Anno Accademico 2022-2023
10° INCONTRO
Relazione di Silvia Laddomada
Canto 14°
Dante prosegue il cammino nella cornice degli invidiosi.
Un'anima, avendo sentito che é vivo, vuole sapere chi sia.
Dante dice solo che proviene dalla valle dell'Arno. L'anima a questo punto lancia un'invettiva contro le città toscane che sorgono lungo il fiume.
Arezzo, Pisa, Firenze, i cui abitanti, egli dice, hanno dimenticato le virtù e si comportano come bestie: cani ringhiosi ("botoli") gli aretini, volpi i pisani, lupi i fiorentini.Annuncia poi che il nuovo podestà di Firenze, perseguiterà, nella città, sia i guelfi bianchi che i ghibellini (e questo avverrà nel 1303).
Dante non ha rivelato il suo nome, ma chiede all'anima di farsi riconoscere. E l'anima, con cortesia sottolinea, rivela il suo: é Guido del Duca, nobile romagnolo di Ravenna, giudice di alcune città della Romagna. E' un invidioso, ovviamente.
(vv.82-87)
Fu il sangue mio d’invidia sì riarso,
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto m’avresti di livore sparso.
Di mia semente cotal paglia mieto;
o gente umana, perché poni ‘l core
là ‘v’è mestier di consorte divieto?
(Il mio sangue fu così riarso dalla febbre dell'invidia che, se avessi visto qualcuno lieto, felice, mi avresti visto coperto di livore. Ora pago in questo modo (cecità) l'errore fatto. O umana gente, perché dirigi il cuore verso beni terreni, che non possono essere divisi?)
Se i beni sono di uno, non possono essere di altri. Il possesso limita il diritto altrui. (concetto che poi chiarirà Virgilio).
A questo punto Guido del Duca, si abbandona a un triste compianto sulla decadenza della Romagna, ricordando la generosità e la gentilezza delle nobili famiglie antiche e biasimando la mancanza di virtù dei loro discendenti.
(vv.103.104.109.110.111)
Non ti maravigliar s’io piango, Tosco,
quando rimembro...
le donne e ‘ cavalier, li affanni e li agi
che ne ‘nvogliava amore e cortesia
là dove i cuor son fatti sì malvagi.
Non ti meravigliar se piango quando ricordo le nobili famiglie di un tempo, le gentildonne, i cavalieri, le imprese generose e piene di rischi (affanni), la vita nobilmente liberale (agi), cose che l'amore e la cortesia rendevano vive nei cuori, in quella stessa Romagna nella quale oggi gli uomini sono malvagi.
Guido rimpiange gli ideali puri, della cavalleria, della cortesia a lui tramandati da esperienze di vita, e dai temi politici della lirica provenzale e dello Stilnovo.
Nello sconforto Guido ricompone, nella fantasia, quella realtà trascorsa, la desidera, la guarda dall'alto, una realtà fatta di uomini e cose che promettevano la felicità, in un clima di giovinezza e avventura, di studi, di costumi civili, di passioni ardenti.
Anche Ariosto, all'inizio del suo poema, dice che canterà, "le donne, i cavalieri, le armi e gli amori" , di questo bellissimo mondo medievale.
Meglio sarebbe estinguersi, piuttosto che partorire simili eredi.
Addirittura, egli dice, felici le famiglie che si sono spente o stanno per scomparire, o quelle che, per non diventare malvagie, hanno abbandonato le città di Cesena, Rimini, Forlì.
L'anima di Guido non regge alla visione della sua Romagna, ridotta a tanta desolazione.
Quindi tronca il colloquio con Dante, soprafatto dall'amarezza e dalla pietà.
Dante lo lascia e prosegue il cammino con Virgilio, in silenzio, ma nel suo cuore c'è tutta la passione per la politica del suo tempo.
Attraverso le parole di Guido, Dante ci fa partecipi dei suoi sdegni, ci parla di Romagna, ma Romagna e Toscana sono molto unite per le loro vicende storiche, nella vita del poeta esule. Parlare dell'una é come parlare dell'altra. Tutti gli abitanti della "misera valle", per "mal uso" (per abitudine al male) sono diventati bruti.
Canto 15°
Mentre Guido piange, i due poeti proseguono.
Ma all'improvviso vengono abbagliati da una luce accecante. E' l'angelo della misericordia, sopraggiunto per cancellare la seconda P dalla fronte di Dante, e per indicare loro una scala poco ripida per salire verso la 3^ cornice.
Mentre proseguono, in tono intimo e confidenziale, Dante chiede a Virgilio perché Guido del Duca ha detto, con rammarico, che vengono puniti, con la cecità, gli uomini che desiderano ciò che non può essere condiviso con altri.
Virgilio spiega il concetto, di origine agostiniana.
Se i nostri desideri mirano al conseguimento di cose materiali, nasce l'invidia, che fa muovere il petto come un mantice, sospirando per la cupidigia.
Anche perché, essendo questi beni materiali, limitati e finiti, più sono le persone che vi concorrono, minore é la parte che tocca a ciascuno.
Nel desiderare le cose celesti, il bene supremo, invece, avviene il contrario. Più sono le persone che desiderano possederle, più grande é la vicendevole gioia, in nome della carità e dell'amore che regna nell'Empireo, che moltiplica all'infinito questo bene supremo.
Dante cade in un profondo torpore, viene quasi rapito in estasi, gli appaiono storie che parlano di mansuetudine, di pietà.
Ad esempio, vede in un tempio più persone e una dolce madre che entra e dice a un bambino, "Tuo padre ed io ti cercavamo addolorati".
