Può
capitare a ciascuno di noi, in particolare se si è un po’ avanti
negli anni, di chiedersi che fine farà il proprio patrimonio quando
si verificherà il cosiddetto passaggio a miglior vita. In pratica ci
si chiede se devo essere io a decidere a chi e come destinare i miei
beni o se deve essere qualcun altro, ad esempio lo Stato.
Questa
materia nell’ ordinamento giuridico italiano è trattata nel libro
secondo del nostro codice civile sotto il titolo “ Delle
Successioni”.
La
materia è piuttosto complessa e penso sia utile, prima di entrare
nel vivo del discorso, conoscere alcuni termini tecnici di solito
usati nel linguaggio giuridico.
In
diritto la parola successione indica il subentrare in un rapporto
giuridico di un soggetto, detto successore
o
avente causa,
al posto di un altro soggetto, detto autore
o dante
causa.
La
successione è universale
quando un soggetto subentra ad un altro in tutti i suoi rapporti
giuridici, sia attivi che passivi: il successore, se accetta,
confonde il suo patrimonio con quello dell’autore e rischia di
dover pagare il debiti dell’autore con il proprio patrimonio, anche
oltre il valore di quanto ha ricevuto in successione.
L'ordinamento italiano
prevede come ipotesi di successione universale solo la successione
a causa di morte,
detta anche successione
mortis causa.
Questo
tipo di successione è l'istituto
giuridico in virtù del quale uno o più soggetti subentrano
nella titolarità di
un patrimonio o
di singoli diritti patrimoniali
al precedente titolare, a seguito della morte di
quest'ultimo, indicato nel linguaggio giuridico come il de
cuius,
che non è altro che l’autore
o
il dante causa. La
successione mortis causa è regolata da norme che, nel loro
insieme, costituiscono il diritto
successorio e sono contenute nel codice civile.
La
successione è a
titolo particolare
quando un soggetto succede ad un altro non
in tutti suoi rapporti giuridici, ma solo in uno o più determinati
rapporti: ad esempio,il successore subentra, sempre che accetti,
nella proprietà di una casa e/o di un terreno, ma non del conto in
banca o degli altri beni dell’autore. Questo tipo di successione è
detto anche
legato
e legatario
è colui a cui è destinato il bene indicato nel legato.
I
soggetti che subentrano nella titolarità dell’intero patrimonio
del de cuius o di una sua quota prendono il nome di eredi;
quelli che invece subentrano nella titolarità di singoli diritti,
siano essi reali o di credito,
prendono il nome di legatari.
Mentre il de cuius è necessariamente
una persona
fisica, eredi e legatari possono anche essere persone
giuridiche come,
ad esempio, una società per azioni o una fondazione. lI patrimonio o
la quota di patrimonio attribuita all'erede prende il nome
di eredità;
si parla, invece, di asse
ereditario(o massa
ereditaria) quando si fa riferimento al patrimonio del de
cuius nel suo complesso, considerando anche eventuali donazioni
fatte in vita. Gli eredi e i legatari possono essere stati
individuati dallo stesso de cuius, quando era ancora in vita,
con un apposito negozio
giuridico, che
prende il nome di testamento:
è questa la cosiddetta successione
testamentaria.
Il
testamento è l'unico
strumento attraverso
cui una persona può regolare
la propria successione.
Esso
ha la funzione di permettere a un soggetto di disporre dei propri
beni come desidera e a favore di chi vuole, famigliari o estranei,
nel rispetto
delle quote di riserva. Può
essere revocato in ogni tempo, anche diverse volte.
È un atto strettamente personale: non può essere redatto da un rappresentante. Il testatore non può disporre di beni altrui.
Secondo l'ordinamento italiano esistono tre forme di testamento ordinario:
È un atto strettamente personale: non può essere redatto da un rappresentante. Il testatore non può disporre di beni altrui.
Secondo l'ordinamento italiano esistono tre forme di testamento ordinario:
il
testamento olografo, il testamento pubblico e il testamento segreto.
Altre
forme di testamento possono esserci in circostanze particolari, come
ad es., il testamento ricevuto dal capitano di una nave da un
marinaio in fin di vita.
