RELAZIONE DI SILVIA LADDOMADA
Il Natale è sempre un evento suggestivo.
Oggi preceduto da illuminazioni sempre più straordinarie per strade, nelle vetrine; nelle strade c’è un’aria festosa, ci sono bancarelle, mercatini, negozi stracolmi di merce. All’interno delle case, anche se oggi lo spirito è più laico, non mancano i momenti in cui tutti si organizzano per riservare un angolo della stanza per realizzare un presepe, per allestire un albero, decorarlo, illuminarlo.
Vi ricordate? Si andava a seguire la novena, nell’incerta luce delle fredde mattinate, nonni e bambini, ci si alzava alle cinque. Nei giorni precedenti il Natale, in casa c’era un’aria particolare: la nonna, le zie, tutte riunite per preparare i dolci, per preparare il pranzo in modo meticoloso, perché doveva interrompere la catena della povertà, della scarsità quotidiana. La notte del 24 si andava a Messa e, una volta tornati a casa,si poneva Gesù Bambino nella mangiatoia del presepe, cantando “Tu scendi dalle stelle”, una melodia, scritta da S. Alfonso Maria Liguori nel 1754, cantata con l’accompagnamento del cembalo.
A pranzo si metteva sul tavolo la tovaglia buona, si tiravano fuori i piatti e le stoviglie gelosamente custoditi tutto l’anno. I bambini ponevano sotto il piatto di papà la letterina di Natale, in cui si prometteva di diventare più buoni. Poi mentre si mangiavano i dolci, i bambini recitavano la poesia (quanti si distraevano pensando alle monetine che avrebbero avuto dopo?).
Il regalino lo portava la Befana. Poi tutti a giocare a tombola, con l’immancabile nonnino che non capiva i numeri e se li faceva ripetere 100 volte.
Oggi spesso questa magica atmosfera non si rinnova più, i giochi sofisticati che i bimbi trovano al mattino li impegnano tutto il giorno, la Tv sempre accesa copre e annulla le conversazioni, spesso il lavoro costringe qualche componente a stare fuori casa; si pranza al ristorante per godere di più della compagnia degli ospiti. Le tradizioni restano, però, e questo ci conforta.
Quali sono i pilastri della festa di Natale e quale è il loro significato.
Gesù Bambino adagiato in una mangiatoia, all’interno di una grotta, di una stalla, la Madonna e S. Giuseppe in atteggiamento adorante, segno della regalità del neonato. A riscaldarli il fiato di un bue e di un asinello.
Questo il quadretto natalizio.
Fu S. Francesco d’Assisi a realizzare il primo presepe, a Greccio (Rieti) la notte del 25 dicembre 1223; egli celebrò la Messa in una stalla, c’era una cesta piena di paglia e ai lati un bue e un asinello, animali poco intelligenti, ma umili, pazienti, grandi lavoratori.
Queste proverbiali caratteristiche rappresentano il migliore esempio dei seguaci di Cristo: nemici della superbia, capaci di sopportare i sacrifici.
La rappresentazione con statue è avvenuta dal 1300 in poi, statue di legno, poi di terracotta. Si aggiunsero gli Angeli che danno la notizia ai pastori, gente semplice, i primi a saperlo, i primi a correre alla grotta. Nel 1600-1700 gli artisti napoletani hanno aggiunto altri personaggi, creando dei quadretti di vita famigliare, hanno introdotto i personaggi colti nell’attività di tutti i giorni.
In mezzo a questa gente sbalordita, con i loro cammelli ricoperti di mantelli di oro passano i Magi, misteriosi sapienti, astrologi venuti a Betlemme dalla Persia, dal nord Africa, a visitare il Bambino.
Ognuno arriva per conto proprio, raccontano i Vangeli apocrifi, aiutati solo da un’energia soprannaturale, seguendo la stella cometa, un astro nuovo che sconvolge la vecchia disposizione astrale e fa muovere questi uomini dalle loro Terre. Di loro parla solo l’evangelista Matteo, mentre alcuni profeti del Vecchio Testamento avevano preannunciato la presenza della stella e dei Magi. I loro doni: oro, incenso e mirra(resina profumata usata nelle pratiche funerarie e per i riti di purificazione) significavano, oro al re, incenso a Dio, mirra all’uomo. I loro nomi: Gaspare, Melchiorre, Baldassarre. Nella lingua araba Melchiorre è il più anziano, colui che ha conquistato la conoscenza; Baldassarre è il re della Luce, Gaspare è il protetto dal Signore. Uomini di razza diversa, uguali davanti a Dio.