Riferimento é a Gesù ritrovato nel Tempio dai genitori.
Canto 16°
Quando si riprende, Dante si accorge di essere sommerso da un fumo nero, come la notte.
Il poeta si aggrappa a Virgilio e cammina con gli occhi chiusi.
Alcune voci cantano l'Agnus Dei.
Siamo nel 3° cerchio, in cui sono puniti gli iracondi; viene espiata l'ira, uno dei 7 vizi o peccati capitali.
Essi in vita si lasciarono vincere dai fumi dell'ira. Ora sono costretti a camminare entro una coltre di fumo denso e soffocante. In vita si accesero gli uni contro gli altri, ora recitano insieme la preghiera dell' "Agnello di Dio".
Mentre i due poeti avanzano a tentoni, un'anima si avvicina a Dante e gli chiede cosa ci fa da vivo in mezzo al fumo. Dante parla del suo viaggio particolare, dell'Inferno da cui é uscito e del Paradiso dove si sta dirigendo, passando per il Purgatorio.
A sua volta Dante chiede all'anima di farsi riconoscere e di fare da guida fino alla cornice successiva.
Se non potranno guardarsi a causa del fumo, potranno almeno ascoltarsi.
L'anima dice di essere Marco Lombardo, un uomo di corte, vissuto nel 1200, originario della Lombardia, sempre sdegnoso verso i suoi contemporanei per i loro vizi
(vv. 46-48)
«Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco;
del mondo seppi, e quel valore amai
al quale ha or ciascun disteso l’arco.
(Sono Lombardo, fui chiamato Marco, fui esperto degli affari del mondo e amai quelle virtù, alle quali più nessuno tende il suo arco.
Anche quest'anima parla di corruzione. Proprio a lui, Dante chiede quali siano le cause della corruzione del mondo.
(vv.58-63)
Lo mondo è ben così tutto diserto
d’ogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto;
ma priego che m’addite la cagione,
sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone».
(Il mondo é spoglio di ogni virtù, ed é pregno di malvagità.
Ti prego, indicami la causa, affinché io la conosca e ne parli ad altri. Alcuni pongono la causa nell'influsso degli astri (il cielo) oltre nella cattiva volontà degli uomini (cieli).
Prima di rispondere Marco emette un lamentoso sospiro, poi espone la teoria del libero arbitrio
(vv.67-78)
Voi che vivete ogne cagion recate
pur suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate.
Se così fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto.
Lo cielo i vostri movimenti inizia;
non dico tutti, ma, posto ch’i’ ‘l dica,
lume v’è dato a bene e a malizia,
e libero voler; che, se fatica
ne le prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si notrica.
Voi che vivete la vita mortale, attribuite ogni cosa al cielo, come se dal moto dei cieli dipendesse tutto quello che accade sulla terra.
Se così fosse, sarebbe vanificato il libero arbitrio, cioé la possibilità che l'uomo ha di scegliere tra il bene e il male.
E non sarebbe giusto ricevere come premio del bene la felicità eterna e come punizione del male il dolore eterno.
L'influenza dei cieli determina i primi impulsi dell'anima ma agli uomini é stata data la ragione, che permette di comprendere ciò che é bene e ciò che é male e la libera volontà, che se un pò deve faticare per tenere a freno gli impulsi astrali, riesce a vincere ogni contrasto solo se viene ben educata (ben si notrica).
Quindi se l'uomo abbandona la via della virtù, la causa é da ricercare solo in se stesso.
Ma il discorso di Marco Lombardo non si ferma qui.
A lui Dante affida la spiegazione della sua dottrina politica su Papato e Impero (già presentata nelle opere "Convivio" e "De Monarchia").
L'anima esce dalle mani di Dio, semplice e ignara, e si volge verso ciò che le piace, i beni terreni. Occorre però la guida dell'autorità o il freno della legge a indirizzare il suo amore verso il bene.
(vv.97-114)
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Nullo, però che ’l pastor che procede,
rugumar può, ma non ha l’unghie fesse;
per che la gente, che sua guida vede
pur a quel ben fedire ond’ella è ghiotta,
di quel si pasce, e più oltre non chiede.
Ben puoi veder che la mala condotta
è la cagion che ’l mondo ha fatto reo,
e non natura che ’n voi sia corrotta.
Soleva Roma, che ’l buon mondo feo,
due soli aver, che l’una e l’altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l’un con l’altro insieme
per viva forza mal convien che vada;
però che, giunti, l’un l’altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
ch’ogn’erba si conosce per lo seme.
Le leggi ci sono, ma chi le fa osservare? Il papa si rivolge verso i beni terreni e la gente lo segue, non interessano i beni spirituali di pace e giustizia, per cui é il malgoverno la causa delle malvagità, non la natura umana.
I due soli, papa e Imperatore dovevano essere la guida del mondo ma si combattono a vicenda. Il papa (riferimento a Bonifacio 8°) ha unito in sè i due poteri. temporale e spirituale (ha congiunto la spada col pastorale) e questo genera la corruzione e la decadenza che regnano sulla Terra.
Infine l'anima ricorda la decadenza della Lombardia, dove, prima delle lotte tra Federico II e la Chiesa "solea valor e cortesia trovarsi", si praticavano il valore militare e la virtù civile, ora invece si possono incontrare due o tre persone di valore, le quali non vedono l'ora che Dio li chiami per portarli verso una vita migliore.
Intanto, il sole schiarisce il fumo, e Lombardo deve fermarsi.
Dante può proseguire verso la quarta cornice.
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