Anno Accademico 2022-2023
18° INCONTRO
L' ASSOCIAZIONE MINERVA, L'UNIVERSITA' DEL TEMPO LIBERO E DEL SAPERE di Crispiano (Ta).
Incontri culturali settimanali. Relatore su questo argomento Antonio Santoro. Interventi di Silvia Laddomada e Anna Presciutti
Relazione di Silvia Laddomada
Domani, 8 marzo, é la giornata internazionale della donna, istituita dagli Stati Uniti nel 1975.
Non é una festa, anche se in questo giorno si organizzano cene solo tra donne, si hanno sconti nelle visite ai musei, gli uomini comprano regali, si offrono rami di mimosa, questo fiore giallo, primaverile, delicato ma resistente. Un fatto commerciale.
Simbolo di libertà, di autonomia, di sensibilità, simbolo della donna, un essere fragile, ma all'occorrenza forte.
In questa giornata, più che festeggiare la donna, quasi fosse la festa di san Valentino, bisognerebbe riflettere sul ruolo della donna nella società di oggi. Bisognerebbe riflettere sulle lotte, sui sacrifici, sugli ostacoli superati, sulla conquista di diritti in campo sociale, economico, politico.
Bisognerebbe riflettere sui traguardi che le donne hanno raggiunto, dopo lotte cominciate un secolo fa.
Sono infatti i movimenti politici femminili, all'inizio del 1900, a rivendicare i diritti delle donne, a protestare, a lottare per rompere modelli sociali e culturali in cui non si riconoscevano, a lottare per guadagnare uno spazio, in un mondo gestito e governato dagli uomini.
Fino al 1800 la donna era l'angelo del focolare, non le erano consentite attività extra domestiche, se non quella di operaia o contadina.
Le possibilità di studiare erano molto limitate; i talenti non potevano esprimersi: non si permetteva alla donna di affermarsi in campo artistico, al massimo poteva dedicarsi al cucito e ricamo; nè in campo musicale, la donna poteva suonare, cantare, ma chi componeva o dirigeva non veniva né citata, né applaudita.
Il prendere coscienza di avere dei diritti, nella famiglia e nella società, ha portato le donne a protestare, a manifestare, a volte anche in modo esagerato, ricordiamo le femministe degli anni '70.
Per cui, grazie a queste lotte, oggi le donne possono votare, studiare, esercitare una professione e fare carriera, avere un'indipendenza economica, ricoprire ruoli di comando in vari settori, essere capi di Governo. (La Meloni, accolta con applausi, congratulazioni, come se fosse un extraterrestre, ora Margherita Cassano, presidente della Cassazione). Sono soddisfazioni.
Certo; si parla di emancipazione femminile, ma il percorso non si é concluso. Quante discriminazioni, quante violenze, fisiche e psicologiche colpiscono la donna, oggi?
Tantissime. Sono frequenti i delitti, le violenze, purtroppo anche in famiglia, tra le pareti di casa.
C'è una maggiore denuncia, attraverso la stampa, la televisione, le Istituzioni.
Ma quanta strada deve percorrere ancora la donna per essere rispettata, amata e quanta strada deve anche l'uomo percorrere, per capire che la donna non é un oggetto.
Anche quando si parla di conquista dei diritti, si deve riflettere sulla mancata assistenza, sul mancato aiuto, da parte delle Istituzioni, che agevolino il compito della donna.
La donna, questo essere speciale nella quotidianità, deve poter conciliare il lavoro con la gestione della famiglia, con la cura dei figli.
Questo comporta, spesso, la necessità di modificare il proprio impegno lavorativo.
Ci sono, però, Stati in cui si vuole l'invisibilità della donna, a cui viene negata la libertà di espressione, di istruzione, a cui viene negata la libertà di esercitare una professione fuori dalle pareti domestiche.
La giornata della donna deve essere quindi l'occasione per sostenere con convinzione l'impegno di ogni donna , non già a salire sulle barricate, per gridare "io sono mia", come facevano, con modalità esagerata, le femministe anni '70, ma a rivendicare pari dignità con gli uomini, a rivendicare il diritto di veder riconosciuti i propri meriti, le proprie competenze in ambiti diversi, famiglia, lavoro, politica.
Bisogna ancora lottare contro i pregiudizi maschili, gli uomini sono ancora scettici sulle capacità di una donna
TESTO di Anna PRESCIUTTI
La parola DONNA deriva dal latino DOMINA, che a sua volta deriva da DOMUS, casa. Lei è la padrona della casa.
E qui comincia l’adulazione subdola dell’essere femminile: le si attribuisce un grande potere, ma (attenzione!) relativamente al perimetro della casa. O al perimetro della passione dell’uomo. Non si deve azzardare a aspirare ad altri campi, a farsi notare o addirittura a “dominare” in altri contesti. Questo presso alcune civiltà e fino a poco tempo fa anche in occidente. E non sto parlando del passato remoto.
Al contrario, in alcune epoche storiche la donna è stata veramente “domina”, nel senso che ha avuto potere politico (un esempio ne sono le imperatici di oriente, ecc.)
L’utilizzo di strategie scorrette e pericolose applicate ultimamente (in un Paese orientale) nelle classi femminili per scoraggiare il proseguimento degli studi, denota, oltre a una volontà criminale, una grande paura da parte degli gli uomini di non essere all’altezza di donne istruite.
In conclusione, l’ostacolo o il divieto dell’istruzione femminile diventa una certificazione della paura di cadere in un’inferiorità intellettuale.
Allargando il campo, la percezione del potere della donna come possibile pericolo spesso è interpretata (anche da parte delle donne stesse) non già come un tragico disagio maschile, ma come una manifestazione di arroganza. Arroganza che purtroppo può sfociare a volte nella violenza estrema, come appurato purtroppo spesso dalla cronaca.
Ci scandalizziamo di questo, ma non dimentichiamo che nella civilissima, colta, Italia esisteva il “delitto d’onore” fino al 1981, definitivamente considerato illegale solo con la Legge 442 del 5 agosto ’81.
Guardiamo oggi con sdegno a Paesi in cui le donne indossano abiti molto coprenti.
Non è il velo o il chador o la tunica a dover fare paura: sono indumenti tradizionali, non c’è nulla da criticare.
Quello che fa scandalo è l’obbligo di indossarli, per le donne. Altrettanto ingiusto il divieto di indossarli, come successe in Francia, stato laico in cui è vietata l’ostentazione di simboli religiosi in ambito statale. Considerando il velo un simbolo religioso, fu vietato nelle scuole pubbliche, col risultato che tutte la ragazze indossarono poi il velo per difendere la possibilità di portarlo purché senza costrizioni.
Ci sono Paesi in cui le donne indossano veli e abiti tradizionali, ma ricoprono, o hanno ricoperto, posti autorevoli a livello politico interno e mondiale. Ricordiamo, tra le altre, Indira Gandi in India
In conclusione, il vero scandalo, a mio avviso, è il divieto o l’obbligo di alcune azioni (scoprirsi o coprirsi, guidare, decidere) imposti a persone in quanto esseri femminili
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