Il
testamento olografo è
la forma più semplice, economica e pratica per esprimere le proprie
volontà; non
richiede la presenza né del notaio né di testimoni.
Per queste caratteristiche è la forma più frequente di testamento.
Requisiti essenziali del testamento olografo sono i seguenti: deve
essere datato, sottoscritto e scritto interamente a mano dallo stesso
testatore.
Il
testamento pubblico,
a differenza di quello olografo, richiede l’intervento del notaio.
Il testatore dichiara al notaio le sue ultime volontà alla presenza
di due testimoni; il notaio le mette per iscritto, le legge al
testatore e ai due testimoni ed infine appone la propria firma sul
documento così formato, facendolo firmare anche dai testimoni e dal
testatore.
Il
testamento segreto richiede
anche esso la presenza del notaio, ma a differenza di quello pubblico
garantisce che nessuno, all’infuori del testatore, ne conosca il
contenuto. Questo testamento è scritto (anche con mezzi meccanici)
dallo stesso testatore, che lo sigilla e lo consegna al notaio in
presenza di due testimoni, dichiarando che il plico così consegnato
contiene il suo testamento. Sull’involucro esterno del plico il
notaio scrive l’atto di ricevimento, vi appone la propria firma e
lo fa firmare anche dal testatore e dai due testimoni.
Qualunque
sia la forma del testamento, le disposizioni in esso contenute devono
rispettare la quota
di riserva
destinata ai legittimari, qualora esistano. Tale
quota è una parte del patrimonio del de cuius. Nella
maggior parte degli ordinamenti moderni la libertà di disporre del
proprio patrimonio con testamento è infatti limitata dalla presenza
di tale quota, fissata dalla legge, che ne determina sia l’ammontare,
sia l’attribuzione per ciascuno dei legittimari. Nel determinare
l’ammontare della riserva la legge prende in considerazione sia il
numero dei legittimari, sia la loro posizione familiare rispetto al
de cuius (coniuge,discendenti e ascendenti). La parte restante è
detta quota
disponibile
, nel senso che il testatore ne può disporre come meglio crede
destinandola a eredi o legatari senza alcun vincolo di legge. Se non
vi sono legittimari l’intero patrimonio è disponibile. In mancanza
di testamento o, se esiste, non è valido, gli eredi sono individuati
dalla legge nelle persone del coniuge e di coloro che intrattengono i
più stretti rapporti di parentela con
il de cuius: si parla, in questo caso, di successione
legittima, detta
anche successione
ab intestato.
Si
noti che, a differenza degli eredi, i legatari possono essere
designati solo con testamento. In pratica nella successione legittima
non possono esistere legatari.
Le
norme che disciplinano la successione sono diverse a seconda che
esista o non esista un testamento. Pertanto
bisogna distinguere fra successione testamentaria e successione
legittima.
Successione
testamentaria
Con
il testamento il testatore indica i suoi successori. La successione
può essere sia a titolo universale, sia a titolo particolare. Nella
successione a titolo universale il successore è l’erede,
mentre in quella a titolo particolare il successore è il legatario.
Nello stesso testamento possono coesistere entrambi i tipi di
successione. Tra erede e legatario vi sono notevoli differenze.
L’erede
è considerato come un ideale continuatore della personalità del
defunto. Egli subentra nell’intero patrimonio o in una frazione
aritmetica di esso e, poiché il patrimonio è fatto di attività e
di passività, l’erede subentra, in proporzione della propria quota
di eredità, anche nei debiti del de cuius. Inoltre, se si scoprono
beni del de cuius dei quali si ignorava l’esistenza, tali beni
saranno attribuiti all’erede e non al legatario. Da considerare
ancora che l’erede diventa tale solo quando dichiara di accettare
l’eredità; in altre parole per essere erede non basta la morte del
de cuius, ma occorre la cosiddetta accettazione.
Questa può essere espressa
mediante un documento scritto (atto pubblico o scrittura privata) o
essere tacita
se si compie un atto che presuppone necessariamente di voler
accettare l’eredità (ad es. si cede ad altri il bene ereditato).
