Prof.Gert-JanBurges
Libera Università di AmsterdamCrispiano, 23 luglio ’08
Michele Annese
Per il sesto anno si riscontra grande
interesse della cittadinanza crispianese, alla presentazione degli
scavi archeologici nella zona Amastuola, curati dall’equipe
olandese della Libera Università di Amsterdam.
Relatore della serata sono stati il
prof. Gert-Jan Burges, a cui ormai bisognerebbe dare la cittadinanza
onoraria e la nostra illustre prof.ssa Grazia Semeraro, docente
all’Università di Lecce.
Riportiamo qui di
seguito la prima parte della relazione tenuta da Burgers: “stasera
ci dedichiamo ad un altro elemento fondamentale della cultura
crispianese, alla sua storia, alla sua archeologia. In questo senso
il carnevale crispianese appena conclusosi e l’archeologia sono due
lati ella stessa medaglia, sono due degli aspetti più significativi
che caratterizzano l’identità culturale del paese, almeno dal mio
punto di vista. Forse per voi crispianesi, però, il carnevale e un
segno molto più evidente di quello dell’archeologia. L’archeologia
non si vede, non sembra presente quanto lo è il carnevale. Ma io vi
assicuro, l’archeologia è molto presente. Bisogna solo
valorizzarla. L’altro giorno mi e stato chiesto di fare un
intervento nel consiglio comunale monotematico sull’Area Vasta. E
in quell’occasione ho ribadito, come ho fatto anche altre volte,
che storicamente e archeologicamente il vostro territorio e uno dei
più ricchi che conosco; e tutto da valorizzare, tutto da studiare.
Con le nostre ricerche, quelle della Libera Università di Amsterdam
e adesso anche quelle dell’Universita australiana di Sydney, l’agro
crispianese sta diventando una specie di laboratorio internazionale
per la ricerca avanzata del paesaggio archeologico. Tutto questo nel
vostro giardino, nel vostro territorio, che veramente è da
considerare un gioiello, anche dal punto di vista paesaggistico. Il
territorio interessato dalle nostre ricerche è dominato da
terrazzamenti calcarei che dal golfo di Taranto salgono gradualmente
fino ad arrivare sull’altopiano delle Murge. E’ questa la terra
delle cento masserie. E’ questa la terra delle splendide gravine.
In quest’area la nostra attenzione si è rivolta alla collina sulla
quale è ubicata la masseria ottocentesca dell’Amastuola.
L’ubicazione della collina è dominante in quanto da qui si
controlla non solo parte della pianura verso la costa, ma anche
l’ampia vallata alle sue spalle. Sulla collina la struttura più
evidente è la masseria. Meno evidente, ma per i nostri obiettivi più
importante, è il fatto che su questa collina sono state evidenziate
le tracce di un nucleo di genti greche del VII secolo a.C. Per questo
motivo l’Amastuola svolge un ruolo chiave nel dibattito scientifico
sul fenomeno storico della colonizzazione greca in Italia, un
fenomeno che nell’ottavo e settimo secolo portò in Italia
tantissimi immigranti greci che stanno alla base delle famose città
greche come Taranto, Metaponto e Sibari. E’ un fenomeno su cui
torno a parlare,, perchè potrebbe fornirci una chiave per la
valorizzazione del paesaggio moderno. Punto di partenza nel dibattito
su l’Amastuola e la leggendaria fondazione di Taranto, città greca
di primaria importanza, di cui i resti si trovano ancora sparsi per
la città. Secondo alcuni scrittori antichi, Taranto fu fondata alla
fine dell’ottavo secolo a. C. da greci della famosa città di
Sparta. L’opinione comune è che la colonizzazione fu operata in
modo invadente e violento. I greci avrebbero scacciato le popolazioni
locali italiche; fondano un nuovo popolo , e conquistano un
territorio vasto in pochi decenni. A sostenere questa teoria nel caso
del tarantino, sono tradizioni antiche come quella riportata da
Strabone nel suo sesto libro, secondo la quale l’oracolo di Delfi
avrebbe fatto la seguente promessa agli spartani colonizzatori: “ti
dono Satyrion e ti concedo anche di abitare il ricco paese di Taranto
e di diventare flagello per gli Iapigi”, che sono i pugliesi di
allora. Apud
Strab., Geogr.
VI
3, 2.
