quando smettono di fumare le persone tendono a ingrassare perché il cervello sta contrastando la voglia di fumare e non ha risorse per resistere alla “gola”
-
Durante un esperimento veniva chiesto ad alcuni soggetti di andare dalla stanza A alla stanza B ricordando una serie di 7 cifre.
Se
nel percorso veniva messo un carrello di dolci, le persone non
riuscivano a ricordare tutte le cifre: resistere ai dolci impegnava
risorse.
Meno
che più
(Less is more)
La
ricchezza informativa genera povertà d’attenzione: oltre una certa
soglia di informazioni il cervello consapevole perde la sua capacità
di cogliere la diversa importanza dei dati e prende decisioni
illogiche o semplicemente non riesce a decidere. L’eccesso di
scelta induce il consumatore a rinunciare all’acquisto oppure
obbliga la persona ad adottare euristiche razionali.
Un
esperimento interessante su questo punto è legato agli assaggi in un
centro commerciale. Nel primo caso sul banco di prova erano presenti
30 tipi di prodotti mentre sul secondo c’erano solo 7 campioni: si
è visto che le persone si fermavano molto di più al banco con più
prodotti, ma che compravano da quello con una varietà minore.
L’eccesso di possibilità rendeva troppo difficile scegliere e
inibiva l’acquisto. Questo è particolarmente importante da tenere
a mente anche quando si progettano i siti di e-commerce: riempili di
informazioni e ci saranno un sacco di visite, ma poche
conversioni.
Occhio non vede, cuore non duole Online si acquista con maggior impulsività dato che la mente emotiva è in grado di anticipare il beneficio derivante dal consumo, ma non il sacrificio necessario per acquistarlo: utilizzando quindi una carta di credito limitiamo il dolore (attivazione dell’insula) causato dalla separazione con il contante.
Occhio non vede, cuore non duole Online si acquista con maggior impulsività dato che la mente emotiva è in grado di anticipare il beneficio derivante dal consumo, ma non il sacrificio necessario per acquistarlo: utilizzando quindi una carta di credito limitiamo il dolore (attivazione dell’insula) causato dalla separazione con il contante.
Questo
aspetto vale anche nel mondo fisico, a seconda di quanto abbiamo nel
portafoglio (50 €, 10€ o solo la carta di credito) si vedono
cambiare nettamente le scelte d’acquisto.
Coerenza
ad ogni costo
La corteccia prefrontale selezione le informazioni in funzione della
loro coerenza con ciò che abbiamo deciso a livello emotivo: quando
la mente consapevole ha preso una posizione (positiva o negativa) su
un determinato prodotto o servizio è molto difficile ed occorre
molto tempo per superare questa convinzione nonostante possano
presentarsi fatti oggettivi davanti ai nostri occhi. La mente
cognitiva frena i nostri impulsi d’acquisto e poi giustifica le
nostre scelte e i nostri giudizi anche quando le circostanze
cambiano. Pensiamo alle guerre di religione che esistono tra gli
utenti di diversi sistemi operativi: a seconda di quello di cui siamo
innamorati porteremo sempre argomenti a favore chiedendoci come fanno
gli altri a non vedere (o capire) l’evidente superiorità del
nostro SO e tenderemo a guardare con scetticismo gli aspetti positivi
del sistema concorrente. Si tratta della spiegazione scientifica del
perché i costi di acquisizione di un nuovo clienti sono il doppio
rispetto a quelli di mantenimento di un acquisito.
Conclusioni
Ho
tratteggiato solo alcuni elementi del processo d’acquisto
tralasciando di trattare tutto quello che ha a che fare con il
prezzo, l’esperienza e il design del prodotto che sono a mio avviso
gli elementi che influenzano maggiormente le scelte d’acquisto.
La
conoscenza dei processi decisionali sta portando a scoperte
importanti: il neuromarketing e la behavioural
economics sono
materie che lentamente stanno entrando nel panorama dell’ADV con
risultati significativi. Esempi particolarmente rilevanti e noti
su questi temi sono la campagna J’Adore, celebrata come una
delle campagne Dior più efficaci,
oppure il redesign della pubblicità delle zuppe Campbell,
un’altro caso
di successo.
Con
un po’ di flessibilità vediamo che gli elementi che ho messo nel
grafico sono elementi già noti e che sono stati grossomodo
categorizzati già da altre discipline ad esempio, rimanendo in
ambito comunicazione, vediamo che le 5P del Marketing Mix (product,
price, place, promotion, people) in un certo modo hanno preso in
considerazione questi aspetti.
Se
andiamo a posizionare su un Ishikawa alcuni degli elementi
identificati poco sopra (dettagliando leggermente alcuni
elementi) e usando come categorie le 5p vediamo che pesando possiamo
renderci conto della complessità del processo.
Dai
grafici si vede che questi processi sono estremamente articolati e
dipendono da un insieme eterogeneo di fattori, parlare quindi di
influencer come elemento cardine dei processi d’acquisto è
quantomeno ingenuo: oltretutto lo schema che ho fatto è solo una
bozza generica, i fattori in gioco sono molti di più.
C O M P L E A N N O A N T O N E L L A
A U G U R I !!!