Nella successione testamentaria ovviamente si osservano le volontà
espresse dal de cuius nel testamento, a condizione che esse non
contrastino con disposizioni di legge. Infatti nel nostro ordinamento
non è possibile diseredare alcuni parenti (i più prossimi) e quindi
occorre rispettare le quote
di legittima,ovvero
le
percentuali di eredità che devono comunque andare ai parenti
indicati dalla legge, anche contro la volontà del de cuius.
In questo tipo di successione le quote ereditarie sono fissate in
modo tassativo dal codice civile: ne consegue che i legittimari,
ovvero le persone indicate dalla normativa, quando ritengono di non
avere ricevuto dalla divisione ereditaria la quota di legittima,
possono impugnare il testamento per far valere i loro diritti. Solo
la quota disponibile, che varia da caso a caso, può essere lasciata
dal de cuius a favore di chiunque egli desideri. Ovviamente tra le
persone che possono ereditare la quota disponibile ci sono anche i
legittimari, che in tal caso si vedranno attribuire una quota
dell’eredità maggiore della legittima stabilita dalla legge.
Nella
successione testamentaria i famigliari legittimari sono il coniuge, i
figli e gli ascendenti. Questi ultimi sono legittimari solo se non ci
sono figli o discendenti di figli del de cuius.
Per
questi soggetti si parla di successione necessaria, nel senso che,
qualora esistano, il testatore non può ignorarli nelle disposizioni
testamentarie o attribuire loro una quota di eredità inferiore alla
legittima.
Tra
i legittimari non ci sono i fratelli del de cuius, i quali possono
ricevere l’eredità solo se indicati nel testamento come
beneficiari della quota disponibile.
Nei
vari casi di successione testamentaria si possono verificare due
situazioni diverse:
a)
tutti i legittimari appartengono alla stessa categoria, sono cioè
solo il coniuge,
oppure
solo i figli o solo gli ascendenti; in sostanza mancano legittimari
delle altre
due
categorie;
b)
coniuge e figli concorrono tra di loro, oppure in assenza di figli
concorrono fra di
loro
il coniuge e gli ascendenti.
Vediamo
nei vari casi come vengono attribuite le quote di legittima e la
quota disponibile.
Legittimari
della stessa categoria
1)
Solo
coniuge:
quota di riserva> metà del patrimonio quota
disponibile> metà del patrimonio.
Al
coniuge è riservata la metà
del
patrimonio.
Inoltre al coniuge sono
riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a
residenza familiare
e dei mobili che la corredano, se la casa era di proprietà del
de cuius o di entrambi i coniugi.
2)
Solo
figli:
se
un solo figlio,
la quota di riserva è metà del patrimonio;
se
due o più figli,
la quota di riserva è due terzi del patrimonio da dividersi
in parti uguali tra loro. La quota disponibile è la parte restante del
patrimonio nei due casi, ovvero metà del patrimonio nel caso di un figlio
e un terzo nel caso di due o più figli.
3)
Ascendenti:
in
assenza di coniuge e figli agli ascendenti è riservato un terzo del
Concorso
di legittimari di categorie diverse
4)
Coniuge
e figli:
se con il coniuge concorre un solo figlio legittimo o
naturale,
la
quota di riserva per il figlio è di un terzo. Al coniuge spetta un altro
terzo del patrimonio oltre al diritto di abitazione. La quota disponibile
risulta un terzo;
se con
il coniuge concorrono due o più figli,
al coniuge spetta oltre
al diritto di abitazione un quarto del patrimonio e ai figli la metà
da dividersi in parti uguali tra loro. La complessiva quota di
riserva è di tre quarti e la quota disponibile risulta un quarto.
5)
Coniuge
e ascendenti:
se con
il coniuge concorrono gli ascendenti legittimi,
a
questi spetta un quarto ed al coniuge la metà del patrimonio
(art. 544 c.c.). La quota disponibile è inoltre gravata
dal diritto di abitazione a favore del coniuge superstite.
Il caso può verificarsi solo in assenza di figli.