Sono testi di questo genere che hanno
portato alla tesi che la colonia di Taras alla fine del VIII secolo
a. C. fosse stata fondata con forza, che il suo entroterra fosse
stato conquistato poco dopo e che le tribu locali, indigeni degli
iapigi fossero state espulse, se non eliminate. Sono testi di questo
genere che ancora oggi si discutano e non solo in ambito scientifico
ma anche nei bar di Cristiano. Infatti, parecchi crispianesi mi hanno
chiesto se e vero che le loro origini sono greche. Altri invece si
sentono discendenti degli indigeni, degli iapigi, come il signore
che l’altro giorno mi chiese: allora sono stati i greci a farci
fuori.
Il dibattito e piu intenso nel ambito
scientifico pero. Dal punto di vista greco, il sito archeologico a
L’Amastuola e sempre stato identificato come villaggio greco. La
presenza di elementi greci a l’Amastuola sembra confermare
l’oracolo di Delfi in quanto rientra nello schema di espansione
coloniale violenta.
Con le nostre ricerche a l’Amastuola
abbiamo voluto verificare queste teorie e dobbiamo concludere che le
ricerche lasciano spazio ad una lettura del sito diversa da quella
corrente. Di questo ne ho parlato altre volte, e ne voglio ritornare
oggi, presentando l’ insieme dei dati delle nostre indagini a
L’amastuola. Questi dati riguardano sia la collina dell’Amastuola,
sia la zona della necropoli, del cimitero a quasi un chilometro dalla
collina. Vediamoci questi dati sommariamente. Inanzittutto bisogna
sottolineare che l’elemento greco e ben evidente davvero, anche
negli scavi di quest’anno. Vediamo per esempio queste lastre di
tufo enormi che quest’anno abbiamo messe in evidenza all’Amastuola. Una vera sorpresa, una scoperta eccezionale. Li abbiamo trovati in
una buca di grandi dimensioni, completamente fuori contesto. Il caos
totale sembrava, come se i blocchi fossero buttati nella buca senza
tener conto della struttura originale. Un’enigma quindi, un
mistero, finche il mio collega Jan Paul Crielaard ha trovato la
soluzione in quanto egli ha dimostrato che i blocchi fanno parte di
una struttura simile a qulla trovata nella vicina colonia greca di
Siris. Eccola qua, l’originale di Siris. Una struttura simile
quindi abbiamo trovato all’Amastuola, ma furoi contesto, distrutta
e buttata in una fossa profonda. Ora, in base al paragone di Siris,
adesso sappiamo che si tratta di un’edicola connessa ad un culto.
Giudicando dai reperti votivi che sono stati trovati nella buca
insieme ai blocchi, cioe questi vasetti qua o anche questi oggetti
qui con raffiguranti serpenti, il culto potrebbe essere quello dei
dioscuroi, cioe dei gemelli Castor e Pollux. E qui bosgna
sottolineare che e un culto tipicamente greco. Altro elemento
tipicamente greco lo troviamo qua, sono le tracce di una specie di
altare in cui abbiamo trovato tantissimi frammenti di ceramica greca,
soprattutto coppe e contenitori da consumare vino. Sono le tracce di
una festa rituale di origine greca. Negli ultimi anni abbimo trovato
altri elementi greci all’Amastuola e non c’e dubbio che davvero
hanno vissuto dei migranti greci sul sito.
Ma non e detto che ci abbiano vissuto
soltanto greci. Anche l’elemento locale, indigeno e molto
consistente. Per esempio, I nostri scavi hanno dimostrato che il
perimetro della collina era circondato da un circuito murario
difensivo che ci riporta al mondo indigeno. A questi dati dobbiamo
aggiungere le capanne contemporanee, che si trovano all’interno del
muro e che sono di chiaro tipo indigeno, ma anche le case quasi
quadrate che si trovano vicino. In queste case troviamo sia dei vasi
greci, sia dei vasi indigeni, iapigi. Anzi, abbiamo anche trovato
un’altare simile a quello che abbiamo appena visto, questa volta
non con ceramiche greche ma soprattutto con ceramiche indigene,
sempre ceramiche connesse al rito del consumo del vino. Sembra che
abbiano convissuto greci e indigeni sullo stesso sito, praticando gli
stessi riti ma in spazi separati uno dall’altro.
Non solo sulla collina le tracce degli
iapigi sono persistenti, anche nella necropoli.