Ogni anno noi rievochiamo questo evento, il 25 dicembre.
Storicamente Gesù è nato sotto l’Impero di Augusto (censimento voluto in tutto l’Oriente). Non si sa né la data, né il mese, i Vangeli non ne parlano.
La data del 25 dicembre fu scelta nel 300 d. C. dalla Chiesa, e ufficializzata dal papa Liberio nel 354. Perché questo? La Chiesa intese sostituire il culto pagano della festa del Fuoco e del Sole, che avveniva in occasione del solstizio d’inverno, la notte più corta dell’anno. In questa data il sole tocca il punto più basso dell’ellittica e sembra svanire, fino a risorgere a nuova vita col nuovo anno.
Un periodo che i Romani vivevano con inquietudine, e quindi dal 25 dicembre al 6 gennaio si festeggiavano le libertà di dicembre; gli schiavi erano affrancati, i condannati rimessi in libertà. Ci si scambiavano regali, ossia le strenne, rami sacri colti nel sacro bosco della dea Strenia, per augurarsi un anno nuovo ricco, prospero e felice. Era consentito giocare d’azzardo a fine pasto, dunque le nostre tradizioni della tombola e delle carte. Si è avuta una fusione tra tradizione pagana e cristiana, il Sole è Cristo, che porta luce e purificazione nel mondo.
Nelle nostre case abbiamo anche l’albero, pino, abete, vero o meno.
I romani decoravano le case con rami di pino all’inizio dell’anno. Nel Medio Evo, a Strasburgo, si cominciò ad allestire alberi ornati di frutta, a ricordo dell’albero della conoscenza, posto nell’Eden. Esso era l’asse del mondo, le cui radici erano al centro della Terra e la sommità toccava i cieli, promettendo luce e prosperità.
Nel 1600 furono aggiunti i fiori e altre decorazioni, alberi allestiti di solito nelle case degli aristocratici; divenne una moda diffusa a livello popolare con la regina Margherita; furono aggiunte le luci, che rappresentano la luce di Gesù nel mondo, sfere multicolori e pacchettini, che simboleggiano l’amore che Gesù dona agli uomini. Una tradizione consolidata, tanto che nel 1982 il papa Giovanni Paolo II dedicò all’albero un posto d’onore in piazza San Pietro, facendolo diventare il simbolo ufficiale delle festività natalizie.
Ma ci sono altri simboli, altri significati degli oggetti che noi usiamo come decorazione.
Il cero, che noi accendiamo davanti al presepe: Gesù è luce del mondo.
Il ginepro: pianta della purificazione, augurio di tenere lontano il male.
Il vischio: pianta divina e miracolosa, simbolo di pace.
L’agrifoglio: simbolo di forza, buon augurio(le foglie rappresentano le
spine della corona di Gesù, le bacche il sangue).
Le arance: simbolo di speranza.
Il melograno: simbolo della rigenerazione della natura.
Il ceppo: per tradizione si deve accendere un tronco di legno nel camino, la
sera della vigilia di Natale o di Capodanno. Il suo consumarsi
rappresenta il consumarsi dell’anno vecchio. Accenderlo è segno
di ospitalità e accoglienza, per la venuta di Cristo.
La stella di Natale: legato alla leggenda del bimbo povero che porta al
presepe un mazzo di erbe, ma una sua lacrima su quei
rami li trasforma in uno splendido fiore rosso.
La rosa di Natale: fiore natalizio per eccellenza in Inghilterra, legato alla
leggenda della pastorella che non aveva nulla da
portare, un angelo passa scuote la neve ai suoi piedi e
spuntano delle candide rose, che lei porta al Bambino.
Corona dell’Avvento: risale alla tradizione tedesca pre-cristiana (riti pagani della luce); per i cristiani simbolo dei giorni che precedono il Natale.
Ogni domenica si accende un cero, con un preciso significato:
1° significato- cero dei Profeti
2° significato- Betlemme
3° significato- i pastori
4° significato- gli angeli
Una preghiera e un canto a Maria completano il rito di accensione.
Il presepe più bello, piccolo o grande che sia, sfarzoso o modesto, è quello che ciascuno di noi vive nell’intimità della propria casa o della propria famiglia, soprattutto dove ci sono gli occhi radiosi e incantati dei piccoli, che sono le vere stelle luccicanti sulla grotta di Gesù Bambino.
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