Se
gli ascendenti sono più di uno, la quota ad essi riservata è
ripartita con le stesse modalità previste per la successione
legittima.
La
conoscenza di questa normativa è utile soprattutto in caso di
testamento olografo o segreto, in quanto l’assenza del notaio nella
stesura del documento potrebbe comprometterne la validità per la
presenza di eventuali errori commessi dal testatore. In materia di
successione testamentaria apposite norme disciplinano la capacità di
fare testamento, la nullità e l’annullabilità, la revoca, la
capacità di succedere o l’indegnità a succedere, la lesione di
legittima e la conseguente riduzione.
Successione
legittima
Abbiamo
già visto che la successione legittima si ha quando il de cuius non
ha lasciato alcun testamento, oppure questo non è valido. Bisogna
aggiungere che la successione legittima ricorre anche quando, pur in
presenza di un testamento valido, il
testatore non ha disposto per l’intero suo patrimonio. In tal caso
le disposizioni della successione legittima si applicano alla parte
non compresa nelle disposizioni del testamento. In assenza di
testamento ci si chiede chi possono essere i possibili eredi.
Le
norme della successione legittima individuano i possibili successori
tra i famigliari e/o i parenti del de cuius tenendo conto del grado
di parentela con il defunto. Se non vi sono famigliari o parenti
entro il sesto grado il successore è lo Stato. In questo tipo di
successione i possibili successori individuati dalla normativa sono
nell’ordine: il coniuge, i parenti, i fratelli e le sorelle, lo
Stato. Da considerare inoltre che non esiste alcuna quota di riserva
e quindi non esiste alcuna quota disponibile. Ne consegue che ai
successori legittimi viene devoluto l’intero patrimonio, secondo i
criteri stabiliti per questo tipo di successione.
Tra
questi criteri degni di nota sono il principio della esclusione
e quello del concorso.
Il
principo dell’esclusione
consiste nel fatto che nella successione tra i parenti il grado più
vicino esclude quello più lontano. Ad esempio, se tra i discendenti
vi sono nipoti (2° grado) e pronipoti (3° grado) questi ultimi non
saranno chiamati alla successione.
Il
principio del concorso si
applica nel caso che
vi
siano più successori e consiste nella riduzione delle rispettive
quote tenendo conto del numero dei chiamati a succedere e del loro
grado di parentela con il de cuius.
Ad
esempio, il coniuge concorre con i discendenti, gli ascendenti, i
fratelli e le sorelle del de cuius: le quote di ciascun successore
variano in base al numero e a grado di parentela.
Da
quanto precede emerge la necessità di determinare il grado di
parentela tra i diversi parenti sia in linea
retta,
sia tra i collaterali.
I
parenti in linea retta sono quelli che discendono l’uno dall’altro;
in pratica sono i discendenti
e gli ascendentii del de cuius.
I
parenti collaterali sono quelli che, pur avendo uno stipite comune,
non discendono l’uno dall’altro.
Nella
linea retta il grado di parentela si ottiene contando le generazioni
tra i due sogggetti ed escludendo lo stipite.
Esempi:
-
tra padre e figlio le generazioni (le persone) sono due: sottraendo
lo stipite, il grado
è:
2-1=1.
Padre e figlio sono parenti di 1° grado.
-
tra nonno e nipote le generazioni sono tre ( il nonno, il figlio del
nonno e il figlio del
figlio
del nonno); sottraendo lo stipite, il grado è: 3-1=2. Nonno
e nipote sono parenti
di 2° grado. Analogamente parenti di 3° grado sono bisnonno e
nipote.
Nella
linea collaterale si contano le generazioni salendo da uno dei
parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all’altro
parente, escludendo lo stipite.
Esempi:
-
tra zio e nipote le generazioni sono quattro (il nipote, il padre del
nipote, il padre del
padre del nipote, il fratello del padre del nipote, ovvero lo zio);
sottraendo lo stipite,
il grado è: 4-1=3. Zio
e nipote sono parenti di 3° grado in linea collaterale.
-
tra
fratelli
il grado di parentela è 2
(tre
generazioni meno lo stipite); quindi
i fratelli sono
parenti di 2° in linea collaterale.