Molto significativa e la scoperta in
mezzo alla necropoli di una stele antropomorfa, che ho gia presentato
l’anno scorso. Una stele d’altezxzo d’uomo, di tufo locale, e
sormontata da due appendici. E’ un tipo di stele molto conosciuto,
ma non in ambito greco. Al contrario, questo tipo di stele è di
chiaro tipo indigeno e trova un confronto preciso nel Salento, in
contesti iapigi a cavallino, Mesagne e altri siti.
In base a tutti
questi dati bisogna concludere che a L’Aamastuola il caso in favore
di una comunita mista, ibrida, diventa sempre più consistente. E’
difficile negare ormai che ci abbiano convissuto greci e indigeni
all’Amastuola. E’ problematico anzi identificare i dati come
prova della presenza di una comunità esclusivamente greca a
L’amastuola, come spesso si sostiene. La situazione coloniale
sembra più complessa, come ci insegnano anche i più recenti studi
di fenomeni di colonizzazione in altri periodi storici.
Da
questi studi si deduce che soprattutto in zone di contatto tra
colonizzatori e indigeni si verificano forme di contatto e di
convivenza molto differenziate e con identità ambigue. E infatti,
così sembra essere nel paesaggio dell’Amastuola che appunto si può
definire come paesaggio di contatto. Dopo ritornero su quest’aspetto.
Io ritengo, infatti, che il territorio moderno di Crispaino potrebbe
essere concepito come un paesaggio del contatto, del dialogo.
Ritorniamo, pero, prima al paesaggio
storico, ad un aspetto su cui non mi sono mai fermato ancora nelle
mie conferenze a Cristiano, pero che e di estrama importanza, cioe
sui dati sempre piu abbondanti sul mondo indigeno contemporaneo.
Ritengo che questi dati ci possono aiutare a capire la situazione
particolare che trovaiamo a L’Amastuola.. Particolarmente
interessanti sono i dati che riguardano la fase pre-greca, che a
l’Amastuola viene generalmente trascurata. A questo proposito
bisogna sottolineare che l’Amastuola ben si inserisce in un modello
identificato dal collega Francesco D’Andria dell’ Università di
Lecce, il quale, in base ad un’analisi della distribuzione della
ceramica dell’ epoca, per il Salento ha registrato un forte aumento
degli insediamenti, fondati in molte zone salentine alla fine del
VIII secolo a.C. Ed e quello proprio anche il periodo in cui fu
fondato il villaggio sulla collina di L’Amastuola. Infatto, con le
nostre ricerche topgraficghe abbiamo dimostrato che il sito e il
paesaggio attorno fossero pressocchè disabitato nella fase
precedente. Solo alla fine dell’ottavo secolo a. C. appariscono
segni di vita sul sito, come e il caso su tanti altri siti secondo
D’Andria.
L’eccezionale crescita nel numero
dei siti l’abbiamo verificato analiticamente, attraverso le
ricognizioni topografiche operate dalla Università di Amsterdam
negli anni ’90 in una serie di insediamenti antichi nella piana di
Brindisi nel nord-est del Salento. Si tratta dei siti di Valesio,
Muro Tenente, Muro Maurizio e Li Castelli di San Pancrazio (fig. 12).
In tutti i casi i risultati delle ricognizioni segnalano l’VIII
secolo a.C. come periodo di nascita degli abitati. Le ricognizioni
effettuate in questi siti hanno dimostrato che l’estensione totale
dei singoli villaggi non presenta molte differenze, variando tra i 15
e i 28 ettari. Diverso è il caso di Oria al centro dell’istmo
salentino, la cui area di insediamento totale alla fine del VIII
secolo sembra raggiungere 90 ettari circa, dato dal quale emerge una
gerarchia definita. E’ doveroso sottolineare che Oria è anche
l’unico sito in questo territorio, di cui si sa che è stato
continuamente occupato anche prima. Infatti, si è trasformato in un
importante abitato fortificato durante i secoli precedenti della
cosiddetta tarda Età del Bronzo. Sembrerebbe che si sia espanso
nuovamente durante l’VIII secolo a.C., questa volta non solo
diventando il maggiore agglomerato nella piana di Brindisi, ma anche
popolando il proprio territorio con siti effimeri coevi, la cui
fondazione molto probabilmente è da considerarsi come conseguenza di
Oria.
Argomentazioni simili possono essere
avanzate con riferimento alla provincia tarantina. Come Oria, vari
siti di quella zona, compreso Taranto/Scoglio del Tonno, Torre
Castelluccia, Torre Saturo e Monte Salete, hanno origini che
risalgono all’Età del Bronzo e senza dubbio sono state anche
abitate da popolazioni indigene durante l’VIII secolo a.C.