-
tra cugini il grado di parentela è 4 (cinque generazioni meno lo
stipite comune).
Quindi
i cugini sono parenti di 4° grado in linea collaterale.
Nella
tabella che segue sono indicati i gradi di parentela (prima colonna)
fra le diverse categorie di parenti.
Grado di parentela | Esempio |
1° | Genitore e figlio |
2° | Nonno e nipote (figlio di figlio) – Fratello |
3° | Zio e nipote (figlio di fratello) |
4° | Primo cugino |
5° | Secondo cugino – Figlio di primo cugino |
6° | Figlio di secondo cugino |
Nel
nostro ordinamento la parentela è considerata fino al sesto grado.
Ad
esempio, sono parenti di sesto grado i figli di cugini.
Se
non esistono parenti entro il sesto grado e manca un testamento, il
successore è lo Stato, che non può rifiutare l’eredità, ma non
può essere obbligato oltre quanto ricevuto dalla successione.
Vediamo
ora come vengono individuati i successori e le quote loro spettanti
nella successione legittima.
I
chiamati all'eredità, in tale tipo di successione, sono
espressamente indicati dal legislatore, secondo un preciso ordine
dipendente dal grado di parentela degli stessi con il de cuius.
Dispone,
infatti, l'art. 565 c.c. che “nella successione
legittima, l'eredità si devolve al coniuge,
ai discendenti, legittimi
e naturali, agli ascendenti (legittimi),
ai collaterali,
agli altri parenti e
allo Stato,
nell'ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo”.
La tabella
seguente riassume le regole indicate dal codice civile, ai fini della
ripartizione delle quote ereditarie tra le persone chiamate alla
successione, tenendo conto del grado e del vincolo familiare che le
lega al de
cuius.
Schema
riassuntivo delle quote ereditarie nella successione legittima
CONIUGE | FIGLI | ASCEN- DENTI |
COLLA- TERALI |
PARENTI ENTRO VI GRADO | STATO | QUOTE | |
1° caso | SÌ | 1 | === | === | ========== | === | - 1/2 CONIUGE - 1/2 FIGLIO |
2° caso | SÌ | > 1 | === | === | ========== | === | - 1/3 CONIUGE - 2/3 FIGLI |
3° caso | SÌ | NO | SÌ | SÌ | === | - 2/3 CONIUGE - 1/3 ASCENDENTI e COLLATERALI |
|
4° caso | SÌ | NO | NO | NO | ========== | === | INTERA EREDITÀ |
5° caso | NO | SÌ |
==========
|
=== | INTERA EREDITÀ | ||
6° caso | NO | NO | SÌ | SÌ |
==========
|
=== | INTERA EREDITÀ |
7° caso | NO | NO | NO | NO | SÌ | === | INTERA EREDITÀ |
8° caso | NO | NO | NO | NO | NO | SÌ | INTERA EREDITÀ |
*
1° e 2° CASO
Quando
c'è la presenza del coniuge e dei discendenti (figli legittimi e
naturali), al primo tocca la metà dell'eredità se concorre con un
solo figlio, mentre è di un terzo se i figli sono due o più, ai
quali spettano i restanti due terzi , suddivisi in parti uguali.
*
3° CASO
Quando
ci sono il coniuge, gli ascendenti e/o i collaterali (fratelli,
sorelle), ma non i discendenti, al primo toccano i due terzi
dell'eredità, mentre agli altri un terzo (art. 582 c.c.), da
suddividere in parti uguali “per capi”, salvo il diritto degli
ascendenti ad un quarto dell'eredità (544 c.c.).
*
4° CASO
Quando
c'è solo il coniuge, perché non vi sono discendenti, ascendenti o
collaterali del de cuius, gli spetta l'intera eredità (art. 583
c.c.).
*
5° CASO
Quando
ci sono solo discendenti, ma non il coniuge, ai figli va devoluta
l'intera eredità suddivisa in parti uguali (art. 566 c.c.).