Sfortunatamente, a causa della mancanza di indagini sistematiche, in
quest’area è più difficile arrivare a qualsiasi ricostruzione
della configurazione del sistema abitativo. Tuttavia, le ricerche
topografiche e gli scavi archeologici di Arcangelo Fornaro nel
paesaggio calcareo delle Murge taratine suggeriscono che l’altopiano
sia stato caratterizzato unicamente da espansione e popolamento
dell’abitato contemporaneamente a quanto succede all’Amastuola.
dobbiamo concludere che, durante
l’VIII secolo a.C., le popolazioni indigene del Salento erano
impegnate nell’espansione dell’abitato, nel popolamento e nella
bonifica di territori precedentemente non utilizzati o utilizzati
solo marginalmente. Questi processi sembrano aver coinvolto di fatto
tutte le principali unità territoriali del Salento, compresa la
provincia di Taranto e il territorio di l’Amastuola. Il sito di
L’amastuola sembra essere nato in questo contesto.
In recenti anni, varie ipotesi sono
state proposte per spiegare questi sviluppi. I fattori più
importanti certament sono la crescita della popolazione, la
differenziazione socio-economica e la relativa proliferazione di una
elite. Una conclusione quasi inevitabile è che le trasformazioni
nella disposizione degli abitati e dei paesaggi indicano una
ridefinizione di confini territoriali entro le comunità locali,
espansioni territoriali e, di conseguenza, una serie di conflitti tra
gruppi indigeni.
Se torniamo ora a discutere
dell’arrivo di migranti greci sulle coste dell’Italia
meridionale, e in particolare della presenza di greci sul sito di
l’Amastuola, questi fenomeni possono essere studiati da un
differente punto di vista rispetto a quanto fatto tradizionalmente.
Date le mie considerazioni, si può desumere che i greci che vennero
a insediarsi nell’area di Taranto dal tardo VIII secolo a.C.
abbiano costituito ulteriori elementi nel fermento delle fazioni
politiche coeve e che essi siano probabilmente solo alcuni dei tanti
partecipanti in un processo molto più ampio di migrazioni ed
espansioni territoriali, di colonizzazioni interne e ridefinizioni
territoriali sviluppate principalmente da gruppi indigeni.
Altre considerazioni possono sostenere
questo argomento, riferendosi alle fonti scritte di cui ho parlato
all’inizio che sembrano sottolineare piu che altro una politica
aggressiva e espansionistica greca. Recentemente, il nostro collega
Douwe Yntema ha affrontato il soggetto da un diverso punto di vista.
Attingendo a moderni studi sull’identità sociale, uno dei maggiori
argomenti di Yntema è che gli oracoli e i racconti della fondazione
coloniale riportati da fonti scritte come Strabone, dovrebbero essere
visti come miti che all’origine furono creati o trasformati durante
i periodi piu tardi per conformarsi a specifiche circostanze ed
eventi socio-politici coevi. Contestualizzando i miti principalmente
nelle fasi più tarde, Yntema sostiene che essi vennero ridefiniti o
inventati per fornire un passato eroico coloniale ed etnicamente
greco alle comunità urbane che si stavano rapidamente sviluppando.
Di conseguenza, i testi antichi non possono essere considerati come
delle fonti affidabili delle prime fasi della colonizzazione greca
dell’VIII e VII secolo a.C. Neppure dovrebbero essere presi
letteralmente nel loro ritratto delle imprese coloniali come
migrazioni di massa segnate da connaturate aggressioni ed espansioni.
Visti sotto questa luce, i dati
archeologici presentano un panorama molto diverso delle prime
migrazioni greche nell’Italia meridionale. Sono si presenti dei
greci in Italia in questa fase, come ci attestano casi come appunto
L’Amastuola, o anche Taranto, Metaponto e altri siti. Pero, volendo
sostituire la convenzionale prospettiva greco-centrata con una
“indigena”, potremmo supporre che i primi greci erano
consapevolmente utilizzati nella coeva arena indigena socio-politica,
un’arena contrassegnata da grande fermento. Una associazione con
stranieri può non soltanto aver aumentato il prestigio tra la
propria e le altre comunità indigene ma i nuovi arrivati possono
anche aver giocato un ruolo nelle lotte interne politico-territoriali
così come in lotte intra-tribali. Allo stesso modo, potremmo
supporre che a piccoli gruppi di greci fosse consentito di effettuare
scambi, insediarsi e integrarsi tra le comunità indigene.