*
6° CASO
Quando
non c'è né il coniuge, né i discendenti, ma solo gli ascendenti e
i collaterali, l'intera eredità va suddivisa tra questi ultimi in
parti uguali, fatti salvi i diritti degli ascendenti, ai quali spetta
un quarto dell’eredità ai sensi dell’ art. 544 c.c.
*
7° CASO
In
assenza di coniuge, figli, ascendenti e/o collaterali, sono chiamati
a succedere al de
cuius i
parenti fino al sesto grado; la regola principale è quella secondo
la quale i legami di parentela più prossimi escludono quelli di
grado più remoto (ad es. prima gli zii, parenti in terzo grado, e
poi cugini, parenti di quarto grado, ecc.).
*
8° CASO
Se
il de cuius non ha congiunti, parenti prossimi o remoti, o
nessuno di loro gli è sopravvissuto, e non esiste un testamento,
l'eredità viene totalmente devoluta allo Stato.
Occorre
ricordare, altresì, che al
coniuge,
secondo il disposto dell'art.
540 c.c., “anche
quando concorra con altri chiamati, sono
riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza
familiare e
di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o
comuni”.
Il
coniuge separato ha i medesimi diritti
successori di quello non separato,
purchè non gli sia stata addebitata la separazione, salvo il diritto
ad un assegno vitalizio se al momento dell'apertura della
successione, beneficiava degli alimenti.
Da
notare, infine, che nella categoria
dei successibili non sono contemplati gli affini, sia
diretti (suoceri, generi, nuore) che indiretti (cognati, ecc.).
Per
completare il discorso sulla successione a causa di morte è
opportuno esaminare alcune situazioni, che possono verificarsi nella
pratica applicazione delle norme previste dalla legge in tale
materia. Tra le più significative di tali situazioni sono da citare:
a)
l’accettazione con beneficio di inventario;
b)
il diritto di rappresentazione;
c)
l’indegnità e la diseredazione;
d)
la
successione nelle unioni civili (legge n°76 del 2016).
Qui
di seguito esaminiamo tali situazioni.
A) Accettazione con beneficio di inventario
Si
è già detto che per l’acquisto della eredità non è sufficiente
la morte del de cuius, che segna solo l’apertura
della successione. Per
l’effettivo passaggio dell’eredità all’erede, sono necessarie
la vocazione
e l’accettazione.
La
vocazione serve a individuare le persone chiamate a succedere sia
nella successione testamentaria, sia in quella legittima.
L’accettazione è espressa
quando il chiamato dichiara di accettare l’eredità con un atto
scritto (scrittura privata o a mezzo di notaio); è tacita
quando compie un atto, che presuppone di voler accettare l’eredità.
In entranbi i casi l’accettazione può essere pura
e semplice
oppure con beneficio
di inventario.
Nell’accettazione
pura e semplice il patrimonio dell’erede e quello del de cuius si
confondono in un unico patrimonio, per cui i debiti del de cuius
diventano debiti dell’erede, che ne dovrà rispondere anche oltre
il valore del patrimonio ereditato. Per cautelarsi contro il rischio
che le passività superino le attività cadute in successione l’erede
può accettare con beneficio
di inventario.
La dichiarazione di accettare con beneficio di inventario deve
essere ricevuta da un notaio o dal cancelliere della pretura nella
cui circoscrizione si è aperta la successione e deve essere
accompagnata dall’ inventario dei beni caduti in successione
compiuto da un notaio o dal cancelliere della stessa pretura. Se si
sceglie questo tipo di accettazione non si verifica la confusione tra
il patrimonio del de cuius e quello personale dell’erede: i due
patrimoni rimangono distinti. Ne consegue che l’erede risponde per
i debiti gravanti sull’eredità solo fino alla concorrenza
dell’attivo ereditario. In pratica paga i debiti del de cuius solo
fino all’ammontare delle attività ricevute, che risultano
dall’inventario delle voci attive e passive del patrimonio
ereditato.
B)
Diritto di rappresentazione
In
tema di successione si possono verificare dei casi nei quali la
persona del chiamato non possa accettare per premorienza
(morto prima del de cuius) o commorienza
(morto
insieme al de cuius, ad es. in un incidente stradale) o non voglia
accettare per rinuncia.