Ora arrivo alle conclusioni. Riteniamo
che l’interpretazione dei dati di l’Amastuola non si può fare
senza tener conto dei fenomeni sopradiscussi. Potrebbero, infatti,
spiegare perchè anche qui, in un territorio precedentemente
disabitato, alla fine del VIII secolo a. C. viene fondato un
insediamento indigeno. Potrebbe anche spiegare perchè questa
comunità in seguito si sia associata a dei coloni greci. Davvero noi
pensiamo che in zone di contatto come queste tra greci e indigeni si
sono verificate forme di contatto e di convivenza molto differenziate
e con identità ambigue. E infatti, così sembra essere nel paesaggio
dell’Amastuola che appunto noi vorremmo definire come paesaggio di
contatto.
Paesaggio di contatto, quest’ e una
definizione moderna per un territorio antico, un territorio pero
molto vivo ancora, vivace e con tante possibilita di sviluppo.
Sviluppo nel senso economico, agricolo ma anche sviluppo nel senso
turistico. E se ho capito bene, si sta facendo di tutto per farlo
partire questo sviluppo turistico, tra l’ altro con i nuovi
progetti regionali area vasta. Ed e giusto cosi. Io l’ho gia
sottolineato stasera, e un territorio gioiello, che merita la massima
attenzione, che merita di essere valorizzato, che merita di essere
visitato da turisti italiani e stranieri di tutto il mondo.
Anche se noi archeologi non siamo
turisti, costituiamo l’esempio per eccelenza del straniero che
ritorna ogni anno, che viaggia piu di 2000 km per scoprire i tesori
di questo paesaggio. E non siamo gli unici e nel futuro ce ne saranno
altri, ne sono sicuro. Il vostro territorio c’ha tutte le
potenzialità per essere un paesaggio del contatto moderno, del
contatto tra culture diverse, quella crispianese e quella
forestiera, quella italiana con quella straniera in genere.
Certo che bisogna
ancora rendere visitabili questi posti, queste masserie e gravine,
questi siti archeologici come l’Amastuola. Bisogna andare pero
oltre la tutela ed il restauro. Secondo me bisogna cercare di offrire
al visitatore l’opportunità di contattare, di dialogare colla
storia, col paesaggio, coll’ambiente e con altri visitatori; A mio
avviso, siti come L’Amastuola, se
ben una volta recuperati, possono svolgere un ruolo chiave nella
valorizzazione del territorio, non solo econonomicamente o
turistacamente, ma anche e soprattutto dal punto di vista della
percezione di un rapporto nuovo tra centro e periferia, tra abitato e
campagna. E sono molto contento che fine in fondo questa filosofia e
gia attiva qui a Cristiano. Giudicando il programma estivo del paese
con i tanti incontri in masseria e altrove, non posso concludere
altro che il territorio vostro davvero c’ho tutte le potenzialità
di diventare un punto centrale, dinamico, che offre alla gente tanti
spunti per dialoghi culturali ed ambientali. Noi archeologi siamo
disposti a collaborare e dare il nostro sostegno.
Ora concludo davvero con alcuni
ringraziamenti. Inanzitutto vorrei ricordare l’ospitalita
dimostrataci dal sindaco di Crispiano dott. Giuseppe Laddomada, dalla
sua Ammninistrazione nuova e dal intero Consiglio Comunale,
soprattutto per averci ospitatopresso la scuola Mancini. Sono
contento che lámministrazione ha capito bene límportanza del nostro
lavoro per la valorizzazione del patrimonio culturale del paesa.
Grazie anche acora
una volta ai dipendendenti del Comune che ci hanno dato una mano e in
particolare al signor Michele Greco che anche questánno e stato
disponibilissimo. Ringrazio anche il direttore Michele Annese ed i
dipendenti della bioblioteca comunale per il continuo sostegno
dimostratoci, il preside Massimo Romandini ed i bidelli della scuola
Mancini per averci ospitato e gli amici da sempre per la loro
amicizia. Infine,
come sempre, chiedo un applauso forte per l’equipe di studenti,
volontari ed archeologi italiani, olandesi e asutraliani impegnati
nello scavo e nelle ricognizioni e soprattutto anche per il mio
collega Jan Paul Crielaard
Nessun commento:
Posta un commento