In questi casi si pone il problema di individuare un nuovo successore
al quale devolvere l’eredità che sarebbe spettata al chiamato. La
sostituzione può essere disposta dallo stesso de cuius, anche
chiamando più persone che succedono nell’ordine stabilito da lui.
Se non è prevista una sostituzione testamentaria entra in funzione
il
diritto di rappresentazione, che la legge attribuisce a un
discendente legittimo o naturale del chiamato, a condizione che
costui sia un figlio del de cuius o di un suo fratello o di una sua
sorella. In
pratica i chiamati a succedere per diritto di rappresentazione sono i
nipoti del cuius e i loro discendenti, sia in linea
retta
(figli del figlio), sia in linea
collaterale
(figli di fratello o di sorella). Nella successione opera il
principio per cui il parente più prossimo al de cuius esclude quelli
più lontani. Ad esempio, il nipote in linea retta (2° grado)
esclude il nipote in linea collaterale (3° grado). Ai soggetti che
succedono per diritto di rappresentazione è devoluta l’eredità,
che spettava al chiamato che non ha potuto o voluto succedere.
C)
Indegnità e diseredazione
L’indegnità
a succedere
ricorre quando si accerta che il chiamato, sia nella successione
testamentaria quanto in quella legittima, abbia compiuto atti
particolarmente gravi nei confronti del de cuius o dei suoi più
stretti congiunti, tanto da rendere moralmente incompatibile la sua
successione.
L’indegnità
comporta l’esclusione dall’eredità della persona indegna.
Essa deve essere accertata in giudizio promosso da chiunque abbia
interesse. La sentenza che dichiara l’indegnità ha efficacia
retroattiva. In pratica è come se l’indegno non sia mai stato
erede.
Le
cause di indegnità possono riguardare:
*
la persona fisica o la personalità morale del de cuius, del coniuge
e dei suoi più stretti congiunti in linea retta (omicidio consumato
o anche solo tentato, calunnia, falsa testimonianza, istigazione al
suicidio);
*
atti diretti con dolo o con violenza a condizionare la libertà del
testatore (soppressione, occultamento, alterazione o falsificazione
del testamento).
L’indegnità
può essere sanata per effetto della riabilitazione
da parte del de cuius.
Questa
può essere espressa
con una dichiarazione contenuta in un atto pubblico o nel
testamento, oppure tacita
se il testatore, pur conoscendo la causa di indegnità, ha
considerato l’indegno come suo successore.
A
differenza dell'indegnità, la diseredazione opera
a seguito di una dichiarazione di volontà espressa dal de
cuius nel testamento ed esclude dalla successione chi avrebbe
potuto esserlo in virtù della successione legittima. La
diseredazione nel nostro ordinamento è ammessa solo se non priva i
legittimari della quota loro riservata nella successione legittima.
In pratica il de cuius può escludere il legittimario solo nelle
disposizioni relative alla quota disponibile.
Nel secondo incontro, sempre relativo alle "Norme vigenti della successione ereditaria", il prof. Carmine Prisco ha trattato l'argomento della successione nelle unioni civili e nelle convivenze.
Convivenza
e famiglia di fatto
Il
nostro ordinamento attribuisce una formale superiorità,
rappresentata da una maggiore rilevanza giuridica, alla famiglia
fondata sul matrimonio.
Tuttavia
anche la stabile convivenza delle coppie non coniugate, ovvero delle
famiglie di fatto, a seguito del mutamento dei costumi sociali degli
ultimi anni ha acquistato una maggiore attenzione da parte del
legislatore, che ha emanato norme miranti ad una maggiore tutela di
questo tipo di “formazione sociale”, peraltro richiamata
dall’art. 2 della nostra costituzione.
Le
caratteristiche della famiglia di fatto possono sintetizzarsi nei
seguenti elementi:
1)
diversità di sesso dei membri della coppia, per cui non si
può
parlare
di famiglia di fatto riferendosi a coppie omosessuali;
2)
assenza dell’atto di matrimonio in quanto i conviventi non
vogliono
o non possono vincolarsi giuridicamente ( per esempio
perché
legati ad un precedente matrimonio non sciolto);
3)
coabitazione qualificata e stabilità della relazione: la
coppia,
pur
non essendo sposata e non avendo doveri reciproci, coabita
sotto
uno stesso tetto (casa familiare) allo scopo di realizzare
una
comunanza di vita materiale e spirituale simile a quella del
matrimonio;
4)
riconoscimento sociale: la convivenza deve essere conosciuta
dall’ambiente
sociale in cui vive la coppia, per cui non si può
parlare
di famiglia di fatto per convivenze segrete o di breve
durata;
5)
autonomia della coppia: tra i conviventi di fatto non
esistono
diritti
e doveri reciproci, come invece avviene per i coniugi, in
quanto
prevale la loro “autonomia decisionale”.
La
libera scelta di non unirsi in matrimonio comporta la libertà di
ciascuno
dei conviventi di interrompere il rapporto in qualunque
Principali
norme sulle convivenze di fatto
Premesso
che non esiste a oggi un regime giuridico unitario e generalizzato
per le convivenze di fatto, si possono indicare alcune disposizioni
normative che possono interessare i conviventi. Tra queste riteniamo
più significative le seguenti:
-
l’accesso alla procreazione assistita dal servizio sanitario
nazionale;
-
diritto del convivente ad astenersi dal testimoniare contro il
compagno;
-
possibilità per il convivente di proporre istanza per la
nomina
di un amministratore di sostegno per il partner;
-
esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei
figli
riconosciuti
da entrambi i conviventi. Essi hanno l’obbligo di
mantenere,
istruire ed educare i figli nati dal loro rapporto;
-
diritto del convivente superstite di subentrare nel contratto
di
locazione stipulato dal partner, in caso di morte di
quest’ultimo;
-
tutela possessoria: i membri della famiglia di fatto
possono
esercitare tutte le azioni dirette ad accertare il
loro
diritto a possedere la casa dove si svolge la
convivenza;
-
diritto del convivente al risarcimento del danno
conseguente
alla morte del partner, se accertato;
-
tutela contro la violenza nelle relazioni familiari;
-
diritto della famiglia di fatto alle prestazioni dello
“stato
sociale”, come ad es l’assegnazione di case
popolari;
-
possibilità di affidamento di un minore ad una famiglia
di
fatto, se questi risulta temporaneamente privo di idoneo
ambiente
familiare.
Naturalmente
per avere diritto alle prestazioni previste dalle disposizioni
normative bisogna essere in grado di provare la esistenza della
famiglia di fatto avente le caratteristiche indicate ai precedenti
punti 1-2-3-4-5. A tal fine può essere utile la registrazione della
famiglia di fatto nella scheda anagrafica del comune di residenza o
nel registro delle unioni stabili, che molti comuni istiuiscono, pur
non essendo obbligati a farlo.
Rapporti
patrimoniali
I
rapporti patrimoniali all’interno della coppia di fatto sono
considerati sulla base di atti volontari compiuti come adempimento di
obbligazioni naturali derivanti da un dovere morale o
sociale.Tali sono, ad esempio, le erogazioni di mezzi economici
compiute da uno dei conviventi a favore dell’altro. L’effetto
della obbligazione naturale è che non può essere chiesta la
restituzione di quanto è stato dato per doveri morali o sociali,
anche nel caso di cessazione della famiglia di fatto. La cessazione
della convivenza può derivare o dalla libera volontà di ciascuno
dei conviventi (disaccordo) o dalla morte di uno di essi. Quando il
rapporto si interrompe per volontà anche di uno solo dei conviventi,
in assenza di patti patrimoniali preventivi non vi è alcun obbligo
né diritto reciproco tra i membri della ex coppia.
Nel
caso di morte naturale il convivente superstite non può vantare
alcun diritto successorio, tranne il caso in cui sia stato fatto
testamento in suo favore.
Nel
caso invece di morte dovuta a un fatto illecito di un terzo, il
convivente superstite ha diritto al risarcimento del danno.